Armenia: se la conosci, non la eviti

Il diario è semi-serio, lo premetto. Ciò che invece è assolutamente concreto e riscontrabile dalle foto è lo splendore di questa incantevole terra. Per me una sorpresa meravigliosa
Scritto da: matteo doninelli
armenia: se la conosci, non la eviti
Partenza il: 05/10/2013
Ritorno il: 12/10/2013
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
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5 OTTOBRE (volo MILANO-KIEV-YEREVAN)

Questa mattina e’ iniziato il mio nuovo viaggio in solitario. Come da personalissimo copione, non sono partito a caccia di confortevoli paradisi terrestri, bensi’ elettrizzato dall’idea di scavare nell’animo e nei costumi di terre e popoli un po’ bislacchi. Non posso chiaramente ancora esprimermi su cio’ che mi aspetta nei prossimi giorni, ma tra un pisolo ed uno snack (visibilmente ad un battito di ciglia dalla decomposizione), mi sento gia’ di condividere qualche impressione:

1) il vicino di posto sul volo verso lo scalo intermedio, aveva una fiatella umanamente irriproducibile, nemmeno mescolando degli elementi selezionati ad minkiam dalla tavola periodica

2) la consistenza della carta igienica dell’aeroporto di transito aveva la vellutata gradevolezza della pagliuzza che si utilizza per sgrassare le pirofile dopo che hanno ospitato il pesce piu’ grasso dei mari del nord

3) i soventi olezzi sull’aeromobile, mi hanno dato la ragionevole certezza che su uno di quei cartelli scritti in un alfabeto a me sconosciuto, ci fosse un incitamento al pirito libero

4) la compagnia aerea che mi ha ospitato, vanta equipaggi che regalano gli stessi sorrisi e lo stesso buonumore che elargirebbe un francese appena sveglio a cui finisce della sabbia negli occhi. Per oggi e’ tutto, a presto Amici!

6 OTTOBRE (ECHMIADZIN)

La giornata si apre con una non meno che pantagruelica colazione nel bed&breakfast che mi ospita. Essendo una struttura piuttosto essenziale, la proprietaria raggruppa tutti i clienti attorno allo stesso grande tavolo ovale. Cosi facendo, mi da’ l’occasione di scoprire che non tutti i francesi amano il Brie, e che non tutti i belgi si nutrono di cavoletti di Bruxelles. Anzi, temendo una recrudescenza del celebre cannibalismo belga inaugurato da Eddie Merckx, scivolo lesto verso l’uscita. Tanto piu’ che i belgi, col passare dei minuti, paiono allettati da un orefizio che poco ha da spartire col buco della ciambella della casa. Mi dirigo verso l’ufficio del Turismo da cui partira’ la mia escursione odierna. Manco a dirlo, anche il pulmino e’ un vero e proprio crogiuolo di razze. Ci sono francesi, inglesi, olandesi, tedeschi, russi, indiani, cinesi e persino brasiliani. A guidarlo e’ un esile autista che sfoggia un poco rassicurante occhiale alla Filini. Per fortuna sale sul veicolo, last but not least, anche la guida locale, una ragazza giovane, trilingue e, particolare che mandera’ in visibilio la rappresentanza brasiliana, col baricentro basso alla Romario. Sì insomma, gambe corte, un po’ di pancetta e tecnica sopraffina. Persuasiva. Di quelle che all’uopo trasformano con un paio di aggettivi un pezzo di vetro in diamante dal valore inestimabile. A fine corsa mi chiedera’ un parere sulle visite, oggi prettamente archeologico-religiose. Le rispondero’ che il numero di ceri accesi nelle ultime ore mi garantira’ il Paradiso al termine di questa vita, e quantomeno di due ulteriori, vissute al ritmo della Banda della Magliana. Sorride, non capisce ma sorride. Domani e’ un altro giorno.

7 OTTOBRE (GARNI – GEGHARD)

La sveglia suona alle 07:00 e dopo un grugnito di neanderthaliana delicatezza, abbandono l’austero piumone per fare una doccia. La temperatura del bagno e’ mortifera, grazie ad un abbaino difettoso che resta sempre parzialmente aperto. Il freddo, si sa, e’ nemico di talune parti anatomiche maschili, sicche’ mi lavo senza mai guardare in basso per evitare una cancrena dell’Ego da vasocostrizione. Nella sala della colazione mi attende il consueto banchetto. Conosco una ragazza italiana, qui per una conferenza. La controindicazione della tavolata unica e’ che sei praticamente costretto a socializzare anche quando vorresti chiuderti in un selvatico autismo. Non per maleducazione, solo per evitare che le fauci, maleodoranti nonostante la Pasta del Capitano, rivelino l’abuso di alcool della sera precedente. Faccio un passo indietro. Ieri ho alzato il gomito. L’ho fatto perche’ dopo 90 minuti di Juve-Milan non esisteva alternativa. Esaurito il repertorio delle contumelie, non mi restava che un assist alla cirrosi. Prima di rincasare, mi sono concesso lo sfizio di una puntatina in discoteca. Entro al “Veranda”, all’angolo di Teryan Street. Mi imbatto in un gruppo di ragazze/i dall’idioma familiare (francese) ma dalle origini evidentemente locali. Mi colpisce in particolar modo un imberbe cerbiatto meticcio che balla sui tavoli come una scimmia, chiaramente ignaro del fatto che, cosi facendo, l’indomani sara’ per lui un giorno da gazzella piuttosto che da leone. Non ricordo altro. Questa mattina ritrovo Mary, alias Romario, la guida. Mancano i brasiliani e temo per la sua “saudade”. Non ci pensa. Tanto per cambiare ci porta a vedere due chiese. Alla seconda, arriviamo mentre un’altra guida sta illustrando degli aneddoti, attenzione al dettaglio, ad un gruppo di italiani. In particolare indica un pertugio in una roccia e spiega che, lanciandovi dentro una pietra, si realizzera’ un desiderio precedentemente espresso. Si raccomanda pero’ di soprassedere questa volta, per la presenza di troppe comitive contemporaneamente. Inutile dire che non appena la guida volta le spalle, ha inizio una sassaiola senza precedenti, cieca, che diventa lapidazione nel momento in cui un’attempata turista russa viene a trovarsi dove non avrebbe dovuto. La pioggia di meteoriti e’ puntualmente accompagnata da esultanze da arena o urla di disperazione, a seconda dell’esito del lancio. Il clima e’ sanguinariamente disteso, come durante un derby di calcio fiorentino del 1500. Ci vorranno circa 10 minuti per il cessate il fuoco. Prendo Mary sottobraccio, visibilmente scossa:”Oggi ti parlero’ della mia terra, il Liechtenstein.”

8 OTTOBRE (LAGO SEVAN – DILIJAN)

Facce nuove a Villa Delenda. Ristabilito un grado accettabile di socievolezza, ho il piacere di conoscere a colazione Hassan e Kinga. Sono marito e moglie, sulla sessantina. Si tratta di una coppia piu’ che mista, se e’ vero che lui e’ iraniano di origini armene, e lei tedesca con nonni polacchi. Vivono, come facilmente pronosticabile, in California. Resistendo alla tentazione di chiedere un Moment Act di fronte all’albero genealogico, accolgo con un sorriso Sophie, fanciulla franco-canadese e collega di Giulia, la ragazza italiana giunta a Yerevan per la conferenza. Scopro di cosa si occupano: astronomia. La preparazione di Kinga in materia e’ sorprendente, tanto che ne nasce una conversazione piuttosto tecnica. Io, che di nome faccio Matteo e di astronomia non capisco nulla, celo a fatica il disagio e tradisco uno sguardo attonito, simile a quello di un Inca di fronte al cavallo del conquistador Pizarro. Decido che e’ meglio menare le tolle. Poco male, mi aspetta il Lago Sevan con le sue acque cerulee. Ora, concepite l’idea di un’ipotetica ultima persona al mondo che vi aspettereste di incontrare in Armenia. Ok, il ragazzo di cui vi riferiro’, arriverebbe comunque col treno ancora successivo. Parlo di Gus. Si scrive Gus, si pronuncia e si respira Gas, per via di un Adidas Gazelle piuttosto invadente. E’ il mio vicino di seggiola sul minivan. Mulatto, capello cotonato, americano di nazionalita’ ma originario di una colonia britannica del Caribe. Non cammina, ciondola. Malgrado l’aspetto, disquisisce con tono suadente, e’ laureato in psicologia ed ha un’educazione pressoche’ etoniana. Mescola meravigliosamente impeccabile stile British ed innata indolenza isolana. Unico problema, e’ afflitto da un naturale richiamo da testosterone che lo porta a darmi di gomito ogni volta che compare all’orizzonte una forma di vita di sesso femminile. Vuoi per il pruriginoso appetito che sottrae sangue al cervello, vuoi per i 2000 metri del Lago Sevan, Gus crolla psicologicamente subito dopo pranzo. Il suo sguardo oscilla fra l’inebetito ed il catatonico. Si ridesta solo per battute artiche: “Hey! E’ incredibile che c***o di giri si inventano i fiumi, per finire proprio sotto a quei ponti!” Un russo chiede di poter scendere al primo gulag. Non resta che il tempo per un ultimo aneddoto, regalato dalla nuova guida, Rubina. Argomento: la TV armena. Come per i Maestri di spada nel Giappone medioevale, si viaggia sulla base della reputazione tramandata. Rubina ci racconta attraverso le parole del nonno, che ai tempi dell’Unione Sovietica esistevano solo 2 canali. Sul primo c’era propaganda di regime; sul secondo c’era un funzionario comunista che ringhiava “Gira sull’1! Gira sull’1! Gira sull’1!”. Abbiamo convenuto che, si chiami Stalin o Costanzo, e’ meglio diffidare della camicia coi baffi.

9 OTTOBRE (LAGO APARAN, escursione in Mountain Bike)

Amici, oggi lascio spazio alle immagini. Giornata di una bellezza sconvolgente. Viziato dalla Natura, felice di una nuova amicizia, ed incantato dall’ospitalita’ di persone che meno hanno e piu’ ti offrono.

10 OTTOBRE con riferimenti all’escursione in bici del 9 OTTOBRE (KHOR VIRAP – NORAVANK – ARENI WINERY – JERMUK)

Equivale a celebrare una piacevole ricorrenza. Non potrei piu’ fare a meno della colazione coi soliti ignoti al 22 di Koghbatsi Street. Andrea, fotografo parmigiano in pensione. Istvan, Eva, Zsolt e Isabela, turisti ungheresi. Sono tutti ultrasessantenni. Disquisiamo con tale piacere che controllo la mia data di nascita sulla Carta d’Identita’. Considerando l’eta’ degli interlocutori e la mia pigrizia mattutina, per un attimo temo di aver subito il medesimo destino di quel povero whisky che voleva dormire ancora un pochino, e si e’ poi ritrovato barbaramente segregato in una cantina per decenni. Credo si chiamasse Macallan. Negativo Houston. Ancora 36enne. Non e’ dato sapere se anagrafe e biologia corrano di pari passo, soprattutto dopo l’escursione di ieri, in bicicletta, che mi ha certamente ringiovanito di 10 anni per la bellezza, ma altresi’ invecchiato di 30 per la fatica. Giornata comunque indimenticabile. Mi avevano suggerito di schivare l’estate armena, perche’ le giornate possono dissolverti metodicamente con la loro calura. “Ottobre e’ il mese ideale, Amico – mi scrivevano alcuni colleghi locali – Golden Autumn!” Ora, non credo che la reazione di Papa Francesco di fronte al freddo del Lago Aparan potesse essere molto diversa dal mio poco ecclesiastico “Alla faccia del c***o”. In ogni caso, dopo un warm-up durante il quale rischio l’assideramento, Vardan, squisita guida locale, mi conduce verso il villaggio sperduto presso il quale avremmo dovuto cercare rifornimenti per i nostri muscoli provati. E’ una di quelle mattinate che solo il cielo di cristallo d’Armenia e pochi altri possono concederti. Sono esausto, ma dietro la montagna il cielo e’ ancor piu’ luminoso. Ho capito che la valle che mi si sarebbe spalancata davanti, sarebbe stata la soluzione del mio feroce appetito. Non restava che guadare il fiume. “Segui me – ammonisce Vardan – e vai piano.” “Eseguo Capo!” Partiamo. Tutto liscio, vedo la sponda opposta e con essa un piatto di formaggi di capra. E’ un miraggio, dannazione. Resto concentrato. Vardan improvvisamente schiva una roccia sommersa, io non la vedo. Tempo zero e mi ritrovo su un fianco, arenato nelle acque come la Costa Concordia. Io, Schettino di me stesso. E’ a questo punto che dagli alveoli polmonari risale un grido che attraversa tutto l’apparato respiratorio, prima di trasformarsi in un’imprecazione belluina che avrebbe sconfortato anche Erode, che pur non apprezzava Gesu’ Cristo Nostro Signore. Vardan, che scambia il mio impropero per l’inizio di “Acqua azzurra, acqua chiara”, batte le mani per dare un taglio folk al mio apparente canto a cappella. Intenerito dalla sua ingenuita’, risorgo dal fiume come un cervo a primavera. Proseguiamo. Eccoci al villaggio. Ci accoglie Viggen, potenziale sgozza-orsi del Caucaso. Ci invita a pranzo ed approfitto della presenza di una Chiesa per farmi il segno della croce. L’asportazione di un organo e’ praticamente garantita. Prego affinche’ non sia uno di quelli strettamente vitali. Una cosa mi colpisce di questo villaggio: c’e’ tantissimo verde, inversamente proporzionale alla quantita’ di animali incontrati. Al che, mi sovviene una vecchia canzone di Aznavour che fa piu’ o meno “…salva l’albero, mangia un castoro” e il cerchio si chiude. Nel frattempo appuro che le percezioni su Viggen sono infondate. E’ un uomo di un’ospitalita’ eclatante. Assieme alla deliziosa moglie e ai due figli confeziona un pranzo paradisiaco a base di pomodori freschi, formaggi fatti in casa, uova, miele, yogurt, vino e cognac, produzione propria. Acqua: non pervenuta. Si pasteggia a cognac. Resto spiazzato dal sorriso satanico di Viggen, che sa che io so, che da queste parti rifiutare un bicchiere e’ reato di lesa virilita’, sanzionata con evirazione seduta stante mediante machete artigianale. Imbocco un personalissimo viale del tramonto. Dopo la terza scodella, il mio viso e’ una maschera di gomma inespressiva, tipo Maurizio Pistocchi. Dopo la quarta, parlo un armeno livello “upper intermediate”, sufficiente a captare un “Come sta tuo zio? E’ sempre morto?” e avanti di questo passo, fra colpi bassi e provocazioni, fino al tramonto del sole, che coincide col mio.

Chi volesse approfondire (e credetemi, ne vale la pena), scriva pure al mio indirizzo email: matteodoninelli@hotmail.com. Ho contatti da passarvi con agenzia locale o eventuale guida privata, in grado di farvi vivere emozioni inspiegabili con un semplice racconto. Parola di uno scettico convertito.

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MONTE ARARAT

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LAGO APARAN

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NORAVANK

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YEREVAN

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JERMUK



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