American lampoon’s honeymoon

Il nostro meraviglioso viaggio di nozze a spasso per gli USA
Scritto da: hummin
american lampoon's honeymoon
Partenza il: 08/09/2015
Ritorno il: 24/09/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Scrivere il diario di viaggio della mia luna di miele è una sensazione particolare, in un certo senso una responsabilità. Penso se riuscirò a trasmettere tutte le sensazioni e gli stati d’animo provati durante questo splendido viaggio, la nostra prima volta alla scoperta degli Stati Uniti.

Ci siamo sempre ritenuti dei viaggiatori esperti, abituati ad ogni tipo di imprevisto e situazione, un viaggio non organizzato da noi in un certo senso rischiava di essere meno stimolante degli altri, ma l’unicità di ciò che abbiamo visto, delle persone conosciute hanno fugato qualsiasi dubbio.

La scelta di questo itinerario ha suscitato più di una perplessità nelle agenzie di viaggio a cui ci siamo rivolti, l’espressione viaggio di nozze aveva come conseguenza immediata il sentirci proporre percorsi totalmente diversi da quello desiderato, e neanche il fatto che fossimo noi a pagare sembrava riuscire a far accettare la cosa. Il nostro desiderio era solo quello di vedere una parte un po’ meno battuta dal turismo di massa degli Stati Uniti, qualcosa di diverso dalle proposte sentite fino a quel momento.

Per farla breve alla fine riusciamo ad imporci e a scegliere il percorso che sin dall’inizio ci aveva affascinato, partiamo l’8 settembre dopo uno splendido matrimonio, una giornata indimenticabile condivisa con le nostre famiglie e gli amici più cari.

Nonostante avessimo viaggiato molto in passato, è la prima volta che varchiamo i confini della cara vecchia Europa, e quindi affrontiamo un volo più lungo del normale. Fila tutto liscio (a parte il fatto che l’aereo non è proprio dei più comodi) e atterriamo a Newark nel primo pomeriggio ora locale.

Il trasferimento verso l’hotel ci viene organizzato dall’agenzia con la Go Airlink, ci lasciano per circa un’ora e un quarto in attesa per poi infilarci nel terribile traffico newyorkese del tardo pomeriggio, arriviamo a destinazione verso le 18.

L’hotel è il NYMA, vicinissimo all’Empire State Building, in Korea street. L’impatto è un po’ traumatico, sarà che è la nostra prima volta qui ma restiamo colpiti dall’odore non proprio gradevole e dalla sporcizia ed iniziamo a chiederci se questa sarà una costante del soggiorno in città.

Non riusciamo a far molto come primo giorno, inizia a farsi sentire la stanchezza del viaggio ed il fuso orario. Sono sempre stato scettico verso chi mi parlava del jet lag in maniera così traumatica ma mi sono dovuto ricredere. Per un paio di notti almeno mi sveglio alle 4 del mattino senza riuscire più a chiudere occhio, tutto si risolve senza problemi nei giorni successivi ma all’inizio è stato un po’ spiazzante.

9 settembre

Guida alla mano iniziamo la nostra esplorazione di New York, e partiamo dall’Empire State Building che si trova proprio dietro l’angolo, più comodo di così non è possibile.

Doverosa premessa, prima di partire ci siamo armati di New York City Pass, su internet abbiamo trovato opinioni contrastanti sulla sua utilità, per alcuni non garantirebbe un risparmio così importante sull’acquisto degli ingressi per le varie attrazioni, a noi attirava anche l’idea di saltare qualche coda e quindi lo abbiamo ordinato online un paio di settimane prima di partire.

Tutto quello che abbiamo visto in questa città sa di set cinematografico, non è facile non sorprendersi quando si vivono personalmente scene viste sempre e solo in televisione. Da questo punto di vista l’Empire si presenta bene con i suoi uscieri in livrea rossa che, con grande gentilezza e modi un po’ affettati, ti conducono agli ascensori, i più veloci mai presi in vita nostra. All’inizio si percepisce fisicamente l’accelerazione ma è questione di pochissimi secondi, arrivati in vetta il panorama della città ripaga completamente del piccolo disagio.

Capitiamo in una mattina limpida e assolata, quindi possiamo goderci la Grande Mela a 360°, consiglio di arrivare prima delle 10 per non trovare confusione e poter scattare in santa pace le doverose fotografie.

Come primo giorno abbiamo già un appuntamento nel primo pomeriggio, la visita del Palazzo delle Nazioni Unite. Ammetto di essere stato io a volerci andare fortemente, navigando nel web ho scoperto che si può visitare solo nel contesto di tour guidati in varie lingue e non esistendo in italiano (perlomeno quel giorno) ci aggreghiamo ad uno in inglese. I biglietti li ho acquistati direttamente sul sito ufficiale delle Nazioni Unite al costo di 18$ a testa, è sempre meglio presentarsi almeno mezz’ora prima della visita prevista, qui come all’Empire i controlli sono molto severi, viene chiesto il passaporto e occorre passare sotto lo scanner, in pratica è lo stesso iter degli aeroporti.

Le visite sono organizzate in gruppi non troppo numerosi, scelta che trova tutta la mia ammirazione, permette di seguire meglio le spiegazioni della guida e di non dover aspettare sempre e comunque i comodi di qualche ritardatario. Visitiamo le sale dove si riuniscono l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza, in breve i luoghi dove si decide il destino del mondo sempre visti al telegiornale. Con le delegazioni diplomatiche che ci sfilano intorno abbiamo anche la fortuna di poter osservare per qualche minuto dal vivo i lavori di una delle tante commissioni, in rigoroso silenzio e con il divieto assoluto di scattare foto.

La visita ci impegna per un paio d’ore e all’uscita troviamo la pioggia come sgradita sorpresa considerando che siamo entrati col sole. Ammetto che per tutta la durata del viaggio il tempo è stato splendido, solo a New York ci è capitato qualche improvviso rovescio, un clima un po’ all’inglese se mi passate la definizione.

Torniamo a piedi verso Time Square, questa piazza ha un potere magnetico, qualsiasi sia il vostro giro finirete sempre e comunque qui, stregati dai personaggi improbabili che ne costituiscono la fauna e delle luci ipnotiche dei maxischermi pubblicitari. Passeggiare in mezzo a questa confusione non è facile, non bisogna farsi spaventare però anche perchè visitare il negozio Disney, quello delle M&M’s o lo store della Bubba Gump pieno di memorabilia del film Forrest Gump vi aiuterà a brontolare un po’ di meno.

Dopo un doveroso riposo e la cena torniamo all’Empire State Building, il pass infatti ci permette due ingressi per lo stesso giorno, di cui uno dopo le ore 20 per poter ammirare lo skyline della città con il buio. La città che non dorme mai non delude, mai visto uno spettacolo di luci come quello che mi si presenta davanti, confesso che mia moglie fatica non poco a trascinarmi via interrompendo la frenesia delle foto che immancabilmente mi ha colto. La sera troverete sempre un po’ di coda soprattutto se non avete il pass, non fatevi scoraggiare si scorre rapidamente e giunti in vetta vale la pena aver pazientato qualche minuto.

10 settembre

La giornata inizia all’insegna di un cielo plumbeo, le previsioni danno nuvole e pioggia, oggi pomeriggio abbiamo un altro attesissimo appuntamento quello con Broadway!

Prima di partire abbiamo riflettuto molto se andare o meno a vedere un musical, è un genere che conosciamo poco e che in effetti in Italia riscuote poco successo, ma il dubbio è stato fugato quasi subito, non si può venire a New York e non approfittare di una simile occasione.

Il prezzo dei biglietti è in effetti un ottimo deterrente a non andare, molti ci suggeriscono di non acquistarli prima ma di attendere l’ultimo momento per comprarli scontati all’apposito gabbiotto in Time Square. Non seguiamo il consiglio perchè la mia dolce metà ci teneva molto a vedere Mamma mia!, non me la sento di deluderla o di rischiare di non trovare i biglietti così li acquisto con largo anticipo, alla fine ci costano un centinaio di dollari a testa.

Scegliamo lo spettacolo pomeridiano, occupiamo perciò la mattinata visitando il Rockfeller Center dove poi ci fermeremo anche a pranzo. Senza dubbio è affascinante girare liberamente in questa struttura enorme, ci sono gli studi di stazioni televisive, negozi di lusso, ristoranti, noi cogliamo l’attimo a saliamo anche sul Top of the Rock, l’ingresso è compreso nel pass, certo la giornata uggiosa non aiuta ad ammirare il panorama, ma già che siamo qui non ci tiriamo indietro.

Facendo un paragone con l’Empire e la vista che da esso si gode il Top of the Rock esce, secondo me, nettamente sconfitto. C’è però un dettaglio che da qui si può godere in maniera esclusiva cioè Central Park, la definizione di polmone verde non è mai stata così azzeccata come in questo caso. Un enorme rettangolo verde totalmente circondato da palazzi enormi e grattacieli, sembra un corpo estraneo, qualcosa fuori contesto che interrompe l’armonia dello skyline ad un primo impatto.

In realtà è bellissimo, e ce ne renderemo conto nei giorni successivi quando avremo l’occasione di visitarlo con molta calma, d’altronde il fatto che tutti i giorni migliaia di persone (turisti e non) decidano di trascorrerci ore vorrà pur dire qualcosa.

Dopo pranzo arriva il momento tanto atteso, quello del musical, arriviamo con un po’ d’anticipo al Broadhurst Theatre e nonostante questo troviamo già parecchia gente in coda. Quando aprono le porte tutti sciamano ordinatamente verso i posti assegnati con tanto di maschere che aiutano nel trovarli. Tutto si può dire degli americani ma non che non siano organizzati e questo lo si percepisce ovunque, nulla è lasciato al caso e il turista non è mai in balia di se stesso, diciamo che non si corre il rischio di vagare spaesati, ci sarà sempre qualcuno ad indicarvi dove andare e come comportarvi.

Sullo spettacolo in sé c’è poco da dire, ci metto molto poco ad appassionarmi anche io e la bravura incredibile degli attori ne è la causa. Non si tratta di star hollywoodiane, leggendo le loro biografie nell’opuscolo informativo che ci consegnano all’ingresso noto come praticamente nessuno di loro abbia mai fatto tv o cinema, sono veri animali da palcoscenico, voce, cuore, capacità espressiva, non so veramente che altro dire per rendere l’idea di quel che ho visto.

Certo le canzoni arcinote contribuiscono all’atmosfera allegra, in un certo senso siamo andati sul sicuro scegliendo questo spettacolo, come dice una pubblicità molto famosa in Italia “ci piace vincere facile”!

Il resto del pomeriggio trascorre placidamente in una passeggiata per negozi, anche l’acquisto dei souvenir reclama il suo spazio così ci adeguiamo.

Non do volontariamente consigli gastronomici, intanto perchè New York offre una scelta smisurata se avete voglia di sperimentare cucine diverse, il discorso cambia se invece volete provare qualcosa di tipico, nel senso che le steakhouse made in Usa sono carissime, mettete in preventivo almeno 100 $ per poter gustare una bistecca di livello.

11 settembre

11 settembre, la data che ha scioccato il mondo e cambiato per sempre gli equilibri. Destino vuole che in questo giorno particolare noi ci troviamo proprio là dove tutto è cominciato e dove a distanza di 14 anni si celebra ancora con intensità e commozione la memoria di chi quel giorno ha perso la vita.

Ground Zero è inaccessibile durante le celebrazioni ufficiali che si concluderanno a metà pomeriggio e l’area è stretta in un impenetrabile cordone di sicurezza. Proprio per questa ragione siamo costretti ad evitare la zona e la scelta sul da farsi ricade sul Museo di Storia Naturale.

Inutile negare che i tre film della serie Una notte al museo con Ben Stiller abbiano avuto un ruolo notevole, diciamo che hanno contribuito a creare in noi qualche aspettativa in più, come se pensassimo di trovare veramente al suo interno dinosauri che ballano e il compianto Robin Williams nei panni di Teddy Roosvelt. Devo davvero dirvi che non c’è nulla di tutto questo?!

Lasciamo da parte queste amenità e veniamo alla visita vera e propria, il museo è molto grande quindi calcolate una mattinata almeno per poterlo girare con calma. Se devo fare un appunto alla lunga risulta un po’ statico, nel senso che tolti i diorama (per capirci quelli che nel film si animano) le sale sono un po’ statiche, asettiche, quindi almeno che non si sia dei grandi appassionati di storia naturale si rischia di annoiarsi facilmente e di tirar via la visita per accelerarne la fine. Tolte queste considerazioni puramente personali è un’esperienza unica, alla fine essere in uno dei più famosi musei del mondo e set cinematografico non è da tutti.

Terminata la visita è ormai l’ora di pranzo, restiamo in zona museo così da poter dedicare il pomeriggio all’esplorazione di Central Park, anche perchè il meteo finalmente ci sorride, dopo un paio di giorni piovosi finalmente è spuntato il sole e la temperatura è salita di qualche grado, le condizioni ideali per fare una passeggiata nel verde.

Central Park è come se fosse un altro mondo rispetto al resto della città, non si percepiscono i rumori e i suoni del traffico, non c’è il caos e la confusione abituali delle vie di New York, in breve è come se ci si trovasse da un’altra parte, lontani centinaia di kilometri dalla quotidianità.

Passare qualche ora nel parco è forse il miglior sistema per entrare nelle abitudini dei newyorkesi, l’impressione è che appena possono vengano qui per sfuggire alla morsa della città, chi per fare sport chi solo per sdraiarsi su un prato a prendere un po’ di sole o condividere il più classico dei pic-nic con amici e famiglia. Non è facile capirlo per chi come noi arriva in pratica dalla provincia, ma New York è una città secondo me che offre moltissimo in termini di opportunità, divertimento e scelta ma che nello stesso tempo chiede tantissimo, non deve essere facile adattarsi a vivere qui e per quanto ci sia piaciuta moltissimo dopo una settimana siamo felici di lasciarla per spingerci verso una parte meno turistica e caotica degli Stati Uniti.

Restiamo qui diverse ore a non far praticamente nulla, passeggiamo, scattiamo qualche foto e ci godiamo un po’ di sole, ogni tanto in vacanza serve anche questo altrimenti il viaggio rischia di trasformarsi in un secondo lavoro e questo non va affatto bene!

Con tranquillità ci avviciniamo a Time Square (si finisce sempre qui, lo avevo detto!), guardiamo qualche negozio prima di ritornare in hotel a riposare, a posteriori ci siamo accorti di aver girato quasi sempre a piedi, tolte un paio di corse in taxi, la metro infatti oltre ad essere caotica è abbastanza vecchia e poco funzionale, priva di indicazioni soprattutto per i turisti. Sul solito binario passano convogli diversi quindi il rischio di sbagliare è alto e nel week-end molte linee sono interrotte per lavori di manutenzione e ampliamento.

12 settembre

Oggi è sabato e anche se non lo sappiamo ancora la giornata sarà molto impegnativa! Il tempo è bello, finalmente sembra essersi stabilizzato e uscire senza ombrello è una piccola liberazione. Usciti dall’hotel c’è subito una cosa che balza agli occhi, New York nel fine settimana sembra una città completamente diversa, gli uffici sono chiusi, mancano i pendolari che sciamano per le sue vie e di conseguenza c’è solo una minima parte della confusione riscontrata nei giorni precedenti, così è molto più godibile.

Si va verso il ponte di Brooklin in metro e ci arriviamo per pura fortuna, nel senso che, come detto in precedenza, tra linee interrotte per lavori, direzioni cambiate all’ultimo e convogli sostitutivi finiamo col cambiare due metro letteralmente a caso sperando di aver azzeccato la direzione e ci va decisamente bene, usciamo all’aria aperta ai piedi del ponte.

Il ponte è come la Statua della Libertà, non puoi venire a New York e non vederlo, altrimenti è come aver messo insieme un puzzle a cui manca una tessera. La realtà spesso è più deludente dell’iconografia e del mito che accompagna certe mete, qui succede la stessa cosa, nel senso che se vi volete godere la passeggiata sul ponte preparatevi a camminare sospesi sulle due corsie affollate di auto perchè la passeggiata è stata ricavata proprio al centro del ponte.

In questo modo è praticamente impossibile godersi il panorama o scattare qualche foto a meno che non siate degli appassionati di ingegneria civile, in questo caso avrete materiale in abbondanza.

Finito il giro incappiamo in uno dei classici imprevisti che a New York sono all’ordine del giorno, le riprese di un film. Ci bloccano improvvisamente e ne capiamo il motivo subito, di colpo vediamo sfrecciarci davanti niente meno che l’auto dei Ghostbusters! Non so se credere a quel che ho visto o no, saranno passati almeno 30 anni dai due film precedenti ma indagando un po’ scopro che in effetti stanno girando un sequel tutto al femminile che dovrebbe uscire nelle sale la prossima estate.

Superato questo piacevole contrattempo continuiamo verso la prossima meta, Chinatown e Little Italy, ci vogliono non più di 10 minuti a piedi dal ponte. Chinatown è un po’ deludente, non vedo nulla di caratteristico, è un semplice quartiere di matrice asiatica con negozi ed attività commerciali, ma nulla di imperdibile. Molto più carina invece Little Italy (sarà che io sono di parte), anche perchè capitiamo proprio durante la festa di San Gennaro, che qui dura ben dieci giorni. Le vie del quartiere sono addobbate a festa, piene di banchetti che propongono presunte specialità dello Stivale, ma la cosa che più apprezziamo è che si sente parlare veramente la nostra lingua dappertutto, da estimatori ci fermiamo qui a pranzo, sentire aria di casa all’estero fa sempre piacere.

C’è un forte senso della comunità e non ci vuole molto a capirlo, basta fare un giro e osservare le persone con attenzione, noi visitiamo anche un paio di chiese, in una in particolare c’è un altare dedicato proprio a San Gennaro meta di un pellegrinaggio continuo. Non amo i luoghi comuni e da questo mi nasce una considerazione, da sempre ci sorbiamo lo stereotipo dell’italiano che nella cinematografia made in USA hanno sapientemente disegnato, mi chiedo se chi da anni ci immagina così sia mai realmente venuto a farsi un giro da queste parti? La risposta è scontata.

Giusto per non farci mancare niente per occupare il pomeriggio pensiamo alla visita di Ground Zero, inaccessibile il giorno prima per le commemorazioni. Stavolta ci arriviamo in metropolitana vista la distanza e anche la stanchezza, non visitiamo il museo per scelta c’è una coda infinita ed in realtà quello che ci interessa è proprio il memoriale. Ciò che la tv non rende adeguatamente sono le dimensioni della fontana creata a ricordo di quel tragico giorno, è immensa non so come altro definirla. Lungo tutto il perimetro sono incisi i nomi delle vittime, e vista la celebrazione del giorno precedente ci sono ancora gli omaggi lasciati da amici e familiari, tutto molto semplice e rispettoso, qualche fiore, delle bandiere, la maglia di un college, piccole cose dall’enorme significato. L’area è ancora un cantiere aperto e l’impressione è che lo resterà ancora per parecchio tempo, si fa fatica a rendersi conto di quanto lavoro ci sia stato dietro alla ricostruzione di quest’area, a vederla ora se ne ha un’impressione distorta e si finisce col darne una valutazione semplicistica.

Ce ne andiamo da qui toccati nel profondo dell’animo, tutto quanto visto ci lascia commossi e inquieti, fa quasi male rendersi conto di come la follia umana abbia causato tutto questo ancora una volta nel nome di una religione che invece di unire divide e porta all’odio reciproco.

Il ritorno verso l’hotel non è banale, intanto perchè andiamo a piedi e poi perchè percorriamo la High Line una vecchia ferrovia sopraelevata trasformata in passeggiata e giardino prensile. A quasi dieci anni di distanza dal tentativo di Giuliani di demolire la High Line, la struttura si è diventata uno dei più innovativi e invitanti spazi pubblici di New York e forse dell’intero paese. Passeggiare sulla High Line è un’esperienza unica, a otto metri di altezza, nel pieno della vita di strada e allo stesso tempo distante da essa

13 settembre

La domenica è un giorno sacro per tutti, in una megalopoli dai ritmi vertiginosi però sembra esserlo ancora di più. Usciamo con calma dall’hotel per andare a visitare il Metropolitan Museum, tutti ci hanno consigliato di arrivare all’apertura non solo per evitare la confusione ma anche perchè rischia di volerci quasi una giornata per visitarlo. Prendiamo il taxi vista la distanza ma la totale assenza di traffico (strano ma vero) arriviamo in breve tempo, giusto per goderci la gara podistica di beneficenza che si sta svolgendo a Central Park.

La visita del museo va oltre ogni più rosea aspettativa, abbiamo avuto la fortuna di vedere molti fra i più bei musei europei dal Louvre al British passando per l’Hermitage ma il Metropolitan regge il confronto tranquillamente. Probabilmente conserva tesori e reperti meno importanti degli altri però la sua forza secondo me è quella di riuscire a coinvolgere sempre il visitatore, ogni area tematica è inserita in un ambiente sapientemente creato, diciamo hanno contestualizzato perfettamente ogni reperto.

Personalmente ho trovato splendido il padiglione dedicato all’antico Egitto e quello sulla storia americana del 20° secolo, ma sono solo mie considerazioni visto che c’è una scelta smisurata, sono convinto che chiunque possa uscire di qui soddisfatto e consapevole di aver trovato qualcosa di interessante.

La visita dura fino al primo pomeriggio, il tempo però passa velocemente non ci sono i classici momenti di noia che capitano in un museo e ce ne andiamo soddisfatti, tanto che il pomeriggio lo spendiamo di nuovo a Centra Park, giusto per rilassarci e provare a vivere una giornata tipicamente newyorkese. In effetti troviamo molta più gente della prima volta e i turisti sono una minima parte, persone sdraiate sui prati a prendere il sole, barbecue improvvisati, sportivi della domenica e non, c’è un’umanità molto varia che rende il tutto eterogeneo e mai noioso, certo fa effetto stare qui completamente immersi nella natura sapendo che a poche centinaia di metri di distanza c’è una delle città più grandi e caotiche del mondo. Abbiamo trascorso una bella domenica all’insegna del relax e della spensieratezza ne sentivamo il bisogno.

14 settembre

Ultimo giorno in città, ci siamo tenuti per la conclusione la crociera per andare a vedere la Statua della Libertà. Decidiamo di non scendere su Liberty Island ma solo di osservarla dal mare perchè non abbiamo voglia di fare le code infinite a Battery Park e sull’isola, considerando anche che non si può salire fino alla corona della statua se non prenotando con mesi di anticipo, cosa che noi non abbiamo fatto. Anche il giro in battello è ricompreso nel New York City Pass, dura circa un’ora e si possono scegliere crociere di varie durate e ovviamente con percorsi differenti. Capisco che possa essere meno affascinante come idea dello scendere fisicamente ai piedi della statua, ma alla fine ci permette di vederla da vicino senza lo stress dell’attesa, possiamo comodamente fare tutte le foto del caso, anzi complice la bella e assolata giornata si tratta di una parentesi rilassante.

Proprio accanto all’imbarcadero si trova la USS Intrepid, una portaerei della seconda guerra mondiale trasformata in museo galleggiante. È forse una delle attrazioni meno pubblicizzate di New York ma se potete non perdetevela, nel momento in cui l’abbiamo visitata noi alcune aree erano chiuse per la preparazione di mostre temporanee, troverete cimeli della seconda guerra mondiale accanto ad altri relativi alle prime missioni spaziali americane, assolutamente da non perdere. Fanno parte del museo, oltre alla portaerei, il sottomarino USS Growler, un Concorde, un ricognitore supersonico Lockeed A-12 e, a partire dal 2012, lo Space Shuttle Enterprise. Il museo funge da base per l’annuale Fleet Week, la settimana della flotta.

Nel biglietto è compresa anche la visita del sottomarino, come ci spiega la guida il Growler è un sottomarino nucleare ormai dismesso e utilizzato durante la Guerra Fredda, non avevo mai avuto la fortuna di visitarne uno. Prima dell’ingresso viene esplicitamente chiesto se si soffra di claustrofobia, la domanda è solo apparentemente insensata, gli spazi all’interno del sottomarino sono molto angusti e la visita non è consigliata a chi li patisce.

Ci avviciniamo rapidamente al termine del nostro soggiorno a New York, trascorriamo il pomeriggio per negozi, compriamo gli ultimi souvenir e poi torniamo in hotel per sistemare i bagagli, ci apprestiamo a salutare la Grande Mela per iniziare la seconda parte del nostro viaggio.

15 settembre

La seconda tappa è Boston, ci fermeremo qui per due giorni prima di risalire la costa del New England. Ci spostiamo in treno (con l’Amtrak per l’esattezza), il viaggio dura circa 4 ore, in effetti non sono poche per coprire i 300 km che separano le due città ma devo dire che il convoglio è comodissimo, e detto da un pendolare potete fidarvi.

Arriviamo a Boston per l’ora di pranzo, giusto il tempo per prendere un taxi verso il Doubletree by Hilton, l’hotel è carino e la qualità nettamente superiore rispetto a quello di New York, registrarci, posare le valige e ripartire alla ricerca di un posto dove mangiare.

La prima impressione, poi confermata dai fatti è che Boston sia molto più vivibile e a misura d’uomo di New York, il nostro albergo è accanto al Tufts Medical Center quindi leggermente fuori dal centro storico in un’area tranquilla ed immersa nel verde.

Come primo giorno non riusciamo a fare granchè, ci dedichiamo a passeggiare per il Boston Common che non è soltanto un delizioso e curatissimo parco ma addirittura il più antico giardino pubblico degli Stati Uniti. La storia è una costante della città, non c’è nulla di banale e scontato, non è un caso che gli USA come li conosciamo noi affondino a Boston le proprie radici. Oggi il parco è utilizzato a scopo puramente ricreativo, ma è ricco di monumenti come la Brewer Fountain, il Soldiers & Sailors Monument o il Sub Chasers Memorial, e ha una storia che risale addirittura alla prima metà del ‘600, acquistato dai cittadini di Boston nel 1632 fu dichiarato pubblico solo 8 anni dopo nel 1640.

E’ stato un punto di riferimento anche militarmente, durante la Rivoluzione Americana infatti fu trasformato in campo base per i soldati inglesi, 1700 Red Coats trascorsero qui l’inverno tra il 1775 e il 1776 in attesa di un possibile attacco di George Washington.

Riusciamo a fare due passi nel quartiere di Beacon Hill, elegante zona residenziale dove fanno bella mostra di sé i tipici edifici di mattoni rossi. Molto caratteristico il passaggio pedonale di Acorn St. Vale senz’altro la pena percorrere le tranquille vie di questa parte della città alla ricerca di particolari scorci, è evidente l’influenza britannica e risalta ancor di più il contrasto fra questa zona di Boston e la parte più moderna di essa. Non è strano che siano soprattutto gli europei ad apprezzare il quartiere, passeggiare qui è come respirare aria di casa, in un certo senso si potrebbe dire che Beacon Hill sta a Boston come Greenwich Village sta a New York.

16 settembre

Unica giornata piena a Boston la dedichiamo al Freedom Trail, è un percorso lungo circa 4 km segnalato lungo le strade della città da una linea di mattoni rossi. Il Sentiero della Libertà collega fra di loro quasi tutte le principali attrazioni di Boston, luoghi storici che hanno profondamente segnato la vita della città e degli Stati Uniti, partendo dal Boston Common passando per la Old South Meeting House, l’Old State House e la Casa di Paul Revere finisce alla USS Constitution a Charlestown.

L’idea del Freedon Trail risale agli anni ’50 del secolo scorso dall’immaginazione di un giornalista locale, intuizione felice che fu poi concretizzata dal sindaco John Hynes.

Lo seguiamo da bravi scolari partendo dal parco, qui potrete trovare l’immancabile Visitor Centre munito di piantine, informazioni, e suggerimenti più o meno utili per vari tour della città, attenzione solo che alcuni di essi sono la classica trappola per turisti.

Non tutte le attrazioni sono visitabili, le chiese in particolare erano tutte chiuse, pare che in taluni casi si possano organizzare visite ad hoc ma sull’argomento non abbiamo trovato informazioni precise.

Ci fermiano prima al Burying Ground il cimitero accanto alla King’s Chapel, dove si trovano le tombe di Paul Revere della famiglia Franklin e di altri personaggi importanti nella storia di Boston, per poi passare alla Park Street Church una delle più antiche chiese della città la cui costruzione risale all’inizio del 19° secolo. Personalmente quello che ho apprezzato di più del Freedom Trail è stato innanzitutto il vecchio mercato o Faneuil Hall, risale al 1742 e fungeva non solo da mercato ma anche da luogo di incontro e riunione. Viene regolarmente utilizzato ancora oggi, c’è un primo piano ricco di banchetti e botteghe dove troverete senza dubbio qualcosa da mangiare vista la varietà, sorprende per ordine e grande pulizia, mentre il secondo piano tutt’ora è utilizzato per alcuni dibattiti di interesse cittadino. Subito dopo la casa di Paul Revere, la definirei una gemma preziosa incastonata in un gioiello più grande. È perfettamente conservata, realizzata in legno, vi si può accedere a piccoli gruppi viste le dimensioni ridotte degli ambienti e la delicatezza degli arredi. Al suo interno è proibito scattare foto e in ogni stanza c’è una guida (spesso sono volontari) ansiosi di spiegarvi ciò che state vedendo, a patto che capiate cosa dicono è di certo interessante.

Prendetevi tutto il tempo necessario per il Freedom Trail, una giornata secondo me è l’ideale per godersi appieno le varie tappe del percorso senza tralasciare nulla. Pensare che qui sono nati gli Stati Uniti odierni è emozionante, vedere con i propri occhi i posti dove la storia è stata scritta realmente non è una fortuna da sottovalutare. C’è un po’ di rammarico per aver forse dedicato troppo poco tempo alla città, va però precisato che qui non troverete la roboante vita notturna di New York, il centro storico è piccolo e godibilissimo anche di sera. Attenzione alla zona del parco, per quanto bello e ben conservato ho notato come già di giorno in alcune sue zone non sia ben frequentato e al calar delle tenebre la situazione peggiora esponenzialmente.

La fine della nostra permanenza a Boston è prossima, sta per iniziare l’ultima parte del viaggio che nei nostri progetti dovrebbe essere la più bella,on the road per una settimana lungo le coste del New England.

17 settembre

Si parte, muniti di auto siamo finalmente liberi di decidere ogni più piccolo dettaglio del nostro viaggio, un taxi ci porta agli uffici della Alamo dove in pochi minuti ci viene consegnata una Chrysler 200 blu con cambio automatico, una bella macchina spaziosa e comoda. Non avevo mai guidato con il cambio automatico ma ci è voluto poco ad abituarsi, peggio è stato iniziare nel traffico caotico di Boston, confesso che nonostante il GPS non è stato facile capire come uscire dalla città.

La nostra prossima tappa è Rockport ma prima di arrivare lì c’è una sosta a cui tengo molto e che non mi perderei per nulla al mondo, Salem la città delle streghe. La mitologia intorno a questo centro è infinita, io l’ho conosciuta oltre che dalle pagine della storia grazie ad un libro di Stephen King, uno dei miei autori preferiti.

La realtà come spesso accade è molto diversa dall’immaginazione e dall’iconografia, leggo con attenzione la storia di Salem e mi rendo conto di come la paranoia delle streghe nasca da una sorta di pettegolezzo o delazione, qui non a caso usano la parola Hysteria per definire il fenomeno. Credo che abbiano ragione, è pur vero che si parla di un’epoca dove le superstizioni la facevano da padrone e il metodo scientifico era lontano da quello odierno.

Per sintetizzare in poche righe la storia di quei terribili mesi, nel 1692 alcune ragazze di Salem dichiarano di essere vittime di un maleficio e di avere inquietanti visioni del futuro, di tutto questo sono accusate tre donne fra cui la schiava caraibica dei Parris (due delle tre ragazze erano le figlie di questi ultimi Abigail e Betty) di nome Tituba. In breve ad ottobre scoppia una vera e propria caccia alle streghe, sono incarcerate ed impiccate 20 persone fra uomini e donne, fino a quando, un anno Corte di Giustizia creata ad hoc riesamina i casi ed assolve praticamente tutti coloro che erano rimasti in carcere, circa una cinquantina di persone.

La breve e non richiesta lezione di storia è tanto per far capire quanto mi abbiano colpito le vicende di Salem e di come dietro al mito ci sia molto meno di quel che possiamo pensare.

Gran parte dei visitatori viene qui per le streghe e per tutto ciò che ruota intorno alla loro storia, ma questo delizioso centro offre di più, uno splendido lungomare ad esempio e poi è la città natale di uno dei più importanti autori americani Nathaniel Hawthorne, padre de La lettera scarlatta.

C’è molto da vedere, preferiamo evitare i tour guidati che sembrano il classico specchietto per le allodole per turisti in maniera tale da poter scegliere liberamente aiutando con la guida. Ci fermiamo qualche minuto all’Old Burying Point Cemetery antico cimitero risalente al 17° secolo dove è sepolto uno dei pellegrini del Mayflower e le donne vittime dell’Inquisizione. Soffermatevi a leggere le iscrizioni sulle lapidi e provate a pensare a quei terribili mesi di molti secoli fa e alle sofferenze che patirono le sfortunate vittime dell’isteria.

Girovaghiamo serenamente, è una bella mattinata di sole e non c’è confusione visto che il periodo del turismo di massa è ormai passato, ci lasciamo affascinare dalla Witch House o meglio Corwin House che in pratica è la casa di uno dei giudici che che presiedettero il processo, ma viene da sé che il nome Casa delle Streghe è molto più affascinante dell’altro e di sicuro attira più turisti.

Questa deliziosa casetta nera in legno è conservata benissimo, gli arredi sono perfettamente a tono, non sono in grado di dire se si tratti di quelli originali ma ce li propongono come tali e noi ci crediamo. La visita porta via pochissimo, gli ambienti sono piccoli e la casa è forse più interessante dall’esterno che dall’interno, però posso permettermi di consigliarne la visita.

Un’occhiata ai negozi di souvenir è doverosa anche se come si può immaginare gli oggetti proposti sono monotematici, dopo di che scatta la visita al Witch Museum, un’insieme di pupazzi terrificanti, location spaventose e poco altro, non si può certo parlare di valore storico.

Abbiamo trovato carinissima la statua eretta come omaggio al telefilm anni ’60 “Vita da strega”e alla sua protagonista Samantha la strega! Credo che tutti quelli della mia generazione o di quelle precedenti abbiano visto qualche episodio di quella serie, non potevamo non scattarci qualche foto accanto a Samantha, d’altronde quale posto migliore di Salem per una cosa del genere?

Ci fermiamo per pranzo e prima di ripartire diamo un’occhiata alla famosa Casa dei sette abbaini da cui il titolo di uno dei romanzi di Hawthorne e al Salem Witch Trials Memorial che null’altro è che una sorte di cortile di pietra caratterizzato dalla presenza di varie panchine suu cui sono incisi i nomi delle vittime della caccia alle streghe.

Siamo soddisfatti di aver dedicato qualche ora a Salem, certo alcune cose sono evidentemente esagerate o addirittura grottesche, il desiderio di guadagnarci su probabilmente ha fatto perdere il senso della misura, tolto questo però la visita della città è godibilissima.

Partiamo in direzione Rockport dove trascorreremo la notte, ci tocca l’Emerson Inn by the sea scenografica guesthouse con splendida vista mare. È un antica costruzione in legno e questo influenza le dimensioni delle camere piuttosto piccole ma la stanza è carina e la vista che si gode dal giardino è imperdibile. Quando abbiamo disegnato il percorso la scelta è ricaduta su Rockport quasi per caso, più per la breve distanza da Boston che per altro, ma se di fortuna si può parlare in questo caso ci ha sorriso.

E’ un bellissimo paese di pescatori, come se ne vedono nei film o nelle cartoline, abbiamo anche l’occasione di visitarlo senza la confusione tipica dei mesi estivi. Un susseguirsi di case in legno coloratissime, negozi, ristoranti, senza mai scadere nell’esagerazione che a volte caratterizza luoghi simili.

Un porticciolo meta di turismo dalla vicina Boston, quello che noto ora che l’estate volge al termine è come la popolazione sia per buona parte composta da persone di una certa età, Rockport infatti è una sorta di buen ritiro per chi dopo la pensione (e aggiungo con adeguata disponibilità economica) cerca un luogo tranquillo dove godersi la vita.

Il rovescio della medaglia sta nel fatto che tutto chiude abbastanza presto, ristoranti compresi. Oltre le 17, soprattutto in questo periodo, si trovano i negozi chiusi mentre i ristoranti raramente servono la cena oltre le 20, serve regolarsi di conseguenza.

Il paesaggio ci ricorda quello già visto in Irlanda, un borgo talmente bello da sembrare un set cinematografico, non so come sia in piena estate e forse per alcuni potrebbe sembrare privo di vitalità ma è proprio la serenità che trasmette a renderlo unico. Ci sediamo a prendere un thè in una pasticceria specializzata in strudel, seduti sulla terrazza che si affaccia sul piccolo porto, il sole che inizia a tramontare, potessi congelare l’attimo lo farei senza pensarci su, vorrei durasse di più.

Dopo un breve riposo in hotel ritorniamo in centro per la cena e visti i prezzi abbordabili ci concediamo niente meno che due aragoste spendendo 35 $ in due, chissà in Italia quanto ci avrebbero chiesto.

18 settembre

Lasciarsi Rockport alle spalle dispiace non poco, ma il viaggio deve continuare e a ritmo abbastanza serrato, la tappa di oggi infatti è Portland nel Maine.

Sono quasi duecento i kilometri che ci separano dalla meta, ma sono almeno due le fermate da fare prima di arrivare a destinazione. La prima la scopriamo un po’ per caso, qualche riga sulla guida e alcuni volantini trovati in hotel ci parlano dell’Halibut Point State Park. Come si può intuire è una riserva naturale che dista non più di 5 minuti di auto dal nostro hotel, più precisamente si tratta di una cava di granito ormai allagata e trasformata in habitat naturale per uccelli, pesci ed immancabili scoiattoli.

Arriviamo talmente presto da essere i primi, quindi c’è il tempo di girare per la riserva in pace e senza nessuna confusione intorno. È banale parlare della bellezza di questo incontaminato angolo di mondo, ci perdiamo dietro alle fotografie e all’osservazione di tutto quello che ci sta intorno, con calma scendiamo verso l’oceano dove ci attende un particolarissimo litorale.

Inizialmente l’idea era quella di restare qui pochi minuti, ma nel momento in cui ci siamo non abbiamo nessuna fretta di andar via, c’è pace assoluta, non si sentono voci o rumori, meglio di così non si può chiedere.

Ripartiamo direzione Portland visto che la distanza non è poca e cerchiamo qualche altra tappa da poter fare lungo il percorso, la nostra attenzione è attirata da Cape Elizabeth e dal suo faro qui conosciuto come Portland Head Light. Ci arriviamo a ridosso dell’ora di pranzo e quel che troviamo non tradisce le aspettative, il faro è inserito in un parco enorme fatto di prati all’inglese curatissimi dove la gente viene abitualmente per il classico pic-nic, osservandolo con attenzione, al di là del contemplare la scogliera e il bel panorama, mi domando come sarebbe vederlo con il mare in tempesta magari in una plumbea giornata invernale senza confusione intorno e con le onde che si infrangono sugli scogli sottostanti.

Tutte queste considerazioni nascono dal fatto che, come sempre, nella mia smania di documentarmi ho trovato delle splendide fotografie online nella situazione appena descritta e mi piacerebbe molto avere la fortuna di poterne scattare una simile.

Una volta qui Portland è molto vicina, il nostro hotel dista una quindicina di kilometri perciò ce la possiamo prendere comoda per arrivare visto che è abbastanza presto, ci sistemiamo al Westin Portland Harborview hotel moderno e di buon livello, diciamo che almeno stavolta l’agenzia di viaggi ha fatto il suo, purtroppo non siamo stati bravi e fortunati nella scelta forse sarebbe stato meglio organizzare tutto da soli.

Su Portland non ho molto da dire, città portuale che a mio parere non offre niente di particolare o che meriti una sosta, l’abbiamo utilizzata come pernottamento verso la tappa successiva ma confesso molta delusione. Non capita mai che io non trovi nulla degno di una fotografia ma qui è successo, abbiamo passeggiato parecchio in centro e nella zona del porto ma questo ci ha fatto venire ancor più voglia di ripartire l’indomani, sarà forse stata una mia errata impressione ma ho visto più degrado e visi loschi qui nel poco tempo che ci siamo fermati che a New York o Boston.

19 settembre

Lasciamo senza rimpianti Portland in direzione di North Conway nel New Hampshire verso quella che in origine sarebbe dovuta essere la prima di due tappe di montagna. Come accennato prima abbiamo avuto qualche problema organizzativo e in pieno dissenso con la nostra agenzia abbiamo cambiato all’ultimo momento due tappe del viaggio, certo abbiamo speso qualcosa in più ma dal punto di vista della soddisfazione personale abbiamo fatto la scelta ideale.

North Conway è un centro molto piccolo che si sviluppa lungo la strada principale, a quel che abbiamo potuto vedere e chi ci hanno spiegato il boom turistico l’ha trasformata molto negli ultimi anni, al punto che oggi, tolti i vari resort ed hotel, è un insieme di ristoranti, negozi di souvenir e outlet di vario genere.

È meta privilegiata di un turismo familiare e ce ne accorgiamo appena arrivati al Fox Ridge Resort dove trascorreremo la notte, siamo totalmente circondati da allegre famigliole con almeno 3 figli, potete immaginare quanto sia piacevole per una coppia in viaggio di nozze, ma anche qui sappiamo chi ringraziare.

Per noi italiani la parola montagna ha un significato preciso, nella fortuna di avere una meravigliosa varietà di paesaggi naturali il pensiero va subito allo spettacolo delle Dolomiti, qui invece sembra di essere in collina, c’è una meravigliosa distesa di boschi che nel periodo del foliage diventa magica ma mancano le vette a cui siamo abituati noi.

Se siete appassionati di trekking e vita nei boschi il luogo è ideale, ma per una breve tappa come la nostra può risultare noioso, il rischio è quello di rimanere quasi tutto il tempo in auto osservando ciò che vi scorre intorno. Cerchiamo consiglio alla reception del nostro hotel, ci mandano a delle presunte cascate chiamate Diana’s bath, ci si arriva dopo una decina di minuti di passeggiata nel bosco ma il gioco non vale la candela, non c’è nessuna traccia di cascate almeno in questo periodo dell’anno, è più un luogo dove i bambini possono sguazzare felici in delle pozze d’acqua naturali che si formano fra le rocce.

Alla ricerca di qualcosa da vedere (anche perchè fino alle 3 del pomeriggio non ci daranno la camera) ci armiamo di cartina partiamo sulla 112 o Kancamagus Highway con l’intento di farne almeno una parte, fino a Lincoln sono 35 miglia circa. Il paesaggio è sempre lo stesso almeno inizialmente, la strada ad un certo punto inizia a salire costantemente e compaiono le tanto sperate montagne, quasi per caso arriviamo a quello che è il simbolo dello stato del New Hampshire l’Old Man of the Mountain una formazione granitica che a causa dell’erosione del vento e dell’acqua nei secoli ha assunto i lineamenti di un anziano signore che veglia sulla montagna, da qui il nome.

Il problema è che il nostro anziano amico è crollato più di dieci anni fa (sempre per i soliti agenti atmosferici) quindi inutile perdere le diottrie per capire dov’è esattamente, non c’è proprio. Superato l’equivoco resta da apprezzare il paesaggio circostante, il lago sottostante con una bella passeggiata che lo costeggia, qui effettivamente sembra per la prima volta di essere in Trentino.

Sulla giornata non c’è molto altro da dire, fatto tutto questo arriviamo a metà pomeriggio quindi possiamo appropriarci della camera, l’esperienza qui ci fa capire che non siamo tagliati per la montagna, ci sono altri paesaggi e situazioni che fanno più al caso nostro, da qui la voglia di tornare verso il mare.

Trovato un posto per cenare maturiamo la decisione di saltare la tappa successiva per andare verso la costa, a nostre spese prenotiamo un hotel ed invece di Bedford percorrendo la stessa distanza andiamo a Portsmouth unico sbocco a mare di una certa importanza del New Hampshire.

20 settembre

Partiamo con calma dopo una buona colazione, arriviamo a Portsmouth a metà mattinata, con parecchio tempo davanti parcheggiamo in centro per visitare la città. Non c’è nulla di memorabile ma è uno di quei classici posti dove una passeggiata la si fa volentieri, sarà che siamo di nuovo vicini al mare (si sarà capito che per noi è importante) che possiamo vederlo e respirarne l’aria ma l’umore migliora decisamente.

A pranzo sperimentiamo anche la tipica esperienza americana della partita di football in compagnia, entriamo infatti in un pub molto pittoresco dove notiamo come tutti siano vestiti con la maglia dei New England Patriots, ne capiamo la ragione qualche minuto dopo! Per molti versi è come vedere da noi una partita di calcio fra amici magari mangiandosi una pizza però c’è qualcosa di diverso, manca la tensione si tifa a favore e mai contro, è più un’occasione per ritrovarsi ed evadere dalla quotidianità.

Nel riflettere su come occupare il pomeriggio mia moglie ha un’ottima idea, c’è un faro da vedere non possiamo non andare! È il Portsmouth Harbor Lighthouse a pochi minuti di auto dal centro, la cosa curiosa è che si trova dentro Fort Constitution oggi base della guardia costiera americana, quindi l’accesso è rigidamente concesso solo in certi orari e a patto di non mettere piede dove è proibito, qui il concetto di zona militare è tenuto in grande considerazione.

Per accedere al faro si è costretti a fare delle visite guidate, la cosa buffa è che l’ingresso sarebbe gratuito ma viene chiesta una donazione di 4 $ testa, il concetto di suggested donation lo trovo geniale, senza la quale non fanno entrare.

Per quanto bello il faro è simile a tutti gli altri visti in zona, il fatto è che la visita guidata pare non finire mai, ci sono ben 4 guide diverse che si dividono il compito di spiegare la storia del faro ma visto che non c’è poi così tanto da raccontare a volte si cade in silenzi imbarazzanti.

Terminata il tour risaliamo in macchina per percorrere ancora qualche kilometro di costa, non c’è una meta precisa perchè ciò che ci interessa sono le spiagge e le troviamo dopo poco. Ovviamente non ci sono bagnanti nonostante la bella giornata, ne approfittiamo per fare una passeggiata lungomare ammirando le case costruite proprio all’inizio del litorale. C’è un po’ di invidia nel guardare queste abitazioni, come in tutti i luoghi di mare l’inverno cambia completamente il ritmo e il senso delle giornate e in effetti la sensazione è che siano tutte case estive, ma l’idea di avere la spiaggia a non più di 50 metri (in alcuni casi anche meno) secondo me è il massimo.

Con grande tranquillità e senza nessuna fretta ci avviamo all’hotel che è proprio vicino all’uscita dell’autostrada, in posizione di sparo per l’indomani mattina quando dovremo partire.

Conclusa la giornata c’è da decidere cosa fare il giorno dopo e qui ci sta il nostro secondo piccolo colpo di stato. Saltiamo una tappa per trascorrere le ultime due notti del viaggio nella penisola di Cape Cod a Hyannis, base ideale per poter esplorare come si deve la zona.

21 settembre

Approfittiamo del percorso verso Hyannis per fare un’altra delle nostre tappe impreviste, sulle tracce dei padri pellegrini ci fermiamo a Plymouth dove attraccò il Mayflower l’11 novembre 1620.

Superfluo dire che tutto ruota intorno a questo, la parola pilgrim si trova praticamente nei nomi di tutte le attività commerciali, e temevo di trovare un baraccone simile a quello di Salem ma qui tutto è stato fatto con maggiore rispetto degli avvenimenti storici e gusto.

Su cosa vedere non c’è nessun dubbio, innanzitutto il Mayflower II che a quanto pare è la copia esatta dell’originale. C’è la possibilità di acquistare (e lo consiglio) un biglietto cumulativo per la nave e la Plimoth Plantation il cui ingresso si aggira sui 25$ a testa.

Ciò che colpisce della nave è come abbiano ricostruito il tutto con dovizia di particolari e grazie a questo ci si rende conto di quanto dura debba essere stata la traversata che i primi pellegrini dovettero affrontare nella loro strada verso il Nuovo Mondo. A bordo ci sono anche dei figuranti in costume d’epoca che raccontano la storia della nave e si prodigano in alcune dimostrazioni pratiche, a me per esempio è piaciuta molto quella sull’uso del moschetto.

Fatto il rituale giro dei negozi di souvenir da cui le nostra tasche escono alleggerite di qualche dollaro, ci dirigiamo verso la piantagione in auto, si trova infatti circa 4 miglia fuori dal centro della città. Prima di arrivare lì non avevo idea di cosa avrei visto e la prima cosa a sorprendere sono le dimensioni e l’estensione della Plimoth Plantation. In sintesi è la ricostruzione completa di un villaggio di pellegrini e anche di un insediamento dei nativi americani americani che popolavano l’area prima dell’arrivo dell’uomo bianco.

Lo spettacolo vale i soldi spesi per il biglietto, la cosa interessante e che, come sulla nave, ci sono ovunque figuranti in costume impegnati nelle attività quotidiane dell’epoca e che spiegano ai turisti curiosi quello che stanno facendo. C’è molto da camminare e lo si fa all’interno di uno splendido bosco quindi la passeggiata non pesa minimamente, si arriva al villaggio dei pellegrini un po’ a sorpresa nel senso che si esce dalla macchia e di colpo ci si trova davanti all’immensa spianata dove sorge il villaggio. Restiamo qui parecchio, arriviamo all’ora di pranzo quasi senza accorgercene, ma non restiamo a Plymouth, ripartiamo alla volta di Hyannis facendo tappa in un altro paesino dal nome invitante Sandwich.

Chiedo venia per la battuta scontata ma mi è venuta spontanea, non avevamo mai sentito parlare di questa località e ammetto senza remore che è uno dei posti più belli mai visti sin ora. È un piccolo centro dove ogni casa in pratica è un monumento, vuoi per la cura con cui sono mantenute vuoi per il gusto che regna sovrano, sembra di camminare in un quadro.

Abbiamo l’occasione di visitare anche un antico mulino ad acqua perfettamente conservato con tanto di guida, un buffissimo vecchietto dalla parlata incomprensibile e dalla battuta facile. Capitando da queste parti consiglio vivamente di non lasciarsi sfuggire Sandwich, oltretutto nel mese di ottobre ci spiegano che c’è la fioritura delle strawberries fenomeno spettacolare perchè dona ai campi della zona un colore rosso fuoco incredibile.

Arriviamo a Hyannis nel tardo pomeriggio, giusto il tempo per una doccia e usciamo di nuovo per la cena, qui infatti i ristoranti chiudono molto presto quindi consiglio di non andare troppo tardi per non rischiare di rimanere a bocca asciutta.

22 settembre

La giornata di oggi la dedichiamo alla scoperta della penisola di Cape Cod, senza un programma preciso partiamo verso nord percorrendo la 28. Attraversiamo diverse località spingendoci fino ad Eastham passando per Chatam e Orleans e finiamo col trascorrere la giornata a caccia di fari e a passeggiare per queste enormi spiagge di sabbia bianca completamente deserte.

L’incontro più bello ed inatteso lo facciamo all’inizio a Chatam, camminando sul lungomare vediamo spuntare dall’acqua una testolina con due enormi occhi scuri che ci fissa un po’ e poi scompare di nuovo sott’acqua, era una foca! Sapevamo che questa zona è loro habitat naturale ma mai ci saremmo aspettati di poterne incontrare una dal vivo!

Il tempo passa così, a zonzo per spiagge e piccoli centri, ci fermiamo per scattare qualche foto o non appena intravediamo uno scorcio che ci piace, in totale libertà.

Tornati a Hyannis aspettiamo il tramonto per andare a vedere il memoriale di JFK (qui i Kennedy erano soliti trascorrere le loro estati) e ci appostiamo in spiaggia per vedere lo spettacolo del sole che tramonta sul mare, il modo più bello per concludere una giornata.

23 settembre

Finisce oggi il nostro viaggio, dobbiamo tornare a Boston e da lì tornare in Italia. Per quanto sia stata un’esperienza fantastica abbiamo un po’ di nostalgia delle nostre famiglie e della nostra casa, c’è ancora una giornata piena davanti a noi e non vogliamo sprecarla.

Andiamo a visitare la zona di Cambridge che a tutti gli effetti è una città distinta da Boston e dove hanno sede due fra le più importanti università del mondo, il MIT e Harvard. Che ci si trovi in una città universitaria è evidente, si vedono sciamare ragazzi dappertutto è una zona piena di vitalità, locali, negozi di libri usati, tutto quello che ci si aspetterebbe di trovarci.

Harvard è quella che si vede nei film, il campus si può tranquillamente visitare a patto di non recare disturbo agli studenti, si chiede di non schiamazzare e di non puntare macchine fotografiche contro le finestre dove si stanno tenendo le lezioni. In realtà gli edifici sono quasi tutti interdetti a chi non è studente, bisogna accontentarsi quindi di vederli da fuori, meglio che niente bisogna accontentarsi. Per chi è interessato esistono delle visite guidate gratuite organizzate direttamente dagli studenti, noi non ne abbiamo approfittato ma si racconta che siano particolarmente divertenti perchè condite da episodi ed aneddoti particolari.

Non dimenticate una volta qui di toccare il piede della statua di John Harvard che si trova nel cortile gesto che secondo la tradizione porterebbe fortuna, per la serie non ci credo ma mi adeguo anche io non ho potuto tirarmi indietro.

Beh che altro dire, siamo arrivati alla fine della nostra esperienza, la nostra prima volta negli USA ci ha già fatto venir voglia di tornare il prima possibile. Qualsiasi aggettivo o parola sarebbe sprecato per definire ciò che abbiamo visto e vissuto, posso solo dire che ce ne torniamo a casa davvero felici



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