Arabia Saudita on the road: viaggio in un paese tradizionale che guarda dritto verso la modernità

Una bella sorpresa
Scritto da: maurizio3
arabia saudita on the road: viaggio in un paese tradizionale che guarda dritto verso la modernità
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Donne velate e grattacieli moderni. Le città sante dell’Islam e le spiagge per occidentali. Un mondo lontano da noi ma che cerca di recuperare le distanze, quello dell’Arabia Saudita, dove tutto ha un aspetto diverso.

Giorno 1. Riyadh, arrivo in Arabia Saudita

riyad

Io e i miei due amici (un uomo ed una donna) arriviamo a Riyad il 19 febbraio 2023, in serata, con volo Wizzair da Fiumicino. Passiamo velocemente i controlli, avendo fatto il visto preventivamente sul sito VISITSAUDI, ed avendo solo bagagli a mano. L’aeroporto è moderno, tuttavia la segnaletica interna lascia abbastanza a desiderare e ci mettiamo un bel po’ a trovare il car rental. Abbiamo prenotato una vettura con AVIS, con ritiro a Riyad e riconsegna a Jeddah: gli operatori della compagnia sono lenti ed anche piuttosto sprovveduti, pertanto c’è fila ed il ritiro dell’auto diventa una procedura davvero lunga. Arriviamo in hotel con quasi due ore di ritardo rispetto al previsto! Peraltro abbiamo prenotato con Booking al Ryadh Inn hotel, scopriamo tuttavia a nostre spese che ce ne sono due e, poiché la legge di Murphy non fallisce mai, il navigatore ci propone per primo quello sbagliato. Vabbè.

L’hotel è carino, dotato di parcheggio e di una cafeteria. Essendo molto tardi (le 23) ed anche piuttosto freddino decidiamo di cenare lì: non si rivela una grande idea poiché l’attesa del cibo è davvero lunga. Avremmo fatto prima (e forse mangiato meglio) ad uscire ed a recarci presso uno dei tanti mall nelle vicinanze, ma eravamo decisamente molto stanchi. Speriamo che la colazione possa farci ricredere.

Giorno 2 – Diriyah

diriyah

Purtroppo non è così, la colazione non è granché e si fa attendere a lungo. Scalpitiamo, dobbiamo andare a Diriyah, la città antica. Arrivarci è un’impresa: Riyad è una città enorme, traversata da un dedalo di arterie più o meno importanti, con un traffico sostenuto a tutte le ore del giorno, è costellata di cantieri e conseguenti chiusure di strade e deviazioni. Tra dieci anni sarà irriconoscibile, si stanno costruendo anche linee di metropolitana.

Diriyah è un immenso cantiere, la città vecchia verrà presumibilmente circondata di hotel e mall. Dopo diversi giri alla ricerca di Al Bujairi, per il quale avevamo altresì fatto una prenotazione, accediamo ad un parco con edifici e locali rifatti in stile. Da lì, in lontananza, vediamo là città vecchia (At Turaif): ci apprestiamo ad andarci seguendo le indicazioni ma una signorina ci informa in inglese che l’accesso è chiuso per una settimana! Una ragazza gentile che aveva udito la conversazione e vista la delusione nei nostri occhi, da dietro il suo niqab, ci informa che comunque la sera una parte della città vecchia (non il museo) è accessibile e ben illuminata. Tuttavia non ci sarà possibile tornare, e come tale dobbiamo limitarci a vedere da lontano quel poco che si può.

Torniamo verso l’auto e ci rechiamo alla Masmak fortress. Si tratta di un edificio cui è legata una storica battaglia che ha dato inizio al regno dell’Arabia Saudita. La fortezza, realizzata in fango e paglia, sorge tra alti edifici moderni e presenta i caratteri costruttivi e distributivi degli edifici dell’epoca. Pregevoli in particolare le porte ed i soffitti le cui travi sono pali di legno. Nella fortezza è ospitato un piccolo museo celebrativo della nascita del Regno Arabo e della dinastia dei monarchi tuttora al potere. L’ingresso è gratuito.

Prossima tappa il National museum. Ingresso gratuito. Bello l’allestimento museologico, alcuni pezzi pregevoli tra cui la ricostruzione di una tomba nabatea. Due plastici de La Mecca e Medina ci fanno l’idea della bellezza e grandiosità di queste due città a noi purtroppo precluse. All’esterno un graziosissimo giardino con un torrentello impreziosito da pietre colorate. Decidiamo di concederci la Globe Experience e ci rechiamo verso la zona dei grattacieli ed in particolare al grattacielo progettato da Norman Foster, Di forma piramidale e caratterizzato da una enorme sfera quasi alla sommità. Anche la hall è modernissima, un reticolato di acciaio e vetro. Per salire al punto panoramico, cui si accede con un ascensore velocissimo-quelli che ti fanno salire lo stomaco in gola, per intenderci) si pagano 69 sar a persona. Ma il panorama da lassù ne vale la pena. I confini della città si perdono nella bruma del tramonto mista a smog e sabbia. Poco distante un altro grattacielo particolarissimo, che alla sera cambia continuamente colore, dalla forma di un pelapatate: è il Kingdom Centre. Anche da lì, salendo fino allo sky bridge, si può vedere il panorama della città. Prendiamo una cosa veloce allo Starbucks nel mall collocato alla base del grattacielo, proprio accanto al Four Seasons. E torniamo in hotel per preparare l’itinerario del giorno successivo ed andare a letto presto.

Giorno 3. Burhayda e Hail

hail

Imbocchiamo la strada verso nord. Facciamo benzina prima di lasciare la città, molto opportunamente peraltro. Nelle stazioni di servizio ci sono anche dei chioschi presso cui fare colazione o comunque prendere un cappuccino (mi raccomando di chiederlo non troppo caldo, poiché lo fanno bollente!). Uscire da Riyad, tra il traffico e le dimensioni della città, richiede diverso tempo, ed abbiamo modo di vedere nuovamente i grattacieli, le sopraelevate, e le case basse e color sabbia. Poi il deserto. Piatto, ghiaioso, a tratti sporco di rifiuti. Le stazioni di servizio via via si rarefanno, ma per fortuna il fondo stradale e ottimo e le carreggiate sono ampie.

Dopo tre ore, sosta a Burhayda, per visitare la città dei datteri: un immenso padiglione-fiera dove acquistare ottimi datteri ad un prezzo più che ragionevole. Ai margini della città una piccola e antica moschea costruita con fango e paglia, immersa in un palmeto, merita senz’altro una visita. Riprendiamo la strada verso nord. Le stazioni di servizio ora sono completamente sparite, ed il deserto circostante continua ad essere decisamente brutto. Dopo altre tre ore, finalmente, arriviamo ad Hail, dove abbiamo deciso di pernottare per spezzare il viaggio sinistra al bivio di verso Al Ula. La guida dice poco di Hail ed anche in rete si trovano poche informazioni. Probabilmente solo pochi turisti si sono avventurati sin qua, e lo testimoniano diverse cose. Innanzitutto le donne e le ragazze, qui, sono pressoché tutte vestite di nero e coperte da capo a piedi, viso compreso, con abaya e niqab. A Riyad avevamo visto anche diverse donne velate ma a volto scoperto e finanche donne senza velo. A proposito, la guida che avevamo consultato ci consigliava prudenza, abiti larghi e lunghi, sguardo basso, gestualità limitata, non fumare in pubblico, ecc.: diciamo che forse avremmo potuto essere un po’ meno severe nell’abbigliamento e nei modi, essendo la popolazione estremamente cordiale e, almeno all’apparenza, tollerante. In pochi anni molte cose devono essere cambiate, se si vedono tantissime donne al volante, se i ragazzi si mettono a ballare per strada, se le ragazze non esitano a rivolgere la parola a noi ed al nostro amico e se molte di loro abbandonano il niqab a favore del semplice velo. Torniamo ad Hail dopo questa digressione.

Abbiamo prenotato all’Olive Suites, di fronte ad un giardino con alberelli stenti ma ben tenuto. La sistemazione è graziosa e con un buon rapporto qualità-prezzo. È già tardi per visitare il forte, ma decidiamo di vederlo da fuori: molto bello, appollaiato su una collina rocciosa del centro città. Decidiamo poi di andare a fare un po’ di shopping, qualche souvenir e magari un abaya per ricordo (e perché no, per un futuro viaggio in Iran…). Entriamo nel souq (Barzan market), molto carino, parte coperto e parte no: tutti ci guardano, incuriositi, soprattutto me e la mia amica, entrambe a capo scoperto e con i capelli corti. Le ragazze ci salutano gioiose “hi!” e cercano di parlare con noi con una scusa o con l’altra. Ad una di loro chiediamo un consiglio per la cena e ci indirizza verso il ristorante Alasalah. In effetti è un ottimo ristorante tradizionale, dove si può mangiare cucina tipica locale anche seduti a terra in piccoli stabbiotti abbelliti da tappeti. Il problema è che le porzioni sono fin troppo abbondanti e purtroppo lasciamo i piatti quasi pieni. Torniamo all’hotel – non prima di aver fatto il pieno (40 litri per appena 20 euro!), per fortuna tutto è aperto fino a tarda ora- e puntiamo le sveglie alle 5, domani lungo transfer e molte visite.

Giorno 4 – Verso Al Ula

al ula

Si parte all’alba, ché la strada è lunga e vogliamo vedere più cose possibili già nel pomeriggio. Uscendo dalla città, costeggiamo l’imponente moschea Al-Rajhi Masjid, che appare quasi rosata nella luce del mattino. Il deserto è più bello di quello che ci ha accompagnato nel viaggio di ieri: la distesa pianeggiante, dove qua e là pascolano greggi di dromedari, è impreziosita dalle dune di sabbia e da rocce dalle forme e dai colori più vari. Più ci avviciniamo alla meta, più le montagne diventano imponenti, erose dal tempo e dagli elementi. Prima di giungere ad Al Ula ci fermiamo all’Elephant Rock, un’enorme arco di pietra che con un po’ di fantasia ricorda un elefante. Bello il colore intenso, quasi rossastro, della roccia a contrasto con il cielo azzurro e terso.

Arriviamo al Winter Park di Al Ula verso l’ora di pranzo, l’unico chiosco aperto è quello di Burger King e mangiamo dunque un po’ di junk food. Abbiamo prenotato (sul sito ALULAEXPERIENCE) la visita di Dadan e Ikmah per le 13.30, il pulmino ci porta nei luoghi della visita dove le guide ci spiegano in inglese cosa stiamo per vedere, dopo averci offerto della frutta disidratata e dei succhi. Purtroppo le tombe dadanite si vedono solo da lontano, sono tuttora in corso gli scavi che presumibilmente riporteranno alla luce una quantità di reperti impressionante. Le iscrizioni rupestri di Ikmah sono invece fruibili da vicinissimo. Gita certamente interessante ma non indimenticabile, carino il gift shop, che però non ha molte cose e soprattutto è piuttosto caro.

Tornati al winter park, riprendiamo l’auto e ci rechiamo all’Harrat Viewpoint, un punto panoramico a circa un quarto d’ora di distanza. La salita è davvero ripida, la macchina arranca sui tornanti, ma finalmente giungiamo sull’altopiano posto sulla sommità della montagna. Il punto panoramico è ben attrezzato, con posti a sedere da cui godere della vista mozzafiato magari aspettando il tramonto e sorseggiando una bevanda. Ci sono anche un bar ed un ristorante che hanno l’aria di essere trendy (ed i prezzi infatti sono decisamente alti: due caffè ed un the 19 euro). C’è molta gente, poiché è festa nazionale (Founding Day), c’è un dj che mette della musica ed alcuni giovani che ballano. La veduta è davvero incredibile: sotto di noi si apre l’intera vallata, praticamente un canyon fiancheggiato da montagne ed altopiani molto simili a quelli americani. La valle, nella quale si snoda la cittadina di Al Ula, è verdissima, tra orti e palmeti, creando dunque un contrasto netto con il marrone rossastro delle rocce. È facilmente comprensibile che questa valle fosse un luogo strategico nella strada tra il sud della penisola araba a ed i paesi del mediterraneo: un luogo di sosta e di commerci. Prima di recarci al posto che abbiamo prenotato per la notte decidiamo di fermarci alla città vecchia di Al Ula, che è di strada. C’è molto traffico e tanta gente in giro: pare che sia una usanza quella di festeggiare per le vie della città.

Troviamo finalmente parcheggio e ci avviciniamo alla città vecchia. Da un lato della strada, nel palmeto, i resti delle vecchie case di pietre, fango e paglia; dall’altro lato, i vecchi edifici sono stati ricostruiti mantenendone le caratteristiche e l’effetto è spettacolare. Vicoli, abitazioni, negozi, locali, tutto rigorosamente in stile: uno spettacolo. Tantissimi giovani in giro, alcune ragazze – sono tutti gentilissimi- si fermano a parlare con noi, evidentemente contente di vederci con il volto ed il capo scoperto. C’è musica, bandiere, canti, e tutte e tutti nei costumi tradizionali: un’atmosfera incredibile. Ceniamo al Garden Terrace, proprio nel centro della confusione, e mangiamo davvero molto molto bene, peraltro serviti rapidamente.

Ultima tappa: l’appartamento prenotato per la notte. Il nome della strada è irripetibile ed anche impossibile da scrivere, per fortuna l’host ci ha dato le coordinate GPS. Si tratta di una grande casa nella periferia di Al Ula, dotata di più appartamenti, in uno dei quali vivono anche i proprietari. L’appartamento è enorme: tre camere, due salotti, una cucina e due bagni. Le stanze sono spaziose ed arredate con un gusto un po’ pacchiano, ma fanno decisamente un grande effetto. I bagni tuttavia… orrore! Piccoli, vecchi, con la turca, e con pochissima carta igienica. Per fortuna domattina presto ce ne ripartiamo.

Giorno 5 – Hegra e Yanbu

hegra

Al mattino successivo abbiamo appuntamento al winter park alle 9.30 per l’escursione a Hegra, prenotata con anticipo su ALULAEXPERIENCE. I chioschi dove speravamo di fare colazione sono ancora chiusi e troviamo dunque un bar fuori dal Parco, a poca distanza (Lovers’ Café). Il pullman per Hegra fa cinque tappe dentro la zona archeologica, una più bella dell’altra (a parte l’ultima che è assolutamente inutile, vengono mostrate quali erano le tecniche di cottura del fango per la realizzazione dei manufatti; è però utile per una sosta in bagno). Prima di iniziare il tour vero e proprio, l’immancabile sosta al gift shop dove vengono altresì offerti succhi e frutta candita.

Hegra è magnifica. Nella giornata assolata e tersa si stagliano le rocce dalle forme bizzarre, sulle quali sono scolpite colonne e simboli: sono gli ingressi delle tombe nabatee. Una sorta di piccola Petra, dicono, che in effetti è figlia delle stesse ma i e delle stesse tradizioni. Le tombe sono davvero bellissime, tutta la pianura ne è costellata ma solo alcune sono visitabili. Un’esperienza indimenticabile. Finito il giro sono già le 12.30. Proviamo ad accedere al Maraya concert hall, dove dicono si trovi un enorme specchio che replica la bellezza del paesaggio circostante, ma non avendo la prenotazione purtroppo non veniamo fatti entrare. Decidiamo di rifermavi a pranzo nello stesso ristorante della sera prima (che tuttavia ha posto solo all’aperto e senza tendoni, e con 25-26 gradi non è il massimo. Ma il cibo è buono). Vediamo dunque la città vecchia di Al Ula alla luce del giorno e con meno persone, e resta affascinante. Ci avventuriamo anche nella zona del palmeto, dove sono stati ricostruiti sentieri e casupole tra le piante e gli orti. Davvero molto bello.
 Salutiamo la splendida Al Ula e le sue altissime montagne diretti verso il Mar Rosso. Incontriamo un deserto quasi lunare, con colline nere di pietrisco scuro e pianure con rari cespugli; qua e là rari edifici per il ricovero delle greggi. La strada davanti a noi è un rettilineo che si perde nell’orizzonte. Incontriamo pochi piccoli villaggi malmessi, con basse case cubiche e cisterne sul tetto, piccole botteghe misere e stazioni di servizio abbandonate. Per strada non si vede anima viva tuttavia sono immancabili gli spazi gioco per i bambini e, sulla strada, i fastidiosissimi ed affatto segnalati dossi. Nella piccola città di Al Ais, come una cattedrale nel deserto, un imponente spazio gioco per i più piccoli ed alcuni edifici maestosi. Nella luce del tramonto risalta la sorta di peluria che ricopre buona parte del terreno: piccole piantine bianche e pelose che non avevo mai visto. Il tramonto è di un’arancione acceso sul quale si stagliano i profili aguzzi delle montagne.

Cala la notte, ancora la meta è lontana. Alta nel cielo una mezzaluna rovesciata rispetto a come siamo avvezzi a vederla, con la gobba cioè verso il basso, e sotto di essa, perpendicolarmente, due pianeti: come un ciondolo nel cielo che è ancora blu sebbene molto scuro. Fortunatamente la guida nel buio dura poco: ad oltre 60 km da Yanbu parte un lunghissimo viale illuminato di bianco e di blu, che ci accompagnerà fino a destinazione. Più ci si avvicina alla città più le botteghe diventano negozietti prima e mall poi, appaiono i fast food e tornano le stazioni di servizio. Le case sono sempre meno “sgarrupate”, almeno all’apparenza, e gli edifici cominciano a svilupparsi in altezza.

Lasciamo i bagagli al Canary Beach hotel, sito vicinissimo al porto ed al “centro storico”. Ci assegnano una suite con due camere da letto, arredata in modo pacchiano e dove dominano marmo e color oro, però è comoda ed ha un buon rapporto qualità-prezzo. Anche qui tuttavia i due bagni lasciamo un po’ a desiderare, ma niente di grave. L’hotel è vicino al “centro storico”: in pratica parte della zona che è stata rifatta, edifici bianchi con rifiniture lignee scure, un effetto molto grazioso. La zona immediatamente dietro il centro storico, invece, è decisamente brutta: case sgarrupate, cortili con auto scassate e rifiuti. Nella “zona storica” è inoltre presente un night market: in pratica tanti piccoli chioschi dove acquistare cibo o profumi o farsi scrivere il nome in arabo con un’infinità di arzigogoli. C’è molta gente in giro, luci, profumi: è giovedì sera, del resto, e c’è persino uno spettacolo musicale tradizionale. I ragazzini e le ragazzine giocano nelle aiuole tra le pale, scalzi, mentre le madri in niqab bevono tè sedute su tappeti. Un paio di sculture di dubbio gusto segnano l’inizio e la fine della historical Yanbu che e sovrastata da una nave da crociera ormeggiata nel porto. Immensa ed inquietante.
Molte ragazze ci fermano e ci salutano in inglese, ci toccano e ci fanno domande, ci fanno complimenti invidiando il nostro capo scoperto e l’abbigliamento senza abaya pur se assolutamente modesto e pudico. Ceniamo molto bene al ristorante di pesce Almarsah, in uno stabbiotto tradizionale ma seduti al tavolo, proprio in piazza e ce ne torniamo in hotel molto tardi.

Giorno 6. Direzione Jeddah

jeddah

Partiamo da Yanbu percorrendo una strada lunghissima e diritta che costeggia il mar rosso, che tuttavia solo ogni tanto si mostra in lontananza alla nostra destra. Prima di partire benzina e colazione ad uno dei chioschetti della stazione di servizio: il cappuccino è buono, il cornetto al formaggio invece no. Fortuna che abbiamo ancora i biscotti ed i salatini acquistato – insieme all’acqua – a Riyad. Sulla costa numerose e imponenti raffinerie ed i loro fumi rendono opaca la linea dell’orizzonte. Alla nostra sinistra la pianura – incredibilmente di colore verde tenero-termina in lontane montagne. Ben presto tuttavia il paesaggio cambia e torniamo a vedere il piatto deserto che avevamo visto fuori da Riyad, con dune basse e cespugli. Arriviamo a nord di Jeddah verso mezzogiorno e, avendo deciso di fare un bagno nel Mar Rosso, ci mettiamo alla ricerca di una spiaggia per occidentali, dove cioè io e la mia amica si possa non indossare un burkini. i resort di questo tipo sono tutti vicini ma la maggior parte di essi è chiusa o solo per i soci. Intorno ai vialone che stiamo percorrendo, bassi edifici moderni e molte case in costruzione, nessun grattacielo per adesso. Troviamo finalmente un posto, il Jeddah Waves. Si entra pagando circa 50 euro in tre (curiosità: per l’uomo sono 91 sar, 55 per le donne). Niente di che: musica troppo alta, nessuna spiaggia ma solo la possibilità di buttarsi in mare da una piattaforma, lettini in corda piuttosto scomodi. Le cabine per cambiarsi non ci sono, bisogna farlo in bagno, ma c’è la possibilità di usufruire gratuitamente delle strutture sportive. L’acqua è abbastanza pulita e non troppo fredda, ma niente a che vedere con l’altra sponda: qui nessuna barriera corallina, il fondale è sabbioso. Pranziamo al chiosco interno alla struttura a base di junk food, atteso che non offre molto altro. Nel pomeriggio la struttura va riempiendosi, anche molti giovani del luogo in abiti occidentali, comprese un paio di ragazze in bikini e pareo. La temperatura è gradevolissima e c’è un bel venticello, si sta bene e ci si rilassa un poco. Peccato che il vento ed il mare di conseguenza increspato non rendano appetibile la gita in barca al reef, non avrebbe senso spendere oltre 400 sar per poi non godersi l’esperienza.

Scendiamo a sud e raggiungiamo il nostro hotel, sito nella prima periferia nord. Come Riyad, Jeddah è una città sterminata, che si estende per chilometri e chilometri. Orchid Suites è un hotel carino, che sorge non lontano da un fiordo naturale sul quale vediamo tramontare il sole al nostro arrivo. L’appartamento è nuovo e spazioso. I bagni sono anch’essi nuovi, peccato che anche stavolta le docce siano aperte, nel senso che quando ci si lava si fa un lago d’acqua in terra, con l’aggravante che il progettista non ha pensato alla pendenza del pavimento. Vabbè. Del resto costava sorprendentemente poco, non abbiamo di che lamentarsi. Dopo una sosta veloce in camera, decidiamo di cominciare a visitare la città avvicinandosi al centro di Jeddah. Aumentano le costruzioni moderne ma i grattacieli restano comunque abbastanza rari. Gli edifici non hanno comunque caratteri avveniristici. È un susseguirsi di strade, centri commerciali, hotel, negozi, banche, moschee, uffici, tutti illuminati di vari colori, in un tripudio di bandiere verdi. Il traffico è molto sostenuto, soprattutto vicino al centro storico e sul lungomare (corniche). Del resto è venerdì sera, sono tutti in giro. Nei giardini e sul mare crocchi di persone sedute su seggioline o su tappeti, bambini che scorrazzano, bancarelle di dolci. Poche donne col niqab, molti uomini in vestiti occidentali.
Rispetto al resto del paese, qui guidano davvero male, il mio amico alla guida non può permettersi alcuna distrazione. Il traffico non aiuta, e neppure i cantieri e le numerose deviazioni.
Jeddah è piena di sculture, molte collocate nelle rotonde. Alcune un po’ pacchiane, altre molto belle. Tra queste ultime le 4 lanterne, ad esempio, o il globo terrestre, o il car accident cube, o il magic carpet.

Anche lungo la Corniche ci sono numerose sculture. Non riusciamo tuttavia a trovare parcheggio, davvero stasera c’è una gran confusione di persone in giro (qualcuno attraversa la strada anche in modo estremamente imprudente), e ci limitiamo a corteggiarla ad passo di lumaca. Anche la città vecchia è inaccessibile causa traffico, la vediamo in lontananza appoggiata sull’acqua del fiordo che ne riflette i colori e le luci. Decidiamo dunque, dopo questo giro infruttuoso, di riservare la visita al giorno successivo e torniamo verso l’albergo. Comunque, già ad una prima occhiata, ci pare che Jeddah sia una bella città, ben più interessante di Riyad. Ceniamo nelle vicinanze, vicino alla Farsi tower, nel ristorante Al Sunobra. Prendiamo shawarma ed insalata orientale: tutto molto buono, tuttavia le porzioni sono fin troppo generoso e facciamo anche stavolta molti avanzi, ahimè. Il maître è una persona squisita e gli lasciamo una bella mancia.

Giorno 7. Jeddah

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Decidiamo di fare colazione al Dijon, in un posto sciccosissimo vicino all’hotel, anche per finire i rial: a questo proposito, la guida Lonely diceva di cambiare molti rial perché in pochi accettano la carta. Non è così, o comunque non lo è adesso (la guida è del 2018), abbiamo anzi fatto fatica a finire il contante poiché in alcuni posti accettano solo la carta (ad es. nello stabilimento sul mar Rosso). Contanti ci sono stati chiesti solo per il pernottamento in Al Ula e da un benzinaio, che aveva il pos momentaneamente rotto. La colazione è cara ma ottima.

Ripartiamo verso sud, per recarci nella città vecchia. Le strade sono finalmente sgombre di traffico e possiamo goderci (e fotografare) le varie sculture poste lungo la strada, con la luce del mattino. Arriviamo nella città vecchia ed entriamo nel souq. Le botteghe sono poste al piano terra di edifici aventi i tipici caratteri arabi, con le finestre ornate da aggetti lignei intarsiati, che consentivano di guardare fuori senza essere visti: per lo più di colore scuro, più raramente verdi o azzurri. Molte costruzioni sono diroccate ed in via di rifacimento, altre sono state già restaurate
Entriamo nel Coffee Museum di fronte alla moschea, un locale che consente di vedere come fossero le case all’interno. L’ingresso presenta una porta lignea intarsiata, un soffitto decorato a pittura è una lanterna araba. Al piano superiore tappeti, tavolini bianchi e poltroncine ricoperte di tessuti colorati. Prendiamo un caffè arabo con datteri ed osserviamo il cameriere che c’è lo serve con movimenti precisi e rituali. Il profumo di cardamomo ci inebria, il caffè è buonissimo. Riprendiamo a girellare per la città vecchia, perdendosi nei vicoli popolati di gente ed entrando nei negozi di civaie, di incendi e profumi, di abiti tradizionali, di bigiotteria.

La città vecchia è bellissima, affascinante. Visitiamo anche una casa tipica (non la Naseef house, segnalata dalla guida, perché chiusa), a più piani, con salottini dai tappeti e dai divani colorati.
Jeddah è città di gatti, ce ne sono moltissimi a differenza di Riyad. E sembra che la popolazione locale voglia loro bene, per quanto siano piuttosto sciupati: assistiamo ad un pronto salvataggio di un gattino rimasto appeso ad una persiana del primo piano da parte di un negoziante. Si è fatta l’ora di pranzo e ci rechiamo sulla corniche, dove abbiamo deciso di mangiare. Al Saedi fish restaurant si mangia davvero bene, si scelgono i pesci da una lunga vetrina che vengono cotti al momento. Veniamo colpiti dall’elevatissimo numero di camerieri (in generale comunque c’è sempre abbondanza di personale: nei locali, nei cantieri, tra i netturbini). Durante il pranzo arriva incessante dalla tv la voce del muezzin: la trasmissione mostra i fedeli in preghiera alla Mecca, di cui possiamo dunque ammirare la maestosità e vedere il curioso rituale del continuo girare a circolo attorno alla tomba del Profeta. Usciamo nel sole e nella bellissima luce del primissimo pomeriggio. Il mare è davanti a noi, la Corniche si estende per chilometri coi suoi giardini e le sue sculture: la percorriamo in parte, si sta bene poiché c’è una brezza piacevole nonostante il sole. Le sculture sono belle e qua e là famiglie siedono all’ombra mangiando qualcosa o sorseggiando del the. Una grande moschea bianca con due minareti si appoggia su un grande piazzale posto sulla riva, proprio in fondo al fiordo naturale. Poco più avanti cerchiamo lo Sculpture Park, un parco all’aperto con opere di Mirò, Pomodoro ed altri: purtroppo ci sono lavori di ristrutturazione e le opere sono state spostate, restano i basamenti azzurri nel giardino che sovrasta il mare.

Ripartiamo per le ultimissime tappe, riattraversando verso nord la città, che in generale e bella e ben tenuta. C’è moltissima polizia in giro, e tanti tanti controlli di velocità, che tuttavia ad sui viali può essere anche molto elevata. Facciamo un salto al Centro culturale Al Tayebat: un enorme edificio in stile arabo, che ospita una moschea ed un museo. Lo guardiamo dall’esterno poiché il museo apre solo più tardi, è comunque una tappa davvero piacevole. Il palazzo è molto “mosso”, tra torrette, minareti, terrazzi, finestre e balconi lignei. Risalendo ancora verso nord decidiamo di fermarci alla cosiddetta moschea galleggiante, ovvero la moschea Alrahmah che sorge proprio in riva al mare: purtroppo, a causa di un grosso cantiere (non segnalato) è chiusa. Ci apprestiamo a cercare un distributore prima di riconsegnare l’auto e, sempre secondo la legge di Murphy, facciamo fatica a trovarne uno. Appena fatta benzina, ovviamente, ne troviamo poi diversi. Cerchiamo di capire dove sia il punto di riconsegna dell’auto: guardiamo su internet e seguiamo le indicazioni. In realtà veniamo portato al punto dove le auto riconsegnate vengono lavate. Un operatore gentile si offre di portarci al luogo di riconsegna e poi al nostro terminal.

La riconsegna dell’auto avviene prende un bel po’ di tempo: il tizio ci fa storie per un pneumatico a suo dire rovinato ma soprattutto vorrebbe applicarci condizioni diverse da quelle pattuite. Dopo un po’ di discussioni viene trovato un accordo, paghiamo per la ruota e per i km in eccesso. A questo punto dobbiamo andare ad imbarcarci. Il problema dell’aeroporto di Jeddah è proprio questo: esiste un vecchio aeroporto, decisamente piccolo e bruttino, ed un nuovo aeroporto, nuovissimo e molto grande; entrambi hanno lo stesso nome e servono sia i voli domestici che internazionali. La sera prima avevamo tentato di fare il check-in on line ma, come per l’andata, il sistema ci ha chiesto di presentarci al gate. Il mio amico aveva solo una ricevuta sul telefono che non specificava bene il luogo dell’imbarco né era indicato il terminal di partenza sul sito dell’aeroporto.
La riconsegna dell’auto era avvenuta nell’aeroporto nuovo ma probabilmente il volo sarebbe partito da quello vecchio, ad una ventina di minuti di distanza. Dici probabilmente perché – ripeto- non era chiarissimo. Decidiamo di tentare ed andiamo al vecchio aeroporto, chiedendo al signore che ci accompagnava di attendere un attimo fuori per darci il tempo di verificare che fossimo nel terminal giusto. Per fortuna è stato così e non siamo dovuti tornare indietro. Alla fine, dunque, partire con anticipo si è rivelata una buonissima scelta. Al check-in in ci assegnano dei posti centrali, sebbene avessimo prenotato posti davanti. Il volo, schedulato per le 22.20, è in orario: veniamo fatti salire un po’ alla rinfusa e senza particolari formalità. La solita confusione per la messa dei bagagli nelle cappelliere e poi si parte con un poco di ritardo, che verrà recuperato, tanto che atterriamo con cinque minuti di anticipo (1.35 ora italiana). Spesa totale, compresa autostrada e benzina per rientrare in Toscana: 888 euro pro-capite.

Ciao Arabia, sei stata una scoperta. Sei un paese in cambiamento, chissà se tornerò a vedere tutte le novità che saranno state introdotte. Certo, a cose fatte, volerei su Jeddah e mi limiterei a muovermi su Al Ula e, mi dicono, Tabuk ed i suoi dintorni, ma non posso valutare. Ora pensiamo al prossimo viaggio.

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