Alsazia: strada dei vini e Strasburgo

Una sera a cena da amici, parlando, diciamo che vogliamo fare un giretto in una capitale europea e loro ci consigliano l’Alsazia. Una meta facilmente raggiungibile in auto e con tante opportunità per creare un viaggio a proprio piacimento. Così inizio a fare ricerche su internet e mi imbatto nel sito “Turisti per caso”. Leggo le...
Scritto da: cocco 1
alsazia: strada dei vini e strasburgo
Partenza il: 30/04/2008
Ritorno il: 04/05/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
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Una sera a cena da amici, parlando, diciamo che vogliamo fare un giretto in una capitale europea e loro ci consigliano l’Alsazia. Una meta facilmente raggiungibile in auto e con tante opportunità per creare un viaggio a proprio piacimento.

Così inizio a fare ricerche su internet e mi imbatto nel sito “Turisti per caso”. Leggo le esperienze della gente e da tutti i resoconti preparo un piano di viaggio con allegati i riferimenti, suggerimenti, consigli., debitamente suddivisi per città.

Ed ecco il nostro ringraziamento. Di seguito un diario di viaggio dedicato a chi, come noi, si considera più un viaggiatore che un turista e quindi ama vivere il contatto, oltre che con il luogo, anche con le persone.

ALSAZIA: STRADA DEI VINI E STRASBURGO Partiamo da Ravenna mercoledì 30 aprile alle 09.45. Arrivati alla Dogana di Chiasso compriamo l’etichetta adesiva per le autostrade elvetiche, costa € 30, e attraversiamo la Svizzera. Seguiamo la E35 verso nord, quindi transitiamo sotto il San Gottardo (17 km), raggiungiamo Basilea, percorriamo un breve tratto di autostrada tedesca in direzione Friburgo e attraversiamo il Reno. Arriviamo a RIQUEWIHR alle 18.45.

Ci mettiamo subito alla ricerca di una chambres d’hotes. Molto diffuse in tutta la Francia sono camere con bagno, a volte anche in comune, che le persone del luogo mettono a disposizione per i turisti. Il costo si aggira intorno ai 30 € a camera con un piccolo extra se si vuole la colazione. Secondo me è un ottimo modo per viaggiare la Francia risparmiando, instaurando però anche un rapporto con le persone del luogo, anche se non sempre si possono trovare persone cordiali…Ma tutto il mondo è paese.

Dopo aver suonato a ben 6 campanelli, troviamo: HUNZINGER ODILE 9, rue des tuileries 0389479370. Il costo della camera, con doccia in camera ma bagno in comune, è di € 30. La camera è pulita e la signora di una gentilezza squisita…Per cui decidiamo di fermarci da lei e soggiornarci 2 notti. Dopo una magnifica doccia ristoratrice partiamo alla scoperta di Requewihr.

Adagiato sulle colline lungo la “Route des vins” a 300 mt di altezza e poco più di 1200 anime, è unitamente riconosciuto come uno dei più bei villaggi di Francia, un vero e proprio villaggio da cartolina. Non possiede monumenti di fama internazionale ma è un riassunto di tutta la bellezza e grazia dei paesi alsaziani.

Ha una doppia cerchia di mura del XIII secolo che protegge un centro storico interamente pedonale attraversato da un’unica via, la Grande Rue, punteggiata da vecchie case a graticcio, osterie (le cosiddette “wistub”), negozi di artigianato e brasserie.

Simbolo della città è la torre del Dolder, costruzione medievale in pietra, al tempo stesso porta d’accesso, torre campanaria e torre di guardia.

Riquewihr è piena di sorprese: da una bella collezione di diligenze postali, alla Tour de Voleurs (torre dei ladri), antica prigione che raccoglie strumenti medievali di tortura, al museo dedicato al celebre fumettista Hansi, al suggestivo “Feerie de Noel”, negozio di splendide decorazioni natalizie artigianali della famosa catena Kathe Wohlfahrt.

Inoltre è proprio questo piccolo paese a vantare una delle cantine più antiche della zona, quella della famiglia Hugel, che risale ai primi del ‘600. Ancora oggi l’azienda vinicola, gestita da quattro membri della famiglia, utilizza tecniche di raccolta e di lavorazione dell’uva tradizionali. La loro cantina si trova proprio sulla via principale, al civico 3 di Rue de la Première Armée, al piano interrato di un bellissimo palazzo del XVI secolo: sono loro stessi a fare da guida ai visitatori. Ci sono però altre famose cantine tipo il Moulin Dopf e la dopff & Irion, dove abbiamo fatto le nostre degustazioni e acquistato numerose bottiglie di vino (consiglio almeno una bottiglia di vendemmia tardiva).

Ci fermiamo a cena al ristorante AU TIRE BOUCHON WINSTUB, sulla Grande Rue, ambiente carino, un po’ turistico ma con una buona cucina. Prendiamo due piatti tipici, beackeoffe (Pasticcio di patate stufate nel vino bianco alsaziano che associa tre tipi di carne: maiale, manzo e montone. Viene cotto in un piatto speciale sigillato da una pasta salata) e choucroute (Il cavolo grattugiato e messo a salamoiare nelle botti, una volta era l’unica verdura invernale. La choucroute, piatto forte della gastronomia alsaziana, viene consumata in tutte le stagioni, guarnita da salumi o, in versione “light”, pesce), Riesling , sorbetto e schnaps (L’acquavite spesso conclude un buon pasto. Può essere a base di fragole, lamponi, prugne, mirabelle, susine, ciliegie, pere o gewurtztraminer), per un totale di € 64.

Giovedì I° maggio partiamo alla volta di HUNAWIHR. La chiesa, molto semplice e piccola, all’interno, nel transetto di sinistra, contiene la storia della città. La leggenda vuole che il luogo fosse abitato da San Huno e la sua sposa Santa Huna. Intorno alla loro residenza si agglomerò pian piano un centro abitato e la casa dei santi divenne prima una chiesa e poi un palazzo. Poi tutto divenne una chiesa che si ingrandì negli anni, fino alle dimensioni attuali. Decidiamo di visitare il Centro delle Cicogne. Centro per la salvaguardia e la reintroduzione delle cicogne, è aperto tutti i giorni nel periodo aprile-ottobre, e il mercoledì, sabato e domenica tra il 1° e l’11 novembre.

L’ingresso costa 8 € a persona. All’entrata si può vedere un filmato sulla vita delle cicogne e delle lontre della durata di 20 minuti (ma non in italiano). Il parco è ricco di cicogne (caratteristico è il loro grido di richiamo, un ta ta ta fatto battendo il becco velocemente). E’ possibile vedere anche alcune cicogne chiuse in grosse voliere, situazione necessaria per 3 inverni per perdere l’istinto di migrare e diventare così stanziali. Terminata la visita al parco decidiamo di visitare RIBEAUVILLE’.

E’ uno dei paesi più visitati, ma alle 9 di mattina è ancore vivibile e ha un suo fascino. Andando alla ricerca della Torre dei macellai del 1200/1300 e del municipio con la fontana rinascimentale (presente in ogni villaggio pur variando di dimensioni e numero di secchi) ci si imbatte in quella che una volta era la casa dei menestrelli: Maison Pfifferhus (Casa dei Pifferai, del 1600.) Il simbolo del paese è per l’appunto un menestrello che suona il piffero.

Nel medioevo, i signori di Ribeauvillé erano “re” dei menestrelli e trovatori di tutta l’Alsazia.

La leggenda narra di un signore della città che, incontrando in strada un pifferaio disperato per aver perduto il proprio strumento, attorniato dalla sua famiglia in lacrime terrorizzata dalla fame incombente, gli regalò una borsa di monete, dimenticando subito l’episodio.

Qualche giorno dopo arrivò al castello un grande sorpredente corteo, capeggiato dal pifferaio che suonava uno strumento tutto d’oro, composto da tutti i possibili artisti ambulanti: suonatori di trombe e tamburi, menestrelli, domatori di orsi, di cani, di gatti, di scimmie – e insomma tutta la straordinaria corporazione degli artisti ambulanti, che veniva a nominarlo proprio re, in segno di gratitudine per la sua generosità.

Così da allora, tutti gli anni, quelli che oggi chiamiamo musicisti ed artisti di strada convennero a Ribeauvillée per una grande festa. Questa festa dei menestrelli si ripete ancor oggi, la prima domenica di settembre, con un grande corteo folkloristico e festival di musica medioevale.

Ci fermiamo a fare luna degustazione di vino nella cantina di un convento (Convent de la Divine Provvidence), poi ci muoviamo alla volta di COLMAR. Miracolosamente risparmiata da entrambe le guerre mondiali, oltre ad essere una cittadina stupenda, è anche la capitale dell’Alsazia vinicola.

E’ un dedalo di vie pedonali lastricate e di palazzi in stile alsaziano che risalgono al Medio Evo o al Rinascimento. Romantica e affascinante possiede tra le più belle case dette a colombaia o graticcio ( con travi di legno a vista e sono tinteggiate in azzurro, viola, arancione, rosso e verde), 45 monumenti storici e 2 splendide Cattedrali Gotiche.

La casa alsaziana più vecchia, del 1350, è la maison Adolph, ma la più bersagliata dai flash dei turisti è la Maison Pfister del 1537 con dei pannelli decorati e dipinti con colori delicati. Un’altra casa che merita un paio di foto, anche se i turisti sembrano snobbarla è la Maison des Tetes, in rue des Marchands ed è notevole per le decorazioni esterne e per il bellissimo balcone in legno scolpito, antica borsa dei vini alsaziani, deve il suo nome al gran numero di maschere con cui è decorata la facciata. Ora al suo interno è aperto un lussuoso hotel ed un ristorante tipico alsaziano.

E’ un po’ più recente..Si fa per dire…È infatti del 1609 e come dice il nome ha una facciata su cui si affacciano 106 volti umani con diverse smorfie, accanto a teste di animali. Tutte le teste sono scolpite nella pietra.

I quartieri di Colmar sono ancora divisi in base alle corporazioni, per cui si trova la via dei calzolai, dei pescivendoli e quella dei mercanti. All’incrocio tra la via dei conciatori e quella dei pescivendoli, che costeggia il fiume Lauch, si trova il quartiere che sulle guide troverete indicato con il nome di Petite Venise, ma che sulle targhette delle strade è chiamato Quartier de la Krutenau. Un tempo abitato da pescatori e barcaioli, questo oggi è uno degli angoli più suggestivi e pittoreschi della regione, famoso per le bellissime case del XIII e XIV secolo circondate da suggestivi canali.

Passeggiare di notte sulla Grande Rue fiancheggiata da eleganti edifici e logge con decorazioni originali, scolpite o dipinte è come fare un salto indietro nel tempo, al Medioevo.

Ad ogni angolo della città si incontra un’opera di Frédéric Bartholdi (Colmar 1834/Paris 1904), scultore originario di Colmar, famoso per aver realizzato la statua della libertà di New York, dove ha usato come modelle la madre per il volto e la moglie per il corpo. La statua completata in Francia nel 1884 è stata trasportata fino a New York sulla fregata francese “Isere” scomposta in 350 parti. La statua è stata riassemblata in quattro mesi ed il 28 ottobre 1886 è stata inaugurata. La sua casa natale in Rue des Marchands 30 è oggi sede del Museo Bartholdi che custodisce inoltre il Polittico di Issenheim, capolavoro di Grunewald, una delle opere più importanti della pittura religiosa del 1500. Definito da molti come il Louvre alsaziano, il museo aperto ogni giorno in estate, vanta al suo interno oltre alla celeberrima Pala d’altare d’Issenheim, anche la ricostruzione di una cantina alsaziana, delle armature medioevali e alcuni cimeli della rivoluzione francese.

Da ammirare la “vecchia dogana” con il tetto elegantemente colorato e “ a greche”, tipico alsaziano e la chiesa dei domenicani che ospita la “ Vergine del roseto” . La si vede dietro il pagamento di 1.50 € (la riproduzione di questa tavola si trova in altre chiese).

RISTORANTE CONSIGLIATO: Winstub Koi Fuss nell’antica piazza della doga ( è carina, si mangia bene e i costi sono nella media: con 20/30 euro si può mangiare in due assaggiando tarte flambé, tarte all’ognion, patè de foie grass o in alternativa i vari piatti di carne di maiale con i cavoli o le patate e bere i diversi e numerosi vini tipici della zona). Noi purtroppo abbiamo pranzato alla Braserie Schwendi perché era già stato scelto da due amici ma, pur avendo assaggiato la comunissima Tarte Flambe (l’equivalente di una nostra pizza), non possiamo suggerirvi di provarlo. Il ristorante è caotico, con camerieri scortesi e la Tarte…Niente di eccezionale. Comunque il conto è stato di € 30 (2 tarte flambè, acqua, vino e grappa).

NOTA IMPORTANTE: Il parcheggio “Mairie” è il meno caro rispetto tutti gli altri (€ 1.10/ora).

Rientriamo per una doccia e decidiamo di andare a cena a KAYSERBERG. Una volta città imperiale oggi centro vinicolo. È attraversato dal fiume Weiss sul quale conserva ancora un ponte in arenaria rossa che divide in due il paese, del 1400/1500 che fa parte delle antiche mura difensive del paese, oggi quasi del tutto distrutte. Le case sono più alte e signorili, e sovrastate come sempre dalle rovine dell’antica fortezza del 1400. C’è una chiesa (Eglise Ste Croix) con il portale antico e di valore artistico. Si tratta di un bassorilievo del 1200 in pietra locale, quindi tendente al rosso, che raffigura l’incoronazione della vergine. Il particolare più pittoresco è l’autoritratto dell’autore in basso a sinistra, raffigurato come un omino senza gambe ma con i piedi attaccati direttamente alla veste…D’altronde non è che ci fosse così tanto spazio per mettere anche le gambe.

Celebre per aver dato i natali al dottor Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace. Scegliamo il Ristorante Chambard dove mangiamo foi gras, munster, escargot, beviamo pinot grigio, caffè e grappa al costo di € 55. Ottima scelta, ottimo ristorante e ottimo servizio.

Venerdì 2 maggio lasciamo la nostra chambres d’hotes a Riquewihr alla volta di Strasburgo ma lungo la strada abbiamo programmato diverse soste.

1)Visita al CASTELLO DI HAUT-KOENIGSBOURG (€ 7,50 a persona) consigliamo di essere in loco alle ore 10,00 altrimenti si riempie talmente tanto di turisti da non riuscire a vedere niente.

Il castello du Haut Koenigsbourg ! E’ uno dei tanti castelli fortificati che popolano gli speroni rocciosi delle alte colline che sovrastano la zona. Ciò che lo rende diverso è il fatto di aver avuto in sorte un lungo, attento restauro.

Gli altri castelli infatti, anche se visti da lontano mantengono la loro imponenza, sono fortezze del vuoto, i loro muri interni sono per lo più crollati e non rimane che l’involucro esterno a rappresentanza di antiche fortezze militari.

A Haut Koenigsbourg questo destino è stato risparmiato, forse perchè era il più grande, forse perchè era meno rovinato di altri o forse semplicemente perchè ha un certo punto della sua storia è entrato a fare parte del patrimonio forestale di Selestat, una città non distante, che per iniziativa dell’imperatore Guglielmo II ha dato inizio, agli inizi del 1900, al ripristino del castello. Della struttura originale, rimane molto, ma molto è stato anche ricostruito. L’aspetto attuale del castello è simile a quello che aveva alla fine del 1400, anche se la struttura originaria, un’antica abbazia costruita su uno sperono roccioso, è del 1200.

Gli interni sono completamente ricostruiti. I mobili e i decori non sono originali, ma copie fedeli ricostruite a partire da ciò che era rimasto dopo la rovina del castello.

CENNI STORICI Situato a circa 50 km da Strasburgo ed a 710 m. D’altitudine nella cittadina dei Sélestat (il centro è a circa 13 km), questo castello sorge sull’omonimo picco roccioso ed è uno dei luoghi più suggestivi di tutta l’Alsazia.

La storia di questo castello risale, si dice, al 774 quando Carlo Magno fece dono all’abate St-Denis del monte dove sorge attualmente la fortezza, che dunque inizialmente ospitò un monastero. Già alcuni documenti del 1147 testimoniano la presenza sul luogo di una rocca, appartenente agli Hauhenstaufen e fondata, pare, dal duca Federico, padre dell’imperatore Barbarossa. Di quel periodo restano oggi solo una finestra ed un portone con stemma leonino.

La denominazione di Haut-Koenigsbourg (in tedesco Hoch Königsburg), che significa alta fortezza reale), era già d’uso corrente nel 1192. Nel secolo successivo, ovvero nel XII secolo, il castello divenne proprietà del duca di Lorena, che lo diede in feudo al conte di Werd.

I castelli-fortezza medievali nacquero, almeno in teoria, per due scopi: garantire la sicurezza del feudatario e proteggere gli abitanti del contado. Non fu però sempre così. Il Castello di Haut-Koenigsbourg era, infatti, nel Quattrocento il rifugio di efferati cavalieri predoni. Fu quindi necessario per il vescovo di Strasburgo, nel 1462, prendere l’iniziativa per porre termine alle malefatte di questa spietata famiglia di avventurieri, i Mey di Lamsheim, che da qui terrorizzavano l’intera regione dell’Alto Reno (il castello si trova nel Basso Reno, l’altro dipartimento dell’Alsazia). Il vescovo riuscì ad organizzare una coalizione con altri principi ed alcune città libere, quali Colmar e Basilea, che allestirono un esercito comune in grado di assediare e conquistare il castello, e quindi distruggerlo perché non servisse più a pericolosi masnadieri.

L’imperatore Federico III (1415-1493) concesse le rovine in feudo ai conti di Thierstein, che ricostruirono la rocca in forme alto-gotiche, rafforzandone inoltre le difese. Nei secoli successivi l’edificio cambiò varie volte proprietari, che attuarono cambiamenti ed aggiunte. Durante la Guerra dei Trent’Anni, (conflitto che coinvolse l’Europa continentale tra 1618 ed il 1648, ma che continuò tra la Francia e la Spagna sino al 1659) gli svedesi diedero fuoco all’edificio, che subì una seconda rovina nel 1633.

Nel 1899 la città di Sélestat fece dono del castello, ormai da secoli diroccato, all’imperatore Wilhelm II (ovvero Gugliemo II), in visita in Alsazia (in tale epoca tale cittadina era annessa al Reich germanico). Per sottolineare l’appartenenza della regione alla nazione tedesca, il sovrano decise di ricostruire integralmente il castello, ispirandosi alle forme delle analoghe costruzioni medievali. Lo dotò anche dei tradizionali ponti levatoi e realizzò all’interno edifici gotici e rinascimentali riccamente arredati. Nove anni più tardi (1908) il complesso venne inaugurato con una festa solenne. Per costruirlo erano stati spesi oltre due milioni di marchi (una cifra esorbitante), in gran parte pagati dall’Alsazia-Lorena: il “generoso” regalo dell’imperatore fu quindi pagato, a caro prezzo, dalla popolazione. Nel 1919 tornò alla Francia.

CENNI ARCHITETTONICI L’architettura Il progetto di “questo falso in atto pubblico” era di Bodo Ebhardt (1865-1945), un architetto autodidatta. Egli partì dai ruderi quattrocenteschi e mescolò diversi stili. Qualche critico osservò che l’edificio assomigliava più a una quinta d’opera che a una fortezza, ma questo non turbò più di tanto né l’architetto né l’imperatore. Questo edificio è, in realtà, la “restituzione” dell’idea di castello corrispondente al gusto medio del primo Novecento, quando del Medioevo si aveva una visione idealizzata e romantica più che basata su conoscenze storiche. Insomma la versione borghese del più aristocratico e fiabesco castello di Neuschwanstein di Ludwig II di Baviera.

Per le finiture e gli arredi interni furono scelti mobili pregiati, finestre e oggetti del XV e XVII secolo acquistati in Austria, Germania e Svizzera e tuttora visibili in loco.

Anche se non lo si può quindi definire un edificio feudale, l’atmosfera che si respira è davvero eccezionale.

La struttura architettonica Il complesso presenta sei porte: una leggerezza difensiva che sarebbe stata poco in linea con una vera costruzione medievale, ma che affascina i visitatori odierni con il suo contorno di ponti levatoi e saracinesche.

Alla parte fortificata vera e propria si giunge attraverso l’ennesimo ponte levatoio, mentre al settore residenziale si accede attraverso la cosiddetta Porte aux Lions (porta dei leoni).

All’interno si possono visitare le stanze della Castellana e dei Cavalieri, la Cappella e la Sala dei Cavalieri, in forme gotiche, ma arredate con mobili del XV-XVII secolo.

Su una parte dell’elegante salone delle feste, eretto ex-novo da Bobo Ebhardt, si può leggere il seguente commento, formulato nel 1917 da Guglielmo II relativamente alla prima guerra mondiale: “Io non l’avevo voluta”.

In una sala appositamente allestita sono esposti trofei di caccia imperiali.

Meritano una visita in particolare la Sala dei Lorenesi e l’armeria.

Conviene salire sulla torre o comunque su uno dei punti più alti del castello, per ammirare dall’alto un panorama grandioso: a nord le rovine dei castelli di Franckenburg, Ramstein e Ottenburg, a sud Hohneck ed a est i ruderi della Odenburg.

DISCUSSIONE Vorrei rispolverare in questa discussione un’antica polemica che sorse per la ristrutturazione e, diciamo, la ricostruzione di questo castello medievale, fatto costruire intorno al 1100 da Frederich Hohenstaufen in Alsazia, e quasi completamente ricostruito, non si sa bene quanto fedele all’originale, nella prima decade del ‘900, per volere dell’allora imperatore tedesco Guglielmo II di Hohenzollern. Ci furono molte polemiche sulla opportunità di una operazione del genere ma, come ben si immagina, allora comandava uno solo, e la decisione fu veloce a prendersi. Oggi invece, con tanti galli a cantare, una impresa del genere forse sarebbe stata impossibile.

Questo potrebbe essere lo spunto per deviare la discussione nel nostro Paese, dove esistono tantissime antiche rovine di castelli, rocche, manieri, antichi borghi che, opportunamente restaurati e, in parte anche, ricostruiti potrebbero contribuire ad attrarre ancora più visitatori di quanti ne arrivino oggi.

Ma torniamo al castello alsaziano: L’architetto Bodo Ebhardt, su commissione di Guglielmo, rintracciò antiche piante e disegni del vecchio castello medievale e lo ricostruì in gran parte rispettando le indicazioni che ne trasse. Questo mulino a vento, ad esempio: fu ricostruito in base ai modelli del tempo (quale tempo?) delle macine esistenti in tutti i castelli e che servivano per lavorare le granaglie di scorta utilizzate per gli assedii, allora piuttosto probabili. La ricostruzione, insomma, avvenne non solo sulla base dei disegni di “quel” castello, ma anche su modelli generici del tempo.

Qui sorge la polemica: è lecito lavorare di fantasia e immaginarsi come avrebbe potuto essere un certo bastione, o una torre, oppure una murata di recinzione o, questo è più difficile, gli interni delle abitazioni? Non c’è il rischio di realizzare un grande, immenso, castello di bambole mai esistito nel passato e quindi privo di qualsiasi valore storico? E’ una operazione giustificata, davanti alla necessità di poter utilizzare rovine altrimenti inutilizzabili? Allora c’era l’imperatore che per suo diletto aveva preso la decisione; ma ora? Sarebbe possibile una cosa del genere? Sembrerebbe che l’architetto Bodo Ebhardt (1865-1945) sia stato un autodidatta, però c’è da dire che il risultato non dispiace, almeno ai tantissimi visitatori che ogni anno lo frequentano. Lo si accusa comunque di aver mescolato diversi stili pur partendo dai ruderi quattrocenteschi. Pare che sia stato poi preso a modello da Walt Disney per il castello realizzato a Disneyland. Sembra che l’ispirazione sia venuta dal più aristocratico e fiabesco castello di Neuschwanstein di Ludwig II di Baviera. Il risultato forse è stato più quello di una probabile lussuosa residenza per l’imperatore Guglielmo, che una vera e propria ricostruzione: Una delle critiche più pesanti fu che le sei porte di accesso realizzate sarebbero state una leggerezza imperdonabile per una fortezza di difesa nel medioevo. Ovviamente diventano però pittoresche e affascinanti per il visitatore, che può spaziare più liberamente per tutta la costruzione. Fu realizzata anche la cosidetta Porta dei leoni, da cui si accede alla parte abitabile del castello. Lo stesso Guglielmo II infine, fece apporre, nel 1917, questa scritta su una parte dell’elegante salone delle feste: “Io non l’avevo voluta” riferendosi alla prima guerra mondiale.

Una realizzazione molto scenografica, insomma, ma che poco ha di realmente storico. Come si diceva, però, questa sorta di “falso in atto pubblico” richiama migliaia di turisti che pagano il biglietto d’ingresso per visitarlo… NOTE: Nota pratica di parcheggio: il castello, a 755 m, è dotato di due parcheggi, uno prima e uno subito dopo il castello, che però sono sempre pieni e così i visitatori lasciano l’auto lungo i margini della strada. Se però non trovate posto nemmeno qui, ed è facile, sarete costretti a scendere dalla collina per poi tornare a salire e provare nuovamente a trovare un parcheggio, visto che non è prevista la possibilità di fare inversione di marcia.

Anche se molto turistico e in parte poco originale, vale la pena visitarlo, se non altro per godere, nelle belle giornate, dello splendido panorama che spazia su tutta la zona attorno fino ai Vosgi e dicono anche fino alla Alpi, nelle giornate veramente terse. 2)Sosta ad ANDLAU per cantine, ma prima di fare le varie degustazioni ci fermiamo a pranzo al ristorante Au Val D’Eleon. Pranziamo con tartare di pesce, torta salata e ottimo vino al costo di € 33,70. Il vino che beviamo ci piace talmente tanto che chiediamo in quale cantina possiamo trovarlo. Così anziché fermarci alla cantina Gresser meta della nostra sosta, andiamo direttamente alla cantina suggerita dal ristoratore: Cantina Schlosser. Direi che non potevamo fare scelta migliore. I proprietari d’una cordialità fuori dal comune, il vino ottimo e il costo modesto. Andateci e non potrete fare altro che ringraziare del consiglio.

3) MONTE ST. ODILE con annesso convento: La storia o leggenda di St. Odile, patrona dell’Alsazia, è molto triste: nata cieca, ripudiata dal padre, vive con delle religiose e riacquista la vista a 12 anni quando viene cresimata. Il padre allora decide di darla in sposa ad un nobile ma lei fugge di casa e fonda un convento. Il fratello la convince a tornare dal padre ma per questo viene ucciso dal padre stesso che gli frantuma il cranio. Lei disperata torna al convento a pregare per il padre scellerato. Il monastero si trova a circa 15 Km da OBERNAI, cittadina fortificata a 35 Km a sud di Strasburgo.

Dall’antica piazza del mercato si prosegue verso i bastioni che circondano la città lungo un perimetro di 1,75 Km, e ci si imbatte in uno dei tanti pozzi che caratterizzano le città alsaziane (es: il ponte dei sette secchi). Bel paese con le solite case a graticcio, un pozzo con 6 secchi, la fontana di St. Odile ed una bella cattedrale gotica. Ed ora, che ci siamo avvicinati a Strasburgo, iniziamo la ricerca di una chambres d’hotes ma, dopo innumerevoli tentativi, ci accorgiamo che, più ci si avvicina ad una grande città, maggiori sono le difficoltà di trovare posto. Così decidiamo di fermarci in un Hotel della catena B&B a pochissimi kilometri da Strasburgo. Non era quello che avevamo immaginato per il nostro soggiorno ma ci siamo presto adattati a questa nuova situazione. Insomma questa catena di albeghi (sembra esistere solo in Francia) altro non è che una moderna chembres d’hotes ma senza il contatto umano dei proprietari delle case con i quali puoi anche intrattenere conversazioni e intrecciare amicizie. Stanza piccola ma pulita, bagno in camera e tutti i giorni rifanno la stanza cambiando la biancheria. Il costo è di € 39 a camera. Dall’esterno assomiglia molto ai motel americani ma in fondo cosa si vuole di più a quel prezzo? Doccia veloce e cena a Strasburgo. Troviamo un Ristorantino molto carino “ZUEM STRISSEL” 5, place de la Grande Boucherie. Mangiamo tartare di carne, stinco, acqua, vino, caffè e grappa a € 50.

Dopo cena facciamo una breve passeggiata alla scoperta di Strasburgo by night e restiamo impressionati dalla meraviglia della cattedrale e in generale da tutto il centro della città…Bella, elegante, raffinata e discreta.

Riempiti lo stomaco e gli occhi, decidiamo di andare a riposarci. L’indomani ci aspetterà una giornata piena di emozioni e sorprese. Sabato 3 maggio: STRASBURGO.

Dopo avere visto la difficoltà di parcheggio la sera prima, decidiamo di prendere il bus. A qualsiasi uscita dell’autostrada è indicato parcheggio+bus. Costo del biglietto € 2,70 tutto il giorno per auto e persone.

L’intero centro storico di Strasburgo, denominato “Grande Ile” (“isola maggiore”), è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità in virtù della ricchezza del suo patrimonio architettonico. È raro che l’Unesco tuteli un intero centro storico. Quello di Strasburgo è infatti il primo in Francia.

Dal ponte di Corbeau sul fiume Lil si entra a piedi nella via principale, rue de Vieux Marchè-aux Poisson. Dopo qualche centinaio di metri, sulla destra, si intravede la sagoma spettacolare della cattedrale di Strasburgo.

NOTREDAME Orari di apertura: tutti i giorni 7-11:20 e dalle 12:35-19.

Da sempre è stata un importante parametro di riferimento per gli edifici più alti del mondo e capolavoro assoluto dell’arte gotica, la prima pietra è stata posta nel 1015 e la guglia è stata terminata nel 1439. “Prodigio di grandezza e leggiadria“, secondo le parole di Victor Hugo, la sua facciata è di una dovizia ornamentale fantasmagorica. E’ infatti riccamente scolpita con figure in arenaria rosa ed un grande rosone, a sedici petali, del quale si riesce a cogliere la straordinaria potenza estetica solo varcando uno dei tre ingressi cuspidati, che era stato distrutto da un fulmine e poi ricostruito uguale. L’altezza interna della chiesa è di 32 metri, la guglia-torre è di 149 metri ed ha fatto di questa cattedrale la più alta del mondo fino al XIX secolo (superata poi dalla Sagrada Familia a Barcellona). All’esterno, la facciata è il più grande libro illustrato di tutto il Medioevo. Le centinaia di sculture che sembrano staccarsi dalla parete ne accentuano i chiaroscuri. Il tono dell’arenaria rosa cambia secondo le ore del giorno e il colore del cielo. Le sere d’estate, la luce crea una scenografia incantevole… è il trionfo dell’innalzamento a Dio attraverso la pietra.

Sulla facciata si aprono tre portali ornati di sculture sontuose. Quello di destra rappresenta la parabola delle Vergini Sagge e delle Vergini Stolte, quello di sinistra rappresenta le Virtù che trionfano sui vivi. Il portale centrale è fiancheggiato da dieci statue di profeti. A sud, sul fianco, ci sono le due statue femminili che ornano le due porte romane del portale dell’Orologio che rappresentano la chiesa e la Sinagoga. Il portale sul fianco sinistro è del 15° secolo e raffigura il martirio di San Lorenzo. Le vetrate che risalgono al 13° e 14° secolo, raccontano in 4600 pannelli composti da 500.000 elementi la storia secolare dell’edificio e della città: dal Nuovo Testamento, nel lato sud , ai re e imperatori, nel lato nord inferiore, alla Vergine Protettrice della città nell’abside, opera moderna di Max Ingrand, offerta dal consiglio d’Europa nel 1956. All’interno, la navata slanciata ispira al raccoglimento. Ci sono elementi romanici influenzati dall’arte gotica, basta guardare l’edificazione della navata centrale con le sue volte ogivali, i pilastri sottili a fasci e le vetrate policrome.

Le vetrate del XII-XIV secolo e il rosone creano giochi suggestivi… rappresenta il desiderio di raggiungere il cielo tramite la luce. La navata centrale, illuminata da immense vetrate, è uno spettacolo di assoluta bellezza: la migliore risposta a quanti si ostinano a vedere nel medioevo un periodo oscurantista. Eccolo invece il medioevo, una forza sublime che, nella sua espressione gotica, slancia l’uomo verso Dio attraverso concezioni architettoniche ardite e spettacolari. La cattedrale fu iniziata nel 1176 sulle fondamenta della chiesa romanica distrutta da un incendio ed i lavori vi andarono avanti per parecchio tempo. Ha la forma di una basilica a tre navate, con transetto. È rimasta incompiuta anche in funzione delle enormi dimensioni del progetto, che il comune di Strasburgo ed il vescovo Henri de Hasenbourg perseguivano in concorrenza con altre città nelle zone limitrofe.[1] Per questo, oggi si distingue da molte altre cattedrali gotiche per l’evidente mancanza di una delle due torri campanarie, quella meridionale, il che ha causato uno forte effetto asimmetrico dell’insieme (in contrasto con la regolarità che caratterizza la facciata, la cui struttura a scacchiera è facilmente riconoscibile).

La parte posteriore della chiesa, soprattutto il presbiterio ma anche il transetto, è quella maggiormente caratterizzata da elementi romanici che peraltro sono evidenti nella cripta dell’XI secolo.

Per gli storici dell’arte questa cattedrale ha un rilievo particolare perchè- dopo la costruzione del Duomo di Chartres- gli scultori gotici addetti ai lavori di Strasburgo si espressero con nuovi orientamenti. Ciò sarebbe particolarmente evidente nella scultura “Morte della Vergine” (portale del transetto sud ) infatti il drappeggio dei vestiti non nasconde più completamente le forme del corpo: la scultura riacquista così una parte della plasticità che il gotico tendeva in precedenza a tralasciare per assecondare le forme snelle e lo slancio verso l’alto tipico della scultura gotica.[2] Scrive al riguardo E.H. Gombrich : ” …Riconquistarono così la perduta abilità classica di lasciar intravedere la struttura del corpo sotto le pieghe del drappeggio…” . Gli intenti dello scultore gotico erano ben diversi da quelli dello scultore greco o romano, ma gli artistici gotici- anche da quest’opera di Strasburgo- iniziarono ad occuparsi dei problemi espressivi.

Le opere d’arte nella cattedrale di Strasburgo sono veramente numerose e fra le più celebri non può essere comunque dimenticato il pilastro degli Angeli (le pilier des anges) con tre ordini di angeli – anche in questo caso ben espressivi- appoggiati ad una colonna. Quest’ opera fu realizzata intorno al 1225 ed evidenzia una delle principali caratteristiche dell’arte gotica: l’armonioso rapporto fra scultura ed architettura. Sono poi celebri i portali detti delle “Vergini Savie” e delle “Vergini Stolte”. Maestranze impegnate nelle opere di Strasburgo lavorarono probabilmente anche alla cattedrale di Colonia. Si può salire sulla TERRAZZA PANORAMICA a 66 metri (329 gradini di una scala a chiocciola per fortuna a senso unico; si sale da una parte e si scende da un’altra). Il panorama in cima alla terrazza è straordinario. Dominando i tetti di Strasburgo, lo sguardo vola, quando il tempo è bello, fino ai Vosgi e alla Foresta Nera, in Germania Orari (eccetto 01/01, 01/05 e 25/12) – Aprile-settembre, 9-19.15 – Ottobre-marzo tutti i giorni 10-17.15 – Notturna il venerdì e sabato in luglio e agosto.

Tariffe : – Singoli: 4,40 € gli adulti Ingresso gratuito ogni prima domenica del mese. La cattedrale conserva il famoso OROLOGIO ASTRONOMICO, monumento d’arte e di meccanica costruito nelle forme attuali nel corso di diversi secoli. INFORMAZIONI: (bisogna entrare per le 12,15 se si vuole assistere allo spettacolo del movimento completo) Presentazione dell’Orologio Astronomico: film in tre lingue (francese, tedesco e inglese) + corteo degli Apostoli.

Ingresso singoli + gruppi: portale sud.

Intero: 2 € I biglietti sono in vendita allo stand delle cartoline dalle 9 alle 11 e quindi alla cassa del portale sud dalle 11.35 alle 12.15.

Non ci sono proiezioni la domenica e i festivi (accesso all’Orologio libero e gratuito dopo la messa delle 11). Strasburgo fu una delle prime città a realizzare un orologio meccanico all’interno della cattedrale negli anni fra il 1352 e il 1354 il cosiddetto “Orologio dei Re Magi”. Si trattava di una costruzione dotata di una cassa contenente il dispositivo meccanico, un calendario, un astrolabio e la statua della Vergine col Bambino davanti alla quale s’inginocchiavano ogni ora i Re Magi mentre un carillon suonava e un gallo cantava innalzando le ali. Fermo da parecchio tempo, fu sostituito nel 1547da un secondo orologio. Dopo ben 2 secoli si è fermato, pochi anni prima della Rivoluzione Francese del 1789. Solo nel 1838 un orologiaio geniale , Jean-Baptiste Schwilgue, ottenne l’incarico di costruire nella cassa esistente un nuovo orologio astronomico. Fu inaugurato il 31 dicembre 1842 a mezzanotte. Tutti i giorni alle ore 12,30 i dodici apostoli sfilano di fronte al Signore; nella galleria sottostante, la morte fa finta di suonare le ore sopra una campana ogni quarto d’ora e passa una figurina allegorica delle 4 età della vita: il bambino, l’adolescente, il guerriero e l’anziano. In basso sfilano i giorni della settimana rappresentati dalle divinità: Apollo la domenica, Diana il lunedi, Marte il martedi, Mercurio il mercoledi, Giove il giovedi, Venere il venerdi e Saturno il sabato. Il gallo alto un metro, canta 3 volte, dopo aver battuto le proprie ali, mentre passano gli apostoli. L’orologio è dotato di un calendario perpetuo: calcola le fasi della luna, le eclissi del sole, il sorgere ed il tramonto del sole. Sopra una sfera sono dipinte le stelle che tutti i giorni sono visibili a Strasburgo. L’orologio si regola da solo automaticamente tutti gli anni nella notte tra 31 dicembre ed il 1° gennaio. Tiene conto degli anni bisestili e regola le feste mobili alle loro rispettive date.

Costruito durante il XVI secolo, l’orologio astronomico di Strasburgo è un capolavoro del Rinascimento, all’epoca considerato una delle sette meraviglie della Germania. Verso la fine del secolo XIII con l’invenzione dell’orologio meccanico si produsse un grande cambiamento nel modo di misurare il tempo in precedenza affidato alle clessidre e agli orologi solari. Avvenne allora che molti edifici pubblici furono dotati di grandi orologi meccanici e Strasburgo fu una delle prime città a realizzarne uno costruendo all’interno della cattedrale negli anni fra il 1352 e il 1354 il cosiddetto Orologio dei Re Magi. Si trattava di una costruzione dotata di una cassa contenente il dispositivo meccanico alta circa dodici metri e di un calendario, un astrolabio e, in alto la statua della Vergine col Bambino davanti al quale s’inginocchiavano ogni ora i Re Magi mentre un carillon suonava e un gallo cantava innalzando le ali. Nel 1547, essendosi l’orologio ormai irrimediabilmente deteriorato, si decise di costruirne uno nuovo anziché cercare di ripararlo. Questa costruzione andò per le lunghe, la cattedrale fu adibita al rito protestante poi a quello cattolico e poi ancora a quello protestante sicché cambiarono i preposti alla chiesa, i lavori iniziarono tardi, furono poi interrotti, lunghi furono i tempi per reperire uomini capaci di fare avanzare il progetto iniziale, finché l’ingranaggio in ferro battuto smise di funzionare definitivamente poco prima della Rivoluzione francese.

Finalmente nel 1838 fu dato l’incarico a Jean Baptiste Schwilgué (1776-1856) di restaurare l’orologio. Il restauro durò fino al 1842, si realizzò così il compito che Schwilgué si era prefisso fin da giovane di far ripartire l’orologio, per cui aveva studiato da autodidatta tutta la vita per acquisire le conoscenze e le capacità necessarie. Formò gli operai in modo che fossero in grado di seguirlo, realizzò le macchine per costruire le parti dell’orologio in modo più preciso possibile e le macchine per intagliare il legno per sbozzare le figure mobili partendo dai modelli in gesso. Avrebbe voluto costruire un orologio ex novo ma la comunità arretrò dinanzi al costo che avrebbe dovuto sostenere e gli affidò soltanto l’incarico del restauro. Questo consentì che non andassero perdute le decorazioni pittoriche rinascimentali della grande cassa.

La struttura dell’orologio è composta dalla cassa alta 18 metri che poggia su un basamento alto più di 4 metri e largo 7,30 metri dal quale s’innalzano anche una scala a chiocciola per accedere alla parte superiore e al quadrante esterno e da una torre entro la quale scorrono i cinque pesi che forniscono la forza motrice dei meccanismi contenuti nella cassa; la ricarica avviene ogni settimana cioè quanto impiegano i pesi a compiere la discesa. Il tutto è ornato da pitture e sculture in legno.

L’indicazione dell’ora è data da un quadrante sul quale le lancette argentate indicano l’ora ufficiale e quelle dorate, in ritardo di circa mezz’ora su quelle argentate, indicano l’ora locale alla quale sono sincronizzate le sonerie dei vari personaggi meccanici: il primo quarto d’ora è scoccato da un putto alato, il secondo da un fanciullo adolescente, il terzo da un adulto e il quarto da un vecchio a simboleggiare le quattro età della vita. Tutti sfilano davanti alla morte che ha in una mano una falce e nell’altra un battaglio col quale batte le ore senza mai fermarsi mentre le età, come gli uomini, riposano durante la notte; dopo i rintocchi dell’ora un’altra figura di putto alato rovescia la clessidra che tiene in mano. Allo scoccare del mezzogiorno le statue rappresentanti gli apostoli sfilano davanti al Cristo che, passato l’ultimo apostolo, benedice i visitatori; durante la sfilata degli apostoli un gallo canta per tre volte. Da sempre questo animale ha infatti rappresentato la misura del tempo e, ricordando la rinnegazione del Cristo da parte dell’apostolo Pietro prima che il gallo canti , simboleggia anche la fragilità umana. I giorni sono rappresentate da statue delle divinità mitologiche dalla domenica con Apollo e successivamente i vari giorni della settimana rappresentati da Diana, Marte, Mercurio, Giove, Venere fino al sabato che vede Saturno raffigurato mentre divora i suoi figli e rappresenta il tempo che divora ciò che crea . La freccia tenuta da Apollo ha anche la funzione di indicare sul calendario il giorno attuale. L’anno è descritto da un calendario perpetuo a forma di anello con i mesi, i giorni e i rispettivi santi, le feste fisse e mobili.

Un globo celeste riproduce i movimenti della volta stellata intorno alla terra immobile al centro secondo la visione tolemaica. Ha più di 5000 stelle e gira in un giorno siderale, cioè nel tempo intercorrente fra due passaggi successivi di una stella sullo stesso meridiano, più breve di circa quattro minuti del giorno solare medio. È pure indicato il tempo apparente, o vero tempo solare, dato dal tempo intercorrente fra due passaggi successivi del sole sul meridiano. Due lancette indicano il movimento apparente del sole e quello della luna intorno all’emisfero terrestre settentrionale e indicano quindi con la loro posizione anche le eclissi del sole e della luna.

Il complesso delle pitture, opera dell’artista Tobias Stimmer e del fratello Josias, operanti nel XVI secolo, evoca il tempo sotto i diversi aspetti, cronologico, storico e teologico ma sempre tendendo a dimostrare che l’uomo e l’umanità sono indirizzati verso la fine. Così è evocata la creazione degli uomini mediante la estrazione di Eva da una costola d’Adamo da parte di Dio, che, secondo la tradizione protestante, non è rappresentato direttamente ma è soltanto indicato da una scritta al centro di un globo di fuoco. Il giudizio universale a rappresentare la fine è illustrato in tre scene di contenuto teologico. Di concezione teologica luterana sono la rappresentazione della Caduta e della Salvezza mediante la Fede e la Grazia. Le quattro stagioni rappresentano le età dell’uomo e il tempo irreversibile della vecchiaia perché dietro all’inverno si scorge la morte con la sua clessidra. Altre pitture rappresentano uomini che hanno illustrato la scienza e le arti. Copernico è raffigurato con in mano un ramo di mughetto a significare il fatto che fu un medico, ma non in relazione alla sua teoria astronomica eliocentrica vista dai suoi contemporanei e dall’ideatore dell’orologio soltanto come una geniale ma bizzarra ipotesi, tant’è che il complesso dello strumento abbraccia ancora la teoria geocentrica tolemaica. Il planetario mostra la circolazione dei pianeti visibili e i segni dello zodiaco tracciati sul quadrante permettono di determinare in quale costellazione si trovano i pianeti, le fasi lunari sono determinate dal globo della luna per metà bianco e per metà nero che compie una rotazione completa della durata del mese lunare di 29 giorni e 55 minuti. I moti dei pianeti e della luna sono realizzati con estrema precisione rispetto alla realtà, precisione che stupisce se si pensa che è ottenuta con congegni meccanici di oltre 150 anni fa.

In sintesi l’orologio realizza una completa visione dell’astronomia del Cinquecento oltre che un esempio dell’abilità raggiunta dalla tecnologia meccanica nella metà dell’Ottocento, un bel esempio di arte rinascimentale tedesca e un motivo di riflessione sul mistero del tempo.

Un orologio astronomico è un orologio con particolari meccanismi e quadranti che mostrano informazioni relative alla posizione del Sole e della Luna rispetto allo Zodiaco. Altri meccanismi possono permettergli talvolta di indicare la data esatta, la posizione dei pianeti maggiori o le fasi lunari.

Il termine è spesso indicato per indicare ogni orologio che mostra, in aggiunta all’ora corrente, informazioni di carattere astronomico. Queste possono includere la posizione del sole e della luna nel cielo, l’età e la fase della luna, la posizione del sole sull’eclittica e l’attuale segno zodiacale, il tempo siderale e altri dati come i nodi lunari, utili nella predizione delle eclissi ed una mappa celeste rotante.

Gli orologi astronomici solitamente rappresentano il sistema solare utilizzando un sistema di riferimento geocentrico. Il centro del quadrante è spesso indicato con un disco od una sfera che rappresenta la terra posta al centro del sistema solare. Il sole è spesso rappresentato da una sfera dorata posta in rotazione attorno alla terra con un periodo di 24 ore. Questi strumenti sono in accordo con la visione cosmologica europea pre-copernicana.

Lo sviluppo dei primi orologi meccanici in Europa non è mai stato pienamente chiarito, ma si presume che intorno al 1300 – 1330 esistevano orologi meccanici il cui meccanismo funzionava grazie a pesi. Erano destinati a scandire il tempo degli eventi pubblici oppure a descrivere gli spostamenti dei corpi del sistema solare. Infatti, una volta introdotte le meccaniche dell’orologio, era normale che venissero applicate allo strumento dell’astrolabio, allora già in uso presso astrologi/astronomi.

La tradizione di costruire orologi astronomici si diffuse con particolare successo in Europa centrale. Sono famosissimi gli orologi astronomici di Strasburgo e di Praga.

Per quanto riguarda l’Italia, si ricordano l’orologio astronomico di Messina, quello in Piazza della Loggia a Brescia e quello del Torrazzo di Cremona.

Le costruzioni della piazza antistante, caratteristiche per l’intelaiatura a traliccio, formano insieme alla cattedrale un importante insieme urbanistico. Su tutte, la MAISON KAMMERZELL, è la più interessante casa a graticcio della città, riccamente decorata da personaggi biblici e mitologici, segni zodiacali e musicisti. Questa dimora ha accolto i momenti di maggiore opulenza di varie generazioni di mercanti e commercianti. Nel XV secolo il portico in pietra tagliata in corrispondenza del piano terra ospitava varie botteghe. Il legno a vista riccamente scolpito che orna i piani superiori risale invece al 1589.

Contigua all’Ufficio del Turismo della città, essa è considerata la casa più bella di Strasburgo. Il mercante di formaggi Martin Braun acquistò questo edificio per terminarne il restauro nel 1589. Della costruzione medievale non resta che il pianterreno con le sue tre arcate. Gli altri piani furono ricostruiti per far posto ad una magnifica architettura rinascimentale che possiamo ammirare ancora oggi. Fino al XIX secolo fu nota con il nome di “Altes Haus” dal tedesco “Vecchia Casa” finché diventò proprietà di un droghiere Philippe-François Kammerzell.

Il pianterreno in pietra è del XV secolo ed è caratterizzato da arcate in cui si svolgevano i commerci; il graticcio riccamente scolpito dei piani superiori data dalla fine del XVI secolo (al primo piano a sinistra sopra l’ingresso è scritta la data 1589).

Al di sopra di una belle serie di possenti archi medievali si può ammirare la facciata percorsa da 75 finestre le cui cornici scolpite evocano personaggi biblici e mitologici, segni zodiacali, i cinque sensi ed una serie di musicisti. Sulla trave angolare sono scolpite una sotto l’altra le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Al primo piano la Carità è accompagnata da due fanciulli e da un pellicano, mentre ai piani superiori la speranza è simboleggiata da una fenice (uccello favoloso) e la fede da un grifone (animale favoloso col corpo di leone e testa d’aquila).

All’interno vi sono affreschi del Léo Schnug (1878-1933), pittore che ha anche decorato il castello di Haut-Koenigsbourg che visiteremo a Sélestat. Tra questi “il Supplizio di Tantalo” dipinto nello stile degli artisti renani del XVI secolo. Dal 1879 è proprietà del comune ed ospita un ristorante.

Qui vicino si trova la Pharmacie du Cerf che è la più antica farmacia di Francia già menzionata nel XV secolo. Il piano terra che risale a quell’epoca, è di pietra con arcate abbellite da rami e serpenti. I piani superiori a graticcio sono invece del 1567, data che si può leggere sulla colonna di sostegno in arenaria, detta “buchmesser”. Si dice che, in passato, tale colonna servisse a misurare la taglia degli scalpellini che lavoravano nella cattedrale e non dovevano superare una certa corporatura. A pochi passi da Notre Dame, il Castello Rohan o LE PALAIS ROHAN, questo palazzo classico fu voluto da Armand-Gaston Rohan, figlio illegittimo di Luigi XIV e definito “il più bel prelato del Sacro Collegio”. Questo sovrano temporale e principe della chiesa voleva un palazzo prestigioso che segnasse, con la nuova annessione della città di Strasburgo alla Francia nel 1681, il ritorno della religione cattolica. Egli affidò il progetto all’architetto del re, Robert de Cotte nel 1730 ed alla sua costruzione parteciparono tra il 1732 ed il 1742 artisti provenienti da tutta Europa.

Esso è un quadrilatero di arenaria gialla e rosa costruito attorno ad un cortile centrale.

Al centro quattro colossali colonne sorreggono un frontone e un tetto a forma di cupola imperiale.

L’iconografia delle sculture varia a seconda che ci si trovi sul lato della cattedrale o del fiume Ill. Da un lato predominano i motivi a carattere religioso e morale (la fede, la temperanza), dall’altro motivi profani (le quattro stagioni, i cinque sensi, gli eroi e le divinità dell’Antichità, le Ore).

L’interno era stato concepito secondo l’etichetta di Versailles. Bombardato nel 1870 e nel 1944, il Palazzo ha oggi ritrovato il lustro di un tempo.

Oggi l’edificio ospita tre musei straordinari:  il museo delle arti decorative, situato al pianterreno, che comprende due sezioni: i sontuosi appartamenti dei cardinali ed un panorama delle arti decorative strasburghesi a partire dal 1681 sino alla metà del XIX secolo: le ceramiche di Hannong del XVIII secolo di fama mondiale (dal nome del fondatore della più importante impresa di ceramiche francesi), il mobilio, la scultura e la pittura, oggetti in ferro, in stagno e d’oreficeria.

 il museo delle belle arti, situato al primo piano, che ospita una bellissima collezione di dipinti italiani, francesi, spagnoli, fiamminghi ed olandesi, che vanno dal medioevo al 1870. Vi si possono ammirare opere di Giotto, Botticelli, Raffaello, Veronese, Rubens, Van Dick, Tiepolo, Canaletto, Watteau, Goya, Corot, Delacroix, Courbet.

 il museo archeologico, situato nel seminterrato, che è uno dei più importanti di Francia per la vastità della sue collezioni. Esso vi fa scoprire parecchi millenni di storia dell’Alsazia dal 600.000 a.C. All’800 d.C: dai primi agricoltori del neolitico alle ricche sepolture dell’età del bronzo e del ferro, dalla vita quotidiana dei gallo-romani alle armi ed ai gioielli dell’epoca merovingica (V – VIII d.C.). Il tutto in una scenografia risolutamente contemporanea.

Riprendendo rue de Vieux Marchè si arriva a PIAZZA GUTEMBERG con la statua dell’illustre personaggio e l’antico municipio del 1585; Qui nel 1840 si eresse la statua dedicata a Gutenberg, l’inventore della stampa a caratteri metallici mobili, ad opera dello scultore David d’Angers, uno scultore rinomato all’epoca romantica. Sul piedestallo si trovano quattro pannelli che suscitarono all’epoca enormi polemiche. Per esempio l’artista aveva voluto inserire le figure di Lutero e Bossuet, che però dovette rassegnarsi a sostituire con Erasmo e Montesquieu.

Nella piazza si trova anche un superbo edificio in stile rinascimentale, opera di Hans Schoch del 1585, che è una sintesi originale di influenze diverse, stile classico e tradizione locale. Questo edificio fu sede del Municipio ed è oggi sede della Camera del commercio e dell’Industria di Strasburgo e del Basso-Reno.

Da qui sulla sinistra si va verso la PETITE FRANCE, il cui nome, curiosamente, deriva da un ospedale, attualmente scomparso, specializzato nella cura del cosiddetto “mal francese”, la sifilide, malattia diffusa dalle truppe del re di François Ier nel XVI secolo.

Con i suoi canali, è il quartiere più caratteristico del centro storico di Strasburgo, dove in passato abitavano e lavoravano pescatori, mugnai e conciatori.

Le bellissime case con legno a vista risalgono al XVI e XVII secolo. I tetti spioventi proteggono granai dove in altri tempi venivano fatte seccare le pelli. All’origine i colori di queste case erano solo tre (bianco, giallo e rosso) poi utilizzando il cobalto sono nate anche quelle azzurre con colori derivati. In un’epoca in cui l’analfabetismo era ancora molto diffuso i colori delle case consentivano di visualizzare il mestiere degli artigiani che le abitavano: il rosso per i mestieri sanguinari come macellai, conciatori, pellettieri, il bianco per mugnai e panettieri, il verde per i contadini, ecc.). Erano soprattutto i conciatori di pelli ad abitare in questa zona perché avevano bisogno dell’acqua dell’Ill, affluente del Reno che circonda il centro storico.

In rue des Dentelles si può ammirare il bel palazzo della Rathsamhausen del 1587.

Il cuore del quartiere è la Piazza Benjamin Zix, ombrosa delle fronde degli alberi, che è il luogo ideale per ammirare le antiche dimore dei conciatori e per godere dei molti pittori che ci ricordano Montmartre a Parigi.

Un autentico balzo epocale è invece offerto dall’attiguo Museo di arte moderna e contemporanea, che percorre l’arte figurativa del XIX e XX secolo. Un contrasto tra antico e contemporaneo, che si acuisce ancor più alla vista della moderna rete tranviaria, attraverso la quale avveniristici tram a energia pulita permettono di girare l’intera città.

Nel prolungamento del quartiere della Petite France si trovano i Ponti Coperti – LES PONTS COUVERTS, che hanno mantenuto questo nome nonostante la loro copertura sia scomparsa nel XVIII secolo. Essi sono dominati da quattro torri medievali, massicce e squadrate, costruite tra il 1230 e il 1250. Sono le vestigia dell’antica cintura di fortificazioni che arrivò a contare ben ottanta torri la quale garantiva l’indipendenza della repubblica strasburghese, allora città libera del Sacro Romano Impero Germanico. Ogni torre ha un suo nome: la Torre del Boia, la Heinrichsturm, la Hans von Altheimturm ed esse servirono a lungo da prigione. Immediatamente dopo la riannessione di Strasburgo alla Francia nel 1681, venne costruita una nuova cinta muraria fortificata da Vauban.

A qualche metro dai Ponti Coperti, troviamo LE BARRAGE VAUBAN o grande chiusa / diga (Aperta tutti i giorni, eccetto il 14 e 15/07, dalle 9 alle 19. Ingresso libero)– poiché ella permetteva di inondare in caso di necessità, quali invasioni di stranieri, tutta la zona sud della città. Essa fu costruita attorno al 1690 da Tarade, secondo il progetto dell’ingegnere militare Vauban su volere di Luigi XIV non appena Strasburgo fu riannessa alla Francia nel 1681. Alla sua sommità è stata allestita una terrazza panoramica dalla quale si gode in un sol colpo d’occhio il tracciato della città e quello dei suoi canali. Da qui si possono vedere: la chiesa di St-Pierre-leVieux, con due campanili uno cattolico ed uno protestante, la sede del Département (ovvero della Provincia), il museo d’arte moderna e contemporanea con le sue enormi vetrate.

Uno spettacolo da non perdere è assistere allo spostamento dei ponti girevoli per il passaggio dei piccoli battelli sui numerosi canali che l’attraversano.

Poco più avanti PLACE DU CORBEAU. Qui si può ammirare il Ponte del Corvo anche detto ponte dei giustiziati, perché da qui venivano gettati i condannati a morte, che introduce, attraverso un’anonima facciata, a una delle più antiche locande di Strasburgo, la au Corbeau, citata già nel 1306 e che conserva ballatoi, passerelle e scale a chiocciola risalenti alla prima metà del Seicento. Questa locanda ha ospitato ospiti illustri: il re di Polonia Giovanni Casimiro nel 1669, Federico il Grande, re di Prussia nel 1740, Gerard de Nerval, noto poeta francese della prima metà dell’ottocento. Oggi essa è in fase di restauro per ritornare ad essere un grande albergo.

Una breve passeggiata lungo l’Ill porta a scoprire prima il Museo Alsaziano. La sua creazione risale alla fine del secolo scorso. Non bisogna pensarlo come un museo, bensì come un’abitazione privata.

E’ un museo di arte popolare installato in antiche dimore strasburghesi e presenta le testimonianze della vita alsaziana tradizionale: mobili dipinti, costumi, ceramiche popolari, giocattoli, immagini religiose e profane. Alcune sale sono dedicate alla ricostruzione di interni caratteristici di diverse regioni dell’Alsazia (pianura agricola, vigneti, valli dei Vosgi) o di laboratori artigianali (la forgia, la corderia, falegnameria).

Continuando la passeggiata si trova poi la chiesa di S. Thomas Ingresso libero: Febbraio: tutti i giorni dalle 14 alle 17.

Marzo: tutti i giorni 10-17.

Aprile-ottobre : tutti i giorni 10-18.

Novembre-dicembre: tutti i giorni 10-17.

Visite guidate su richiesta al numero 03 88 32 14 46.

Entrata libera. Domenica mattina riservata alle funzioni religiose.

Dedicata al culto protestante, la chiesa di San Tommaso, caratterizzata da una massiccia facciata e un imponente campanile romanico, è uno stupendo esempio di arte gotica alsaziana. Il coro contiene l’imponente mausoleo del Maresciallo di Saxe: un capolavoro dell’arte funeraria barocca del XVIII secolo e, all’interno, il grandioso organo Silbermann, di eccezionale sonorità, e più volte suonato dal premio Nobel per la pace Albert Schweitzer. Altra piazza degna di nota è la famosa PLACE KLEBER (adiacente a Piazza Gutemberg) dove si trova la statua del generale Kléber, originario di Strasburgo, che troneggia sul suo piedistallo.

La piazza accoglie ogni tipo di festeggiamento.

Nel medioevo vi si trovava una grande chiesa affiancata da un convento di frati minori, o francescani, e la piazza si chiamava “degli Scalzi”. Successivamente nel XVIII secolo divenne la piazza d’Armi e le processioni religiose vennero sostituite dalle parati militari. Oggi vi si trova il palazzo dell’Aubette, opera di Jean-François Blondel, che doveva all’origine accogliere il corpo di guardia. Dopo il 1870 tale palazzo divenne un conservatorio, indi ospitò un ristorante, oggi è un monumento nazionale.

Infine, all’esterno del classico percorso storico-artistico cittadino, a nord della città, dove l’Ill si congiunge al canale che va dalla Marna al Reno, si estende il cosiddetto QUARTIERE EUROPEO: un’area che comprende tutti gli edifici, estremamente moderni, dedicati a ospitare le istituzioni internazionali che fanno capo a Strasburgo: il Parlamento Europeo (Parlement Européen), formato da un edificio da cui emerge la cupola dell’emiciclo, concepito per 750 parlamentari, una torre di 60 m. Con 17 piani e 1.133 uffici, degli spazi dedicati al lavoro, alla comunicazione, e al relax); il Consiglio d’Europa (Palais de l’Europe); il Palazzo dei Diritti dell’Uomo (Palais des Droits de l’Homme), progettato dall’architetto britannico Sir Richard Rogers, co-autore del Centre Beaubourg di Parigi, è stato inaugurato nel 1995 ed è la sede della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. PARLAMENTO EUROPEO (si può visitare su prenotazione oppure semplicemente entrando nel grande e suggestivo atrio).

New York, Ginevra e Strasburgo sono le sole città al mondo che accolgono delle istituzioni internazionali senza essere capitali di stato. La scelta di Strasburgo come capitale europea all’indomani del secondo conflitto mondiale non è frutto del caso ma il simbolo della riconciliazione tra i popoli e l’avvenire d’Europa.

Immergersi in questo bagno d’Europa è anche l’occasione di scoprire dei fiori all’occhiello di architettura contemporanea.

Il Palazzo del Parlamento Europeo fu completato nel 1999.

Il suo emiciclo, di una capacità di 750 posti, è destinato ad accogliere le sessioni mensili di questa istituzione.

L’architettura dell’edificio, concepita dall’Architecture Studio Europe, si basa sull’unione del cerchio e dell’ellisse e si organizza in diversi volumi ben identificati: – un edificio a forma di ala, dal quale emerge la cupola dell’emiciclo, costruita in rovere, e di 8000 mq., concepito per accogliere 750 parlamentari (attualmente sono 732) – una torre alta 60 metri che comprende 17 livelli e 1133 uffici, – degli spazi di lavoro, di comunicazione, di ricevimenti.

L’immobile è attraversato da tre vie interne, la cui principale è stata sistemata come giardino d’inverno con una foresta di filodendri.

Il Parlamento è composto da 732 deputati eletti a suffragio universale ogni 5 anni nei 25 paesi che compongono l’UE. Il Parlamento europeo lavora in tutte le lingue ufficiali dell’UE, in quanto rispettare le lingue degli stati membri significa rispettare la democrazia e la diversità culturale che caratterizzano l’Europa. Il Parlamento Europeo ha un Segretariato generale composto da funzionari indipendenti. I gruppi politici hanno collaboratori propri e gli eurodeputati si avvalgono di assistenti parlamentari. Tale organo partecipa alla legislazione comunitaria, esercita un controllo generale, contribuisce allo sviluppo dell’unione politica e monetaria.

Cenni storici Nel 1957, la Germania, il Belgio, la Francia, l’Italia, il Lussemburgo ed i Paesi Bassi avevano firmato il trattato di Roma che aveva dato nascita alla CEE (Comunità Economica Europea). Allora il Parlamento Europea contava 142 deputati delegati dai loro parlamenti nazionali.

Con il trattato di Maastricht del 1992 nasce l’UE, che conferisce nuovi poteri al Parlamento Europeo.

Ricordiamo anche altri trattati quali quello di Schengen del 1995 relativo all’abolizione delle frontiere, quello di Amsterdam del 1999 sull’importanza del lavoro per il cittadino europeo e quello di Nizza del 2001 che adotta riforme sulle procedure di accoglienza di nuovi stati membri.

Il Parlamento Europeo adotta la maggior parte delle leggi europee insieme al Consiglio e approva il bilancio dell’Unione. LE PALAIS D’EUROPE Il Palazzo d’Europa, costruito nel 1975 da Henri Bernard, è un vasto quadrilatero di arenaria rosa, di vetro e di acciaio, il cui emiciclo, dal soffitto in legno di acajou, accoglie le sessioni del Consiglio d’Europa.

Tale organismo, creato dal trattato del 5 maggio 1949, su proposta di Winston Churchill nel 1942, è composto dai Capi di stato e di governo e dal Presidente della Commissione Europea. Il suo ruolo è quello di ascoltare le raccomandazioni del Parlamento europeo, espresse dal suo Presidente, e fissare gli orientamenti dell’Unione.

Attualmente 45 paesi membri, che rappresentano circa 800 milioni di persone, fanno parte di questo “club” di democrazie pluraliste, che si preoccupano in primis della protezione dei diritti dell’uomo, ma anche di affari sociali, di istruzione, di cultura e di ambiente.

LE PALAIS DES DROITS DE L’HOMME Questo edifico è stato progettato dall’architetto inglese Sir Richard Rogers (coautore con Renzo Piano del Centre Beaubourg o G. Pompidou di Parigi) ed inaugurato nel 1995.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è incaricata di assicurare concretamente il rispetto dei diritti individuali dei cittadini che fanno parte degli stati membri del Consiglio d’Europa. Essa garantisce, quindi, il rispetto del diritto e della legislazione comunitaria e dispone di potere di sanzione.

Di giorno, e anche di sera, è possibile effettuare un GIRO IN BATTELLO che permette di vedere le meraviglie di Strasburgo in un’atmosfera particolare.

I battelli che partono da dietro al castello fanno visitare la città fino al palazzo d’Europa, la visita dura 1 ora e 10 minuti e si può usufruire di un’utile audio-guida in italiano attraverso cuffiette poste accanto al sedile. Costo: 7.40 €/persona.

Si posso ammirare le case, i ponti, le vie e gli sbarramenti (per superari i salti del fiume), dall’acqua, un punto di osservazione unico e delizioso. Il battello arrivato al barrage esce dal centro storico di Strasburgo e costeggiando un lungo fiume meno tipico ma ugualmente panoramico e si spinge fino al parlamento Europeo permettendo di vedere la facciata della chiesa di St Paul, l’ Università e il quartiere delle ambasciate con i suoi ricchi palazzi.

Il nostro pranzo a Strasburgo è stato molto caratteristico, crepe e sidro a € 12 a testa alla “ Creperie La Plouzinette” 6, place Saint Etienne, mentre per cena ci fermiamo al Ristorante La Chaine d’Or, 134 Grande Rue. Mangiamo ostriche a volontà (per un totale di 100 ostriche in due), vino e caffè (il più buono di tutta la Francia) al costo di € 65…Che dire, non capiterà mai più.

Ed ecco arrivata la domenica mattina (4 maggio) a ricordarci che le vacanze sono finite, ma non possiamo certamente partire con l’amarezza di non aver vissuto il viaggio. Qui abbiamo bevuto ottimo vino, mangiato il meglio della cucina francese, dormito in situazioni economiche ma pulite e visto posti bellissimi contornati da persone altrettanto cordiali…Cosa può volere di più un turista? Trasmettere questa esperienza ad altri che possano a loro volta viverla! Buon viaggio.

Nicoletta e Roberto

NOTE INFORMATIVE SULL’ALSAZIA: Rude all’apparenza e burrosa dentro, con un’anima francese dopo la conquistata unione del suo territorio, nel 1861. Ecco l’Alsazia, regione d’arte, cultura, e tradizioni. Anche, forse soprattutto, enogastronomiche: quella vinicola dei bianchi e quella culinaria del foie gras e del pan di spezie. Il clima non è rigido. I Vosgi, da ovest, fanno da barriera alle piogge (che nella zona di Colmar raggiungono a mala pena il minimo dell’intera Francia). Proprio il clima, quasi mediterraneo in estate e mai rigido in inverno, è il primo grande tesoro della regione. Il secondo è costituito, invece, dalla qualità dei terreni: da quelli vulcanici del sud ai conglomerati calcarei e alle argille a ph alcalino. Nei centri urbani, la storia di secoli di contese non sembra aver lasciato cicatrici visibili, in quest’Alsazia transfrontaliera, un po’ francese simpatizzante tedesca e un po’ svizzera con influenze francesi: tutto trova armonia nelle case a graticcio o lungo la strada del vino, da percorrere col naso all’insù per scorgere i nidi delle cicogne sopra i tetti.

Sessant’anni fa attraversare il Reno nel tratto tra Basilea e Strasburgo era atto di guerra. Sulle opposte sponde si fronteggiavano tedeschi e francesi, al riparo questi ultimi – almeno credevano, finché l’esercito nazista non dimostrò il contrario – della colossale e inutile linea Maginot. Oggi forse nessuno in visita in Alsazia pensa alla tragedia allora vissuta, né immagina la rete di gallerie che corre sotto il dolce e curato paesaggio agricolo e neppure nota quanto resta delle postazioni di artiglieria, in realtà numerose quanto le cascine. Il sistema difensivo costruito prima dell’ultimo conflitto mondiale è una traccia sempre più labile, da scovare con sapienza di archeologo oppure custodita e imbalsamata in piccoli melanconici musei come quello di Marckolsheim, due passi dal fiume, due passi da Colmar, la cittadina capoluogo del dipartimento ‘Haut-Rhin’. Già, Marckolsheim. Difficile francesizzare un nome così teutonico: anche la puntigliosa carta Michelin lo riporta tale e quale. L’Alsazia è una lingua di terra costruita su un confine. Il confine ne ha intriso la storia e la ragion d’essere. I tentativi di abolirlo, spostarlo o semplicemente sottrarlo alla sua naturale provvisorietà non si contano da duemila anni a questa parte. Forse era prevedibile che la citata Maginot fallisse: senza confine – senza contese di confine – l’Alsazia non esisterebbe. Zona cuscinetto tra poteri diversi e antagonisti, pedina nel gioco delle sovranità mitteleuropee, jo-jo nelle mani ora dell’una ora dell’altra casata, l’Alsazia ha fatto di necessità virtù e proprio sui ribaltamenti di fronte ha costruito la propria identità. Oggi la separazione territoriale in pratica non esiste più, come ha voluto il trattato di Schengen, e come illustra simbolicamente la scelta di Strasburgo a sede del parlamento europeo. Ma ci sono altre sottili divisioni, non visibili sulle carte geografiche né ribadite dalle acque del Reno e tuttavia tenaci ed essenziali, per quanto sfumate e fluttuanti. L’Alsazia è attraversata da cima a fondo da una frontiera linguistica: a ovest le parlate romanze figlie del latino, a est quelle germaniche. Tutto qui? Niente affatto. Secondo le occasioni e gli interlocutori, gli alsaziani hanno un bagaglio intero di lingue da sfoderare. I giovani parlano quasi esclusivamente francese, ma provate a sentire qualche anziano in una conversazione con gli amici: sarete sorpresi dai suoni aspirati e gutturali, gli stessi dei dialetti della Foresta Nera che occhieggia all’orizzonte in pieno territorio tedesco. Non bastasse, in Alsazia sopravvive una forte comunità jiddish, mentre il nome stesso della regione è fatto derivare da tre diverse radici celtiche, alemanne o franche. E può capitare di sentire storielle come questa: un uomo sta affogando nel Reno vicino a Strasburgo e grida aiuto: ‘Au secours!’. Dalla sponda gli risponde un alsaziano senza scomporsi: ‘Statt Fransesisch hätsch besser schwemma glarnt!’ (invece del francese ti conveniva imparare a nuotare). L’umore sarcastico è un tratto distintivo degli abitanti, con una sensibilità speciale per le contraddizioni del passato e in particolare agli altalenanti rapporti franco-tedeschi. Eccone un esempio degno del teatro dell’assurdo. Si dice che il simpatico monsieur Lagarde (che significa ‘guardia’) vivesse tranquillo e felice nel suo paesino di mezza collina. Correva l’anno 1871 e il prussiano Ottone di Bismarck si impadronì di quelle terre. Monsieur Lagarde non perse solo tranquillità e felicità ma anche il cognome, tradotto in Wache (guardia in tedesco). Non passarono cinquant’anni che i francesi riconquistarono la regione: e lui buono buono divenne Vache (vacca, ovviamente). A suo figlio andò peggio: nel 1940, al sopraggiungere delle truppe di Hitler, fu costretto a mutarsi in Kuh (vacca in tedesco) e appena finita la guerra a riconvertirsi nel transalpino Cuh, il quale, guarda un po’, si pronuncia tale e quale cul! Le vertigini dell’enigmistica applicata alla storia vi danno l’emicrania? Siete in Alsazia, curatela con un bicchier di vino. Ponete la vostra base a Rouffach, a metà strada tra la citata Colmar e Mulhouse, dove troverete un economico mercato per i rifornimenti. E guardatevi intorno: vigne su vigne su vigne… I filari abbracciano ampiezze fino a cinque chilometri, dove le pendici collinari lo permettono. La Route du vin passa di qui e porta nomi a dir poco inebrianti: Sylvaner, Riesling, Muscat d’Alsace, Pinot Auxerrois… Come dire, da noi, non fosse che gli alsaziani sono vini bianchi, nebbiolo, barbaresco, grignolino e simili raffinatezze: c’è di che far tornare le vertigini. Per un tocco salutista, nel paese di Pfaffenheim l’azienda ‘Pierre Frick et fils’ coltiva la vite con metodi biologici e biodinamici. Una cantina con degustazione gratuita è quella di ‘Dopff & Irion’ a Riquewihr, dove la route giunge al capolinea settentrionale e dove sbocca la Val d’Argent. D’argento di nome e di fatto, nel XVII secolo la zona era traforata di miniere, il cui ricordo è rimasto nel nome del paese principale, Sainte Marie-Aux-Mines. Da una ventina d’anni, storici e speleologi stanno riscoprendo il dedalo di cunicoli sotterranei che, esaurito il metallo prezioso, sono serviti per estrarre anche rame, piombo, zinco, cobalto e arsenico. I reperti sono esposti al secondo piano del municipio: attrezzi di lavoro, mappe, oggetti di vita quotidiana, un plastico e la ricostruzione di una galleria svelano la durezza epica di un mestiere dimenticato. Al museo si ottengono anche informazioni e consigli per visitare dal vivo una miniera e salire a bordo dei suoi trenini. Tornati in superficie vorrete forse sgranchire le gambe. Basta mettersi in cammino, le grandes randonnées percorrono tutta la cresta dei Vosgi. L’accesso ai sentieri in quota avviene da qualsiasi vallata, ma l’itinerario completo parte proprio da Sainte Marie-Aux-Mines e scende verso sud fino a Cernay, nel parco regionale dei ‘Ballons des Vosges’(la cima più elevata è il Gran Ballon: non spaventatevi, sono appena 1424 metri sul livello del mare). Il tracciato è impegnativo, tortuoso e con pendenze accentuate; in primavera richiede precauzioni di tipo alpino sui tratti all’ombra dove rimane la neve, ma garantisce silenzio e solitudine miracolosi a due passi dai centri abitati. Le attrattive dell’escursione – per la quale è bene mettere in conto una settimana abbondante – stanno anche nella purezza un po’ selvatica dell’ambiente naturale: sotto foreste di latifoglie tra cui spadroneggiano acero e faggio, in alto amplissimi panorami sulla piana renana limitati da fitti boschi di conifere. E oltre il limite della vegetazione arborea – fittizio perché causato dai diboscamenti di epoca medievale – distese di pascoli, gli haute chaumes francesi, dove pascolano capre e mucche. Bellissimi quelli della Valle del Munster, attraversati dalla Route du Fromage (il formaggio, lo trovate nelle baite-alberghetto disseminate lungo il percorso) e in fioritura tra aprile e giugno. Sorpresa, ci sono genzianelle e primule di montagna come se passeggiaste sulle Cozie, mentre qua e là riluce una torbiera, regno d’acqua ed erbe palustri. Proprio le tradizioni artigianali del vino e del formaggio costituiscono in Alsazia un solido baluardo ecologico: si tratta di attività redditizie che non sono state scalzate da ritmi e insediamenti della vita industriale e hanno contribuito a mantenere stabile nel tempo l’aspetto ambientale della regione. Al punto che uccelli come le cicogne, rari al di qua delle Alpi, ancora nidificano sui tetti di molti paesi. Anzi, succede che gli abitanti costruiscano per loro larghe piattaforme visibili da lontano. LA ROUTE DES VINS La famosa strada dei vini si snoda ai piedi dei Vosgi per un centinaio di chilometri secondo la direttrice Nord-Sud, lungo il fiume Reno. I vigneti sono composti principalmente da uve a bacca bianca, fatta esclusione per una piccola percentale di pinot nero.

Il Gewurtraminer non è paragonabile a quello di altre regioni d’Europa: è un vino secco, con gamma di profumi talmente ampia da sembrare dolce.

Il Riesling è sicuramente il vitigno più rappresentativo, qui, assume una personalità assolutamente particolare che cambia in funzione dei terreni da cui provengono le uve. Viene considerato uno dei migliori bianchi del mondo: secco, elegante, potente e longevo, un grandissimo vino tutto da scoprire.

Un vino di classe, molto diverso dalla versione italiana, è il Pinot grigio, conosciuto in passato come tokay d’Alsace, che viene abbinato ad un altro prodotto tipico, il foie gras.

Gli alsaziani come aperitivo bevono il Muscat d’Alsace (normalmente prodotto con una parte di muscat Ottonel) un vino molto secco e aromatico.

L’Alsazia non produce solo ottimi vini normali, ma annovera cinquanta gran cru e grandissimi vini dolci, tra cui le famose Vendemmie Tardive e gli Acini Nobili. Questi sono i vitigni definiti nobili, gli altri, sempre a bacca bianca e altrettanto interessanti, sono utilizzati da soli, o in uvaggio soprattutto per il Crèmant, lo spumante d’Alsazia.

Ebbene sì: l’Alsazia è proprio la regione francese d’eccellenza per i vini. Uva e aromi sono i veri protagonisti in cantina: difficilmente, perciò, la fermentazione avviene in botte, per esaltare il carattere fruttato e floreale delle uve. Qualità, quelle alsaziane, fra le più aromatiche del mondo, e due condizioni di rigore per la coltivazione: mono-vitigni e vitigni autoctoni, che fanno la storia della denominazione. Riesling, Gewürztraminer, Pinot Gris eMuscat su tutti. E poi Sylvaner, Pinot Blanc e Pinot Noir. A proposito di denominazioni, la AOC Alsace (Appelation d’Origine Controlée) è abbastanza recente e ancor più recente (circa vent’anni di età) è l’Alsace Grand Cru, che annovera 50 vigneti dalle regole precise: rese per ettaro limitate ad un massimo di 70 ettolitri e solo 4 vitigni eleggibili a Grand Cru (Riesling, Gewürztraminer, Pinot Gris, Muscat). Ancor più recenti e costellate nel proprio iter da ripetuti e costosi controlli svolti dalle commissioni tecniche regionali sono le denominazioni Vendange Tardive Selection des Grains Nobles. Autentici fiori all’occhiello, questi, dell’enologia alsaziana, che la rendono unica nel mondo. Scegliere le cantine da visitare è un rebus da professionisti della decisione, visto il numero di piccoli e grandi vignerons dislocati lungo la Route des Vins che da Thann conduce a Marlenheim, per un totale di 170 km. Percorrendola, grande meraviglia desta l’ingresso nella Vallée Noble: non è solo questione di maestosità dei vigneti. Piuttosto, qui, in maniera assolutamente evidente, è celebrata la simbiosi tra uomo e vino. I vitigni regolano la vita degli abitanti del posto. Lo si evince dalla precisione con cui i cartelli ricordano al viandante cosa succede da queste parti, attraverso un continuo rimando di nomi che si riferiscono ai piccoli e grandi vignerons: una mappa del gusto che stordisce per completezza e quantità. A Orschwihr, vale una sosta il Domaine Lucien Albrecht. A pochi passi, una fattoria vecchio stile dal nome del proprietario: Jean Michel Welty. L’accoglienza è affidata alla mamma del vignaiolo, un’anziana signora che dall’alto delle sue ottanta primavere è altamente competente sul da farsi. A Soultzmatt, irresistibile è la cantina del vulcanico, affabile, coinvolgente e preparatissimo Seppi Landmann, omaccione dalla faccia allegra, che si presenta con semplicità. È lui l’estimatore vero del Pinot Nero. Al suo classe 1996 ha dato il nome di “Jardin des delices”: lo serve alla giusta temperatura mentre illustra la cantina di vinificazione e di affinamento. Seppi ha studiato in Borgogna ed è travolgente nella sua cordialità. Non c’è nulla da fare: lo si può solo assecondare e andare con lui in vigna, nel Grand Cru Zinnkoepflé dove da soli due ettari di terra ricava alcune delle sue creature, così le chiama lui, il resto provenendo da non più di 4 ettari nel vigneto di Bollenberg.

Riesling Grand Cru Wiebelsberg 2004 Remy Gresser. Sabbia e arenaria: è questo il suolo del Grand Cru Wiebelsberg, ad Andlau. E questo è Riesling giovanissimo tratto da quelle terre. È dunque ancora molto sulla nota verde quando l’annusi nel bicchiere. Ma in bocca ha tensione e freschezza e slancio e lunghezza. Buono, e diventerà – ci sommetto – buonissimo. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Riesling 2004 Cave Vinicole de Hunawihr. Se vi piacciono le cicogne, be’, a Hunawihr ci dovete andare. Ne trovate a decine sui tetti lungo la strada che porta alla cantina sociale. Poi, in cantina, vino buono che costa poco. Come questo Riesling base. Roba da 6 euro per un bianco da spettino: il bicchiere lo vuoti che è un piacere. Ha naso citrino, agrumato, ma anche di già minerale. Bocca fresca e nervosa. Due lieti faccini 🙂 🙂 Gewurztraminer 2004 Clement Klur. Mi diceva niente il nome di Clement Klur. M’hanno incuriosito le etichette: due con dei gatti (del resto, lui è di Katzenthal, la Valle dei Gatti, se non traduco male), le altre dai colori terrosi. Mi sono accostato al tavolino e ho scoperto un produttore che merita attenzione. Fa biodinamica. E buoni vini. Come questo piacevolissimo Gewurztraminer dal naso pulitissimo ed elegantemente aromatico, e bocca tesa e scattante e senza eccessi. Di beva franca e serena. Da compagnia. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Pinot Blanc 2004 Clement Klur. Altro bel bianco da monsieur Klur. Un Pinot Bianco – ed è un’eccezione nella mia lista personale – che unisce alla vegetalità dei profumi un’intrigante vena speziata e un cenno d’agrume quasi immaturo. La bocca è farinosa e speziata anch’essa e quasi pungente nella sua presenza citrina. Poi c’è la mela asprigna e una freschezza esuberante. Due lieti faccini 🙂 🙂 Pinot Gris Sables et Galets 2004 Cave de Turckheim. Bel vinello, da bere e strabere in compagnia. Sulla chiacchiera. Fine e invitante e di dolcezza calibratissima e bella freschezza. Lavora bene, questa cantina sociale. E ha buoni prezzi: questo, viene sui sette-otto euro. Due lieti faccini 🙂 🙂 Pinot Gris Grand Cru Furstentum 2004 Albert Mann I vini del Grand Cru calcareo del Furstentum li amo alla follia. Sono i miei vini. E quello di Albert Mann è un Domaine che quel terroir lo interpreta all’eccellenza. Anche se non sono un patito del Pinot Gris, be’, vi consiglio di comprarlo, questo, se passate dalle parti di Wettolsheim. Ché è buonissimo. Col suo bouquet esplosivo di fiori bianchi e gialli. E la bocca equilibratissima e balsamica quasi e pregna d’erba officinale. Lunghissima. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Gewurztraminer Grand Cru Furstentum Vieilles Vignes 2004 Albert Mann. Tre faccini? Ma gliene darei quattro, cinque, se la mia scala non si fermasse giocoforza al terzo. Altro grande – che dico, grandissimo – bianco del Furstentum. Pensare che è così giovane: solo il 2004. Naso bello, con la rosa e la spezia e il frutto tropicale (e il passion fruit) e l’erba limoncella e la melissa e la mentuccia e il peperone giallo grigliato perfino. E una vena minerale intrigante. La bocca corrisponde, e a darle slancio c’è una freschezza salina. Ovvio, il top, i tre faccini 🙂 🙂 🙂 Riesling 2003 Trimbach. Nome celebre, importante, quello dei Trimbach. Ché fan vini di grand’eleganza. Aristocratici. Capaci di dare un Riesling di fascinosa beva anche in un anno, com’è stato il 2003, poco propizio. Il caldo quell’estate era tanto e troppo per la vigna e il frutto tendeva a cuocersi, tant’è che non son molti i vini di quell’anno che mi siano entrati in testa. Questo è uno. Molto sul frutto, ha naso ampio ed elegante e speziatino anche e in bocca è teso come una corda di violino. Splendidamente anomalo. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Gewurztraminer Grand Cru Brand 2002 Cave de Turckheim. Sull’erta del Brand andavo a farci jogging la mattina presto per cercare di smaltire il fegato grasso mangiato la sera. Cosa di cui – ne convegno – non importa nulla a nessuno, e men che meno a chi vuol legger di vino. Ma quelle vigne le ho percorse in lungo e in largo e sono bellissime e ci vengono vini di piacevolezza, e agrumati parecchio, come questo Gewurtraminer della cantina sociale di Turckheim. La buccia d’arancia, la rosa appassita, la spezia dei dolcetti tedeschi: eccolo il bouquet. Il corpo è di tutto rispetto. Bel vino. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Gewurztraminer Grand Cru Furstentum 2001 Paul Blanck. Il Domaine è di quelli noti. Giustamente. Ché i vini sovente sono magnifici. Splendido è questo Gewurztraminer del 2001. Del Furstentum, Grand Cru dal suolo calcareo fra Kientzheim e Sigolsheim. Che ampiezza e che equilibrio ha nel bouquet! Gioca tra il fior di rosa, il frutto esotico, l’agrume, il litchie, la vena fumé, la liquirizia, un cenno appena di tadacco dolce da pipa. E altrettanto ampio è il palato, che è fresco e nel contempo perfino un pelettino tannico e che comunque trova nella venatura minerale una specie di costante filo conduttore. Ed ha equilibrio e lunghezza. Un capolavoro assoluto. La scala dei faccini dovrei superarla. Ma ne uso da uno a tre. Dunque son tre. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Riesling Engelgarten 2001 Sylvie Spielmann. Eccolo qui un Riesling di quelli didattici. Intendo: quando parli di Riesling d’Alsazia, vien fuori sempre l’osservazione che hanno traccia minerale. Ebbene: se vi piace il bianco che sa di pietra focaia e d’idrocarburi, questo fa per voi (e per me, ché a me piace). È ancora giovane e ha tuttora traccia citrina, ma è buono parecchio. Due lieti faccini 🙂 🙂 Riesling Grand Cru Kanzlerberg 2001 Sylvie Spielmann. Altro bel Riesling da madame Spielmann. Minerale anche questo. Minerale, dico, all’olfatto e al gusto. D’una mineralità ampia e fascinosa e mai aggressiva. In equilibrio, dunque, come dev’essere per l’ottimo bianco. Ed è vino che vibra sul palato per la bella freschezza. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Riesling Grand Cru Moenchberg 2000 Remy Gresser. Oh, ne berrei a secchi di questo Riesling! Grandissimo già nell’olfatto, che vive sul gioco dell’agrume e della resina e del fiore bianco – il biancospino, certo – e del minerale. E la bocca s’apre e si distende con lentezza, e la freschezza allora invade il palato. C’è ancora bel frutto agrumato, ma soprattutto una mineralità vivida, intrigante. Vino buono adesso e chissà cosa potrà dare ancora in futuro per anni et anni. Tre lietissimi faccini 🙂 🙂 🙂 Riesling Cuvée Frédéric Emil 2000 Trimbach. Gioca classicamente sulla nota di mineralità questo Riesling, ed è bianco di grand’eleganza. All’olfatto cede tuttora sentori d’agrume e di resine che sottostanno però alla fitta trama di rocce e d’idrocarburi. La bocca è lunghissima e appagante. Dire buono è ancora poco. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 Riesling Grand Cru Kastelberg Vendages Tardives 1998 Remy Gresser. Che dire: l’equilibrio fatto vino. Zucchero ce n’è, e tanto, ch’è bottiglia da vendemmia tardiva. Ma mica lo senti in bocca. Perché c’è una freschezza che regge l’urto. Ed è fascinoso il naso, complesso e vivido nelle memorie di frutto e di spezia e di roccia, dello scisto delle terre di questo Grand Cru. Grande. M’accorgo che sono tre i vini di Gresser della mia top parade. Ma che farci: mi son strapiaciuti. Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂 NON SOLO VINO Procedendo verso nord, è d’obbligo visitare due cantine di Husseren-Les-Chateaux. Si trovano l’una accanto all’altra, lungo una strada che monta verso i vigneti. La cantina di Kuentz- Bas è la prima: il signor Bas guida il viaggiatore alla scoperta di alcuni vini che derivano da uve coltivate in due vigneti Grand Cru di grande reputazione: Pfersigberg e Eichberg. Approccio ancor più simpatico e familiare da André Sherer. La signora Sherer, in particolare, è una delle ideatrici di un movimento che ha precorso quello italiano delle Donne del Vino. Nella vallata di Kaysersberg si erge solitario il Domaine Weinbach, edificato nel ‘600 dai monaci Cappuccini. Acquistato nel 1898 dai fratelli Faller, che lo donarono al figlio Théo. Théo è rimasta figura celebre di vigneron alsaziano. Dal 1979 guida l’azienda la moglie Colette insieme alle figlie. La proprietà conta circa 25 ettari di vigneto di cui la metà nel Grand Cru Schlossberg. Ma Alsazia non è solo vino: ai buongustai la regione offre, infatti, anche dell’ottima birra. La più famosa è la Kronenbourg ma ce ne sono tante, visto che qui si produce il 60% dell’intera birra francese. Del resto, la Francia si chiamava anticamente Gallia, patria di celti e druidi, tutti grandi estimatori della chiara bevanda. In tal senso, una tappa da non mancare è sicuramente la Brasserie Météor a Hochfelden, l’ultima vera e grande brasserie indipendente dell’Alsazia.

A TAVOLA In Alsazia, ovviamente, non si beve soltanto ma si mangia pure. La cucina tradizionale alsaziana è molto varia e fonde tradizioni francesi, ebraiche e tedesche. La tavola germanica si ritrova in particolare nelle zuppe, quasi sempre presenti in menù.

Si mangia formaggio, innanzitutto. Il Munster, a pasta molle e crosta lavata. Come molti altri, anche questo fu inventato dai monaci, nel 660, quando i benedettini fondarono un monastero intorno al quale crebbe il villaggio di Munster. Per approvvigionare la mensa, scelsero i prati dei Vosgi e poi si spostarono più a occidente, facendo pascolare le mucche sul versante opposto delle catene montuose della Lorena. Nel 1285, le genti d’Alsazia e di Lorena fondarono una nuova città che chiamarono Sancti Gerardi Mare (successivamente Gérardmer, nome che la gente pronunciava “géromé”). Le due città non ebbero convivenza pacifica e presto il popolo della Lorena cominciò a chiamare quel formaggio Géromé anziché Munster, tradizione tramandata fino ad oggi. Per acquistarlo, il posto migliore è “La cloche à fromages” di Strasburgo, riferimento di ogni buongustaio. Ed ecco emergere la tradizionale choucroute, un insieme di svariati tagli del maiale adagiati su un letto di cavolo cappuccio marinato per giorni nel Riesling. Va assaporata appieno in una Weinstub, l’equivalente della nostra osteria, dove si mangia con 30 euro. L’etimologia del termine è germanica (deriva da “sürkrüt”, cavolo acido): il cavolo viene tritato e fatto fermentare per settimane, prima di essere cucinato. Altra specialità è la baeckeoffe, stufato di carne e verdure cotto nella casseruola di ceramica. Ma soprattutto l’Alsazia è la patria del foie gras, d’oca bianca d’Alsazia, grigia di Tolosa o di anitra della Francia atlantica, una prelibatezza prodotta artigianalmente. Il miglior foie gras? La competizione è dura. Tra i concorrenti figurano Marco e Marianne Willmann che al Liesel Shop di Ribeauvillé ne propongono uno “vecchio” oltre duecento anni. Si narra, infatti, che il foie gras abbia visto la luce proprio qui nel 1780 per opera di Jean Pierre Clause. Lo stesso Clause che ispirò La Boutique du gourmet di Strasburgo, dove si può trovare ancora il foie gras en croûte, cotto in crosta di pane. Sempre a Strasburgo, si può andare a trovare Georges Bruck: 5 generazioni e 150 anni di pregevole foie gras. L’alternativa è il ristorante Chambard, nel centro di Kaysersberg. La ricetta è dello chef Olivier Nasti, che lo vende anche a chi, pur non fermandosi al ristorante, ne fa richiesta all’ingresso. Se il palato preferisce il dolce, specie quello a base di frutta, allora una puntata vicino Turkheim è davvero d’obbligo. Lì, a Niedermorschwihr, vive Christine Ferber, regina delle marmellate. È un vero dubbio amletico scegliere tra 240 etichette, barattolini, confezioni regalo e torte che hanno dato fama planetaria alla giovane alsaziana. Ingredienti naturali, certo, arte culinaria e tradizione centenaria. Ma, soprattutto, frutta freschissima. I rifornimenti arrivano dal sud est e dal sud ovest, oltre che dall’assolata valle della Loira. Man mano che diventano maturi, i frutti finiscono in vasetto. A maggio si comincia con le ciliegie, per proseguire a giugno con pesche e albicocche. Luglio porta pere e prugne, mentre uva e meloni salutano l’inizio dell’autunno. A colazione i prodotti di Christine sono ideali con il kougelhopf, soffice corona con l’uvetta, una sorta di pandoro. Sempre dolce è il pain d’épices, con cannella, cardamomo, zenzero, sesamo e anice, mescolati a farina e crusca di segale e miele. Una specialità tenuta in una considerazione tale che a Gertwiller gli è stato persino dedicato il Musée des douceurs d’autrefois. Sempre di questa regione sono i celeberrimi alsaciens, gli stecchini di cracker tostato ricoperti di sale conosciuti in tutto il Globo. Non meno apprezzata dai palati che prediligono i sapori forti è la tarte flambée, focaccia alle cipolle e pancetta. Per assaggiarla, ideale è il restaurant di Rouffach di Philippe Borher, cucina essenziale tutto sapore. Un’altra tavola di fama è il ristorante “Aux Armes de France”, ad Ammerschwihr, dove il foie gras maison è celestiale e l’atmosfera avvolgente. Ma è Illhaeusern la più alta consacrazione della fama gourmand alsaziana. L’Auberge de l’Ill è pura leggenda. Come leggendarie sono le voci del menu: rane in mousse di spinaci, astice alla salsa di champagne, terrine de foie d’oie al tartufo. Per la choucroute, il suo regno è la Maison Kammerzell di Strasburgo, locanda di tradizione del Cinquecento. A Colmar c’è, invece, il JY’S, in un’antica dimora seicentesca della Petite Venise. Il rigore minimalista del decoro interno è perfetto per i piatti di creatività esuberante, come l’assortimento di tapas d’antipasto o i mini cono-gelato del dessert.



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