Argentina e Cile con bambini al seguito
Possibilità di assentarsi dal lavoro, confermata. Ospitalità dai cugini che vivono in Cile, confermata. Appuntamento con gli amici che vivono in Argentina, confermato.
Che si fa? Ultime mail, qualche conto, e infine pronti, via: biglietti comprati, si parte.
Buenos Aires per noi significa tornare sui luoghi del viaggio di nozze, otto anni dopo. Significa rifare una passeggiata per le vie acciottolate di San Telmo, bere una birra all’aperto davanti ai ballerini di tango, percorrere i moli ristrutturati di Puerto Madero, godersi la luce del tramonto che colora gli edifici belle epoque di plaza Lavalle, rivedere l’obelisco e l’enorme Avenida 9 de Julio… E soprattutto tornare al Rio Alba, mitico ristorante che nella nostra vecchia guida era considerato il top cittadino per l’asado. Non più citato nella nuova edizione, in realtà il posto è rimasto sempre uguale: carne ottima e prezzi ragionevoli, con lo stesso simpatico cameriere che ci dice “No, la porzione grande è troppo, prendete quella piccola” (e ha sempre ragione!). Meravigliosi i chinchulines (trippine grigliate), l’entraña (il diaframma, muscolo saporitissimo e molto succoso), e per digerire un bel “don Pedro”, tipico dolce a base di gelato alla crema, noci e whisky. Ora sì che ci sentiamo in Argentina! E se un giorno dovessimo tornare ancora una volta a Buenos Aires, sicuramente il pellegrinaggio al Rio Alba non mancherà.
L’ultimo giorno in città, con la scusa di distrarre le bimbe andiamo allo zoo (tanto i luoghi più famosi li avevamo già visitati tutti la volta scorsa), e la scelta si rivela azzeccata: è una buona scusa per girare il quartiere residenziale di Palermo, poi il parco in cui sorge lo zoo è bello, le piante fiorite molto piacevoli dopo aver lasciato il freddo milanese, e ci sono un po’ di animali interessanti da vedere. Notizie di questi giorni dicono che lo zoo verrà presto chiuso, ma a quanto pare il parco rimarrà, e c’è da aspettarsi che sarà sempre una bella meta.
Quanto al resto della città, notiamo con preoccupazione una cosa: in otto anni sembra che la situazione da un punto di vista sociale ed economico non sia affatto migliorata, anzi. Tanti edifici e quartieri mal tenuti, i cartoneros che appena fa notte percorrono tutto il centro coi loro carretti, in cerca di rifiuti da riciclare e rivendere, tanti negozi di scommesse e gratta e vinci (deja vu)… D’altra parte, otto anni fa quattro pesos facevano un euro, in febbraio eravamo a diciassette, e quando siamo ripartiti a quindici… certe oscillazioni non sono certo un buon segno. L’impressione non è banalmente quella di una città “povera”, che di per sé potrebbe non essere nulla di male. L’impressione è quella di una città che ha vissuto ben altri fasti, e ora è condannata a tirare avanti. In un continuo peggioramento.
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Un comodo viaggio in pullman notturno ci porta a Cordoba, dove ci attendono due amici che abitano in un paese vicino. Cordoba dà l’impressione di una città vivace, giovane, con una bella architettura coloniale, e uno spirito molto argentino. Addentrarsi in autobus nei paesi intorno offre uno spaccato delle campagne argentine che ancora non avevamo avuto modo di vedere. Unquillo, la nostra destinazione finale, non è un paese turistico, almeno per il turista straniero, ma in realtà scopriamo che è meta di villeggiatura estiva e turismo interno. Il nostro albergo, l’hotel Eva Peron, è una bellissima villa che domina la campagna, immersa nella quiete e nel verde. Fiori, orti, strade sterrate percorse da ragazzini a cavallo, asado serali, pomeriggi trascorsi sorseggiando mate mentre ci spiegano i fondamenti di questo rituale, diffuso ovunque e per certi aspetti anche molto codificato…
Un giorno andiamo in visita ad Alta Gracia, dove si trova una famosa Estancia gesuitica patrimonio dell’Unesco, e dove scopriamo fra l’altro che trascorse l’infanzia Ernesto Guevara. Ci rendiamo conto che, senza averlo programmato, il nostro itinerario seguirà le orme del Che praticamente per tutto il tempo: dalla città dell’infanzia alle tappe del famoso viaggio in motocicletta: Bariloche, lago Todos Los Santos, Valparaiso… Ma questa è un’altra storia.
Intanto noi, in una bella giornata di sole, dopo aver salutato gli amici prendiamo un volo interno e sorvoliamo una pianura infinita, tagliata da strade rettilinee che proseguono a perdita d’occhio, linee sterrate che attraversano l’Argentina in un paesaggio che diventa sempre più arido, fino a lasciare intravvedere la pampa, i laghi, le Ande, e finalmente l’aeroporto di San Carlos de Bariloche.
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Ed eccoci qua, proiettati in un luogo decisamente più turistico ma tutto sommato tranquillo e gradevole (forse perché siamo sostanzialmente fuori stagione: le vacanze estive sonio terminate un paio di settimane fa). I segni della feroce crisi che non vuole mollare il paese qua sono meno presenti, o meno visibili, sicuramente grazie al turismo e alla fama del posto. Vediamo invece molti hippy o ex hippy che si sono trasferiti ad abitare qua da tutto il continente, e campano fabbricando e vendendo souvenir ai turisti. Vediamo poi i segni dell’immigrazione tedesca che ha dato vita a questa cittadina, dalle cioccolaterie agli chalet in legno, dalle birrerie agli ottimi piatti a base di trota o cervo affumicato, dai cognomi sulle insegne ai cani San Bernardo in piazza… Ma tutto ciò che è “artificiale”, costruito dall’uomo in tempi più o meno recenti, in modo più o meno kitsch, scompare e perde di interesse di fronte alla bellezza dei paesaggi. Il lago, i monti, i boschi, il silenzio, il cielo blu, il vento… basta allontanarsi di poco dalle ultime case e la natura riprende il sopravvento, facendoci pentire di aver programmato qui solo un paio di giornate.
Consigliamo caldamente di percorrere almeno parte del cosiddetto “Circuito chico”, possibilmente abbandonando i tour guidati e le strade asfaltate, e facendo due passi fra i magnifici boschi della zona o sulle rive dello splendido lago Nahuel Huapi.
Infine, prendiamo un pullman per il Cile, pronti a lasciarci sorprendere ancora una volta dai magnifici paesaggi che attraverseremo nelle sei ore di viaggio. Come sempre, gli spostamenti in bus da queste parti sono molto consigliabili: comodi, economici, e permettono di guardarsi intorno. Prima di tutto la pampa come la ricordavamo dal nostro viaggio precedente: ciuffi d’erba, cieli splendidi, piccoli altarini colorati ai lati della strada, con le loro bandierine rosse e le bottiglie d’acqua lasciate in offerta… Poi boschi e laghi, arrampicandosi su verso il passo Cardenal Samoré. Poi la dogana: un po’ di attesa in quella argentina (un cileno aveva lasciato scadere il visto e non lo lasciavano più uscire!), parecchia attesa in quella cilena (i soliti infiniti controlli per accertarsi che non vengano introdotti frutta, latte, carne, verdura… persino le banane che i passeggeri si portano dietro come merenda devono essere buttate o mangiate prima di entrare in Cile). Piccola nota pratica, a questo proposito: dichiarate sempre tutto nell’apposito modulo della dogana cilena, dal latte ai frutti al legno… Potrebbero non chiedervi nulla, come è capitato a noi, ma almeno se vi trovano qualcosa di vietato ve lo fanno buttare ma vi risparmiate le multe.
Il paesaggio infine cambia entrando in Cile: molto più verde, pare di essere in Irlanda o in Germania. Enormi cumuli di polvere grigia ai lati della strada, e alti tronchi sbiancati di alberi morti che sorgono in mezzo al bosco ci interrogano su cosa sia accaduto da queste parti… finché non scopriamo che si tratta delle tracce di un’eruzione vulcanica avvenuta più di quarant’anni fa, che aveva bruciato e ricoperto il bosco originario. Ebbene sì, siamo finalmente nella terra dei vulcani!
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Puerto Montt è una città strana: per il turista riserva poche attrattive, ma per noi sarà una tappa importante, dato che per circa una settimana abiteremo qua, presso i nostri cugini. I primi giorni sono stati di riposo, per noi e per le bimbe. E anche perché senza avere una macchina a disposizione non ci si può muovere molto. Si visita la fiera artigianale di Angelmò, si vedono i leoni di mare che divorano gli avanzi di pesce del mercato, e si può visitare Isla Tenglo, che sorge a due minuti di battello dal centro di Puerto Montt ma pare un altro universo: un piccolo villaggio di pescatori, casette e baracche di lamiera e legno, barche in secca nella bassa marea, gatti e cani che gironzolano…
Una volta entrati in possesso di una macchina a noleggio, possiamo finalmente estendere il raggio d’azione delle nostre gite. Dato che Puerto Montt è la porta per il Sud, l’inizio delle migliaia di canali, isole e fiordi che caratterizzano la Patagonia cilena, il viaggiatore che staziona qua non può che essere preso dalla nostalgia per questi mille percorsi avventurosi che si dipanerebbero verso sud… se solo avessimo qualche settimana o qualche mese in più a disposizione!
Da qui partono le crociere, ma anche le navi merci e i pescherecci, che navigando nel labirinto della Patagonia cilena raggiungono Puerto Natales, Punta Arena, e infine Ushuaia o Puerto Williams, fino al mitico Capo Horn. Altri ricordi del viaggio di nozze (vedi qua: http://turistipercaso.it/patagonia/63839/patagonia-il-viaggio.html ), e il desiderio di esplorare tutto ciò che ci manca…
Sempre da qui parte l’altrettanto mitica Carretera Austral, un percorso che fra strade sterrate e attraversamenti in traghetto prosegue verso sud per oltre mille chilometri. Decidiamo di percorrerne un pezzo, un giorno, puramente per principio. Per poter dire: sì, anche noi siamo stati sulla Carretera. Dopo il primo attraversamento in traghetto sembra di entrare nel nulla, la strada diventa sterrata, i paesini tranquilli, ma in realtà il traffico è ancora intenso, passano camion stracarichi, tante corriere, e qualche turista in bicicletta. Ci fermiamo lungo la costa, facciamo una deviazione, girovaghiamo fino a trovare una spiaggia nelle cui placide acque sguazzano due delfini, cercando cibo nella bassa marea.
Arriviamo al km 60. È ora di rientrare. Una foto al cartello, per ricordare che da qui in avanti dovremo proseguire un’altra volta.
L’altra escursione che facciamo da Puerto Montt è verso nord: lago Llanquihue, lago Todos los Santos, vulcano Osorno. Magnifico! Puerto Varas e Frutillar sono cittadine che si estendono sulla sponda meridionale del lago, in un paesaggio molto nordeuropeo. Ma la sorpresa più grande ce la riserva il lago Todos los Santos. Una sorpresa meteo, innanzitutto, perché siamo partiti in una mattinata grigia e piovigginosa, e arriviamo sotto un sole splendente, col cielo terso e un vento meraviglioso (tipico clima di questa regione!). Una sorpresa paesaggistica, poi: vulcani splendidi, cime innevate, boschi verdissimi, e la costa del lago deserta che si estende a perdita d’occhio: non ci sono strade che proseguono da qui. Se si vuole andare verso l’Argentina, ci si può andare solo in traghetto. Un lago senza strade sulle sponde: impensabile, per noi!
Pic nic sulla spiaggia, con tanto di mate per chiudere in bellezza.
Poco distante, si può salire sulle falde del vulcano Osorno, bello almeno quanto il suo più famoso e simile cugino d’oltreoceano, il monte Fuji. La vista sul lago Llanquihue è molto bella, così come i toni rossi e neri del terreno vulcanico che contrastano con la neve della cima vicina.
E finalmente, dopo qualche chilometro e un breve tratto in traghetto, Chiloè. Questa isola mitologica riserva sempre delle sorprese. È ormai molto turistica, molto più turistica di quanto non fosse nei ricordi di vent’anni fa, e probabilmente molto meno turistica di quanto non sarà fra qualche anno, quando verrà inaugurato il ponte che la collegherà con la terra ferma.
Ma rimane la terra delle più antiche mitologie cilene, la terra dei brujos, gli stregoni a cui tanti qua credono ancora. La terra del Caleuche, il veliero fantasma, e del Trauco, una sorta di pericoloso gnomo dei boschi. Noi dormiamo ad Ancud, in una meravigliosa cabaña (bungalow) che si affaccia sul mare. Da lì possiamo esplorare facilmente la costa dell’isola che dà verso il mare aperto, con le sue enormi spiagge deserte battute dal vento e frequentate solo da qualche mucca al pascolo. Come non credere al Caleuche quando si guarda il mare attraverso la nebbia generata dagli spruzzi delle onde e dal vento che le spazza? Come non credere al Trauco quando ci si addentra nel silenzio dei boschi per raggiungere il forte spagnolo di Ahui?
E poi i pinguini di Puñihuil, visitabili con una breve escursione in barca da una spiaggia, il faro Corona su cui si può salire per ammirare il panorama e in lontananza i vulcani della cordillera. E poi il pesce e i frutti di mare nei tanti ristorantini sulla costa…
Nota sulla cucina cilena: si mangia molto bene! Da queste parti non potete perdere i numerosi frutti di mare di dimensioni enormi e inimmaginabili per noi, cozze lunghe una spanna, conchiglie di ogni genere, il curioso pico roco… E poi il congrio a lo pobre, cioè un bel filetto di congro (parente dell’anguilla) fritto con patatine e frutti di mare. Il curanto, tipico piatto a base carne, maiale affumicato e frutti di mare. E poi le empanadas, fagottini di pasta cotti al forno o fritti, ripieni tipicamente con carne uovo e uvetta (“empanada de pino”), ma anche con formaggio o frutti di mare. Il tutto annaffiato con un bel Pisco Sour, ottimo cocktail a base del tipico superalcolico cileno (per quanto la lotta col Perù per reclamarne la paternità sia ancora molto aspra). E poi l’asado, anche qui, e l’agnello. E ancora la cucina andina, e i mille usi del mais, dell’avocado (chiamato palta), e tanti frutti tropicali a noi sconosciuti, come la deliziosa lucuma, la papaia o la chirimoia, che però si trovano soprattutto più a nord e purtroppo in altre stagioni. Insomma, un viaggio in Cile, e anche in Argentina, ha dei risvolti gastronomici da tenere in considerazione!
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Ma torniamo a noi: a malincuore dobbiamo abbandonare il Sud, e dopo un altro comodissimo viaggio in bus notturno ci ritroviamo a Santiago. Anche qui magnificamente accolti da altri cugini, ci godiamo un paio di giorni di visita alla città, girovagando per il centro, curiosando il mercato centrale, salendo a goderci il panorama sul Cerro San Cristobal, e visitando l’interessantissimo mercatino artigianale di Los Dominicos, ospitato presso una vecchia missione dominicana, per l’appunto.
Ma prima di riprendere il volo per tornare a casa, ci attende un’ultima deviazione sulla costa. Il mare di Quintay, vecchia località baleniera; le coste ormai iper-edificate di Viña del Mar; e la magnifica città di Valparaiso, con le sue vecchie e cigolanti funicolari, le casette colorate, la zona malfamata del porto e quella un po’ hipster della parte alta…
Sulle coste, popolate di pellicani e gabbiani, numerosi cartelli di “Zona pericolo tsunami” e “Percorso di evacuazione tsunami” ci ricordano che questa terra, anche qua dove i vulcani paiono un po’ più lontani, è una terra che trema e che può ancora fare paura. Ci raccontano che qua un terremoto del quarto o quinto grado è solo un “tremblor”, un tremore, e non spaventa nessuno. Da noi può tirare giù interi paesi.
Ci sarebbe ancora tanto da raccontare, e tanto da vedere: almeno quattromila chilometri di costa, i monti, i parchi, le Ande, il grande Sud… E i parenti e gli amici e le persone che ci hanno accolto così bene… Questo era un ritorno: ce ne andiamo con tanta nostalgia, ma con la certezza che di ritorni ne seguiranno altri!