Anatolicamente parlando
Avendo effettuato la prenotazione via e-mail dal sito dell’ostello (www.istanbulhostel.net) eravamo certi di avere il nostro lettuccio già bello pronto per noi e invece non è andata così. Le prenotazioni effettuate direttamente dal sito menzionato non sono vincolanti, quindi occorre riservare da questo sito: www.hostelbookers.com e pagare una piccola percentuale del costo della camera, o del posto letto, tramite carta di credito; cifra che poi verrà scalata una volta saldato il prezzo del pernottamento. Quindi non avendo un posto per dormire e del tutto ignari di questo complicato sistema di prenotazione i receptionist dell’Istanbul Hostel ci trovano due posti letto in un altro ostello nelle vicinanze. Trattasi del Best Island Hostel, che a parte una discreta vista sul retro di Santa Sofia e un po’ di buona compagnia, non mi sento proprio di consigliare. Ci sistemiamo in una sorta di scantinato e cominciamo ad organizzarci per la prosecuzione del viaggio. Il giorno dopo infatti vorremmo partire per la Cappadocia per poi ritornare ad Istanbul negli ultimi giorni del nostro viaggio (momento in cui parlerò più approfonditamente della città). Scopriamo così che il nostro ostello, lo fanno tutti gli alberghi del Sultanhamet, organizza delle navette che portano i loro ospiti direttamente all’ “otogar” (parola turca che significa “stazione centrale degli autobus”, capite che è molto più semplice “otogar”…) a prezzi veramente decenti. Perfetto! Prenotiamo il nostro posto sulla navetta per la Cappadocia direttamente in ostello e dopo una doccia siamo pronti per la cena. Scegliamo un ristorante che si rivelerà essere il nostro preferito e in cui torneremo spesso anche se i prezzi non sono esattamente economici, ma tutto è curato e stiloso: lucine appese agli alberi, bagni in stile simil-ottomano, Nazar Boncuk (gli onnipresenti “Occhi di Allah”, portafortuna di vetro raffiguranti un tondo occhio azzurro) in ogni dove. Per non parlare della cucina veramente superba; insomma, da provare – House of Medusa (yerebatan n.19 sultanhamet Istanbul). Il giorno dopo, una lunga camminata ci fa scoprire alcune delle mille facce di questa città tentacolare ed immensa e poi alle 18 balziamo sulla navetta che ci porta all’otogar, dove verremmo scortati direttamente al nostro autobus da un signore della compagnia che parla un discreto inglese. Il viaggio, che dura otto ore e si svolge di notte, sarà confortevole come tutti i nostri viaggi in Turchia in virtù dei sedili comodi, del personale gentile, del the turco e dell’acqua serviti regolarmente, del pasticcino mattutino e dell’acqua di colonia per rinfrescarsi. Ci si ferma anche in comodi autogrill e in queste pause l’autobus viene completamente lavato. Che vuoi di più!!! Arriviamo in Cappadocia, più precisamente a Goreme, di mattina presto e intravediamo già le mongolfiere che portano i turisti a vedere dall’alto quest’autentico spettacolo della natura. Per trovare un albergo la procedura è semplicissima; direttamente nella piazzetta in cui si ferma l’autobus si trova l’ufficio del turismo dove una persona telefonerà all’albergo scelto per verificare se vi sono posti disponibili. Se è tutto a posto basteranno un paio di semplici indicazioni per arrivare a destinazione (Goreme non è certo Istanbul!), voilà: il gioco è fatto. Infatti una delle cose che impariamo subito è che qui viaggiare è facile. Raggiungiamo quindi il nostro hotel (Dora Hotel) che non è scavato all’interno di uno dei caratteristici “camini delle fate” della Cappadocia ma è comunque realizzato in tufo ed è dotato di una grande terrazza da cui godiamo una vista stupenda. Tutti gli alberghi e gli ostelli in Turchia offrono sempre la prima colazione che qui è costituita da the (rigorosamente nero e forte), uova sode, marmellata o miele, un buon pane che ricorda una po’ una focaccia, del formaggio fresco tipo feta, olive, pomodori e cetrioli. Non male no? Dopo aver rimpinzato lo stomaco, sonnecchiamo un po’ in terrazza aspettando che la nostra camera venga liberata e riassettata e intanto ci godiamo quello che ci aspetterà nei prossimi giorni: la Cappadocia, una regione fuori dal tempo con bizzarre formazioni rocciose che non finiscono di stupirci. È tutto un susseguirsi di valli ora rosse, ora bianche, ora rosa e una leggera brezza spira costante. Dopo una rapida doccia siamo pronti per esplorare il museo all’aperto di Goreme che consiste in una serie di chiese rupestri scavate nella roccia (simili a quelle che si trovano nei dintorni di Matera) dove le pareti sono state affrescate magnificamente in stile bizantino e dove trovavano dimora le prime comunità cristiane. Il costo è di circa 7 Euro – 14 Lire Turche e ne vale veramente la pena, anche se sarebbe più consigliabile andarci la mattina presto, per evitare le numerosissime comitive che visitano il museo in ogni momento dell’anno. Dopo la visita al museo all’aperto, ci dedichiamo alla cosa migliore che si possa fare in Cappadocia: vagare a piedi per le vallate. Una serie di sentieri non proprio chiaramente indicati vi permetteranno di esplorare questo meraviglioso angolo di mondo, dove tra un gigante roccioso e una serie di guglie quasi gotiche, ecco spuntare orti dove abbondano alberi di fico e di melograno e tanta, tantissima vite che cresce raso terra. Non raccogliete nulla però, gli orti appartengono a piccoli coltivatori diretti che vivono solo del frutto della propria terra e non sono affatto in vacanza. Quindi, dopo aver camminato per kilometri, ritorniamo a Goreme e ci prepariamo per la cena. Un tempo in Cappadocia l’economia locale si basava su prodotti locali, costituiti da frutti e ortaggi e dal guano raccolto nelle piccionaie scavate nei comignoli di roccia delle valli, ora è il turismo a farla da padrone e quindi la via principale di Goreme è un susseguirsi continuo di ristorantini e negozi di tappeti. Niente di chiassoso comunque, credo che anche il gitante più chiassoso sia reso mansueto dalla pace che regna sovrana da queste parti. Ci sono localini dove vi delizieranno con ottime spremute di frutta e squisiti kebab, consiglio comunque il vino della Cappadocia (niente male) e il “güveç”, una sorta di stufato che viene servito in un recipiente di terracotta, aperto con un colpo di sciabola proprio sotto i vostri occhi. Molto scenografico! Il giorno seguente decidiamo di visitare le città sotterranee di Derinkuyu e Kaymakli e come è nostra consuetudine evitiamo le agenzie turistiche e prendiamo un autobus di linea. Non ce ne sono di diretti verso queste località, ma è necessario cambiare a Nevşehir. Niente di impossibile, basta pronunciare il nome della destinazione e il gentile autista vi farà scendere nel punto giusto. Arrivati a Derinkuyu ci rechiamo nella città sotterranea e una volta pagato il biglietto (circa 3,50 Euro – 7 Lire Turche) eccoci nel sottosuolo. Infatti qui le popolazioni locali nei secoli antichi, per sfuggire alle continue razzie, si erano ricreate un vero e proprio mondo sotterraneo con zone per la cucina, scuole, luoghi di culto e spazi vari. Ma ancora meglio di Derinkuyu è Kaymakli (distante alcuni kilometri dalla precedente e raggiungibile con un altro autobus), la più grande città sotterranea della Turchia, costituita da ben 10 strati, di cui 8 aperti al pubblico. Un paio di avvertenze: occhio alla testa, io ho tirato delle capocciate incredibili, e se è possibile andate di primissima mattina, perchè altrimenti dovrete vedervela con numerosissime comitive di turisti e lo spazio a disposizione non è molto. Affascinante anche il villaggio di Kaymakli, quello in superficie intendo, che sembra essere rimasto immobile nel tempo. Il giorno dopo ci concediamo ancora una bella passeggiata, che in alcuni punti è diventata una scalata, per le valli ricche di pinnacoli che circondano Goreme e la sera, di fronte ad una bella spremuta di melograno, decidiamo che l’indomani ci sposteremo ad Ürgüp che tutti dicono essere stupenda, forse anche meglio di Goreme. Smentisco, per noi è una delusione. La cittadina di Ürgüp è più grande di Goreme ma non ha affatto il fascino di quest’ultima e i percorsi per il trekking praticamente non esistono, ma sappiamo come consolarci. Una piccola chiesa cristiana bizantina con pianta a croce greca ora è stata trasformata in un bagno turco e per la cifra ridicola di circa 10 Euro (20 Lire Turche) potrete fare un rilassante bagno di vapore e godere di un ottimo massaggio corroborante con tanto di scrub. Ci si sente ringiovaniti di 10 anni e il posto è molto suggestivo. Il giorno seguente inizia il nostro viaggio verso la costa e proprio ad Ürgüp prendiamo un autobus che viaggia di notte e che la mattina del giorno dopo ci lascerà a Olympos, sulla costa Licia. Devo confessare che avrei fatto una tappa intermedia a Konya, importante città anatolica che ha dato i natali al mistico Djaläl al-Dï al-Rümï, detto Mevlana, il fondatore dell’ordine dei dervisci rotanti, figure che mi hanno sempre affascinato, però per problemi di tempo e di organizzazione di autobus non ce l’ho fatta; peccato sarà per la prossima! Comunque, durante il nostro viaggio verso il mare facciamo conoscenza con una coppia di ragazzi romani assai simpatici che reincontreremo in varie fasi del nostra permanenza in Turchia e alla mattina eccoci catapultati in un paesaggio totalmente diverso, pieno di boschi di pini. Inoltre, ad una tappa intermedia lungo il tragitto, vediamo per la prima volta delle strutture che saranno parte integrante della nostra permanenza sul litorale. Trattasi di pedane di legno rialzate da terra, dotate di un baldacchino e arredate con dei bellissimi cuscini su cui ci si può sdraiare: la quintessenza del relax. Verso le 11 del mattino arriviamo a Olympos, una riserva naturale cosparsa di boschi meravigliosi dove non è possibile costruire in cemento. Infatti le strutture alberghiere (molto spartane devo dire) sono tutte realizzate in legno e noi optiamo per la più freakkettona di tutte: il Kadir’s Treehouse. Questa sorta di villaggetto per backpackers è famoso per le sue case sull’albero, noi scegliamo subito di pernottare in una di queste, ed è inoltre dotato di due bar, una discoteca, un campo da beach volley e circa 7.000 tra anatre, galline, pavoni e fagiani che gironzolano indisturbati. Sono anche comprese colazione e cena nel prezzo della camera, veramente ridicolo, e forse l’unico problema, se avete problemi di sonno leggero, sono i bassi della discoteca di cui io mi sono a malapena accorto, essendo in grado di dormire anche durante un bombardamento…Arrivati e sistemati, già muoriamo dalla voglia di fare un bagno e così ci dirigiamo verso la spiaggia che dista circa 10 minuti dal Kadir’s Treehouse. Come avevo detto Olympos è una riserva naturale, ma non solo, infatti vi si ritrovano i resti dell’omonima città che in epoca Licia e romana rivestiva una certa importanza. Per arrivare alla spiaggia si deve pagare una piccola quota e nel percorso ci si imbatte nelle rovine di alcuni antichi edifici, tra cui un tempio, un teatro, un’acropoli e per ultimo, proprio a pochi metri dalla spiaggia il sarcofago del Capitano Eudomio, che presenta una commovente iscrizione dove la morte del glorioso capitano è paragonata ad una nave che attracca per l’ultima volta. Atrettanto stupefacente è la spiaggia di Olympos con il suo mare cristallino, la sabbia fine, i boschi lussureggianti alle spalle e la punta del monte da cui la località prende il nome che si staglia all’orizzonte. Mentre cominciamo già a cambiare colore decidiamo di fare una gita di 4 giorni in caicco (la classica imbarcazione turca). Noi abbiamo prenotato direttamente ad Olympos, al banco informazioni di un’agenzia (V-GO , tel. +90 252.612 21 13) che abbiamo trovato proprio sulla via per la spiaggia. Trascorriamo ancora un paio di giorni ad Olympos dove abbiamo vissuto di spiaggia, mare, meloni bianchi ripieni di gelato, colazioni con goleme (una specie di crepes) di cetrioli e pomodori, Raki (un liquore tipico a base di anice) bevuti nei baldacchini di cui prima e abbiamo partecipato anche ad una interessante escursione organizzata dallo staff del Kadir’s Treehaouse per vedere un bizzarro fenomeno naturale: la Chimera. Narra un’antica leggenda che l’eroe greco Bellerofonte, a cavallo del suo destriero alato Pegaso, sconfisse il terribile mostro sputafuoco Chimera, un terribile incrocio tra una capra, un leone e un serpente, in un luogo vicino ad Olympos . Però ancora oggi la Chimera fa uscire le sue fiamme dalle rocce di questa spianata vicino alla località di Çıralı. In realtà si tratta di emanazioni di gas metano dal terreno che si incendiamo al contatto con l’ossigeno. Veramente uno spettacolo, soprattutto di notte. Dopo tutte queste meraviglie, il giorno determinato ci è venuto a prendere un pulmino che ci ha portato ad un porto nelle vicinanze e da lì io, Giulio e un simpatico gruppetto formato da alcune ragazze romane e da cinque ragazzi/e australiani/e siamo salpati con il nostro mitico caicco per una quattro giorni indimenticabile dove abbiamo toccato alcune delle più belle baie della costa Licia che elenco nell’ordine in cui le abbiamo viste: Demre, Saklı Kent, Krale Kȏy, Kekova, Koca Kari Bey, breve sosta alla località di Kaș poi proseguiamo per Firnaz Bey, Keiebekler Vadisi, Ȏlȗdeniz, e nei pressi di quest’ultma località abbiamo attraccato in un posto meraviglioso: la valle delle farfalle. Questo paradiso, gestito in modo veramente sostenibile da alcuni ragazzi turchi e non solo, si apre in una baia meravigliosa raggiungibile solo dal mare, dove si può anche pernottare in alcune tende o piccoli bungalow. Posto assolutamente imperdibile! Il giorno successivo approdiamo definitivamente a Fethye, dove abbiamo salutato gli altri membri dell’equipaggio con cui abbiamo condiviso albe e tramonti mozzafiato, la succulenta cucina del cuoco del caicco, le risate fatte con il Capitano e il suo mozzo, Doner, e ottimi bicchieri di vino bianco sorseggiati sotto cieli stellati. Insomma, ad un prezzo veramente irrisorio (circa 140 Euro – 280 Lire Turche) ci siamo concessi un lusso di prim’ordine. Da Fethye io e Giulio siamo tornati a Kaș, intenzionati a prendere il traghetto che collega la costa turca con la piccola isola di Kastellorizo (Meiz per i Turchi), dove Gabriele Salvatores nel 1991 ha girato quel bel film che è “Mediterraneo”. Purtroppo scopriamo che l’ultimo traghetto partiva alle 16 del pomeriggio, mentre noi siamo arrivati esattamente un’ora dopo. Pazienza, partiremo il giorno seguente e passeremo la serata a Kaș che è un po’ turistica dozzinale ma grazie ad un bel locale vicino all’imbarco del traghetto per Kastellorizo ascoltiamo ottima musica in un’atmosfera veramente amichevole. Pernottiamo in una accogliente pensioncina che offre ai suoi ospiti una colazione abbondante e buonissima (Pensione Ateș, Yeni Camii Caddesi 3 www.atespension.com). Il giorno dopo siamo pronti per prendere il primo traghetto disponibile, prima però bisogna consegnare il proprio passaporto agli adetti della dogana che hanno un banchetto nei pressi dell’imbarco per tutte le procedure di rito. In venti minuti siamo in Grecia e dopo aver trovato alloggio alla pensione Alexandra e aver bevuto un paio di birrette al porto mentre guardiamo le tartarughe marine far capolino dall’acqua, prendiamo un taxi-barca e ci facciamo portare alle Plakas, una sorta di spiagge di calcare in cui ci rilassiamo, tuffandoci dagli scogli e godendoci il meraviglioso sole greco, che poi è anche quello turco e di tutto il resto del mondo. La sera ceniamo in un posto speciale: al ristorante dove sono state girate alcune scene del film di Salvatores, che si trova in una piazzetta molto pittoresca e dove la proprietaria, una signora che parla italiano, ci ha servito una Mussaka da antologia e ci ha mostrato entusiasta le foto del film. Atmosfera popolare e rilassata, una tappa essenziale! Kastellorizo era solo un’isoletta di pescatori prima che vi venisse girato il film vincitore di un premio Oscar, ora invece fa parte dell’itinerario toccato dalle crociere che si svolgono nel Mediterraneo orientale, ma basta fare una passeggiata nelle bianche e tortuose vie del paesino e, se si ha un po’ di fiato in più, partire per un’esplorazione degli altri lati dell’isola per rituffarsi nell’atmosfera tipica di una piccola isola del mediterraneo, insieme accogliente, selvaggia e misteriosa. Solo una cosa, i prezzi sono ben più alti che in Turchia, qui siamo in Europa!! Ritornati a Kaș ci ributtiamo nel nostro locale preferito e poi prendiamo un autobus notturno che parte alle 21.30 per arrivare alle 5.30 di mattina (con un cambio a Aiydin alle 4) a Selçuk, dove mezzi assonnati troviamo la ANZ Pensiyon (Sokak 12), dove ci accolgono a braccia aperte e soprattutto ci forniscono un bel letto comodo che desideravamo tanto. Dormita rinvigorente e poi si parte alla volta di Efeso. Eh sì, perchè il meraviglioso sito archeologico dove si trovava l’antica capitale della colonia romana dell’Asia Minore è proprio a due kilometri circa da Selçuk. Così dopo una bella passeggiata lungo un viale alberato arriviamo al sito, paghiamo il biglietto d’ingresso (circa 7 Euro – 14 Lire Turche) e ci immergiamo nel passato. Si possono visitare un gigantesco anfiteatro, la biblioteca di Celso di cui alcuni archeologi austriaci hanno costruito la stupenda facciata in marmo rosa e molto altro. Tuttavia, mi ha particolarmente colpito il fatto che la pianta del centro della città è perfettamente riconoscibile. Quindi se ci si ferma nella grande via colonnata che portava al mare (Efeso era un importante porto prima che il mare si ritirasse) con un po’ di immaginazione le voci dei turisti di tutto il mondo potrebbero ricordare quelle dei mercanti del mondo antico che popolavano questa città che fu un crocevia di culture, come tutta questa antica terra. Terminata la visita al parco archeologico, Selçuk offre uno spaccato di vita turca interessante, con la gente che gioca all’immancabile backgammon, bevendo the nero e pregando alle ore stabilite, senza farsi mancare una birra o un gelato la sera. Il giorno seguente visitiamo il museo archeologico dove i reperti sono molti e un’intera sala conserva le statue e una ricostruzione dell’antico tempio dell’Artemision i cui pochi resti si trovano nella campagna circostante ed era dedicato alla dea della terra Cibele. Il grandioso tempio era una delle 7 meraviglie del mondo antico, ed ora è quasi completamente scomparso ma deve essere stato impressionante con le sue centinaia di colonne. Nel pomeriggio si prosegue per la moschea Isa Bey Camii, dove i corvi si rincorrono sorvolandone il minareto e infine visitiamo la Basilica di San Giovanni, di cui è rimasto proprio poco. Dopo essersi dedicati all’antico è ora di lanciarsi nel moderno, o quanto meno nell’attuale. E cosa c’è di meglio di un bel giro al mercato domenicale, rumoroso e colorato? Compriamo sacchetti di pistacchi e ceci tostati e gironzoliamo tra le bancherelle finchè, a mercato quasi concluso, ci fermiamo a mangiare benissimo e a prezzi bassissimi al Selçuk Köftecisi, dietro la piazza del mercato, dove bisogna assolutamente assaggiare le polpette!!! La sera stessa ci rechiamo all’otogar per prendere l’autobus delle 23.30 per Istanbul. Il giorno dopo, nel pomeriggio, arriviamo a Bisanzio, ah no Costantinopoli, ma che dico: Istanbul. Scusate ma con tutti i nomi che ha cambiato questa città, ci si confonde…Questa volta finalmente alloggiamo per davvero all’Istanbul Hostel dove incontriamo due nostri amici appena giunti dall’Italia, Valentina e Giancarlo. La serata la trascorriamo sul terrazzo dell’ostello a chiacchierare con il bosforo che si staglia dietro di noi. Il giorno seguente si comincia con la Moschea Blu e poi si parte alla scoperta delle moschee disegnate dal celebre architetto Sinan, durante il regno di Solimano il Magnifico nel XVI secolo. Due di queste mi hanno ugualmente colpito anche se per motivi opposti: la piccola moschea Rustem Pasa Camii, dietro il mercato delle spezie e Salymanie Camii, molto più grandiosa. E poi è la volta dei bazaar: prima quello delle spezie dove veniamo inebriati dai mille profumi e poi quello degli animali e delle piante dove le sanguisughe vendute in boccioni di plastica trasparente sono molto meno inebrianti…Verso il tramonto, ormai esausti, ci rifugiamo sul terrazzo dell’ostello per rilassarci e poi andiamo all’antica piazza dell’Ippodromo, nel centro del Sultanhamet, per lanciarsi nella bolgia. Infatti siamo capitati in Turchia proprio nel mese del Ramadan (Ramazan per i Turchi) dove le famiglie aspettano che tramonti il sole per poter poi banchettare alle molte bancherelle che vendono specialità locali dietro la Moschea Blu. La festa è imperante: ci sono spettacoli, concerti, luci, colori e una massa festante che dopo un po’ abbandoniamo per dedicarci ad uno dei miei passatempi preferiti di Istanbul: fumare l’hashisha tra le tombe. Non pensate male! Lungo la Divan Yolu Caddesi, il viale che taglia a metà il Sultanhamet, ci sono molti cimiteri, con belle lapidi in pietra sormontate da turbanti, anch’essi in pietra, e cosa hanno pensato di farci i simpatici Turchi: sale da the. Qui infatti, illuminati da lampadine colorate è possibile bere un the e fumare il narghilè (detto anche hashisha) su comodi cuscini ricamati. Sembra un po’ di essere Pierre Loti, lo scrittore francese che nel 1877, innamoratosi di un’odalisca deciderà di vivere a Istanbul “all’orientale”. Il giorno dopo cominciamo con una gita in traghetto lungo il Bosforo. Ci rechiamo quindi presso il ponte di Galata per imbarcarci sul traghetto che ci porterà a fare una bella gita lungo il canale che divide l’oriente dall’occidente, l’Asia dall’Europa. Consiglio assolutamente questa bella navigata, dove abbiamo visto i delfini giocare con le onde create dal traghetto, per non parlare dei ponti, dei palazzi, delle fortezze e soprattutto delle case in stile ottomano sopravvissute agli incendi di cui parla il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk nel suo bellissimo libro autobiografico “Istanbul”. Devo dire che è emozionante vedere le acque del canale che si gettano nel Mar Nero e pensare che aldilà di quello strano mare interno ci sono la Russia e la Georgia. Al nostro ritorno, attraversiamo il ponte di Galata e ci gettiamo nel trambusto della Iskimali Caddesi, il corso che attraversa il quartiere di Beyoğlu, sede della vita notturna e artistica di Istanbul. Le vie qui sono a tema: alcune ospitano solo ferramenta, altre unicamente negozi di alimentari, e così via. C’è addirittura una via in cui si trovano esclusivamente negozi di strumenti musicali e dove i musicisti provano dal vivo i loro nuovi acquisti concedendo dei concerti gratuiti veramente spettacolari. Ceneremo proprio a Beyoğlu ed assisteremo alle esibizioni di musicisti che suonano chitarre elettriche e cantano in stile arabesque, con la voce che si perde in mille gorgheggi. Ancora un punto d’incontro tra il vecchio e il nuovo, in questo Istanbul è fenomenale. Ritorno in taxi e la città si rivela in tutto il suo fascino, soprattutto notturno e crepuscolare perchè devo dire che di giorno le costruzioni abusive e i mostri di cemento cozzano un po’ con le moschee antiche. Il giorno dopo si parte con l’intenzione di perdersi al Gran Bazaar. Bene, io che avevo visitato il Marocco mi immaginavo una situazione molto simile a quella di un suq, affollato e maleodorante (non per questo privo di fascino, anzi!) ma qui è tutta un’altra storia; tutto è ordinato e organizzato, sotto le volte affrescate e ben restaurate di questo enorme Bazaar coperto. É giornata di acquisti: ceramiche, gioielli turkmeni, tappeti, cuscini, lampade di vetro colorato. Tutto a prezzi più che dignitosi. Avevo detto che la nostra intenzione era quella di “perdersi”, e devo dire che Valentina ci ha preso troppo in parola dato che dopo un’oretta non la si trova più. La cerchiamo e la ricerchiamo, la chiamiamo anche all’altoparlante, grazie al supporto dei poliziotti che presidiano le porte d’accesso al mercato. Nulla! In extremis proviamo a vedere se per caso è tornata in ostello e guarda un po’ chi ritroviamo….ci aspettava da un’ora. Per riprenderci dallo spavento decidiamo di concederci un bel bagno turco in quello che viene considerato dal New York Times uno dei “1000 posti da vedere prima di morire”, il Cağaloğlu Hamamı. Bhè, visti i prezzi dopo aver visitato questo bagno turco non puoi che morire. Con circa 40 euro ci viene concesso l’accesso al bagno turco e un massaggio corroborante (un po’ violento perchè i clienti sono tanti e si deve fare in fretta). Tutto bello, ci mancherebbe, l’edificio è antico e le colonne hanno capitelli decorati, ci si cambia in cabine che ricordano gli scompartimenti dell’Orient Express, e ti regalano un paio di mutande in omaggio, però la nostra opinione non è delle più positive. Cena in ostello, e spendere poco mi raccomando!! Il giorno seguente è la volta del TopKapı, l’antico palazzo del sultano. I turisti sono molti ma la visita è per me indimenticabile: le stanze, gli arredi, la vita di corte, i gioielli, le piscine; la bellezza è così immensa che ti ammutolisce in alcuni punti. Bello da visitare anche l’harem, dove però bisogna pagare un biglietto aggiuntivo, uff! Si possono anche ammirare alcune reliquie come i peli della barba del Profeta Maometto e anche la verga con cui Mosè divise la acque del Mar Rosso. I punti di contatto tra “noi” e “loro” ci sono eccome, solo che spesso ce ne dimentichiamo…Dopo un altro pranzo al nostro ristorante preferito, il Medusa, salutiamo Giancarlo e Valentina che proseguono per la Cappadocia mentre noi ci fermeremo ancora un giorno a Istanbul. La nostra ultima giornata sul suolo turco è ricca di cose da fare, prima si visita Haya Sophia, la grande cattedrale, poi diventata moschea ed ora riconvertita in edificio storico, fatta costruire dall’imperatore Giustiniano. L’enorme cupola che ti sovrasta ti fa sentire immensamente piccolo e i mosaici dorati in stile bizantino sono meravigliosi. Poco distante si trova la Cisterna Basilica, un enorme cisterna dell’acquedotto romano, riscoperto nel secolo scorso. Devo dire che il posto è veramente romanzesco, con questo grande colonnato illuminato da soffuse luci rosse che emerge da una vasca di acqua bassa in cui nuotano carpe di circa 10 kg l’una. Ci sono anche una colonna in cui occorre mettere un dito in un foro per far sì che si avveri un desiderio e altre due misteriose colonne che poggiano su due teste di Medusa, di cui una girata al contrario. Perchè sono lì? Cosa centrano? Perchè quella bizzarra disposizione? Nessuno lo sa…Attraversiamo poi il ponte di Galata e ci inoltriamo nel quartiere di Tophane dove è possibile visitare l’lstanbul Modern, il maggiore museo di arte contemporanea della città, ma si sa che, essendo l’ultimo giorno, i soldini sono quasi finiti. Proseguendo poi lungo la Dolmabahçe Caddesi, si arriva al quartiere di Beşiktaş dove l’attrazione principale è il Palazzo Dolmabahçe, quella che diventò la nuova lussuosa residenza del sultano a partire dal 1856. Anche qui la visita ci è preclusa dal costo del biglietto, però passeggiare lungo il viale che costeggia il Bosforo non ha prezzo, o meglio non costa nulla, ed è divertente vedere una serie infinita di foto di Atatürk, il padre della patria, fondatore della Repubblica Turca dopo la fine dell’Impero Ottomano, in ogni possibile situazione della sua vita privata e pubblica. D’altronde di “Lui”, come è stato da noi ribattezzato, non si può mai parlar male e il suo volto campeggia in tutti gli esercizi commerciali, senza contare banche, uffici pubblici, ecc…Insomma, ovunque! Durante la passeggiata ci concediamo una sosta rinfrescante al parco di Yildiz ed arriviamo fino al quartiere di Ortoköy, su cui regna una delle più particolari moschee di Istanbul, la Ortoköy Camii, dalla pianta quadrata e posta proprio sotto l’ingresso al moderno Ponte del Bosforo. Si ritorna in autobus, da cui vediamo lo stadio del Beşiktaş, fino in Piazza Taksim e da lì si passeggia per la Iskimali Caddesi, poi ponte di Galata al crepuscolo, con tutti i suoi pescatori improvvisati e infine in ostello per prepararsi, dato che la sera mi aspetta un’esperienza a dir poco spirituale. Infatti, tramite l’Agenzia Les Arts Turcs (Incii Çavuş Sokak 37, Kat 3, Sultanhamet) è possibile riservare un posto per assistere ad una “sema”, la cerimonia di preghiera dei cosiddetti Dervisci Rotanti. Un piccolo autobus porta me ed altri fortunati ad una zona che si trova proprio sotto le antiche mura di Istanbul e da lì entriamo in un edificio dove alcune persone ascoltano sedute su una pedana, le parole di un anziano signore che al nostro ingresso ci saluta benevolmente. Non mi sento uno sgradito estraneo ma più che altro una persona che partecipa ad un rito e la cosa mi piace molto. Al termine del “sermone” del capo spirituale della comunità, seguirà una preghiera ad Allah dove i fedeli rispondono ai canti recitando “Amen”. Eppure io questa parola l’ho già sentita… Dopodichè ci viene offerto del the e una volta che i musicisti hanno preso le loro posizioni, una musica ipnotica si diffonde nell’aria e fanno il loro ingresso i dervisci, uomini e donne. Effettuati una serie di cerimoniali, le gonne bianche dei danzatori cominciano a ruotare mentre questi ultimi raggiungono la comunione con Dio. Sono senza parole, regna la pace e mi sembra un sogno, sono tornato indietro di generazioni e adoro l’idea di poter assistere ad una autentica cerimonia tradizionale (un opuscolo all’ingresso ne spiega tutti i passaggi con chiarezza) non le cose improvvisate per i turisti. Torno in ostello molto più leggero, anche nel portafoglio dato che la visita è costata 50 euro (mai così ben spesi), e mi addormento sognando Istanbul che all’alba del giorno dopo dovrò salutare. Partiamo nel primo pomeriggio ma io ho ancora tempo di inoltrarmi in una zona di cui parlano poco le guide turistiche ma dove si respira ancora l’aria della vecchia Istanbul. Proprio oltre il mercato dell’artigianato di Sultanhamet si apre una vecchia zona del quartiere in cui case di legno in stile ottomano, ormai in rovina, si alternano a piccoli mercatini, piazzette e moschee dal sapore molto popolare. Un posto magico quasi privo di alberghi e di turismo; il modo ideale di salutare questo paese in cui viaggiare è facilissimo e neanche così caro e dove la gentilezza delle persone e il fascino della cultura ti accompagnano sempre.