Arcobaleni alle Cascate Victoria
Le cascate nel 1989 sono state riconosciute dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità e si trovano lungo il corso del fiume Zambesi, all’interno di due parchi nazionali: quello dello “Mosi-oa-Tunya National Park” in Zambia e il “Victoria Falls National Park” in Zimbabwe; di fatto le cascate sono al confine tra questi due stati.
Con un fronte che supera il chilometro e mezzo e un’altezza media di circa 128 metri, stare al loro cospetto ti fa sentire di molto più piccolo di una pulce. Data la loro conformazione, se ci si trova in navigazione sullo Zambesi, non si ha le percezione completa dello strapiombo che sta per sopraggiungere, la visuale ideale infatti si trova sulla sponda di fronte; viste dall’alto invece appaiono come una grande ferita “sanguinante”, uno strappo tra i due lembi di terra.
E se, data la loro struttura e la natura dalla quale sono circondate, a tutt’oggi è impossibile godere in pieno di questa meraviglia a meno che non vi si sosti davanti, tipo spettatori del cinema, figurarsi come doveva essere ai tempi del mitico David Livingstone, il primo occidentale a metter piede, il 16 novembre del 1855, in questo angolo di paradiso e che, in virtù del suo diritto di esploratore le ribattezzò con il nome dell’allora sovrana inglese: Victoria. La sua fama continua ad essere leggenda da queste parti, infatti non solo vi è una statua a lui dedicata all’interno del parco, ma addirittura la cittadina limitrofa alle Cascate porta il suo nome. Alla sua morte, solamente il corpo tornò in madre patria dove trovò sepoltura all’interno dell’Abbazia di Westminster, il cuore invece, ormai appartenente di fatto al continente Africano, venne sepolto presso il lago Bangweulu in Zambia, luogo in cui nel 1873 morì di malaria, ed il cui nome significa “il luogo dove acqua e cielo s’incontrano“.
Ma appunto, Victoria è il nome che noi occidentali abbiamo scelto e deciso di adottare ma, per fortuna le guide locali, che sono uno spettacolo, non perdono occasione per ricordarci quale fosse il nome originario ossia: Mosi-oa-Tunya, che significa “il fumo che tuona” e basta guardarle nemmeno troppo attentamente per capirne il motivo.
Voglio spendere una parola in favore delle guide, perchè non mi sono mai trovata bene come in questo viaggio. La nostra è stata semplicemente favolosa. E’ lui che dall’albergo ci ha condotte prima alle Cascate e poi al Chobe NP e che, in questa giornata trascorsa insieme ci ha spiegato veramente di tutto di più: dal nome degli alberi alla storia delle Cascate, passando per le brutte storie legate al bracconaggio di cui purtroppo il paese è vittima. Il tutto con estrema cortesia, gentilezza, disponibilità e simpatia. Si è rivelato uno di quegli incontri che a distanza di anni, il loro ricordo ti fa sorridere il cuore. Si potrebbe malignamente pensare che, dal momento che veniva pagato, quella in atto era una sorta di carineria paraculo, in modo da tirar su anche la mancia.; ed invece a prescindere dal caso specifico del nostro amico, tutte e giuro tutte le persone che abbiamo incrociato (eccetto alcuni diplomatici che erano lì in visita), insomma tuttissimi, ci salutavano chiedendo come stavamo, il sorriso sul volto e via, ognuno per la sua strada senza per questo tendere la mano. Non mi era capitato di stare in una bolla di gentilezza come quella trovata in questa parte di mondo.
Noi siamo andate in Agosto, quando a causa della stagione secca il flusso dell’acqua è quasi al minimo, ma non per questo il rumore che ne scaturisce può essere considerato lieve: più ci avvicinavamo al fronte e più occorreva urlare per scambiare due parole, che nel 90% dei casi era: “guarda lì” mentre il restante 10% era “Ooooohhh”. All’ingresso del parco, la nostra mitica guida ci ha fornito gli impermeabili, cosa a cui noi non avremmo mai pensato, e che io con il genio che da sempre mi contraddistingue non ho messo se non proprio da ultimo; che lo dico a fare, ho finito la visita gocciolando..ripeto, le Cascate erano in secca e noi eravamo a debita distanza sull’altra sponda. Infatti in questo periodo dell’anno è possibile “fare il bagno” in una specie di piscinetta naturale chiamata con il rassicurante nome di “Piscina del Diavolo“; nelle altre stagioni, ovviamente non si può osare tanto, perchè a causa della corrente c’è il serio rischio di venire trascinati giù..ed ecco, qualche piccola controindicazione potrebbe esserci..ma giusto qualcuna.
Se penso a quel giorno, la prima immagine in assoluto che mi viene in mente, prima ancora del rumore, dei salti e delle evoluzioni che l’acqua compie, è quella degli arcobaleni. Ce ne sono a decine, di tutte le dimensioni, singoli, doppi, tripli… in alto, in basso e pure a mezza altezza. Acquarelli colorati che tremolando brillano al bacio del sole.
Le Cascate, per fortuna non si mostrano subito, ci si arriva piano piano, un po’ per volta: infatti, prima di fare la doccia al loro cospetto, va fatto “un bagno” nel polmone verde del parco nel quale sono immerse e dove gli animali sono liberi di scorrazzare, o darti noia in totale libertà, come nel caso delle immancabili scimmie. Poi, tra le fronde degli alberi iniziano a far capolino gli arcobaleni, ed infine… ecco la furia dell’acqua gettarsi violentemente a capofitto nel baratro e che, con il suo vapore ed i suoi schizzi va a coprire tutto ciò che le sta intorno. In quel momento è come se ti ritrovassi da solo al cospetto di quella lama d’acqua mista a roccia e tanta è la magia che ti scordi addirittura di quel ruggito così potente che prima ti aveva fatto sobbalzare, e le poche persone presenti diventano immediatamente presenze alle quali nemmeno fai più caso. In un attimo ti ritrovi completamente immerso nella natura, nessuna costruzione, niente luci artificiali o strade asfaltate: oltre alle Cascate, solo alberi, scimmie, pace ed arcobaleni.
E proprio per questo le ho trovate così irresistibili: per il modo in cui sono tenute, cioè in quello più naturale possibile, perchè le guide che fanno i tour, sono ancora così legate alle tradizioni tanto che, a guardar bene la loro mappa cromosomica, si trova ancora scritto ”Mosi-oa-Tunya” anzichè Victoria. Per il fatto di avermi strappato mille sorrisi e perchè tutti quegli arcobaleni mi hanno fatto innamorare. Per la loro potenza, capace di far vibrare il suolo, per il fatto che al mondo possano esistere cose talmente belle ed uniche; perchè in quel momento la parte razionale, smette di far finta di pensare e ti abbandoni alle emozioni. Per il vento che ti scompiglia i capelli ed il sole che ti bacia la pelle, per il modo in cui tutti i sensi, automaticamente vanno a sintonizzarsi con le Cascate.. e con questo tipo di connessione non c’è wifi, rete o fibra nemmeno lontanamente paragonabile.
Info più o meno utili:
L’attrezzatura fotografica va ptotetta… anche se ci si trova sull’altra sponda, ad Agosto, con l’impermeabile e a debita distanza, la doccia è assicurata. L’aeroporto più vicino è quello di Victoria Falls (VFA) e si trova all’interno dell’omonima città.
Avvertenza: per sbrigare tutte le procedure burocratiche e poter finalmente avere il tanto agognato timbro sul passaporto, bisogna armarsi di 30$ Statunitensi (in contanti e precisi, altrimenti i tempi si allungano ulteriormente), ma soprattutto di tanta, tanta, tantissima pazienza. Forse noi siamo state sfortunate, magari abbiamo beccato il classico giorno NO, ma tra una cosa ed un’altra, abbiamo impiegato un paio di ore buone per ottenere il tanto bramato benestare a mettere il piedino in Zimbabwe. Il secondo aeroporto più vicino è quello turistico di Kasane (BBK) in Botswana. Tra la cittadina alle porte del Chobe NP e leVictoria Falls, ci sono circa 80 Km, percorribili in meno di 2 ore di macchina, oltre il tempo necessario per le formalità doganali.