Ammaliato dalla magia
Com'é nato il mio amore verso il Perù
1981
Mi stiracchio sbadigliando. Ho da poco iniziato il servizio come capoposto alla caserma Borghesi di Borgo Casale e mi attendono ventiquattro ore di guardia, di noia, ma il sole di questa domenica primaverile mi strappa ugualmente un sorriso.
Provo una sensazione strana, immotivata; un flusso magico mi...
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Com’é nato il mio amore verso il Perù 1981 Mi stiracchio sbadigliando. Ho da poco iniziato il servizio come capoposto alla caserma Borghesi di Borgo Casale e mi attendono ventiquattro ore di guardia, di noia, ma il sole di questa domenica primaverile mi strappa ugualmente un sorriso. Provo una sensazione strana, immotivata; un flusso magico mi accarezza la pelle, si insinua nel petto, nel cuore, nella testa. Ieri sera mi sono lasciato convincere a giocare due colonne al Totocalcio; è sciocco, lo so, eppure la fantasia galoppa e immagini di vincite straordinarie affollano già i miei pensieri. Illusioni! Ma anche di questo è fatta la vita e allora libero i sogni, almeno fino al tardo pomeriggio quando, come appare inevitabile, la radio annuncerà che dovrò attendere ancora una settimana per riprendere a fantasticare. “Tutto il calcio minuto per minuto” ha dato il suo responso. “Caporale!” La guardia mi chiama per il cambio, ma la sua voce è solo un suono senza valore. Fra le mani ho la schedina con quelle due povere colonne. Povere? No, non ci credo! Controllo ancora una volta, intanto che sale l’adrenalina: 13! Ancora mi sembra incredibile quando, un mese più tardi, la banca mi consegna i cinque milioni della vincita. Non è una cifra da capogiro, ma per me, studente squattrinato, è magia; significa la realizzazione di un sogno lungo un anno: il viaggio in Messico che pareva una chimera. “La finirà sta naja schifosa, dalla morosa voglio tornar…”, cantavano i militari di leva. La morosa non c’è, ma il Messico è lì, quasi ne sento il profumo. Il servizio militare è finito ed ora mi precipito in agenzia di viaggio. “Messico, voglio andare in Messico!” La signorina sorride dietro la scrivania, scruta lo schermo del computer, fa qualche telefonata. “Mi dispiace, ma per altri due mesi, almeno, non c’è un posto libero, i voli sono tutti completi”. Che scherzo è questo? Deluso mi alzo dalla sedia. “Se vuoi, fra tre giorni c’è un posto per il Perù…” abbozza la ragazza. “Lo prendo!” Del Perù non so quasi nulla, solo vaghi ricordi di una civiltà d’oro, ma non fa niente. Se non può essere Messico, sarà Perù. D’altronde, sempre di America Latina si tratta. La bruma grigia di Lima, la capitale del Perù, mi accoglie senza simpatia. La spessa cappa di umidità, denominata garua, opprime l’immenso centro abitato per quasi otto mesi l’anno. Il centro storico di Lima, tuttavia, è Patrimonio Culturale dell’Unesco dal 1991 e una visita è d’obbligo per i monumenti, i musei, in definitiva perché possiede il più vasto patrimonio culturale preispanico. Il nome originale della capitale peruviana, Ciudad de los Reyes (Città dei Re) fu cambiato nel corso dei secoli con l’attuale “Lima”, una storpiatura di Rimac (in lingua autoctona “parlante”), il fiume che l’attraversa. Non ci metto molto a decidere che questa megalopoli di otto milioni di abitanti non fa per me, così abbandono in fretta la città ed inizio quella che per me sarà l’avventura della vita. Ancora non ne sono consapevole, ma il Perù, la sua gente con i sorrisi, il calore, i colori e i profumi mi ammalieranno in un magico incanto che mai più si dissolverà. Inizio così un viaggio che oggi, a distanza di ventisei anni, ancora continua. Percorro con crescente curiosità le regioni e la storia di un paese la cui civiltà è antica perlomeno quanto la mesopotamica e l’egizia e di cui gli Inca rappresentano solo l’apoteosi, il culmine formidabile troppo rapidamente distrutto dalla cupidigia e dalla buona sorte di pochi avventurieri spagnoli senza scrupoli e dalla sciocca supponenza del re Atahualpa. Ad Arequipa, la bellissima “Città Bianca”, l’incontro con una ragazza prima e con un antropologo poi segnerà in maniera indelebile il mio cammino. La ragazza diverrà mia moglie, mentre Jorge, direttore della Scuola di Antropologia dell’università, mi condurrà per mano verso la conoscenza di un mondo che ben pochi stranieri hanno la fortuna di aver avvicinato: il mondo magico delle Ande, a contatto con popoli non ancora scalfiti dal turismo, permettendomi di vivere la realtà quotidiana, la medicina antica dei curanderos, gli sciamani del Perù, i riti, le leggende e il folclore, ma anche la sofferenza, la lotta giornaliera contro il clima inclemente dei quattromila metri, il fatalismo degli abitanti vissuto, tuttavia, con l’orgoglio di essere i “figli della Pachamama”, la madre terra che tutto dà e tutto toglie. Ma questo è solo l’inizio. Gabriele Poli