Anatolia orientale
Viaggio in una zona poco turistica ma molto interessante per la cultura, la storia, l'archeologia, i paesaggi e per la cucina.
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dal 25 giugno al 10 luglio 2010 L’Anatolia orientale è una zona poco turistica della Turchia. Sebbene non vanti luoghi fantastici come la Cappadocia o la Costa Turchese, l’Anatolia orientale conserva alcuni gioielli architettonici e archeologici davvero interessanti, ospita luoghi biblici come il Monte Ararat e la città di Urfa, vi si trovano antichissimi nodi commerciali come Ani e Unye, si susseguono paesaggi incredibilmente vari. Questo viaggio è costato circa 2000 euro a persona: i costi maggiori sono stati i due voli (soprattutto l’Istanbul/Erzurum) e il noleggio dell’auto; mangiare e dormire costa poco. Abbiamo noleggiato un’auto presso la Europcar di Erzurum, ma non siamo stati soddisfatti, perché la macchina aveva più di 100 mila chilometri, l’aria condizionata e la radio non funzionavano e abbiamo avuto un serio problema al cambio. L’agente della Europcar non parla una parola di inglese e quindi è stato praticamente impossibile comunicare direttamente con lui. Consiglio caldamente di rivolgersi ad un’altra agenzia di noleggio. Ho portato dall’Italia il mio navigatore TomTom, su cui ho installato la mappa della Turchia. La segnaletica stradale turca è buona e la gente sempre disponibile a dare informazioni, quindi il navigatore è utile ma non necessario. Nell’Anatolia orientale si trova una cucina casalinga e genuina, non abbiamo mai avuto problemi con il cibo, abbiamo mangiato verdure crude e bevuto acqua del rubinetto tutti i giorni. In estate c’è una notevole produzione di tutti i frutti più buoni, che costano pochissimo. Spesso nei ristoranti si possono assaggiare cocomero e melone. Quasi nessuno parla inglese, spesso nemmeno negli hotel e nei ristoranti, però si riesce sempre a farsi capire. La mini guida linguistica contenuta nella LP è stata una grande risorsa! In ogni città abbiamo trovato un albergo con camere disponibili al primo colpo, spesso abbiamo seguito i consigli della LP. In tutti gli alberghi, a parte quelli davvero spartani, è compresa la colazione e c’è la connessione wireless gratuita, che mi ha permesso di utilizzare il mio netbook. Gli alberghi nelle città più calde, come Urfa e Diyarbakir, hanno l’aria condizionata. Per maggiori informazioni e per vedere alcune foto visita il mio sito http://www.robertaonline.it/ 25 giugno – Milano/Istanbul In volo da Malpensa con Turkish Airlaine raggiungiamo Istanbul in serata. Cambiamo un po’ di euro in aeroporto, ma applicano una commissione poco conveniente. Pernottiamo al Wow Airport Hotel a soli 5 minuti di taxi dall’aeroporto Ataturk (su Booking.com a 69 euro). 26 giugno Istanbul/Erzurum/Yusufeli – 200 km Alle 6 del mattino alle partenze nazionali dell’Ataturk c’è un caos infernale, per fortuna ci siamo presentati al check-in con più di un’ora di anticipo. In volo raggiungiamo Erzurum verso le 9.30 del mattino. Prendiamo in consegna l’auto noleggiata con la Europecar via Internet Raggiungiamo il centro della città e visitiamo le moschee e le madrase selgiuchide, che si trovano tutte sulla strada principale. Dalla cittadella si gode di un bel panorama di Erzurum e della zona circostante. Compriamo delle albicocche buonissime da un omino che si è piazzato con il suo carretto davanti alla Cifte Medresi e partiamo. Seguiamo l’itinerario tra le valli georgiane indicato dalla Lonely Planet, fermandoci a visitare il Monastero Tas Camii e la Cattedrale di Oskvank. Tra le loro rovine suggestive gli unici turisti, oltre a noi, sono degli svizzeri in camper. Ci fermiamo a fotografare il Lago Tortum e, continuando a seguire i consigli della LP, mangiamo il pesce all’Iskele Abalik Tesisleri. Pochi chilometri dopo vediamo le cascate. La strada per Yusufeli diventa sempre più panoramica, perchè costeggia un torrente impetuoso e si snoda tra le montagne. A Yusufeli troviamo subito una stanza squallidissima e super economica al Balalan Otel (30 TL). Piove, perciò mangiamo in un ristorante vicino all’hotel, dove scegliamo tra i piatti pronti delle cose veramente buone (il cui nome rimarrà per sempre un mistero). Cominciamo a prendere l’abitudine turca di bere tè (chay) in continuazione. 27 giugno – Yusufeli/Kars – 350 km Partiamo presto per la chiesa georgiana di Ishan. Assomiglia a quella di Oskvank (ci sono anche gli stessi turisti svizzeri) e la salita in auto tra le montagne brulle è spettacolare. Diamo un passaggio per qualche chilometro a un vecchietto. È una cosa che faremo spesso durante il viaggio, purtroppo gli autostoppisti non parlano mai inglese, altrimenti si potrebbe conoscere qualcosa di più di quello che leggiamo sulla LP. Prima di Artwin la strada lascia il fiume e comincia a salire salire salire. Il paesaggio è un po’ più verde. A parte la sua bella posizione, Artwin non ci impressiona particolarmente, ma in centro mangiamo un kebab davvero buono. Riprendiamo la strada e, prima di raggiungere Ardahan e il Passo Cam, attraversiamo uno spettacolare paesaggio alpino. È domenica, quindi incrociamo diverse famiglie turche impegnate in pic nic e barbecue. Superato il passo a 2500 metri, ci troviamo all’improvviso circondati dalla steppa, che si estende fino all’orizzonte in ogni direzione. Un mare di verde sbiadito, con enormi chiazze gialle, rosa e bianche di fiori selvatici. Dopo Ardahan incrociamo in continuazione mandrie di cavalli, pecore, mucche e persino oche! Alle 17 arriviamo a Kars. Prima che faccia buio visitiamo l’antica chiesa dei Dodici Apostoli e saliamo alla cittadella, da cui si gode il panorama della città e della steppa circostante. Siamo molto stanchi, perciò prendiamo una camera nel primo hotel che incontriamo (Hotel Holand, 70 TL), moderatamente squallido e pulito. Ceniamo nel ristorante consigliato dalla LP, l’Ocakbasi Restorant, dove sperimentiamo la zuppa di lenticchie (corba) e il sis kebap. 28 giugno – Kars/Van – 400 km Dopo la patetica colazione dell’hotel, partiamo prestissimo per Ani. Attraversiamo alcuni villaggi di pastori, con le case in pietra e il tetto coperto di terra ed erba, che nasconde un’arrugginita parabola; qua e là si ergono muretti di sterco ben allineato, probabilmente utilizzato come combustibile. Ani è un luogo davvero interessante, le suggestive rovine di questa città antichissima meritano davvero una visita. Ci aggiriamo per un’ora e mezzo nel sito, completamente soli. Ripartiamo verso le 10 e all’una ci fermiamo a Igdir in un ristorante per camionisti lungo la strada, dove ci servono un doner kebab ottimo e la solita insalatina di pomodori. La vista dell’Ararat ci accompagna per diversi chilometri prima di arrivare a Dogubayazit. Dobbiamo anche superare il nostro primo check point dell’esercito, del resto siamo vicini al confine con l’Iran. Alle 14 siamo a Dogubayazit: condivido pienamente la definizione “città di frontiera” della LP, per essere precisi la definirei “polverosa città di frontiera”, perché stanno rifacendo le strade fuori e dentro la città. Ben presto ci attendono due cocenti delusioni: la cima innevata dell’Ararat si ricopre di nuvole (prima che poissa fotografarlo, ovviamente) e il palazzo di Isak Pasa è chiuso perchè è lunedì. Fotografiamo l’Ararat da lontano e con le nuvole… Fotografiamo il palazzo dall’esterno… Poi un po’ depressi ce ne andiamo a Van. Arriviamo in città verso le 18 e, per colpa del navigatore, finiamo nel mezzo del bazar proprio nel momento in cui tutti stanno cominciando a tornare a casa. Ci allontaniamo dal centro per circa un’oretta, sorseggiando chay in un bar fino alle 19. A questo punto riaffrontiamo il centro, che si è parecchio svuotato, e troviamo posto nel modesto ma centralissimo Hotel Bahar (60 TL), a pochi passi dalla via principale e dal museo. Ceniamo in una trattoria in centro, provando l’ennesima versione del kebap, poi ci beviamo le prime Efes (la birra turca) sulla terrazza di un bar della via principale. 29 giugno – Van/Sirnak – 400 km Dopo la striminzita colazione in hotel, cambiamo vantaggiosamente in un ufficio della via principale. Raggiungiamo la fortezza in auto e ci godiamo del bellissimo panorama del lago. Verso le 10 partiamo per Hakkari. Sostiamo al Castello curdo di Hosap, che si erge su uno sperone roccioso lungo la strada. Il castello è chiuso per restauro, ma l’esterno merita qualche foto. Prendiamo chay e caffè turco nel bar sotto il castello, compriamo un chilo di buonissime ciliegie e ripartiamo. Montagne montagne montagne, posti di blocco dell’esercito (dopo un po’ perdiamo il conto), strada in buone condizioni. Alle 13 siamo ad Hakkari, considerata luogo chiave per il PKK. A noi appare come una città dall’edilizia moderna e a buon mercato, con palazzi di 5-6 piani uno attaccato all’altro, cioè la tipica edilizia dei centri abitati dell’anatolia orientale. Beviamo un chay in un bar, chiediamo informazioni sulla strada per Sirnak e, verificato che nessun cliente del bar parla lingue diverse dal turco, ripartiamo perchè non ci sembra ci sia niente da vedere o da fare. Seguiamo per circa 40 km la strada tra le montagne e arriviamo a un check point, il più grosso incontrato fino ad ora. Due militari di leva, che parlano perfettamente inglese, ci dicono che occorre registrarsi per poter proseguire. Forniamo i nostri passaporti, compiliamo un modulo in cui ci vengono chieste le solite informazioni e scambiamo due chiacchiere con loro. Sono evidentemente dei pesci fuor d’acqua, vengono da Istanbul e hanno dovuto interrompere le loro carriere per sei mesi per la leva obbligatoria: uno fa marketing nell’azienda che produce il Monopoli, l’altro gira l’Europa per conto di un grosso istituto bancario. Sono gentili e simpatici, sembra abbiano una gran voglia di parlare con noi. Completata la registrazione e salutati i ragazzi ripartiamo per Sirnak. La strada è asfaltata, ma malridotta, ci sono continui check point; questo ci rallenta e arriviamo in città verso le 19 stanchi morti. Pernottiamo all’Otel Murat, appena rinnovato (60 TL) e ceniamo in uno dei ristorantini lungo la via principale. Alcuni bambini ci seguono, si nascondono dietro delle auto e ci tirano due o tre sassi. Non ci fanno male, ma ci sentiamo molto al centro dell’attenzione e non sappiamo bene come comportarci, sicuramente la mia presenza non favorisce la comunicazione. Ce ne andiamo a dormire presto. I bambini (maschi) curdi sembrano piuttosto selvaggi, girano in gruppetti, si rivolgono spavaldi ai turisti; invece i ragazzi più grandi e gli adulti sono gentilissimi e molto rispettosi, sebbene si rivolgano sempre al mio compagno e cerchino più o meno di ignorarmi. Mi sarebbe piaciuto capire meglio lo stile educativo locale, ma non ho trovato nessuno che mi spiegasse come funziona. 30 giugno – Sirnak/Diyarbakir – 280 km Ci fermiamo dal locale ciabattino per far riparare i sandali del mio compagno. Mentre aspettiamo ci offre il solito chay, ci racconta che è curdo, ma la conversazione stenta a decollare, perchè come tutti qui non parla inglese. Raggiungiamo la valle del Tigri mentre viaggiamo per Midyat. Il paesaggio cambia in continuazione, prima desertico poi una distesa di campi di grano e fieno. La parte vecchia di Midyat è molto ben conservata, gran parte delle case nella locale pietra color miele sono state ristrutturate. Facciamo un giro nei vicoli e prendiamo un chay in uno stilosissimo boutique hotel. Fa molto caldo e l’AC dell’auto (se funzionasse) sarebbe molto utile! Raggiungiamo Hasankeyf verso le 13. Visitiamo velocemente la zona delle case scavate nella roccia, poi scendiamo lungo la strada che costeggia il Tigri. Numerose palafitte sono a disposizione dei turisti che vogliono fare un bagno nel fiume, riposarsi all’ombra e mangiare trote arrostite sulla brace. Ce la godiamo su una di queste strutture fino alle 16 circa. Appena il caldo si fa meno aggressivo ripartiamo per Diyarbakir. Arriviamo verso le 18 e troviamo subito una camera all’Hotel Birkent (65 TL). Visitiamo a piedi le imponenti mura di basalto e prendiamo il chay nel bel caravanserraglio situato sulla piazza principale. Chiacchieriamo della situazione politica ed economica locale e internazionale con il ragazzo curdo proprietario del bar, che parla benissimo l’italiano. Ceniamo in uno dei buoni ristoranti che si trovano dietro all’hotel, questa volta provo la pida, variante turca della pizza. 1 luglio – Diyarbakir/Sanliurfa – 300 km Arriviamo a Mardyn verso le 10 e parcheggiamo in centro, proprio sotto la statua di Ataturk. Passeggiamo tra case, madrase e moschee nella caratteristica pietra color miele. Da uno dei tanti bar sulle terrazze si gode di una bella vista sulla Mesopotamia. L’infinita distesa di campi coltivati con ogni tipo di frutto o verdura fa capire perché le prime grandi civiltà nacquero proprio qui. Nel bazar si vende un po’ di tutto, soprattutto attrezzi e materiali per le attività agricole. Verso le 13 ripartiamo. Scendendo dal centro verso Urfa si vede tutta la città, davvero un bel panorama. Arriviamo a Urfa alle 15 e prendiamo una camera all’Hotel Bakay (60 TL). Riposiamo fino alle 17, perché fa troppo caldo per girare. Visitiamo tutto il complesso dedicato ai luoghi in cui, secondo la Bibbia e il Corano, visse Abramo. Tutta l’area è tenuta benissimo e bisogna farsi largo tra i numerosi gruppi di pellegrini. Al tramonto saliamo sulla cittadella, per goderci il panorama. Ceniamo in uno dei tanti kebab salonu del bazar. Dopo cena assaggiamo una buonissima baklava, una versione meno dolce di quella solita. 2 luglio – Sanliurfa/Nemrut Dagi – 350 km Al mattino presto visitiamo la grotta di Giobbe, poi partiamo per Harran. Arriviamo verso le 11 e, seminando le guide locali, visitiamo la cittadella e una delle case alveare aperte ai turisti. Chiacchieriamo in italiano, inglese e turco con la numerosa famiglia del proprietario e conosciamo il figlio più giovane, che proprio il giorno prima è stato circonciso. Gironzoliamo per il paese semideserto, perché sono tutti al mercato presso la Porta di Aleppo. Ripartiamo verso le 12.30 e costeggiamo per un po’ la Diga Ataturk che, sbarrando il corso del Tigri, ha permesso di irrigare zone desertiche. Lungo la strada si alternano alberi di pistacchio (siamo vicini a Gaziantep, capitale della baklava), piantagioni di cotone e tabacco, campi di patate e distese di grano. Arriviamo a Karadut verso le 16 e troviamo alloggio nella spartana pensione all’inizio del paese. Ci riposiamo nel giardinetto ombreggiato, mentre il proprietario sbatacchia i rami degli albicocchi, dei meli e dei susini sopra di noi, per offrircene i frutti un po’ acerbi, dicendo soddisfatto “no market”! Verso le 17.30 partiamo per il Nemrut, parcheggiamo quasi in cima e percorriamo in circa mezzora il sentiero fino al sito archeologico. Il sito è bellissimo, anche se forse la parte più interessante è quella orientale, che si apprezza meglio all’alba. È bene portarsi dietro un maglione, perché il monte è ventoso e verso l’ora del tramonto si abbassa la temperatura. Poco prima del tramonto arriva una serie di pulmini, da cui escono gruppi di turchi e giapponesi, che invadono il sito. Ceniamo nella nostra pensione, con zuppa di verdure e pollo ruspante. 3 luglio – Nemrut Dagi/Sivas – 540 km Dopo un’abbondante colazione, partiamo verso le 7 perché vogliamo raggiungere Divrigi. Nella zona di Malatya tra i frutteti spiccano le distese arancioni di albicocche, messe al sole per essere essiccate. Sebbene la LP non indichi una strada tra Erzican e Divrigi, dal navigatore e dalla segnaletica turca sembra invece che esista un collegamento. Ci fidiamo e in effetti la strada c’è, anche se si tratta di una mulattiera asfaltata più o meno decentemente, che si arrampica tra le montagne. Superiamo un paio di villaggi, ma soprattutto vediamo tende di pastori e greggi di pecore. Gli ultimi 50 km sembrano non finire mai, per fortuna non passa nessuno, a parte un minibus di linea e un paio di pickup di pastori. Arriviamo a Divrigi verso le 13. Visitiamo il complesso architettonico patrocinato dall’UNESCO, formato da una moschea e un ospedale psichiatrico, fatti costruire 800 anni fa da un emiro megalomane e decorati con tre portali davvero magnifici. Ci concediamo un kebap nel centro del paese e verso le 15 ripartiamo. La strada per Sivas è buona e, come nell’Anatolia orientale, poco trafficata. Arriviamo verso le 18. A Sivas si sta bene, è molto più fresco perché siamo su un altipiano. Troviamo un hotel abbastanza nuovo lungo la strada per il centro storico (80 TL). Visitiamo la zona della grande piazza centrale, poi ceniamo in un locale segnalato dalla LP, provando le kofte, polpette ricoperte di pane. 4 luglio – Sivas/Persembe – 400 km Ritorniamo in centro per scattare qualche foto e per un caffè turco nel caravanserraglio restaurato. Partiamo, ma dopo una decina di chilometri la frizione comincia a darci seri problemi. A Tokat chiediamo info in un bar (ovviamente nessuno parla altro che il turco) e una persona gentilissima ci porta da un meccanico. Nonostante sia domenica, il meccanico ci apre l’officina e ci sistema l’auto: per fortuna si trattava solo di aggiungere l’olio alla frizione. Ce la caviamo con 60 TL e per festeggiare ci fermiamo a mangiare il rinomato Tokat kebab, un misto di carne di agnello, aglio e melanzane. Buonissimo! Rinunciamo, vista l’ora, a visitare Amasya e ci dirigiamo verso il Mar Nero. Arriviamo a Unye verso le 17, dopo aver superato alte montagne coperte di boschi. È domenica, c’è il sole e moltissima gente prende il sole sugli scogli o fa il bagno nella acque calme del mare. Percorriamo la strada costiera fino alla spiaggia di Caka, una lingua di sabbia chiara super affollata da turisti locali. La maggior parte della gente che fa il bagno sono uomini, ragazzi e bambini, ma c’è anche qualche donna con il costume intero. Dopo una breve sosta al bar della spiaggia, essendo piuttosto tardi, troviamo una stanza spartana in un hotel di Persembe (40 TL). Ceniamo nel ristorante di pesce sul mare che si trova al centro del paese. Prima di tornare in camera compriamo il solito chilo di ciliegie buonissime. 5 luglio – Persembe/Trabzon – 230 km Avevamo pensato di trascorrere la mattinata sulla spiaggia di Caka, ma il tempo è orrendo! Un po’ abbacchiati partiamo per Ordu, che ha un bel lungomare. Poi gironzoliamo nel mercato di Giresun, centro di produzione delle ciliegie e delle nocciole, anche se quando ci passiamo noi l’articolo che va per la maggiore sono funghi simili ai galletti. Lungo l’autostrada costiera ci fermiamo per pranzare in una trattoria con delle kofte da leccarsi i baffi, quindi raggiungiamo Trabzon, l’antica Trebisonda. Dopo esserci imbottigliati nel traffico cittadino, anche a causa del navigatore, che nei centri storici turchi dà il peggio di sé, troviamo una stanza nel nuovissimo Hotel Kuteli (60 TL), vicino al porto. Visitiamo l’antica e suggestiva Aya Sofia, poi torniamo in centro per una passeggiata e una cena a base di pesce. 6 luglio – Trabzon/Erzurum – 330 km Verso le 8 partiamo per il Monastero di Sumela. Immerso nei boschi e abbarbicato ad una montagna, questo antichissimo e suggestivo monastero ha la cappella originaria affrescata dentro e fuori. Vanno e vengono numerosi turisti. Dopo il solito chay nel ristorante del monastero, ripartiamo per Erzurum. Attraversiamo un paio di passi, si tratta di zone di montagna molto frequentate dagli appassionati di trekking. Arriviamo verso le 18 e prendiamo una stanza all’Hotel Polat (80 TL). Cena in un ristorante in cui servono anche vino e birra!. 7/8/9/10 luglio – Erzurum/Istanbul/Milano Alle 8.30 arriviamo in aeroporto, lasciamo l’auto (con circa 3700 km in più) all’agente Europcar e partiamo per Istanbul. Abbiamo pernottato all’Hotel Aslan, che consiglio assolutamente per il rapporto qualità/prezzo, l’eccezionale posizione e la disponibilità dei gestori. Dopo 11 giorni nell’Anatolia orientale, Istanbul sembra quasi appartenere ad un altro pianeta. Non mi dilungo sui luoghi che abbiamo visitato a Istanbul, c’è già un’ampia letteratura su questa meravigliosa città.