Armenia solidale

Alla scoperta di un'antica civiltà, per città e campagne, monti e valli, laghi e altopiani, ospiti di cordiali famiglie
Scritto da: MMPaola
armenia solidale
Partenza il: 07/08/2012
Ritorno il: 19/08/2012
Viaggiatori: 5
Spesa: 3000 €
Eravamo solo cinque, in questo viaggio. Viaggio solidale. In cinque però coprivamo i 300.000 e passa km quadrati dello stato italiano: da Ragusa a Bolzano, da Torino a Modena. Anche i caratteri erano molto distanti: il piuttosto riservato, il piuttosto chiacchierone, il piuttosto serio, il piuttosto aperto ed espansivo… Eppur, fatto sta che l’alchimia è stata quasi perfetta (di proprio perfetto non c’è niente): se ce lo chiedono, penso che a tutti noi venga di dire che è andato tutto magnificamente.

È stata l’Armenia che ha fatto la magia. La solidarietà per il paese compresso fra grandi e piccole ostilità (più grandi che piccole) è scattata subito, ed è cresciuta man mano che passavano i giorni.

Sarà stata l’atmosfera vivace e festosa di Yerevan, età media nazionale della popolazione 33 anni, molto più bassa della nostra, 44 anni. Fortemente, uniformemente motivata nel miglioramento della propria generale e personale condizione.

Il nostro occhio attento e critico ha subito rilevato il carattere monumentale ed un po’ nostalgico di certe statue, di certi palazzi in giro per la città, ma poi si è rilassato, è stato praticamente ipnotizzato dalla fontana di acqua, luce e musica di Piazza della Repubblica. Era lì la festa, tutte le sere tranne il lunedì, tutti riuniti, grandi e piccoli, armeni e non, ad ascoltare, guardare, perfino ballare. Abbiamo anche ballato! Mirella da Ragusa è una vera trascinatrice!

Il caldo della valle che accoglie la capitale, quasi 1000 m.s.l.m, non ci ha impedito di vedere le parti più importanti, girando rigorosamente a piedi per il centro.

Piazza della Repubblica, appunto, quattro quadranti di palazzi a scacchi rosa chiaro/scuro, messi intorno alla fontana, con le Poste, il Marriott e non so che altro. Il girotondo è completato dalla imponente Pinacoteca, 9 piani di cultura armena, russa ed europea, con una sorprendente resistenza al caldo. Anche i guardiani però, ed i turisti.

La Cascade, opera monumentale ancora non finita, ancora in stile russo-monumentale, con un interno ed un esterno: scalini, fiori e acqua fuori, scalini, ed una comoda scala mobile all’interno. Un sacco di gente fuori e dentro che sale, scende….e poi sembra che risalga, riscenda…

Il Museo di storia di Yerevan, in fondo a Beirut Street, parallela a Italy Street (statua un po’ russa di Myasnikian, importante personaggio politico russo/armeno)

Il Matenadaram, Biblioteca che raccoglie i 17.000 manoscritti armeni, edificio modernissimo in fase di completamento, anche lui un po’ russo, nel senso di monumentale. E’ in fondo all’Avenue Mashtots, ovviamente, con la statua di Mesrop Mashtots (San), inventore nel 400 circa DC dell’alfabeto (39 caratteri, nessun numero) e della lingua armena, con lo scopo di far conoscere la Bibbia al suo popolo. Sembra, leggo ora, che la prima frase scritta in armeno, direttamente dall’inventore, sia stata: «Per conoscere la sapienza e la disciplina, per capire i detti profondi, per acquistare un’istruzione illuminata», dal Libro dei Proverbi: bello!

La casa-museo del regista Parajanov (che poi in origine si chiamava Paradzanian), mi sembrava strano che non finisse in ian… Tra parentesi la nostra splendida guida Elisa ci ha riservato una meravigliosa sorpresa, per una delle successive serate in campagna: la proiezione di “La leggenda della fortezza di Suram”, girato in Georgia nel 1982, di ambiente medievale, davvero meraviglioso, provare per credere! Povero regista, che vita tremenda, in continua ostilità con l’Urss. Amico di penna di Fellini e Tonino Guerra… Sempre a Yerevan il Vernissage Market, nato per gli armeni, ma finito per essere un mercato di souvenir armeno/russi, con tutto quello che ci si può aspettare di trovare. Vabbè, fa parte del folklore locale. Più interessante è il mercato coperto dei prodotti alimentari, Pag Shuka, fantastico per odori, colori, persone. E che piacevole la zona verde fra il Teatro dell’Opera (dedicato a/e con statua di Aram Kachaturian, compositore/pianista) ed il Lago dei Cigni (con statua di Arno Babajanian, pianista/compositore), con locali all’aperto forniti di comodi divani dove gustare finalmente il fresco serale e chiacchierare amabilmente fino a tarda ora! E’ stato bello passare da un luogo all’altro a piedi, anche sotto il sole, anche se già stanchi, sia di mattina che di sera. Ci siamo sentiti un vero gruppo, anche se divisi, a due o a tre, abbiamo camminato discorrendo soprattutto di Armenia. Intorno a noi, insieme a noi, molta gente, qualche turista ma soprattutto armeni, soprattutto giovani e soprattutto donne, belle e magnificamente vestite. In merito alla visita di Yerevan la nostra splendida Elisa ha lasciato per ultima la visita al Museo del Genocidio, e così farò anch’io. Tutt’altra storia è stata la visita all’Armenia altra-da-Yerevan. Qui entra in scena un comodo pulmino ed un autista, Edgar, subito ribattezzato Edoardino dalla frizzante Mirella. Ora mi sembrano mitici i nostri chilometri a nord, a est ed a sud della capitale. A ovest si può poco perché c’è la Turchia, ahimè, e lo straniero monte Ararat, sempre presente invece nei pensieri, attività, liquori e cartoline armene. Che peccato!

Subito assestati su posizioni fisse all’interno del pulmino, ci siamo lasciati condurre pazienti e contenti su strade non proprio scorrevoli, a prova di articolazioni, verso paesi, monasteri ed avventure, ogni giorno un fitto programma. Prima verso nord, paese: Dilijan, monastero: Gochavank, avventura: scuola di cucina, a casa di Nouné; poi verso il centro: lago Sevan, monastero: Sevanavank, avventura: il bagno nel lago/villeggiatura degli armeni, poi verso sud.

Con la nostra sempre più cara Elisa, sia durante i trasferimenti che nelle diverse abitazioni, abbiamo imparato a parlare armeno, ovviamente in modo forbito e fluente (!) data la semplicità della lingua, la storia e la geografia, l’archeologia, la religione, gli usi e costumi locali. Attività fondamentale nell’economia del gruppo e della vacanza in generale è stata l’imparare i testi di alcune, due, canzoni popolari e cantarle con la guida della nostra ormai indispensabile Elisa e con la sopportazione-ma-comprensione di Edgar, silenziosamente alla guida per monti e valli.

Un paese che non avremmo mai pensato di conoscere prima di allora, ma che sicuramente non dimenticheremo perlomeno tanto in fretta è Vardenis, tappa fondamentale del nostro viaggio. Uno degli argomenti più frequenti dei nostri discorsi, allora e nei giorni successivi, è stato: “Ma che cosa ci andiamo/ci stiamo/ci siamo andati a fare a Vardenis per tre giorni?”, considerando che si tratta di paese al centro di un pressoché arido altipiano, 1944 m.s.l.m., ventoso e scarsamente popolato, 11382 abitanti ma non li dimostra, e non c’è nemmeno un monastero? Ebbene, c’è però Aregounì, magnifica iniziativa che sotto l’egida del governo francese riunisce famiglie che si danno da fare per sviluppare, attraverso il turismo, la conoscenza dei loro usi e costumi e di portare turismo e benessere. E così con loro abbiamo conversato (anche un po’ in francese), mangiato – una festa ad ogni pasto – imparato ricette, visitato artigiani intagliatori di pietre, ballato, camminato alla ricerca di monasteri di campagna. Con un coffee/tea break a sorpresa, sul cammino, a casa di gentili contadine. E tutto questo sempre in buona compagnia, sia fra di noi che con la popolazione.

Penso che trascorrere questi giorni consecutivi di serenità/allegria possa essere considerato una fortuna per noi ed un augurio per tutti.

L’unica nota un po’ meno colorata è stata la visita al villaggio di armeni profughi dall’Azerbajgian, Azat, più diroccato che in piedi, villaggio di silenzi, vento, padri-padroni e donne dagli occhi tristi.

L’altra nota dolente è stata lo scoprire che qualcuno di noi, ma molti, anche chi non se lo immagina, di notte russa, per la felicità dei compagni di stanza! Le stanze singole (rarissime) sono andate a ruba.

Ormai affiatati, smaliziati, rilassati, ed anche un po’ innamorati, abbiamo continuato verso sud, sulla via della seta, passando per ulteriori altezze (passo di Selim, 2410 m.s.l.m.) e caravanserragli, verso valli rigogliose con fiumi generosi.

Chiva è il paese più ricco nel senso di vegetazione, pesche, uva, polli e mucche. E di gente dallo sguardo sicuro e tranquillo, di chi non ha timore per il futuro. Altri banchetti lussuriosi ci aspettavano, cibo e cordialità, vino, parole e notti stellate. Sono tornata con la convinzione che in Armenia ci sono più stelle che in Italia!

E di nuovo in viaggio, verso la vicina regione di Vayots Dzor con due gioielli ben nascosti fra le rocce rosse del canyon: il monastero di Noravank, che vuol dire “monastero nuovo” (nuovo per chi?), tra i più famosi e visitati, e Iba (Important Bird Area) Noravank, dove l’ornitologo/ristoratore, dopo averci rifocillati nella sua grotta ristorante, ci ha deliziati (parlo per me, ovviamente) con racconti di avvoltoi e di fauna selvatica in generale. Ottima qualità di vita, la sua, con un lavoro che gli garantisce la vita collocato direttamente sui territori migliori per la sorveglianza della fauna! Si vedeva dagli occhi: vivaci, sorridenti e sicuri quando orientati verso i rifugi dei suoi rapaci nascosti fra le rocce, con una luce in più quando ci cita la sua passione per Zucchero Sugar Fornaciari (devo ancora mantenere la promessa di mandargli l’ultimo CD). Passioni in comune.

Più lontano, Tatev è il luogo più a sud, dopo altri chilometri e altre canzoni. Il senso patriottico, armeno, cresceva in noi di giorno in giorno; si mormoravano armonie armene persino la mattina, sotto la doccia.

Tatev è sinonimo di lontano, di ‘in capo al mondo’, di sicuro in capo al promontorio su cui si arriva o per strada polverosa o per funivia. E’ anche il più bel monastero di tutta l’Armenia, forse. E’ un luogo che speriamo che non venga mai scoperto, ma temo di sì, da occidentali con il business in testa, o da affaristi senza scrupoli. Speriamo. Anche da qui gli uomini adulti, solo non i bambini né gli anziani, sono dovuti partire per la Russia per mantenere moglie e figli, che aspettano a casa cercando modi per sopravvivere con poco e non pensare al terremoto.

Tatev è un luogo che si è installato solidamente nel nostro cuore.

Il resto è ritorno, altre strade, tutto come all’andata, ma più veloce, con un pensiero al caldo di Yerevan (si dice che in “basso” ci siano 40-42 °C), ed uno al nostro continente. Sempre cantando però. Ormai senza più bisogno del testo sotto gli occhi, con le parole che escono da sole, accompagnate dal loro preciso significato. L’entrata a Yerevan da sud, dopo uno stop veloce a causa del caldo a Khor Virap, è stata accompagnata dal canto a squarciagola, più deciso che mai, dell’inno alla città, “Erebuni Yerevan”.

E’ rimasta solo la visita al Museo del Genocidio – due, per non farsi mancare niente, uno per secolo, 50.000 armeni in meno nell’800 e 1.200.000 vent’anni dopo, nel 1915, con buona pace (è solo un modo di dire) del resto del mondo. Luogo freddo nonostante, il Museo, regalo triste della nostra Elisa, a dirci in silenzio di non dimenticare, così come tutto il popolo armeno (mentre scrivo mi sembra di sentire la sua voce che con accento quasi assente ma molto particolare dice orgogliosamente ”popolo armeno”, come ce lo ha ripetuto tante volte durante i dodici giorni) certamente non dimenticherà.

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