ARGENTINA 2020
Si va in Argentina
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Si va in Argentina insieme appena rientro in Italia? Questo ci dice il nostro amico giramondo che in quel momento è in ferie in Asia. Mah, che rispondere…non mi aveva mai attirato molto quella parte del sudamerica…
Mi torna in mente che tanto tempo fa avevamo comprato una guida dell’Argentina in un negozio di libri “remainder” e la domanda del nostro amico mi fa venire voglia di consultarla. Dopo aver letto qualche capitolo della guida ho cambiato idea, quindi durante le ferie a cavallo del Natale 2019 mi sono messo a caccia di voli aerei. Ma quanto tempo è meglio stare in quel paese? Abbiamo un po’ di ferie da smaltire, per cui decidiamo di organizzare un viaggio di tre settimane. Acquisto le tratte Firenze-Roma-Buenos Aires sul sito di Aerolineas Argentinas a 900 euro a testa. E’ fatta! Ora vanno scelte le tappe. Dopo varie consultazioni tra di noi, esponendo pareri e desideri diversi, abbiamo optato per visitare oltre a B.A., la penisola di Valdès, Ushuaia, i ghiacciai sul lago Argentino, la Puna Saltena e le cascate di Iguazù.
Scartati fin da subito gli spostamenti “su gomma”, perché ci sarebbe voluto troppo tempo per farli e non sarebbero stati neanche economici, ci sono da trovare i voli interni. Aerolineas propone il pacchetto “Visite Argentina”, non molto conveniente da punto di vista economico, ma che garantirebbe la franchigia del bagaglio da spedire in stiva a 23 kg, invece che i 15 kg di base prendendo i voli separatamente.
In Argentina scopro che operano diverse compagnie aeree low-cost per cui la scelta di quale vettore utilizzare è ampia. Facciamo quindi uno “spezzatino” e alla fine prenotiamo due voli con Aerolineas Argentinas, due con Latam e uno con Norwegian, inserendo nelle prenotazioni il prezzo del bagaglio da stiva, che tranne per Aerolineas è di almeno 20 kg, il tutto per 350 euro a testa.
Partiamo!
Giorno 1 – 25 GEN 2020: Partiamo regolarmente da Firenze intorno alle 15.30 e dopo poco più di mezz’ora di volo, operato da Alitalia, atterriamo all’aeroporto di Fiumicino. Era molto che non passavamo da qui e finalmente troviamo un’aerostazione degna di una capitale di un paese moderno come il nostro dovrebbe essere. Ripartiamo intorno alle 18.30 con il 777 della Aerolineas. Per fortuna il volo si svolgerà di notte, perché l’intrattenimento previsto a bordo è scarsino paragonato all’offerta di certe compagnie arabe e asiatiche. Anche la cena è di pessima qualità.
Buenos Aires
Giorno 2 – 26 GEN 2020: Alle cinque del mattino, ora di Buenos Aires, dopo circa 14 ore di volo atterriamo all’aeroporto Ministro Pistarini di Ezeiza. Per prima cosa cambiamo 50 euro alla banca ad un tasso da furfanti. Successivamente andiamo a prendere una scheda SIM della compagnia telefonica Personal, che per un mese offre 200 minuti di chiamate interne, 30 minuti di chiamate internazionali e 3Gb di traffico internet, al prezzo di circa 12 euro. Usciamo e con la APP di Uber chiamiamo subito un tassista. Le tariffe sono simili a quelle offerte dai tassisti “normali”, che qui sono riconoscibili dalle automobili gialle e nere, ma con Uber si può addebitare la corsa sulla carta di credito. Dopo circa mezz’ora arriviamo al nostro Aparthotel prenotato dall’Italia (HTL 9 de Julio), che dista dall’aeroporto una trentina di km. Nonostante l’ora c’è già molta luce, visto che qui siamo in piena estate.
Lasciamo i bagagli in camera e usciamo subito fuori. Oggi è domenica e in giro non c’è ancora quasi nessuno. Andiamo a piedi, percorrendo l’enorme Avenida 9 de Julio, verso il quartiere di S.Telmo, distante appena un chilometro e mezzo, dove, al nostro arrivo, stanno montando i banchi del famoso mercatino domenicale. Ci fermiamo al mercado di S.Telmo, quello coperto e facciamo una seconda colazione, in attesa che la zona si animi. Visto che nonostante la sosta è ancora presto, piano piano ci spostiamo verso la costa, che noi pensiamo sia l’oceano, ma che in realtà è l’estuario del Rio de la Plata. Infatti qui l’acqua non è blu come ci si aspetterebbe se fosse marina, ma marrone a causa dei sedimenti portati dal fiume.
Siamo a Puerto Madero, zona “in” della città e piena di palazzi adibiti ad ufficio. Anche qui pochissima gente in giro, a parte qualche runner e qualche patito della tintarella che approfitta delle aiuole per stendersi al sole. Ci addentriamo, sempre a piedi, anche un po’ all’interno del Costanera sur, un parco naturale che si stende davanti al Rio, ma comincia a fare decisamente caldo, per cui decidiamo di rientrare in albergo, ancora utilizzando Uber, per cambiare i nostri abiti invernali con qualcosa di più adatto alle temperature portene. Alleggeriti a dovere, ritorniamo a piedi a S.Telmo, dove ora c’è un bel baccano. Molti i turisti, anche di quelli portati dalle gite organizzate, che girano tra le bancarelle che vendono soprattutto oggetti di piccolo artigianato.
Dopo un veloce pranzo a base di empanadas, i panzerotti di origine araba/spagnola ma diffusissimi in tutto il sudamerica, ripartiamo per andare verso Plaza de Mayo, sempre passando attraverso il mercato di S. Telmo, che ci accorgiamo solo ora essere smisurato. La piazza è grandissima e quasi deserta per il caldo terribile che supera i 35 gradi con un bel tasso di umidità. Foto di rito da tutte le angolazioni alla Casa Rosada, la sede del governo argentino. Da qui, decidiamo di prendere il nostro primo autobus. Avevamo già acquistato la tessera magnetica SUBE (90 pesos) che è necessaria per pagare i biglietti dei mezzi pubblici ed è ricaricabile presso i numerosi chioschi e negozietti oltre che nelle stazioni della metro. Per la metropolitana bastano 20 pesos a testa, mentre per l’autobus si spende in base alla distanza. Basta dire all’autista dove vogliamo andare e ci calcola la tariffa.
Di tessera SUBE ne è sufficiente solo una per tutto il gruppo, passandola sul lettore il numero di volte dei componenti che la utilizzano. Per usare i bus urbani è praticamente indispensabile utilizzare Google Maps, che ci indica quale o quali autobus prendere per raggiungere la destinazione. Purtroppo ogni autobus lo si paga singolarmente, per cui è conveniente evitare più possibile i cambi. Altra curiosità: ogni linea di bus fa società a sé, per cui molti autobus non hanno sulla parte anteriore e laterale il numero variabile programmabile come da noi ma dipinto direttamente sulla carrozzeria. Andiamo alla Boca, quartiere popolare a sud del centro.
Passiamo davanti alla “Bombonera” lo stadio tutto dipinto di giallo e blu come la maglia del Boca Junior, la squadra che qui gioca e che ha visto tra i suoi campioni anche Maradona. Qui cominciano i negozietti di souvenir, soprattutto improntati sulla squadra di calcio che scopriamo essere stata fondata da emigrati genovesi. Poco più avanti si trova la zona del Caminito, forse la parte più turistica ed iconica dell’intera città di B.A. Ispirata dal pittore Benito Quinquela Martinez, tutta la zona si presenta piena di muri multicolori, negozietti di souvenir, coppie di danzatori di tango che si esibiscono per strappare foto (e propina) ai turisti. Prendiamo ancora un autobus per tornare in albergo e concederci un meritato riposo perché il caldo-umido ci ha quasi lessati. Il nostro aparthotel si trova sull’angolo tra la Alsina e la 9 de Julio, la strada più larga del mondo (ben 14 corsie) e l’abbiamo scelto per la sua vicinanza con il Metrobus, la via di scorrimento riservata agli autobus dove questi possono sfrecciare molto veloci (anche troppo) e ti portano da qui nei vari quartieri che formano B.A.
Per la cena decidiamo di andare nella zona di Plaza Italia che è a nord del quartiere Palermo, forse il barrio più esteso della città, dove c’è il monumento equestre dedicato a Giuseppe Garibaldi. Scendendo verso Palermo Soho ci sono molti ristoranti, ma la stanchezza si fa sentire e ci fermiamo da Carneros, un bel ristorante vicino alla Av. Santa Fè. E’ domenica sera e non abbiamo troppi problemi a trovare posto a sedere. Un’ottima mangiata a base di carne sulla brace e un bel Malbec da 14 gradi e mezzo ci danno il colpo di grazia. La giornata è stata lunga e per tornare in hotel prendiamo ancora una volta un Uber per pochi pesos.
I parchi della città
Giorno 3 – 27 GEN 2020: La mattina seguente torniamo con l’autobus nella zona di Palermo per visitare i bei parchi che avevamo visto passando con l’autobus la sera prima. Ci fermiamo anche ai Giardini Giapponesi (60 pesos), curatissimi come solo i nipponici sanno fare. Per cercare la ricarica della SUBE, su indicazioni dei passanti, siamo costretti ad attraversare ben 4 volte l’avenida del libertador, che non è la 9 de Julio come larghezza, ma poco ci manca. Se non prendi il verde pieno la devi attraversare di corsa sennò i veicoli ti passano vicinissimo senza fermarti. Come la rana del videogioco degli anni ’80.
Continuando a piedi lungo lo stradone, costeggiato da edifici eleganti, passiamo davanti all’ambasciata italiana e poi ci fermiamo ad ammirare il Floralis Generica, l’installazione in acciaio che rappresenta un fiore che si apre secondo le ore del giorno ma che troveremo sempre ferma nella stessa posizione ogni volta che ci passeremo davanti con gli autobus. Prendiamo lì vicino la metro gialla (H) per andare verso la av. Florida. Si cambia treno per prendere la linea rossa e sbagliamo la direzione. Poco male? No. Si deve uscire in strada e rientrare dalla parte opposta, ripagando 20 pesos a testa. Arrivati a destinazione ci troviamo nel posto più caotico della città. Dato che è anche l’ora di pranzo c’è una grande confusione di gente tra cui decine di “cambisti” che con tono pacato, quasi tra i denti, declamano in continuazione CAMBIO CAMBIO CAMBIO… Sembra di essere circondati dal frinire delle cicale in una pineta d’estate. Anche oggi mangiamo a base di empanadas per non perdere troppo tempo. Camminando camminando tra le strade dello shopping finiamo al Cafè al Tortoni, dove facciamo un po’ di coda per accedere. Bello il locale, un vero pezzo storico ma assolutamente orrendo il caffè. Lì fuori vedo un turista che si fa convincere a cambiare euro al cambio nero (o blu?) e gli chiedo se c’è da fidarsi. Mi dice di si e che ha cambiato a 80 pesos anziché ai 66,5 del cambio ufficiale, per cui ne approfittiamo anche noi. Ci danno delle banconote usate, ma in perfetto stato e di piccolo taglio.
Non molto lontano dal Cafè Tortoni troviamo l’obelisco di Av. 9 de Julio, un altro punto iconico della città e si rende necessaria una fermata sostto di esso per fare foto e selfie da cartolina. La passeggiata continua sulla Av. Corientes alla ricerca di indumenti leggeri, visto che eravamo partiti forse un po’ poco convinti che l’estate australe fosse come la nostra. I prezzi dei beni di importazione nei negozi sono alle stelle. Su alcuni prodotti alimentari si arriva a quattro volte il prezzo che possiamo trovare in Italia. Torniamo in hotel, consapevoli che c’è ancora tanto da vedere a B.A., ma che avremo modo di rifarci alla fine del nostro viaggio. A cena andiamo da Los Nazarenos, posto taaanto turistico. Purtroppo ce ne siamo accorti troppo tardi. Sconto 20% con The Fork, visto che è lunedì.
Il giorno seguente abbiamo il volo per Trelew da dove raggiungere la…
Penisola di Valdèz
Giorno 4 – 28 GEN 2020: Si parte prestino chiamando un autista, ancora con Uber. Ci tocca una macchina senza bagagliaio e facciamo il (breve) tragitto verso l’Aeroparque Metropolitano con le valigie messe in ogni dove. L’aeroporto Jorge Newbery di Buenos Aires (AEP) è vicino al centro della città e nonostante la sua posizione, tra i quartieri più ambiti di B.A. ed il Rio, è molto grande e partono tutti i voli interni per il resto del paese. Il volo ha un piccolo ritardo per un non precisato problema tecnico con conseguente cambio di aeromobile e arriviamo a Trelew intorno alle 11.45. Ad attenderci all’aeroporto c’è Victor Hugo, che avevo contattato dall’Italia e che si era reso disponibile a venirci a prendere, portarci a Punta Tombo per la visita al parco dei pinguini e poi riportarci a nord, a Puerto Madryn. Potevamo in alternativa prenotare un albergo a Trelew, noleggiare un’auto e farci due giorni guidando in piena autonomia, ma abbiamo preferito stare più tranquilli ed affidarci ad uno che conoscesse bene la zona. Dall’aeroporto alla “Pinguinera” di Punta Tombo ci sono circa 130 km, di cui una trentina su una strada in terra battuta circondata da numerosi Guanachi, i camelidi che vivono liberi anche in questa parte di Patagonia, che ci paiono tanto insoliti. Arriviamo a destinazione intorno alle 14.30 e abbiamo tutto il tempo per ammirare la più grande colonia di pinguini di Magellano del mondo. Sono ovunque, in ogni buca, sotto ogni cespuglio. Camminano anche sulla stradina che percorriamo noi. Nonostante le zampette corte sono agilissimi e non si fermano davanti a nessun ostacolo ma è assolutamente proibito bloccargli il cammino. I pinguini rimarranno qui fino alla fine di marzo, quando i pulcini, che ora sono grandicelli ma ancora col piumino grigio da “babies”, potranno affrontare l’oceano e ritorneranno l’anno seguente ad occupare lo stesso nido. La temperatura è più bassa che a Buenos Aires e siamo costretti ad indossare la giacca da montagna, soprattutto perché qui in Patagonia tira sempre vento. Dopo circa 2 ore e mezza passate a fotografare i buffi pennuti e ad ammirare la bellezza del paesaggio, ripartiamo per Puerto Madryn. Ci aspettano 200 km che facciamo d’un fiato, a parte una piccola sosta a Trelew per acquistare delle ottime ciliegie ad un chiosco. Lungo la strada vediamo una riproduzione in scala 1:1 di un dinosauro, che testimonia il ritrovamento nella zona del più grande fossile di sauro erbivoro del mondo, ma tiriamo dritto.
Puerto Madryn è una cittadina sul mare, non molto grande, che ha delle spiaggione del tutto inutilizzabili secondo i nostri canoni di vita balneare. Chi si sognerebbe di andare sulla spiaggia a luglio e non potersi neanche spogliare e fare il bagno per il vento ed il freddo? A Puerto Madryn non è neanche economico soggiornare, poiché grazie alla sua posizione attira moltissimi turisti che vogliono visitare la penisola di Valdès che da qui dista meno di 90 km. Il nostro hotel è il Peninsula Valdes, un bell’albergo un po’ datato ma con camere ampie e pulite e soprattutto una colazione molto ricca e varia. La sera, su consiglio di Victor Hugo, ceniamo da Cantina Nautica. Pesce in abbondanza, sicuramente surgelato anche se non è indicato, ahinoi. Prezzi modici. Evitabile.
Giorno 5 – 29 GEN 2020: Il mattino seguente andiamo a ritirare l’auto che avevo prenotato dall’Italia. Le compagnie tradizionali non mi avevano dato disponibilità per il noleggio di un solo giorno, ed ho ripiegato su di un renter atipico, Gastòn, che ha un B&B ed affitta anche auto. Prezzo accettabile, circa 50 euro, anche se la franchigia in caso di danni al veicolo è piuttosto alta. Considerando lo stato delle strade da percorrere, non sarebbe consigliabile il noleggio di un’auto privata, ma abbiamo scelto di rischiare per non affidarci ad una noiosa gita organizzata da effettuare col pullman da 50 posti. Ci viene affidata una Ford Ka, con qualche danno al parabrezza ma ben segnalato al momento del ritiro. Prima di partire facciamo una sosta per prendere dei panini per il pranzo, dato che nella penisola non ci saranno molti posti per mangiare. Arriviamo all’ingresso del parco della Penisola di Valdès dopo una quarantina di chilometri, dove c’è il “casello” dove si pagano 850 ARS a testa e 120 ARS per la macchina (anche se mentre scrivo i prezzi sono molto aumentati n.d.a.), solo in contanti. Proseguiamo fino a Puerto Pyramides, paesino minuscolo ma carino che consiglio di tenere in considerazione a chi volesse pernottare nella penisola. La posizione del paese, così riparata, fa sì che si sente molto meno il vento che nella penisola è intenso. Lasciato P.Pyramides, entriamo nella strada sterrata. Da qui in poi il limite di velocità è di 60 km/h, visto che il pericolo di finire nel morbido e cappottare è presente. Qui solo i taxi provenienti da Puerto Madryn si lanciano a velocità molto superiori. Per fortuna ancora non c’è tanto traffico, altrimenti la polvere sollevata dai veicoli che precedono diventerebbe fastidiosissima. Bisogna stare molto attenti ai punti di attraversamento dei canali di scolo, che ristringono la carreggiata e hanno grate metalliche sul fondo, soprattutto se si incrociano altri veicoli. Il giro che faremo prevede come prima tappa Punta Norte, dove c’è una nutrita colonia di leoni marini. Arrivati al parcheggio troviamo un paio di armadilli pelosi, che evidentemente si sono adattati al contatto con l’uomo e alla vita diurna. Dopo un breve tragitto sulle passerelle in legno si arriva alla scogliera dove si ammira dall’alto la spiaggia piena di pinnipedi. Questa zona è spesso frequentata anche dalle orche che, durante l’alta marea si avvicinano alla spiaggia per cacciare. Un cartello appeso fuori della capanna dei ranger ci avvisa che sono diversi giorni che non ci sono stati avvistamenti dei cetacei. Da queste parti, durante l’inverno australe, sono frequenti anche i passaggi di balene che vengono a partorire in queste acque. Purtroppo oggi nessuno sbuffo all’orizzonte.
Ripartiamo verso sud, lungo la strada che costeggia la scogliera e che crea un anello intorno alla penisola. Qui c’è molto traffico anche in senso opposto, poiché ieri sera sono arrivate a Puerto Madryn due navi da crociera ed è pieno di bus e taxi che hanno raccolto i turisti. La strada di per sé offre poco. Ai lati, in mezzo a bassi cespugli strapazzati dal vento, pascolano pecore e guanachi che ormai non ci destano più molto interesse. Ci fermiamo alla Laguna per fare qualche foto alle placide acque inverdite dalle alghe che vi crescono e poi dopo pochi km, alla Caleta Valdès, dove facciamo il percorso a piedi per scendere più vicino alla spiaggia. Qui si possono vedere gli elefanti marini. Purtroppo queste enormi foche prediligono un banco di sabbia ghiaiosa piuttosto lontano dalla costa e li possiamo ammirare solo col teleobbiettivo. C’è un vento che ci impedisce di stare fermi a lungo, sia per il freddo che per la sabbia che taglia la pelle del viso.
Una volta ripartiti decidiamo di fare la strada che passa da Punta Delgada, anche se in questa stagione non ci va nessuno. Il fondo stradale è più o meno uguale a quello della strada precedente, ma considerando la scarsità di mezzi che incontriamo, si riduce il rischio di spaccare i vetri con i sassi anche se potenzialmente aumenta il rischio di rimanere ore ad aspettare un passaggio in caso di guasti meccanici. Arriviamo al faro, e troviamo che la stradina di accesso è chiusa, scoprendo così il perché qui non ci viene nessuno. Proseguiamo quindi verso Puerto Pyramides. Si lambiscono un paio di salar, che ci paiono poco attraenti e in considerazione del fatto che andremo nella Puna dopo qualche giorno, decidiamo di tirare dritto per tornare prima possibile all’albergo.
Alla fine della giornata abbiamo fatto circa 420 km, di cui la metà su fondo stradale sterrato. Facciamo il pieno di carburante, che qui costa intorno ai 60 pesos e riportiamo la macchina a Gastòn in ottime condizioni, anche se completamente impolverata.
Passiamo la serata al ristorante El mi Fuego, all’apparenza carino e con qualche velleità culinaria, ma che alla fine si rivela niente di speciale. Non credo però ci sia di meglio a Puerto Madryn.
Il mattino seguente, con estrema puntualità vengono a prenderci all’hotel e dopo un’oretta arriviamo all’aeroporto. Oggi volo per…
Ushuaia
Giorno 6 – 30 GEN 2020: Ieri sera abbiamo prenotato il transfer per l’aeroporto (60km) con un taxi colectivo (www.transferpmy.com) e fortunatamente abbiamo trovato posto. Di solito bisogna prenotare con un paio di giorni di anticipo, ma se hanno disponibilità ti mandano una e-mail di conferma e basta. Si paga la tariffa direttamente all’autista, in contanti. Avevamo pensato anche ad un taxi, ma quando c’è la nave da crociera al molo, i tassisti preferiscono fare affari con i croceristi desiderosi di recarsi alla penisola di Valdés che portare i turisti all’aeroporto di Trelew. In questo scalo sono pochi i voli e i ritardi sono difficili ed infatti partiamo in perfetto orario. Arriviamo a Ushuaia nel primo pomeriggio e prendiamo un taxi appena usciti dall’aerostazione. L’aeroporto è abbastanza vicino alla città, su un piccolo rilievo che la domina. Pensavamo che Ushuaia fosse molto più piccola, ma già scendendo con l’aereo non potevano non notare che le case si inerpicano verso i lati scoscesi delle montagne e gli abitanti devono essere molti. Visto che qui fa buio tardi, decidiamo sul momento di sfruttare le molte ore di luce che ci sono a questa latitudine per farci portare col taxi al “Tierra del Fuego N.P.” Prima però facciamo check-in al nostro aparthotel, il Del Bosque, e lasciamo le valigie. Ancora una piccola sosta per prendere qualcosa da mettere sotto i denti e partiamo per il parco. Abbiamo pattuito con Mariana, la nostra tassista, la cifra all’aeroporto, sembrandoci adeguata. In pochi minuti siamo all’ingresso del parco. Si paga la tariffa di 560 pesos a testa e proseguiamo. Mariana sa benissimo la strada e non perdiamo molto tempo. Purtroppo il cielo è grigio e a tratti pioviggina. Non c’è molta gente in giro. I pochi escursionisti che incontriamo sono soprattutto a piedi o in mountain bike. La strada del parco, in terra battuta, è lunga una quindicina di km, non ci sono molte salite e soprattutto non sono impegnative ma con la pioggia c’è poco grip e le ruote slittano continuamente. Come prima tappa ci fermiamo nel punto più turistico, la Bahia Ensenada Zaratiegui dove c’è forse il punto più meridionale del percorso, con palo indicatore delle distanze delle città e la buca delle lettere. Il posto si affaccia sul canale di Beagle, che qui sembra un lago. Foto di rito e proseguiamo. I punti di interesse più importanti sono vicini alla strada e non ci vuole molto tempo per raggiungerli a piedi. I principali sono la torbiera, il lago negro e la castorera. I castori sono qui stati introdotti in passato ed ora tenuti sotto controllo per evitare che facciano scempio di alberi. Purtroppo sono praticamente invisibili. Di per sé il parco non sarebbe niente di eccezionale se non per il fatto, tutto emozionale, che si trova al confine con Cile ed è così a sud del mondo. Arriviamo alla fine alla Bahia di Lapataia dove finisce la Ruta Nacional 3 e il cartello ci indica che siamo a 3079 km dal suo punto iniziale a Buenos Aires e a quasi 18000 dall’Alaska. Finita la visita al parco ci facciamo portare al porto turistico a Ushuaia per fissare la gita dell’indomani. Ci sono molti chioschetti che offrono diversi tipi di gite: solo barca, barca+bus, barca+bus+parco. Prenotiamo con Canoero, che fa il tour nel canale con piccola sosta alla pinguinera di Isla Martillo. Mariana ci cambia anche un po’ di euro, ovviamente con un tasso migliore rispetto alla banca. Torniamo velocemente a piedi all’albergo e dopo esserci dati una rinfrescata usciamo per andare a mangiare da Dieguito, ristorante consigliato da Mariana. Il locale è più che altro una rosticceria. Prendiamo una pizza come antipasto, enorme e piena di pseudo-mozzarella e quando arriva l’agnello arrosto, immancabile in tutti i ristoranti della Patagonia, non abbiamo molta fame. DI sera Ushuaia non offre molto. C’era un casinò ma è da tempo chiuso. E poi, anche se siamo in estate, fa freddino.
Giorno 7 – 31 GEN 2020: Il mattino seguente, dopo la colazione in hotel su cui non è il caso di soffermarsi, ci rechiamo a piedi al porto scendendo la ripida discesa che parte dal nostro albergo. Quasi tutto il paese si arrampica su una sorta di collina e scendere al porto è facile e veloce. Le escursioni lasciano il molo tutte intorno alle nove del mattino per cui i turisti si trovano insieme nei soliti posti alle solite ore. Dopo una coda per convertire la prenotazione in biglietto, finalmente pagabile con carta di credito, si passa il controllo del porto, dopo aver pagato una tassa, in contanti. La barca è piena, ma c’è posto a sufficienza per tutti. Bisogna coprirsi bene, visto che siamo solo a circa 1000 km dall’Antartide. La prima sosta della barca è per vedere uno scoglio affollatissimo di pinguini ed un altro pieno di leoni marini. Poi c’è il faro Les Eclaireurs, che indicano come il più a sud del mondo (ma non è vero) che non è che un piccolo fanale rosso con una banda bianca di una decina di metri di altezza. Sembra che molti lo ritengano suggestivo, tant’è che finisce in acqua un cellulare usato da una turista per un selfie. Si prosegue la navigazione lungo il canale di Beagle. Da una parte è Argentina e dall’altra Cile. La crociera è rilassante, al limite della noia. Unica distrazione una coda di cetaceo che ogni tanto sbuca e che poi definitivamente sparisce nel blu intenso del mare. La pinguinera di Isla Martillo, che dopo un po’ raggiungiamo, è molto bella. Non si può scendere, per non rovinare questo posto che a buon diritto appartiene ai simpatici pennuti, ma anche dall’alto del catamarano, che si appoggia sulla spiaggia sassosa per permetterci di fare le foto, è molto bello ammirare le colonie di pinguini di Magellano e di Papua. I pinguini, come era avvenuto a Punta Tombo, non si preoccupano minimamente di noi. Dopo essere ripartiti, facciamo una piccola sosta per lasciare coloro che hanno scelto di recarsi in visita alla Estancia Harberton e che rientreranno da lì in bus. Si riparte quasi subito e rifacendo a ritroso la navigazione arriviamo assonnati al porto intorno alle 14.30. Cerchiamo un forno per fare il pieno di empanadas miste che ormai sono un “must” come pranzo veloce. Decidiamo di consumarli nel nostro appartamento, che è dotato di un’ampia zona pranzo. Il pomeriggio lo passiamo ad oziare giù in paese. Oggi il tempo è stato bello fin dal mattino e passeggiare su e giù per il corso principale sotto un caldo sole è rilassante e piacevole. Ci fermiamo anche ad un bar, per un caffè+dolce. Sembra di essere in un paese delle nostre Alpi, con le vette con la neve, i negozi di articoli per sport invernali e tutti con le giacche a vento addosso. Ah, i listini dei negozi di sport sono altissimi. Non so chi possa permettersi questi prezzi: forse solo turisti che hanno perso la valigia…Anche i souvenir sono molto più cari che a Buenos Aires. Insomma un posto da “signori” con un’aria un po’ dimessa.
Ushuaia è rinomata anche per i granchi tipo granseola, che qui si chiamano Centolla. Non abbiamo prenotato alcun ristorante che offrisse questi crostacei e dopo esserci fermati al primo che avevamo scelto, che presentava una bella coda in attesa all’esterno, stavamo per desistere e provare con altri menù. Invece in un altro ristorante che avevamo messo nella nostra lista dei “papabili” ci accolgono dicendo che l’ultimo tavolo è disponibile. E’ crudele scegliere il granchio che ancora è vivo nell’acquario per mangiarselo di lì a poco, ma non senza un po’ di rimorso lo abbiamo fatto e ci siamo gustati lo squisitissimo bestiolone. Speriamo che non lo abbiano fatto soffrire troppo (ma ahimè, non credo). Usciamo dal ristorante che ancora si vede del chiarore all’orizzonte, anche se sono quasi le 22.00, non proprio a pancia pienissima. Ogni granchio costa circa 40 euro e pur avendo fatto portare del pane in tavola per ben tre volte e anche se le zampe del granchio sono polpose (non come quelle dei prodotti surgelati), non è che riempia molto lo stomaco.
Giorno 8 – 1 FEB 2020: Stamani ce la prendiamo comoda fin quando ci viene a prendere Mariana, che abbiamo chiamato per portarci all’aeroporto. Oggi si vola fino a…
…El Calafate
Atterriamo intorno alle tre del pomeriggio. Dietro il nastro (unico) dei bagagli, ci sono gli sportelli di bus e taxi. I prezzi sono esposti e fissi. Per andare in paese, che dista più di 20 km, ci vogliono 400 ARS a testa con i colectivos e 1200 ARS col taxi. Essendo noi in tre la scelta non può che cadere sul taxi. Mentre aspettiamo di recuperare le valigie decidiamo di fare come ad Ushuaia e chiedere se sia possibile fare subito l’escursione al ghiacciaio del Perito Moreno. Il tassista alla nostra domanda risponde che è felice di accompagnarci, così riusciamo a guadagnare del tempo prezioso per poter fare un’escursione più lunga l’indomani. La tariffa è fissa anche per questo tipo di gita, 6600 ARS, ma ci viene concesso un piccolo sconto. Dopo una breve sosta per comprare dei panini a El Calafate, visto che anche stavolta non abbiamo pranzato in aereo, in poco tempo ci troviamo all’ingresso del parco di Los Glaciares, che dista circa 100 km dall’aeroporto. La strada è piuttosto scorrevole. Qui si paga ancora una volta in “effectivos”: 1200 ARS al giorno, per i non argentini, e altri 400 ARS per il secondo giorno, che è possibile pagare anche il giorno seguente. Lungo la strada si trova un bel “mirador” dove si riesce a comprendere bene quello che stiamo per visitare ed è possibile fare delle belle foto del panorama circostante il ghiacciaio. Arriviamo al parcheggio sopra il Perito Moreno e il nostro autista ci lascia con la promessa che ci saremmo rivisti di lì a due ore. Il parcheggio è piccolo e pieno e quindi il tassista è costretto a spostarsi, ma dato che non abbiamo pagato ancora il viaggio siamo sicuri che lo ritroveremo ad aspettarci all’ora fissata. Dal parcheggio si scende lungo delle scale metalliche che formano i percorsi, ben segnalati, per vedere dall’alto, di lato e dal basso il fronte del ghiacciaio. Questo si presenta come un’enorme meringa candida, con sfumature che partono dal bianco accecante ed arrivano fino all’azzurro intenso. La superficie è frastagliata, piena di crepacci. Una sorta di mega-viennetta Algida, ma senza il cioccolato, che si protende verso il promontorio sul quale siamo noi e che cerca di sfiorarlo per dividere in due questa parte del lago Argentino. Tira molto vento e i crolli del fronte verso l’acqua del lago sono frequenti, preceduti immancabilmente da un sonoro CRACK, tipo legno secco che si spezza. Le varie terrazze meritano ognuna qualche minuto di sosta per le foto o per semplicemente per stare in contemplazione. Se non fosse per il vento, sarebbe bello rimanere lì per ore. Le passerelle sono nel complesso qualche km e essendoci un buon dislivello, il tempo che ci vuole per fare tutto il giro può variare molto in base al proprio grado di preparazione fisica.
Riusciamo a risalire al parcheggio entro i tempi promessi a Gonzalo, il nostro tassista. Anche perché abbiamo ancora da fare molto prima di poterci rilassare in camera. Tornati a El Calafate, la cittadina posta sul lago Argentino che è la base per le escursioni nella zona, ci facciamo lasciare al nostro Hostal, lo Schilling Patagonia, ma usciamo subito dopo il check-in per andare in un’agenzia per fissare la navigazione sul lago per il giorno dopo. Le agenzie chiudono alle 20.00 e non abbiamo molto tempo. El Calafate conta circa 25mila abitanti che si sostentano quasi esclusivamente col turismo. La strada principale che taglia il paese per alcuni km è piena di agenzie turistiche, di ristoranti e di negozi di souvenir. C’è anche un fornito supermarket. Alla sede della compagnia che fa una navigazione di mezza giornata e che esclude la sosta al Perito Moreno ci dicono che non hanno più posto e quindi fissiamo l’escursione di un giorno intero con Marpatag Cruceros per 8500 ARS a testa, servizio di transfer e pasto a bordo compresi. Paghiamo in euro al cambio di 70. Ritorniamo all’hostal solo per una veloce doccia. Abbiamo visto tanta gente in paese e i ristoranti sono già pieni. Infatti lungo la strada principale sono già tutti prenotati fino alle 22.00. Per fortuna lungo una strada parallela alla principale troviamo posto in ristorantino dimesso ma invitante. Peccato per il puzzo di patatine fritte e la simpatica rudezza della proprietaria, perché la cucina tutto sommato non era male. In fondo in Argentina se si prende la carne alla brace si casca sempre in piedi. Il nostro amico ci convince a continuare la serata nel piccolo casinò posto sulla via principale. Per l’ingresso si paga una cifra simbolica di poco più di un euro. La sala contiene quasi solo slot-machine, una roulette automatica e un unico tavolo con il croupier, per giocare a black-jack.
Giorno 9 – 2 FEB 2020: Il mattino seguente consumiamo la spartanissima colazione inclusa nel prezzo dell’hostal, su cui è meglio sorvolare. D’altra parte è in linea con la struttura che è molto economica per i prezzi medi di El Calafate. Ci viene a prendere la ragazza mandata dall’agenzia dove abbiamo prenotato l’escursione e dopo meno di un’ora siamo al molo di Punta Bandera da dove partono tutte le barche per le escursioni sul lago Argentino. Si paga il biglietto del parco, ridotto visto che è per noi il secondo giorno, presentando il biglietto del giorno precedente. Il catamarano è quasi pieno di turisti provenienti da tutto il mondo. Purtroppo durante la navigazione si sente puzzo di gas di scarico all’interno e fuori fa freddino. Prima tappa a vedere il nido di un avvoltoio, poi prua verso il ghiacciaio Spegazzini. Molto scenico. Qualche piccolo ghiacciolo galleggia e naviga solitario. Ci spiegano che i colori del ghiaccio sono dovuti alla presenza di aria e quelli che appaiono azzurro intenso sono spesso dovuti a neve che si è compattata di più, come accade d’estate. Facciamo tappa alla casa di un gaucho che lavorava tanti anni fa per una delle Estancia che sono all’interno del parco. Qui si scende per fare due passi con una guida che ci dà anche qualche informazione su come era la vita dei mandriani da queste parti. In pratica non vedevano nessuno per mesi. Tornati a bordo ci danno il lunch-box che è incluso nel biglietto. Si naviga poi verso il ghiacciaio Upsala. Non è possibile però arrivarci molto vicino poiché questo ghiacciaio libera con una certa frequenza dei pezzi molto grossi che a causa della pendenza finiscono nel lago causando onde di una certa rilevanza, tipo tsunami. Infatti anche a km di distanza si possono trovare degli iceberg alti molto più della nostra imbarcazione. Anche qui la bellezza del paesaggio e del ghiaccio sono appaganti. Successivamente si ritorna indietro, verso il Perito Moreno. Questo ghiacciaio si trova in pratica dalla parte opposta del promontorio, dove è posto il parcheggio delle auto dove eravamo ieri, rispetto al porto di partenza di Punta Bandera. Il ghiacciaio ci incanta molto anche oggi che riusciamo a vederlo più da vicino e dai due lati che di fatto lo compongono. Ancora una volta numerosi CRACK annunciano lo staccarsi di pezzi di ghiaccio che si tuffano nel lago. Sulla brochure del parco ci sono dei paragoni interessanti riguardo il ghiacciaio: la superficie complessiva del Perito Moreno è come quella della città di Buenos Aires (per cui se ne riesce a vedere ben poco) e il fronte è alto come l’obelisco di Avenida 9 del Julio, circa 70 metri. Dopo che tutti i turisti si sono saziati con i selfie più strampalati (c’è sempre qualche esibizionista in ogni gruppo…) e dopo aver lasciato alcuni passeggeri alle scalette per permettergli di tornare a El Calafate in autobus (per chi avesse solo un giorno per visitare il parco de Los Glaciares, consiglio questa soluzione che consente di vedere un po’ tutto l’insieme), si riparte per rientrare dopo poco al molo di partenza. Sono circa le 17 e prima delle 18 siamo in albergo. Oggi è lunedì e alcuni ristoranti sono chiusi e altri già affollati. Visto che oggi abbiamo camminato poco, ci allontaniamo dal centro e fissiamo da Mako (non quello più centrale, però), dove da lì a poco faremo la migliore cena di tutta la vacanza. Mai mangiata carne così buona. E siamo fiorentini…Anche gli altri piatti sono ben presentati, gustosi e abbondanti.
Giorno 10 – 3 FEB 2020: Il mattino seguente un altro aereo ci attende. E’ il giorno del doppio balzo. Non abbiamo trovato voli diretti da El Calafate per…
…Salta
La nostra meta finale e abbiamo prenotato con Latam il volo con scalo all’Aeroparque di B.A. che raggiungiamo verso le 15.30. Tutti i voli interni in Argentina sono low-cost, per cui niente cibo a bordo, neanche a pagamento. Si riparte da B.A. intorno alle 17.30 e arriviamo a Salta prima del previsto, intorno alle 19.30. I prezzi dei taxi per raggiungere il centro della città dovrebbero essere fissi, intorno ai 400 ARS, ma stavolta non abbiamo chiesto il prezzo in anticipo all’autista che ci frega facendoci fare un giro mooolto più lungo, pagando più del doppio. Fessi noi. Arriviamo all’hotel Las Vegas, vicino alla zona pedonale del centro di Salta. Anche oggi siamo di corsa, ma in fondo a noi piace così…. Su consiglio della receptionist (mai fidarsi, però…) andiamo a cena in un ristorante un po’ lontano per noi che siamo a piedi e che alla fine non neanche un gran ché. La cosa peggiore è che si può pagare esclusivamente in contanti ed essendo un po’ a corto di pesos ce la facciamo per un pelo a raggiungere la cifra del conto, usando anche le banconote da 5 pesos che di solito nessuno vuole perché stanno uscendo fuori corso legale. Stanchissimi ce la filiamo a letto dopo aver fatto a ritroso un paio di km a piedi.
Giorno 11 – 4 FEB 2020: La colazione del Las Vegas è sontuosa. Peccato che noi ne usufruiamo solo in parte poiché Renato di De Altura, ci viene a prendere molto presto. Oggi infatti si parte per la gita di 5 giorni nella Puna. Questa agenzia di Salta era tra le tante che avevo interpellato dall’Italia ed era l’unica che ci ha proposto un itinerario in linea con quanto da noi richiesto. In genere le escursioni da Salta vanno verso Purmamarca dove fanno base e raramente si spingono oltre il Salar Grande. Oppure vanno verso Cafayate, ma non si spingono verso la vera Puna. Ma noi, su consiglio di un nostro amico e delle sue meravigliose foto, volevamo arrivare fino al cono de Aritza e a Tolar Grande, nonostante i pochi giorni a disposizione. Col senno di poi in questa parte del paese ci avrei aggiunto una o due notti in più. Sarà per la prossima volta, se i virus COVID lo permetteranno. Le voci della pandemia che sta iniziando in Cina arrivano insistentemente anche qui in Argentina.
Dopo la partenza cerchiamo in Plaza 9 de Julio qualcuno che ci cambi gli euro, ma senza successo essendo troppo presto. Dovevamo cambiarne di più a Buenos Aires o a Ushuaia, visto che da qui in poi avremo sempre necessità di “effectivos” a causa della difficoltà di usare le carte di credito che qui in Argentina sono malviste per via della spaventosa inflazione del Peso. Dopo circa mezz’ora di viaggio facciamo una sosta a S. Lorenzo, località residenziale vicina a Salta dove ci aspetta Monika, una signora austriaca che vive da 40 anni in Argentina, che verrà con noi sul pick-up Toyota Hylux di Renato per la gita nella Puna. La sistemazione complessiva non è delle più comode, essendo in cinque, ma siamo pronti all’avventura e va bene così.
Partiamo poi per Cafayate prendendo la Ruta 68, passando tra molti piccoli paesi di cui Renato ci descrive con dovizia di particolari le particolarità, con in sottofondo le musiche dei Los Chanchaleros, rigorosamente in castigliano. Ci intendiamo benino, però, alternando spagnolo, italiano ed inglese.
Il primo posto turistico che incontriamo è lungo la Quebrada verso Cafayate. Renato ci spiega la differenza tra un canyon e una quebrada: una è formata da movimenti tettonici e l’altro da erosione. Infatti le quebradas presentano le sfumature di colore e le inclinazioni degli strati geologici dovuti proprio alla differenza di ere dei vari strati. Il tempo è bellissimo ed i colori molto definiti. Ci fermiamo in due posti turistici pieni di gente, la garganta del Diablo e l’Anfiteatro. Belli ma troppo affollati. Anche il mirador de Tres Cruces nella quebrada de las Conchas è assalito dalle comitive e per salire lo stretto passaggio, ripidissimo, è necessario che il corrimano sia libero. Poco prima di entrare in Cafayate, intorno a mezzogiorno, arriviamo alla Bodega Vasija Secreta, la più antica cantina della zona essendo stata fondata nel 1857, dove avevamo chiesto di fermarci per visitare un posto dove viene fatto il famoso vino di queste parti. Noi toscani siamo abituati a ben altri sistemi e vedere come qui tengono le botti ci delude molto. Ci fermiamo poco dopo per il pranzo, in un ristorante molto turistico, ma che non ci delude. Riusciamo anche a cambiare gli euro, finalmente. La città non offre molto da vedere, per cui ripartiamo senza visitarla. Anche se siamo già tra i 1600 ed i 1700 metri di quota il caldo si fa sentire, ma nonostante ciò decidiamo di fermarci alle rovine di Quilmes (ingresso 150 ARS) lungo la Ruta 40. Il sito è stato da pochi anni completamente risistemato, che qui vuol dire rifatto ex-novo. E’ la patria dei Cardones, i grandissimi cactus tipici di queste altezze, che rigogliosi rendono molto suggestivo tutto il sito. Ci fermiamo anche al centro visitatori per vedere la proiezione di un filmato che illustra come si erano insediati qui i Quilmes e come sono stati sottomessi dagli spagnoli. La visita del sito non è stata completa, poiché per arrivare al “castello” avremmo dovuto fare una salita troppo impegnativa visto il caldo torrido, che ora che sono le 14.30 è di oltre 35 gradi. Ripartiamo e Renato ci propone le più famose canzoni di Iva Zanicchi e Nicola di Bari in spagnolo, come colonna sonora del viaggio. Passiamo dai paesi di S.Maria, San Jose per arrivare intorno alle 5 del pomeriggio a Hualfin a 2200 metri di quota, dove passeremo la notte nell’hostel municipale (1000 ARS a testa, pulito e senza fronzoli). Facciamo un giro in paese e lungo il rio omonimo per poi fermarci alla chiesa di Nuestra Senora del Rosario che ci viene aperta dalla signora delle informazioni. Piccola propina a lei per la gentilezza dimostrataci. Questo paese è piccolissimo ma pieno di giovani. C’è un torneo di pallavolo nella vicina palestra e dopo la cena a base di milanesa consumata nell’ostello, andiamo a vedere un incontro tra due squadre di ragazzi che però non sono molto bravi. Durante i time-out viene messa la musica a tutto volume, in puro stile sudamericano e ci chiediamo a che ora finirà tutto questo casino, visto che le nostre camere sono piuttosto vicine alla palestra.
Giorno 12 – 5 FEB 2020: Oggi, dopo colazione, ci aspetta un bel po’ di strada sterrata. Sui tornanti della Ruta 43 che ci dice Renato siano percorribili solo col tempo buono, ci sono molti camion carichi di materiali diversi che arrancano. Se piove la situazione può essere difficile su queste strade se non si ha un mezzo adatto. Infatti tutte le agenzie che effettuano i tour in questa zona ci tengono a chiarire che in caso di maltempo l’itinerario può variare e possono saltare delle tappe. Lungo la strada, durante la quale arriviamo fino a quasi 4000 metri di altitudine, ci fermiamo in un punto dove si è formata una enorme duna di sabbia e ci mettiamo a scalarla. L’altitudine che qui è di circa 3300 metri sul livello del mare si fa sentire e per arrivare in cima alla duna ci vuole un bel po’, sbuffando come i mantici di una vecchia fornace. Ripartiamo per fermarci di lì a poco a El Penon per pranzare presso una famiglia. Qui nella Puna è comune che molte famiglie si siano organizzate come ristoranti e B&B. Si mangiano un po’ dappertutto i soliti piatti, fondamentalmente carne tipo milanesa e zuppa di verdura. C’è anche connessione WiFi. Proseguiamo verso la zona vulcanica del Campo de Pedra Pomez dove ci sarebbe da pagare una sorta di tassa di ingresso al parco. La nostra guida ci dice che non c’è quasi mai nessuno nel casottino all’inizio della strada bianca e proseguiamo gratuitamente. Qui il 4×4 fa decisamente comodo, visto che il fondo della strada oltre che sterrato è anche molto sconnesso. La pomice qui presente è molto friabile e sotto l’azione del vento si sono creati nel tempo una serie di collinette e di funghi più o meno grandi su cui possiamo anche arrampicarci per ammirare dall’alto tutta la zona. Anche oggi il caldo è torrido, sebbene sia sopportabile grazie al vento. Al sole si può stare poco, però, per non rischiare un colpo di calore. Ripartiamo e attraversiamo alcune dune per tagliare il salar grazie ad una strada, se così possiamo chiamarla, che lo divide, come una sorta di scia nelle increspature di un mare mosso che magicamente qualcuno ha fermato come in una fotografia. Il km circa che stiamo percorrendo lo facciamo a passo d’uomo perché il fondo è duro e molto sconnesso. Questo sentiero ovviamente è percorribile solo se non è piovuto. Ritorniamo sulla strada un po’ più battuta, prima che il vento sia troppo forte. Proseguendo si arriva alla incantevole laguna di Carachipampa, dove ricomincia la vegetazione e i colori si sprecano e dove i fenicotteri si nutrono dei piccoli crostacei ed i cianobatteri che crescono in queste acque così alcaline. Prendo un campione di acqua della laguna per i miei colleghi biologi e facciamo tante foto. Ci spingiamo a piedi fino nell’acqua e fotografiamo anche dei nandù che non sono molto contenti del nostro arrivo e che ci tengono a distanza di sicurezza. Qui il tempo può cambiare velocemente ed essendo periodo di piogge, vedendo arrivare dei nuvoloni neri e soprattutto molto vento, Renato decide di ripartire per non farci rimanere intrappolati nella laguna. Ritorniamo sulla strada battuta R43 per raggiungere Antofagasta de la sierra. Prima ci fermiamo ad un’altra laguna, Pucara, meno suggestiva della precedente, a pochi km dal paese. Antofagasta è un piccolo polveroso pueblo che si è convertito al turismo, dove molti sono i B&B, spesso dotati di pochissime camere, e i ristoranti familiari. Quel che hanno ti danno, sembra sia la regola qui: il menu è sempre lo stesso ed i prezzi per noi sono bassissimi. Siamo a 3300 m slm e rispetto al giorno precedente ci sentiamo un po’ più provati. La notte infatti accusiamo, anche se in maniera lieve, uno dei sintomi del mal di montagna che è la difficoltà a prendere sonno. L’escursione termica poi è notevole. Siamo passati dagli oltre 30 gradi di mezzogiorno ai pochi gradi sopra lo zero della notte.
Giorno 13 – 6 FEB 2020: Il giorno seguente si riparte alle otto. Abbiamo avuto una buona connessione internet e abbiamo tranquillizzato i parenti a casa con qualche messaggio WA. Oggi ci attendono altri i salar. Dopo qualche chilometro ancora sulla strada 43, si passa attraverso la Vega Colorada; qui grazie ad un ruscello la vita esplode di prepotenza tra le brulle montagne. Ci sono anche i lama che pascolano placidamente. Ci spiega Renato che i lama non sono selvatici come le vigogne, ma che hanno tutti un proprietario. Si sale fino a Kolla Atacamena dove tocchiamo il punto più alto del nostro tour: 4635 metri slm. Scendiamo per fotografare il cartello e ci fa impressione pensare che siamo a meno di 180 metri di altezza rispetto alla più alta cima europea, il monte Bianco. Però in due giorni ci siamo acclimatati benissimo e non sentiamo più alcuna differenza nel respiro. Successivamente, dopo una breve sosta al Mirador omonimo, si scende di quota passando nel Salar di Antofalla, dove abbiamo il primo contatto con questi posti così suggestivi, di un bianco che ricorda più la neve del sale. Ci fermiamo a mangiare nel pueblo, composto da poche case ed una chiesa. Anche qui il “menù” non si discosta da quelli proposti in precedenza. Qui niente connessione internet. Si riparte subito dopo pranzo e prendiamo ancora la strada 43 che diventa 17 quando si passa dalla provincia di Catamarca a quella di Salta e che attraversa i salar dell’Hombre Muerto e di Pocitos. Finalmente arriviamo al Salar de Arizaro, il secondo salar più grande del mondo, dove vediamo numerosi nandù in lontananza in mezzo al deserto. Più avanti troviamo il famoso e misterioso Cono de Arita. Pare che sia incerta la sua formazione e sebbene qui si sia in zona vulcanica, non è certo che il cono sia apparso a seguito di una eruzione. Questa strana formazione geologica, la cui base dista da noi qualche centinaio di metri, la possiamo ammirare solo dalla strada poiché è vietato e soprattutto molto scomodo avvicinarsi passando per l’impervio salar.
Dopo essere stati a lungo ad ammirarlo, lasciamo il maestoso cono e proseguiamo per Tolar Grande, dove passeremo la notte. Tolar Grande è una cittadina che per la zona possiamo ritenere atipica. Le miniere dei dintorni tengono buoni gli abitanti con continue opere edilizie. Addirittura mentre siamo arrivati stavano pavimentando la strada principale con del costoso materiale autobloccante. Qui a Tolar Grande la disponibilità di letti è limitata. C’è un ostello a camerate uniche, divise per sesso e dotate di bagni in comune. Noi ci eravamo fatti prenotare un piccolo appartamento accogliente ma con doccia autoallagante, purtroppo.
Per la cena, solito localino familiare a base di “milanesa”. Da non perdere una visita alla stazione ferroviaria. Questa è aperta di rado, ma dalle finestre possiamo notare l’arredamento molto datato che ci ricorda certi film sul far-west.
Giorno 14 – 7 FEB 2020: Il giorno dopo, di buon mattino e ben coperti per evitare la fresca arietta del deserto, con la macchina ci fermiamo ai poco lontani Ocios de mar, i laghetti profondissimi (si parla di decine di metri) che ospitano gli stromatoliti, che sono tra le forme di vita più antiche del pianeta. Qui sono immancabili le foto spiritose, facilmente reperibili anche in rete, dei turisti che si riflettono nell’acqua o che saltano per aria.
Ripartiamo per il Desierto del Diablo, che si trova a circa 45 km di distanza dopo aver valicato un’altra piccola formazione montuosa e per las Siete Curvas. Il deserto dall’alto ci propone il suo rosso intenso e ci fermiamo a fare due passi su questa polvere finissima che in caso di pioggia può diventare un fango appiccicoso e intrappolante. Proseguiamo attraverso il salar de Pocitos e arriviamo a Cauchari dove ci fermiamo per un caffè. A Cauchari, pueblo abbastanza grande formato da un bel numero di case polverose, la strada 17 diventa 27 e costeggia la ferrovia che serve le miniere della zona. Parte del litio delle batterie dei nostri dispositivi elettronici potrebbe essere stata estratta in queste zone. Proseguiamo verso Susques e dopo non molti chilometri troviamo l’asfalto e ci fermiamo in un ristorante ben attrezzato con molti tavoli, segno che sono avvezzi a ricevere gite turistiche con i pullman. Menù sempre lo stesso. Nella Puna c’è poco da scegliere e poca fantasia. Vicino qui troviamo un mega impianto fotovoltaico preannunciato da numerosi tralicci dell’alta tensione. Raggiungiamo Salinas Grandes in poco tempo e rientriamo definitivamente nella civiltà. Eravamo fino ad ora abituati a vedere pochissime automobili e poca gente in giro, ma da Salinas Grandes si entra nel circuito turistico dei grandi numeri. Il salar è di un bianco accecante e si fatica a tenere gli occhi aperti quando splende il sole. Ci fermiamo nella zona degli Ojos, che sono annunciati da dei chioschi di venditori di souvenir costruiti con i mattoni ricavati dalla salina. Qui ci sono delle vasche artificiali usate per l’estrazione del sale che richiamano gli Ojos visti a Tolar Grande. Chi fa base a Purmamarca non può mancare di passare di qui, ma per noi che veniamo da Tolar Grande questo posto ci delude un po’.
Il viaggio è stato lungo anche oggi e ripartiamo lungo la strada 52 che si inerpica, trovando una serie di bisarche paraguaiane che trasportano auto usate provenienti dall’asia e prelevate da un porto cileno. Questi convogli ci dicono assai pericolosi perché senza manutenzione e senza assicurazione e spesso causano incidenti. La strada in discesa verso Purmamarca è bellissima, e i suoi tornanti ci fanno ammirare dei bellissimi paesaggi. Per fortuna nessuno degli autotreni paraguaiani in deficit di freni ci travolge e arriviamo a valle tutti interi. La cittadina è molto vivace. Qui sono numerose le sistemazioni alberghiere ed i ristorantini e non è facile trovare posto all’ultimo momento (pre COVID, ovviamente. n.d.a.). Siamo di nuovo senza pesos e chiedendo qua e la troviamo un negozio che ci cambia gli euro a 70. Le strade di Purmamarca sono tutte sterrate e non oso pensare cosa diventino con la pioggia. Ma oggi il tempo è ancora bello e le numerose e coloratissime bancarelle sono ovunque nella piazza principale e fanno allegria. Peccato che di artigianale ci sia ben poco. Quasi tutto è made in china. La nostra posada, El Viejo Algarrobo, non è male, ma il prezzo da pagare, 3000 pesos, ci sembra eccessivo. Assurdo che la stessa camera usata da un singolo costi 1500 pesos. Oggi cena a base di pizza. Per cambiare. Peccato che il formaggio che vagamente potremmo chiamare mozzarella sia indecente.
Giorno 15 – 8 FEB 2020: Il mattino seguente ci svegliamo con un cielo grigio, come da previsioni del tempo. Facciamo due passi per salire la collinetta che permetterebbe di ammirare il Cierro Siete Colores. Peccato che di colori ce ne siano pochini. Dopo colazione ripartiamo verso Tilcara. Questo pueblo, che non è male e decisamente hippie. Peccato che piova. Le rovine me le evito, anche perché mi dicono completamente ricostruite. Si riparte per Humauaca, cittadina grande e piacevole. Per pranzo evitiamo il megaristorante convenzionato con le guide turistiche e gli autisti e andiamo in uno più piccolo dove assaggio la milanesa di lama. Buona. Ora che non piove andiamo a visitare la cattedrale e poi il mercato, che è posto sopra i vecchi binari della ferrovia ormai inutilizzata. Qui si vedono le vere facce della gente di qui, abituata sì ai turisti, ma non molto interessata ad essi. Anche qui la merce è molto cinese…
Ripartiamo verso Hornocal, ma dopo pochi chilometri facciamo una riflessione e decidiamo che sarebbe inutile proseguire per il Cierro dei 14 colori, visto che probabilmente le nuvole ci avrebbero impedito anche di vederla la montagna. Quindi, un po’ a malincuore puntiamo verso Salta. Una piccola fermata nel punto dove è stato eretto un monumento a ricordare il passaggio della linea immaginaria del tropico del capricorno e via in discesa fino all’altopiano di Salta. Lasciamo la nostra compagna di viaggio Monika a S.Lorenzo e dopo un’oretta siamo al nostro hotel di Salta, il Las Vegas, dove avevamo dormito anche la prima notte prima del tour e che ci era sembrato molto valido. Salutiamo con rammarico il nostro Renato che ci ha fatto passare veramente dei bellissimi momenti.
Purtroppo non abbiamo molto tempo per visitare la città, ma anche se stanchi, ci fiondiamo velocemente in centro. E’ sabato è c’è tantissima gente in giro. Andiamo alla chiesa di S. Francesco e poi in piazza 9 de julio, gremitissima e piena di capannelli, dove c’è anche una sorta di festival dal vivo. La cattedrale è già chiusa e ne vediamo solo l’esterno. Peccato non aver aggiunto un giorno in più in questa che ci sembra proprio una bellissima città. A cena andiamo da Dona Salta, un ristorante un po’ troppo turistico, con i camerieri vestiti da gaucho (o forse da boy-scout). Però non abbiamo mangiato male. Consiglio la trippa al sugo. Piano piano, per non andare a letto con lo stomaco troppo pieno, facciamo un giretto nella zona pedonale del centro di Salta, ma l’orologio ci impone di ritirarci perché domani si va a…
Iguazù
Giorno 16 – 9 FEB 2020: Partiamo abbastanza presto da Salta, intorno alle sei. E’ ancora buio e la città è addormentata. Solo pochi ragazzi e ragazze che escono dai locali da ballo sono in giro con i loro visi sbatacchiati, il trucco ormai caduto e le scarpe coi tacchi alti in mano.
Stavolta andiamo direttamente all’aeroporto, visto che l’autista, reperito su Uber, non ha convenienza ad allungare la corsa. Il volo della Latam è in orario e raggiungiamo l’aeroporto di Cataratas de Iguazù intorno alle 11. Anche qui c’è la possibilità di prendere l’autobus, ma per noi resta sempre più comodo ed economico il taxi. Anche qui i tassisti sono versatili. Ormai abbiamo una certa esperienza e nei 20 km che ci separano dal nostro hotel, la Posada La Sorgente a Puerto Iguazù, ci mettiamo d’accordo per farci portare al parco delle cascate il giorno seguente. La nostra sistemazione è molto bella, quasi familiare. Ha una piscina, misurata per il numero delle camere, che farà molto comodo, visto che qui si superano facilmente i 30 gradi. Come d’accordo dobbiamo pagare in contanti, ma abbiamo un problema con una banconota da 100 dollari che è leggermente macchiata e non vogliono prendercela. Usciamo per il pranzo ma prima proviamo a cercare un cambiavaluta. Qui non siamo riusciti a trovare chi faccia il cambio “blu” per cui finiamo da un tipo con un bel catenone d’oro al collo, stile Les Gold di “banco dei pugni” che pur notando la macchia sulla banconota, la prende facendoci intendere che la sbolognerà in Paraguay, dove sono meno schizzinosi.
Il caldo è feroce per cui finiamo nella prima “Empanaderia” che riusciamo a trovare aperta. La cittadina è deserta, dato che i turisti durante il giorno sono tutti nel parco delle cascate, ma ci sembra che nelle ore di punta sia interessante, visto che ci sono tanti ristoranti e bar oltre ai numerosi negozi di souvenir.
Torniamo alla posada dove paghiamo e ci godiamo un paio d’ore di relax a mollo in piscina. Verso le diciotto, quando il caldo è meno opprimente, torniamo verso il “centro” di Porto Iguazù. La cittadina è facile da percorrere a piedi (dalla nostra sistemazione alla parte opposta del paese sono circa 2,5km) e le strade sono tutte parallele tra loro, fatta eccezione per il lungofiume che va dal porto al punto panoramico “Tres fronteras”, che è anche un po’ in salita. Quest’ultimo è il vero cuore della città: dalla terrazza ci si affaccia sul fiume Iguazù che entra placidamente nel Paranà. Davanti a noi abbiamo a sinistra il Paraguay e a destra il Brasile, dove vediamo un altro belvedere simile a quello dove ci troviamo noi pieno di luci e di turisti. Torniamo sui nostri passi, sull’avenida Misiones e poi sulla Cordoba per andare a cercare un ristorante. Qui c’è l’imbarazzo della scelta. Decidiamo di mangiare pesce di fiume, che ci sembra la scelta più azzeccata visto il luogo dove ci troviamo, al ristorante la Dama Juana. Prendiamo, tra gli altri, il surubi che si dimostra molto buono. Non facciamo troppo tardi visto che domani ci sarà da camminare moltissimo.
Giorno 17 – 10 FEB 2020: Il giorno seguente, Umberto, il nostro tassista, ci viene a prendere all’ora prevista e andiamo al parco. Ci sono circa 18 km di buonissima strada da fare. Arriviamo che non c’è ancora molta gente e dopo aver pagato in una delle molte casse disponibili, andiamo a piedi verso la stazione del trenino, dopo aver fatto una piccola sosta nel Centro di interpretazione della natura. Dai primi passi non possiamo non notare che tutto è perfetto, in linea con i migliori parchi a tema americani, quindi non vi aspettate di fare cose da “esploratori”. Qui non c’è niente che non sia sotto controllo. Per prendere il treno c’è da prenotare, facendo una fila. Poi si attende l’orario della prenotazione, si sale e si parte, a passo d’uomo o quasi. Per non perdere tempo basterebbe prendere il sentiero nella “foresta” che di fatto è una scorciatoia che ci fa arrivare alla prima stazione, quella di Cataratas. Qui si può scendere oppure, come abbiamo fatto noi, proseguire per la garganta del Diablo, la gola del diavolo. La decisione di proseguire l’abbiamo presa perché è meglio fare la garganta quando il sole è più basso e c’è meno gente, visto che la piattaforma finale è piuttosto piccola rispetto alla quantità solita dei visitatori. Infatti c’è già parecchia gente. Per arrivarci ci sono delle passerelle in ferro intervallate da una sorta di aree di sosta dove facciamo il primo incontro con i Coati, delle piccole canaglie simili ai procioni che non aspettano altro che farsi nutrire o rubare cibo ai turisti. Vicino ai bar ci sono spesso delle gabbie per consumare in pace il proprio pranzo senza fare doni involontari ai furbissimi animaletti. Le passerelle sono piuttosto lunghe, più di un chilometro e mezzo e passano sopra a punti molto suggestivi e arrivati in fondo lo spettacolo è ancora più bello. La terrazza finale è proprio al di sopra della cascata che tùrbina nella gola stretta e cade giù con uno scroscio continuo. Secondo come gira il vento ci si può anche bagnare per il vapore che si crea. Purtroppo il miglior posto per fare i selfie è occupato dai fotografi professionisti che vendono i loro servigi. Guardando verso nord-est si vede il lato brasiliano, dove è posto il loro punto di osservazione più vicino. Questo è stato costruito dopo il salto, direttamente nell’acqua, per cui punto di vista è diverso. Ci andremo domani, è deciso. Torniamo indietro più velocemente possibile per evitare di stare troppo sotto al sole. E’ il 10 febbraio e l’estate australe è impietosa. E poi siamo solo a due gradi dal tropico del capricorno. Col trenino torniamo alla fermata Cataratas. Ci fermiamo un po’ per mangiare e soprattutto per bere. Vicino alle stazioni ci sono anche delle docce che nebulizzano l’acqua per rinfrescarsi un po’. Dopo che ci siamo ripresi perbenino, iniziamo il percorso delle cascate più a nord, dove il fiume si getta nella gola sottostante da numerosi salti che vengono da ovest verso est, tutti nel lato argentino del fiume. Qui la passeggiata è meno frenetica, c’è spesso ombra e dato che i salti sono molti, ci si disperde molto meglio rispetto alla Garganta del Diablo. Inoltre i percorsi sono due: quello in alto ci permette di vedere le cascate dalla sommità e quello inferiore ce le fa vedere da più in basso, secondo me in maniera più suggestiva. Da non perdere sicuramente il salto San Martìn, sotto al quale si avventurano anche i gommoni pieni di starnazzanti e fradici turisti. Avevamo concordato le sedici come ora per farci venire a riprendere da Umberto e come se fossimo sincronizzati, proprio alle quattro del pomeriggio ci troviamo all’uscita per salire sul taxi.
La piscina della posada è un toccasana per rilassarci dopo aver camminato così tanto.
Anche se stanchi, camminiamo per andare a cena più o meno nella solita zona di ieri. Avevamo pensato di mangiare nel ristorante attiguo la posada, il Toscana, ma le recensioni non erano buone e abbiamo preferito andare fuori. Ci fermiamo da Aqua, che la sera precedente non era disponibile perché c’era una festa privata e ci era sembrato buono, come in effetti si dimostrerà.
Giorno 18 – 11 FEB 2020: Il mattino dopo, fatto il check-out ed una buona colazione partiamo dalla Posada ad un’ora “comoda”, anche perché Umberto è piuttosto in ritardo. Da qui al confine col brasile, posto subito dopo il ponte sul fiume, ci sono solo 5 km e ci mettiamo pochissimo ad arrivare. C’è un bel po’ di automobili in coda che attendono i controlli, ma dato che siamo su un veicolo pubblico abbiamo una corsia preferenziale e facciamo velocemente. Le pratiche dell’immigrazione sono piuttosto sbrigative. Si paga qualcosa per il visto, ma lo sapevamo. Si nota subito che ci sono delle differenze qui a Foz do Iguacu, rispetto a Puerto Iguazù (a parte il nome). La città sembra molto più grande e offre di più al turista rispetto alla vita di paese di Puerto Iguazù. Arriviamo velocemente all’ingresso del parco dove Umberto ci aspetterà vigilando anche sui nostri bagagli che abbiamo lasciato in auto. Per pagare si possono usare le macchinette automatiche che con la carta di credito ti fanno il biglietto senza fare la coda. Qui per spostarci all’interno del parco si viaggia sui bus a due piani e la strada interna è molto trafficata. Niente a che vedere con l’ecosostenibilità riscontrata nella parte argentina. Ci sono poche fermate, e si vede subito che la giornata sarà meno faticosa e per certi aspetti meno suggestiva della precedente. La prima che incontriamo è quella per scendere al Macuco Safari, le escursioni in gommone che portano fin sotto le cataratte. Noi scendiamo dal bus all’altezza dell’hotel Belmond, l’unico e bellissimo albergo all’interno del parco, che fa scomparire il suo omologo argentino Melià, dove iniziamo il percorso a piedi e notiamo che anche qui sono numerosi i Coati e tante le scimmie che ballonzolano tra i rami sopra le nostre teste. La costa del fiume dalla parte brasiliana è più a picco e dalle terrazze si vede perfettamente il percorso inferiore del lato argentino nella sua interezza. Diciamo che la vista dalla parte brasiliana ci dà meglio l’insieme delle cascate minori ma meno la sensazione di esserci in mezzo che si prova dalla parte argentina.
Ma il meglio deve ancora arrivare. Infatti il top lo si raggiunge in fondo, quando possiamo percorrere la passerella che si insinua nella gola del diavolo e che ci fa ammirare dal basso questo bellissimo salto. Qui è quasi certo il bagno, soprattutto quando la portata d’acqua è grande e il vento (s)favorevole. In realtà non siamo proprio in basso, ma tra il primo salto ed il successivo per cui sembra proprio di essere NELLA cascata.
E pensare che il nostro amico a dicembre, quando iniziavamo a definire le tappe del viaggio diceva che lui poteva farne a meno poiché era stato a vedere quelle del Niagara…non c’è paragone alcuno che possa reggere con queste cataratas.
Dopo essere stati diversi minuti a contemplare la bellezza del posto, si torna indietro e passando dal bar lì vicino si può salire, a piedi o in ascensore, al piano posto al livello del primo salto della cascata della Garganta. Da qui proseguiamo per andare a mangiare nella terrazzona dove ci sono alcuni punti di ristoro ed il ristorante self-service. I prezzi brasiliani, febbraio 2020, sono considerevolmente più alti di quelli argentini.
Da qui riprendiamo il bus e torniamo direttamente al visitor center, dove ci aspetta Umberto. Provo a chiedergli di fermarci un po’ anche a Foz, magari a vedere il corrispettivo del “Hito Tres Fronteras” argentino, ma garbatamente ci fa notare che è troppo tardi e non supportato dai miei due compagni di viaggio, desisto. Il volo per Buenos Aires ci aspetta dal lato argentino. Per rientrare in Argentina non ci vuole molto tempo. Non c’è praticamente fila. Mannaggia…potevamo fermarci mezz’ora a Foz…
Questa volta prendiamo un volo della Norwegian. Tra quelli che facevano la tratta Iguazù-Buenos Aires era il più economico, 58 euro a testa, le recensioni erano buone e l’orario perfetto per permetterci, come abbiamo fatto, di fare il lato brasiliano delle cascate in tutta tranquillità. Il tempo per mangiare qualche panino e poi si parte per arrivare a B.A. dopo meno di due ore di volo. Cerchiamo un Uber che dall’Aeropoarque ci porti al nostro albergo, il Key Hotels in avenida Mexico, zona S.Telmo quattro stelle, che avevamo trovato ad un ottimo prezzo su Booking. L’abbiamo prenotato solo pochi giorni prima, poiché ancora mi ronzava in mente la voglia di farmi un paio di notti a Rio de Janeiro prendendo il volo da Foz de Iguacu e tornare a B.A. da laggiù in tempo per ripartire per l’Italia. Vabbè, sarà per un’altra volta. Andiamo a mangiare in un localino informale e bellino, la Brasseire Petanque, che rimane sulla nostra strada a pochi passi. Si mangia benino e non costa molto. Alla fine della cena, sono le 23, facciamo due passi nel nostro quartiere che di notte non è vivace come di giorno e non offre molto da vedere.
Buenos Aires II
Giorno 19 – 12 FEB 2020: Il mattino dopo prendiamo il bus e ci rechiamo al barrio Chino, che in realtà sarebbe il quartiere Belgrano. La zona è molto bella e signorile. Le notizie dell’arrivo di un nuovo virus proveniente dalla Cina per ora sono di secondo piano e nella chinatown portena è tutto tranquillo. Facciamo qualche acquisto e ci fermiamo anche a mangiare in una tavola calda cinese. Ripartiamo coi bus per visitare la parte a sud di Plaza Italia del Barrio Palermo. Qui ci perdiamo un po’ tra le strade di questo quartiere, a metà strada tra il popolare e lo chic, alla ricerca dei murales che caratterizzano una parte di esso e dando un’occhiata per vedere se c’è qualche ristorante che merita la nostra attenzione per la sera. Ripartiamo con i bus per tornare più centralmente e ci fermiamo lungo la trafficatissima avenida Santa Fe alla libreria El Ateneo Grand splendid. Questa libreria è stata ricavata da un teatro in disuso e il restauro l’ha fatta diventare uno dei migliori esempi di riconversione che ci siano al mondo. Nei palchi e in platea sono stati collocati sapientemente gli scaffali, divisi per argomento, mentre sul palcoscenico è stato allestita una saletta con tavolini dove poter leggere e prendersi una bevanda calda. Merita indubbiamente una visita. Proseguiamo a piedi verso l’avenida 9 de julio e passiamo davanti e dietro il teatro Colòn, che però non ci è permesso visitare perché è troppo tardi. Torniamo in albergo per prepararci per andare a cena e nel frattempo prenotiamo su di un sito internazionale uno spettacolo di tango per la sera dopo. Ero un po’ perplesso su questo tipo di intrattenimento, in quanto mi sembrava troppo per gli stranieri, ma mi rimetto alla maggioranza e scegliamo il teatro Senor Tango, a 5 km dal nostro albergo, in zona Baracas, ma che aveva delle buone recensioni. Andiamo a mangiare alla Pulperia Quilapan, un curioso ristorante a un chilometro e mezzo dal nostro albergo che abbiamo prenotato con The Fork. L’ambiente, sia quello al chiuso che soprattutto il cortile interno, è pieno di oggetti di modernariato ripresi soprattutto dall’attività precedente del locale e dove, senza pretese per il cibo e per le bevande, si può passare una simpatica serata mangiando carne alla brace.
Giorno 20 – 13 FEB 2020:
Stamani facciamo un salto al cimitero della Recoleta. Qui in genere la maggior parte dei turisti si reca in visita alla tomba di Eva Peron. Noi ci facciamo due passi tra le strette stradine che passano in mezzo alle tombe delle famiglie più in vista della città, ma non riusciamo a cogliere nessun punto interessante dal punto di vista artistico. Visto che oggi sarà l’ultimo giorno a B.A. decidiamo di tornare alla Boca per prendere qualche souvenir a El Caminito. Il posto è ancora più affollato della scorsa volta, soprattutto di turisti stranieri. Un vero caos. Da qui proseguiamo con un autobus per fermarci alle spalle della Casa Rosada. Abbiamo provato ad andare in uno dei locali vicino al ponte de la mujer, la bizzarra passerella girevole ad uso pedonale dell’archistar Santiago Calatrava, ma essendo proprio l’ora di chiusura degli uffici della zona, tutti i ristoranti erano affollatissimi, per cui siamo stati costretti ad allontanarci e tornare verso la zona dietro la Casa Rosada per mangiare almeno delle empanadas (le ultime per fortuna). Continuiamo a piedi dalle parti dell’avenida Florida e cerchiamo dove vendono gli alfajores, i dolcetti fatti da due dischi di pasta con in mezzo la cremina e ricoperti di glassa, anche questi venuti dalla Spagna e di origine araba, che sono onnipresenti a Buenos Aires. Continuando per la Florida, raggiungiamo Galerias Pacifico, un bellissimo centro commerciale dove prendiamo anche un po’ di dulce de Leche al chiosco di Havanna. Torniamo in albergo, visto che siamo a fine vacanza e le energie sono sempre meno, per prepararci per la serata e per non perdere tanto tempo durante la cena, torniamo a mangiare nella stessa brasserie della prima sera. A fine pasto chiamiamo un autista con Uber e ci facciamo portare al Teatro Senor Tango. L’intrattenimento si rivela una bella sorpresa. I cantanti, i ballerini e le coreografie, pur fatte per i turisti, sono piacevolissimi e passiamo una fantastica serata. Inoltre, essendo il locale di medie dimensioni e non essendoci tanta gente, possiamo godere appieno la musica e lo spettacolo.
Giorni 21 e 22 – 14-15 FEB 2020:
Oggi lasciamo l’Argentina con tanta gioia, molta stanchezza, bellissimi ricordi, migliaia di fotografie e anche un po’ di malinconia pensando a quanto abbiamo vissuto, visto e alle persone così gentili che abbiamo potuto incontrare. Prendiamo un taxi e in poco tempo siamo a Ezeiza, all’aeroporto. Il volo è in orario e passiamo la notte in aria con tranquillità. Arriviamo a Roma e prendiamo il volo che in poco più di mezz’ora ci porta a Firenze. Qui troviamo i volontari della Misericordia a misurarci la temperatura e scherziamo un po’ sulla procedura di controllo delle malattie, senza sapere quello che da lì a pochi giorni avrebbe cambiato il modo di vivere di tutti per chissà quanto tempo. Ma questa è un’altra storia…
Conclusioni: fare tutto da soli è possibile e facile. Ho inviato diverse e-mail ad agenzie turistiche locali e tour operator e in molti mi hanno risposto con tempestività e gentilezza. Anche grazie ai diari di viaggio abbiamo potuto trovare chi ci avrebbe portato a fare i giri sopra descritti. Data la perenne situazione economica traballante dell’Argentina è più conveniente portarsi dietro i contanti che usare le carte di credito. Gli euro si cambiano abbastanza facilmente e ad un buon tasso. Le distanze tra le città sono notevoli e bisogna considerare che guidare da soli è possibile ma non sempre conveniente, specialmente nella Puna dove anche con il 4×4 ci si può trovare in difficoltà non conoscendo le strade e in caso di maltempo. Per spostarsi nelle città conviene utilizzare i taxi, sia normali che con Uber, che sono diffusissimi ed economici; per andare da una regione ed un’altra meglio prendere gli aerei che gli autobus. Gli aeroporti sono ben gestiti, modernissimi e non abbiamo mai avuto ritardi considerevoli. La gente è sempre stata disponibile con noi e soprattutto a Buenos Aires gli argentini di origine italiana sono tantissimi e c’è sempre qualcuno disposto a fare due chiacchere.