Alla scoperta di una terra ai confini del mondo

16 febbraio 2007 h. 21.30 (ora locale) Se è vero che un viaggio comincia sempre in un aeroporto, questa volta si può dire che sia iniziato nel migliore dei modi. E se è vero che in un aeroporto si possono vedere ogni giorno migliaia di persone di varie nazionalità, oggi posso dire di aver fatto il giro del mondo. Sono a Buenos Aires...
Scritto da: marina_che
alla scoperta di una terra ai confini del mondo
Partenza il: 15/02/2007
Ritorno il: 04/03/2007
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
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16 febbraio 2007 h. 21.30 (ora locale) Se è vero che un viaggio comincia sempre in un aeroporto, questa volta si può dire che sia iniziato nel migliore dei modi. E se è vero che in un aeroporto si possono vedere ogni giorno migliaia di persone di varie nazionalità, oggi posso dire di aver fatto il giro del mondo.

Sono a Buenos Aires Aeroporto Aeroparque e sto aspettando assieme agli altri dieci compagni di viaggio il volo che circa sei ore fa doveva portarci a Trelew: ora il tabellone segnala che dovrebbe partire verso le 2,30 del mattino, ma ormai non ci credo… Il clima tra i miei compagni di viaggio è davvero incandescente, mentre il resto della gente (quasi tutti sudamericani, visto che siamo nell’ultimo weekend prima dell’inizio delle scuole ed il volo è “domestico”) attende, ride, guarda la partita alla tv (sta giocando l’Independiente ed il calcio in Argentina è sport nazionale!!).

Lo stress qui non esiste, non c’è tensione nell’aria, così mi adeguo felicemente allo stile di vita di questa meravigliosa gente, prendendo posto davanti alla televisione e commentando con gli altri spettatori la partita di calcio (dopotutto è un esercizio per il mio spagnolo).

17 febbraio h. 6,30 del mattino La stanchezza è incredibile, anche perché sono in viaggio da mercoledì pomeriggio (14 febbraio) ed ho affrontato un lungo volo di 14 ore per arrivare a Buenos Aires, ma l’alba fantastica di Trelew mi da’ una carica ancora più forte del “secchio” di caffè che ci beviamo appena atterrati. L’aeroporto è piccolissimo e sperduto nel deserto. C’è un vento fortissimo, che (constatato solo alla fine) ci accompagnerà per tutto il viaggio, ma il paesaggio ci ripaga di tutte le ore di sonno perdute.

Arriviamo a Puerto Madryn, la città gallese più antica di tutta la Patagonia e ci sistemiamo in una pensioncina molto vecchia: riesco a sentire il profumo di pane tostato, di caffè e latte, di cera per il legno e di mare.

Non vogliamo perdere la giornata, così in dieci minuti ci “sistemiamo” e partiamo alla volta della Peninsula Valdes. Uscendo dal paesino noto moltissimi cani randagi alla ricerca di cibo (ecco perché i bidoni della spazzatura sono rialzati) e le baracche dove vivono le persone che si diradano fino a lasciare spazio all’immensità ed alla vastità della steppa patagonica, che si staglia davanti a noi, senza confini. Le sfumature del giallo, dell’ocra, del verde e del marrone si fondono all’orizzonte con l’azzurro del cielo velato dal bianco delle nuvole.

Poco prima di raggiungere la meta, Juan e Miguel (i nostri accompagnatori) ci portano ad un mirador nel deserto, dalla cui estremità superiore si possono vedere l’isola e l’istmo che la collega alla terraferma. Qui incontro una famiglia di argentini, nipoti di emigrati italiani: ci dicono che i loro antenati erano di un paesino vicino a Pavia e che loro non li hanno mai conosciuti e non hanno mai visto l’Italia. L’emozione è forte: la signora ha il volto rigato dalle lacrime, così la bacio affettuosamente per salutarla ed augurarle “suerte”, come si usa da queste parti. A questo punto ripartiamo su una strada sterrata infinitamente lunga, ai lati della quale di tanto in tanto in lontananza vediamo un’estancia. Nandù, guanachi, struzzi, cavalli selvatici, armadilli e migliaia di pecore, montoni e castrati: tutti liberi; ma siamo attratti dalla velocità con cui una volpe sta cercando di nascondere e di mangiare una carcassa di pecora.

Finalmente entriamo nella riserva e ci incamminiamo in un sentiero che scende da una scogliera: sotto di noi il blu del mare ed una colonia di pinguini di Magellano. Alcuni prendono il sole, altri fanno esercizi di nuoto, altri ancora giocano o si lisciano la pelle con il grasso, visto che ormai qui l’estate sta finendo e per loro è giunta l’ora di nuotare fino alle coste del Brasile.

Silenzio…Si sente solo il clangore delle onde che si infrangono sulla battigia ed i versi dei pinguini e degli elefanti marini, che sono adagiati sulla spiaggia o raggiungono il mare per un bagno.

L’incontro è inverosimile ed indimenticabile, ma la giornata è ancora lunga, così ripartiamo con destinazione Puerto Piramide.

Durante il tragitto vedo Juan che sta armeggiando con un sacchetto di erba ed un termos di acqua calda, così chiedo cosa stia facendo e lui mi spiega che sta preparando la bevanda nazionale: il mate. Naturalmente me ne offre un sorso ed io accetto: il gusto è amaro, ma a me piace. A Puerto Piramide ci fermiamo a pranzare in una chiosco sulla spiaggia: camarones! Dopo pranzo veniamo imbarcati, se così si può dire, su un gommone, che a sua volta è caricato sul rimorchio di un enorme trattore sulla spiaggia. Vista la nostra perplessità, il marinaio ci spiega che qui la marea è troppo bassa e mutevole, così questo è l’unico metodo per far prendere alle imbarcazioni il mare.

Si parte al largo con la speranza di vedere l’orca (possibilità molto remota), ma il profondo blu del mare, il forte odore di salsedine e l’eco dei versi dei gabbiani e dei cormorani riempie il vuoto che apparentemente ci circonda.

Su alcune rocce all’interno delle insenature di un’isola vediamo una colonia di leoni marini, che prendono il sole: sono animali bellissimi.

La sensazione è incredibilmente fantastica: non siamo davvero niente di fronte alla forza ed alla perfezione della natura.

Durante il tragitto di ritorno a Puerto Madryn non riesco a distogliere lo sguardo dal finestrino del pulmino: il mutare della luce del sole filtrata dalle nuvole cambia continuamente i colori del paesaggio circostante.

Prima di cena vado a fare una passeggiata sulla spiaggia: il sole sta tramontando ed il vento soffia continuamente, ma lo spettacolo è assicurato.

Ormai sono le dieci passate (qui il sole tramonta molto tardi) ed andiamo a cena in un locale tipico argentino: cordero asado e dulce de leche.

Usciamo a tarda ora con un forte odore di fumo e di spezie addosso…Ma dopo tutto anche questa è Patagonia!

18 febbraio h.7,00 Colazione super abbondante…Ci aspettano più di 200 km, di cui almeno 50 di strada sterrata, per raggiungere la riserva naturale di Punta Tombo.

L’emozione che mi danno l’immensità ed il silenzio di queste terre fantastiche è grandiosa ed inspiegabile.

Arriviamo al mattino molto presto per poter passeggiare indisturbati in mezzo a milioni di pinguini di Magellano. Silenzio… anche qui solo il sibilo del vento, sempre presente, ed i versi dei pinguini ci accompagnano durante queste ore di passeggiata e di osservazione. Lo spettacolo del mare immenso, increspato dalle onde che si infrangono sugli scogli e della spiaggia, sulla quale ci sono migliaia di pinguini, ci lascia senza fiato.

Pieni di emozione, e a malincuore, lasciamo questo paradiso, non proprio incontaminato, ma con un fascino indiscutibile.

Il pomeriggio prevede una passeggiata spensierata a Trelew: sembra un paesino disabitato. Ci fermiamo a mangiare un gelato in una gelateria artigianale e resto stupefatta dal modo in cui i ragazzi preparano le palline (peraltro enormi) sul cono solo con la paletta: il gelato è squisito ed il costo inverosimile, solo 3,50 pesos, vale a dire 1 euro.

A questo punto Juan ci porta a Gaiman, famosa per le sue case da tè. Noi andiamo a degustare tè e dolci in una delle più famose, e purtroppo anche molto turistiche, dove era stata a suo tempo anche la principessa Diana. Il locale è tipicamente gallese, le signore ci offrono il tè e soprattutto ci fanno assaggiare una ventina di dolci diversi fatti in casa. Naturalmente non ci tiriamo indietro e per la prima volta bevo il tè come tradizione gallese vuole, cioè con latte.

Per smaltire il sovrabbondante spuntino ci concediamo una passeggiata in centro, per vivere la domenica assieme alla gente del posto.

Il parco è pieno di persone che conversano sulle panchine, che ballano a ritmo di tango e di bambini che giocano e gridano. Anche il cane ha il suo giorno di festa: chi lo tiene sulle ginocchia mentre guida l’auto, chi lo mette addirittura sul tetto dell’auto per fargli godere il panorama e chi lo tiene in braccio per “portarlo” a passeggio. Tutto impensabile in Italia!!! Tutti sono cordiali e amichevoli…Sono davvero in un altro mondo! Durante il viaggio di ritorno Juan ci spiega perché ai bordi della strada spesso ci capita di vedere una piccola cappella, delle bottiglie d’acqua e delle bandiere rosse: così ci racconta la storia del gauchito Hiel e della Correa defunta.

19 febbraio h. 6,00 Partenza per l’aeroporto di Trelew: l’alba è fantastica nel cielo della Patagonia.

Un volo di circa un’ora e mezza ci porterà a El Calafate: siamo quasi arrivati a destinazione, e questo lo si vede dal finestrino dell’aereo: un immenso deserto marrone punteggiato da una miriade di laghetti turchese, il tutto dominato dalla maestosa cordigliera delle Ande, con le sue meravigliose cime innevate.

Lo spettacolo è davvero mozzafiato! Ci aspettano circa 200 km di strade sterrate per raggiungere El Chaltèn , campo base da cui partiranno le nostre escursioni per il Fitz Roy e per il Cerro Torre. Dopo un tempo indefinibile il nostro accompagnatore si ferma nel mezzo della steppa e ci dice che ci accompagnerà a piedi a vedere la Foresta Pietrificata.

La salita sulle rocce arse dal sole è abbastanza impegnativa, ma lo spettacolo che si vede dall’alto del monte è bellissimo: legno che con il passare dei secoli è diventato roccia e piante “grasse” minuscole a prova di vento sparse su un terreno arido pieno di spaccature.

Piccola sosta in una estancia sperduta nel deserto, e poi partenza, con varie soste per ammirare sempre più da vicino le montagne, e arrivo in una bellissima casetta di legno, dalla cui finestra si vedono le cime del Fitz Roy.

Nel tardo pomeriggio andiamo a fare un piccolo trekking di circa due ore all’interno della foresta, per vedere il ghiacciaio Huemul ed il laghetto sottostante. Il percorso è tutto in salita…Tanto per tenerci in allenamento per la tappa di domani! Una buona cena a base di trota è l’antipasto per una bella dormita, perché domani è il gran giorno…

20 febbraio h. 6,00 Siamo già tutte sveglie prima dell’alba, forse per l’emozione del trekking molto impegnativo (9 ore!!!), che ci porterà sotto la vetta del Fitz Roy. A sorpresa la padrona di casa ci porta il caffelatte, le medialunas ed il pane ancora caldi, così facciamo un’abbondante colazione e prepariamo i panini per pranzo.

La mia preoccupazione è di non riuscire a raggiungere la meta, ma il panorama, la mutevolezza del paesaggio e la determinazione vincono ogni stanchezza.

Qui, durante il percorso il clima cambia in continuazione: è un continuo fermarsi a vestirsi e svestirsi, causa l’escursione termica notevole ed il vento che man mano che ci si avvicina alla vetta aumenta. Il vento, alleato fedele della Ande, soffierà forte ed incessante per tutta la giornata, ed il suo sibilo sarà nostro compagno di viaggio.

Il sentiero tortuoso si snoda in mezzo alla foresta pietrificata ed a tratti ci apre una finestra su un ghiacciaio o su uno scorcio di ciò che vedremo solo in cima.

Tra ampie vallate e fiumiciattoli di acqua trasparente e gelida, giungiamo ad una salita di pietre e arbusti molto ripida, che ci invoglia a fare questo ultimo sforzo, poiché in cima si apre davanti a noi uno spettacolo senza pari: il Fitz Roy, semicoperto da una nuvola, si specchia in un lago color turchese, nel quale scende un ghiacciaio bianco come la panna e rigato di blu come il cielo.

In vetta ancora non c’è nessuno, se non due ragazzi spagnoli, così possiamo godere appieno di questo spettacolo della natura. Da quassù il panorama è mozzafiato: in lontananza di può vedere il Lago Argentino ed il percorso nella vallata che ci porterà a El Chaltèn.

Mangiamo in fretta e ci cambiamo i vestiti, il vento non ci lascia un attimo di tregua e così prendiamo il sentiero del ritorno, che si snoda tra ruscelli di acque limpide, colorate di tanto in tanto dai numerosi minerali di cui sono ricche, e una miriade di fiori e piante di diversi colori.

Laghetti ricchi di vegetazione dai mille colori, ponticelli su torrenti di acqua gelida ed il sibilo incessante del vento ci accompagnano “in silenzio” fino al paesino di El Chaltèn.

L’arrivo a “casa” ci rincuora, ma la grande fatica è stata ripagata oltre che dallo spettacolo che questa terra ci ha serbato, anche dalla cordialità e dalla bellezza della gente di questi luoghi: adesso ci sentiamo davvero in Patagonia! Doccia calda e cena in un locale tipico, con tanto di mega-fette di torta, ma il pensiero è già a domani…

21 febbraio h. 6,00 La stanchezza comincia a farsi sentire, le ginocchia quasi non reggono, le vesciche sono dolorose… ma quando tornerò in questa splendida terra? Quindi…Partenza per il trekking di circa 6 ore per giungere alla vetta del Cerro Torre.

Il sentiero è quasi tutto in mezzo al bosco e solo l’ultima parte si snoda in una vallata. Salita in mezzo a sassi e rocce e… finalmente davanti a noi si staglia il Cerro Torre con il suo laghetto ed il ghiacciaio.

Anche qui il vento soffia incessante, così non possiamo godere a lungo del magnifico panorama. Mangiamo un panino, un bel pezzo di cioccolato (mangiato stavolta senza rimorsi!!!) e ripartiamo per la discesa ripercorrendo lo stesso sentiero dell’andata, facendo sembrare infinito il tempo di camminata.

Doccia veloce e partenza in pulmino per El Calafate: il paesaggio è sempre più spettacolare alle luci del tramonto.

Ci sistemiamo da Jorgito ed andiamo a cena in un self-service.

El Calafate è una località molto molto bella, così per la prima volta da quando siamo in viaggio, ci concediamo una serata di passeggio e shopping.

22 febbraio Oggi per fortuna ci aspetta una giornata di navigazione sul Lago Argentino. Ci imbarchiamo su un grosso catamarano e partiamo alla volta dei numerosi ghiacciai e tèmpanos che scendono dalle montagne fino all’enorme lago.

Fa molto freddo e soffia un vento molto forte, ma navigare in mezzo ad enormi iceberg, bianchi come il latte e blu come il cielo, è un’emozione senza pari.

Di tanto in tanto si apre davanti a noi un enorme ghiacciaio bianco striato di blu: Upsala o Spegazzini, poco importa, sono uno più spettacolare dell’altro! Sembra di essere in Antartide… All’ora di pranza facciamo una passeggiata in mezzo al bosco, ci fermiamo sulle rive del lago Onelli e di fronte al suo ghiacciaio facciamo un pic-nic.

Alla sera troviamo un locale molto carino in centro a El Calafate: cordero asado, sopa de verduras, vino argentino e dolce del Calafate (un frutto di bosco simile al mirtillo): il tutto di fronte ad un particolarissimo asador, e poi… via di mercatini.

23 febbraio Troppo bello, oggi è il gran giorno, forse uno dei giorni che da soli valgono tutto il viaggio: oggi si va al Perito Moreno, l’unico ghiacciaio al mondo che “vive”.

Purtroppo il tempo non è dei migliori. Alcune di noi decidono di fare comunque la ramponata sul ghiacciaio, mentre gli altri vanno a vedere il ghiacciaio dalle passerelle.

Camminiamo per un’oretta circa in mezzo al bosco per giungere al punto più vicino di osservazione dell’immenso ghiacciaio. La pioggia si fa sempre più fitta ed incessante, ma nulla riesce a sminuire la bellezza e l’imponenza di questa massa di ghiaccio, che scende dalla montagna fino al Lago Argentino.

Centinaia di chilometri di guglie bianche, striate da un arcobaleno di colori che vanno dall’azzurro, al celeste, al blu elettrico.

Il silenzio che domina questo paesaggio è quasi irreale, e viene “disturbato” soltanto dal frastuono che producono le masse di ghiaccio che si staccano dal ghiacciaio e cadono in acqua. Sembra che stia arrivando un temporale, il rumore è simile a quello del tuono. Lo spettacolo è mozzafiato.

Bagnati ed infreddoliti raggiungiamo il pulmino, ma paghi di una così bella esperienza, partiamo alla volta della frontiera cilena.

Juan e Fernando, la guida del parco, ci mettono un sottofondo di musica tipica cilena e uruguaiana per accompagnare il nostro lungo viaggio. Anche l’atmosfera vuole la sua parte… Dopo molte ore di viaggio giungiamo alla frontiera cilena di Cerro Castello, sbrighiamo le pratiche doganali, con tanto di timbro sul passaporto, e ci dirigiamo alla nostra estancia. Il posto è fantastico: una piccola casetta, contornata da stalle e ricoveri per cavalli e pecore, con una decina di camere in mezzo al niente più assoluto. Il paesino, se così si può chiamare, è composto da alcune casette ed una sola locanda, che funge da bar, ristorante e negozio di alimentari. A piedi impieghiamo circa dieci minuti per raggiungerla e per fare subito conoscenza con la gente del posto ed assaporare la nostra prima cena cilena, a base di carne e salsine piccanti di ogni genere.

Alla sera rientriamo a piedi e durante il tragitto nel buio più totale possiamo ammirare un tetto di stelle di una bellezza incredibile: sembra di poterle toccare con un dito! Arriviamo nella nostra estancia ed un fuocherello amico ci attende per accompagnarci durante le ultime chiacchiere prima della “buona notte”.

L’Italia e lo stress del quotidiano sono ormai lontani…

24 febbraio Oggi c’è un sole pazzesco (dicono che sia raro da queste parti) e la giornata, tutta dedicata al Parco del Paine, promette bene.

Partiamo di buonora, dopo una sempre più abbondante colazione, e, già dagli scenari che si aprono davanti a noi, capiamo che la riserva del Paine sarà un’esperienza indimenticabile.

Praterie giallo ocra marrone e rosse si aprono immense con centinaia di guanachi e di nandù al pascolo, ettari di prati verdi ed incontaminati su cui pascolano migliaia di pecore bianche e nere, piccole estancias sperdute in un paesaggio variopinto, strade sterrate infinitamente lunghe che si snodano in mezzo a prati, arbusti, alberi, piccole paludi su cui sostano centinaia di fenicotteri rosa, laghi colorati di azzurro, blu cobalto e turchese si sdraiano in mezzo alle pianure, cascate e rivoli d’acqua scendono dalle rocce, ghiacciai ed iceberg galleggiano sulla superficie dei laghi e … naturalmente, il volo silenzioso del condor e la catena delle montagne dal Paine, dalle quali emerge lo sguardo silente e misterioso dell’”Indio”.

Ci fermiamo più volte per poter godere di un panorama senza eguali nel mondo, anche se il vento molto forte non ci permette lunghe soste. Dopotutto non dimentichiamo che la Patagonia è l’unica terra emersa che in tutto il globo non è protetta da altre terre.

La giornata è lunghissima, ma vorremmo che non finisse mai… Il vento : la voce delle Ande, che con il suo sibilo ci accompagna e vigila, che con la sua forza ha creato uno scenario surreale, alle cui correnti si affida il volo del condor.

Una giornata che resterà per sempre impressa nella mia mente e nel mio cuore, la bellezza di un paesaggio incontaminato, il cui ineguagliabile arcobaleno di colori dalle infinite sfumature muta in continuazione con il soffio del vento.

25 febbraio h. 6,00 Dopo aver dormito come angioletti tra le braccia di Orfeo, il risveglio non è dei migliori, anche perché durante le prime ore dell’alba le forti raffiche di vento hanno scosso perfino le porte interne della nostra stanza. Al mattino la sorpresa è ancora più catastrofica: oggi, giornata di trekking sulle Torri del Paine, sta cadendo una pioggia fittissima e la temperatura s’è abbassata di una quindicina di gradi: dalla finestra si vedono le cime innevate!!! Alcune di noi tentano l’avventura e si dirigono a fare colazione a piedi sotto il diluvio universale, noi invece aspettiamo che qualche anima pia ci dia un passaggio.

Durante la colazione le perplessità sulla possibilità di fare la “scalata” aumentano, anche perché il tempo è davvero mutevole ed io ieri sera ho rotto gli scarponi da trekking, così oggi mi aspetta una salita in scarpe da ginnastica.

La tregua del maltempo ed uno splendido arcobaleno accendono gli entusiasmi, così…Si parte!! Dopo due ore di auto arriviamo al sentiero che si inerpica su per la montagna: già si capisce che non sarà un percorso facile, la salita è abbastanza difficoltosa, resa ancor più difficile dal vento incessante.

Durante il tragitto abbiamo la fortuna di vedere un rapace a distanza ravvicinata, non sarà il condor, ma di sicuro è suo cugino… La stanchezza e la mancanza di un’attrezzatura adatta all’escursione mi inducono a gettare la spugna e a rinunciare a raggiungere la vetta, arriverò solo fino al rifugio del cileno, situato in mezzo ad una enorme vallata, nella quale soffia un vento misto a pioggia e neve, che alle volte mi costringe ad accucciarmi per non essere sbalzata fuori dal sentiero.

Arrivo alla casetta in mezzo al bosco e mi ristoro con una bella camomilla calda, ammirando dalle pareti vetrate la favolosa vetta del Paine, che con grande rammarico non raggiungerò! Interpreto questo come un segno del destino: qui ci devo tornare…

26 febbraio La giornata di oggi è dedicata solo al trasferimento da Cerro Castillo a Punta Arenas: 7 ore di auto su strade sterrate e sconnesse a causa dei nubifragi dei giorni scorsi.

Facciamo una breve sosta a Puerto Natales, per fare carburante e poi proseguiamo verso sud. All’ora di pranzo ci fermiamo in una bellissima locanda tipica cilena, dove la padrona di casa ci offre una minestra di verdure fatta in casa, un piatto di pasta e carne, un ottimo caffè ed il pane fatto in casa, sul quale spalmiamo quantità industriali di burro.

Nel tardo pomeriggio arriviamo a Punta Arenas, ma qui nonostante l’ora è ancora pieno giorno, così decidiamo di fare un giro per conoscere la cittadina ed approfittare ancora una volta dell’ospitalità dei cileni. Noccioline tostate in strada e… naturalmente aperitivo al Club Union, ritrovo di viaggiatori e condottieri di ritorno dalle spedizioni. Happy hour a ritmo di cocktail alcolici. Ora di cena: raggiungiamo il resto del gruppo in un ristorantino vicino alla casa dove dormiremo solo per una notte e ci facciamo una bella scorpacciata di centolla (il granchio, per capirci) ed una bella bevuta di vino bianco argentino.

Per fortuna arriviamo all’”ovile” stanchi morti, ed anche un po’ brilli, così ci è più facile prendere sonno, visto che la temperatura della camera si aggira sui 0°!!!

27 febbraio h. 4,00 Sveglia a notte fonda. Oggi ci aspettano quasi mille chilometri per giungere ad Ushuaia in circa 12 ore di “navigazione” stradale.

Salutiamo il nostro amato Cile, percorrendo centinaia di chilometri in mezzo a lande desolate, greggi di pecore e guanachi, attraverseremo su una nave cargo lo stretto di Magellano, saluteremo la punta di continente più a sud del mondo per entrare nella Tierra del Fuego, sosteremo in una locanda di Rio Grande, faremo nuove conoscenze (con un motociclista che in 33 giorni in solitaria ha percorso la Ruta che porta dalla Colombia fino a Ushuaia), ed arriveremo alla città più a sud del mondo: Ushuaia.

L’emozione è enorme: abbiamo raggiunto un traguardo, siamo arrivati alla fine del mondo, dove tutto inizia…

28 febbraio Oggi la giornata prevede alcune ore di navigazione sul Canale Beagle: per fortuna la giornata, che al mattino si era preannunciata pessima, sta volgendo al meglio.

Dopo aver prenotato il catamarano per l’escursione, andiamo a fare una camminatina in centro a Ushuaia, e, tra i tanti negozi, troviamo un laboratorio artigianale di cioccolato ed alfajores (questo sarà il nostro luogo di ristoro per i prossimi giorni nel freddo di questa cittadina) dove facciamo un pranzetto a base di sandes e dolci.

Nel primo pomeriggio, sotto un bel sole caldo, partiamo con il catamarano: in navigazione il freddo pungente non ci permette di stare in coperta, così dobbiamo starcene all’interno ed uscire solo quando l’imbarcazione rallenta o si appresta a fermarsi.

Il panorama è fantastico: decine di isolette variopinte che ospitano migliaia di cormorani e di leoni marini, un bellissimo faro bianco e rosso e noi che navighiamo in mezzo al canale, con le terre d’Argentina a sinistra ed il Cile a destra, con Porto Williams, la base militare più a sud del mondo. Qui vive ancora un’anziana signora cilena, l’ultima sciamana, di cui si dice che sia ormai l’unica persona che conosca tutti i segreti degli indigeni.

Finalmente, quasi al tramonto, arriviamo alla pinguinera: uno spettacolo indicibile, sulla battigia ci sono migliaia di pinguini di Magellano ed alcuni pinguini dal becco rosso, che si preparano a raggiungere le coste del Brasile per trascorrere l’inverno.

I pinguini sono animaletti bellissimi e curiosi, alti poco meno di 50 cm, i cui versi a volte li fanno sembrare anatre…O asini.

Il tempo sta peggiorando, e con un temporale in arrivo ed un viaggio che si preannuncia un “ po’ movimentato” rientriamo in città con la pioggia, così decidiamo di andare a cena in un locale dedicato al “Che” (dopotutto in Argentina non poteva mancare…), dove beviamo anche una buona birra e poi… via a nanna.

1° marzo h. 7,00 Sveglia, che oggi ci aspetta l’ultimo trekking nel parco di Lapataia.

Purtroppo sta diluviando di brutto ed il freddo è pungente, così alcuni di noi decidono di rimandare al pomeriggio l’escursione.

La pioggia lentamente si attenua, ma il vento gelido misto a nevischio non ci abbandona.

Durante il tragitto a piedi per andare alla fermata del bus, ci raccoglie un taxi collettivo, che ci porta al parco, assieme a tre ragazzi israeliani.

Appena arriviamo al parco ci rendiamo conto che la condizione dei sentieri è pessima: ci sono almeno venti centimetri di fango, sta ricominciando a piovere e fa molto freddo, così chiediamo all’autista di portarci alla fine della Ruta 3, dove praticamente finisce il mondo… Un’emozione straordinaria, un silenzio incredibile, una terra desolata e… di fronte a noi solo l’Antartide. Siamo veramente giunti alla mitica meravigliosa e tanto sognata “Fin del Mundo” … Con un po’ di dispiacere per non esserci goduti il parco a piedi, ma con la consapevolezza di aver raggiunto una meta tanto desiderata, torniamo verso Ushuaia, con la certezza che anche il nostro viaggio sta ormai giungendo al termine.

2 marzo Oggi ce la prendiamo molto comoda: si riposa e finalmente la sveglia non suona all’alba, si fa l’ultimo shopping per le vie della città (scorta di alfajores), ci si gode una pranzo a base di bife de chorizo, dulce de leche e tè con leche, e alla sera si va in aeroporto per prendere il volo che in tre ore circa ci porterà a Buenos Aires, giusto per la mezzanotte.

Illusi…Il volo ha un ritardo di alcune ore, così ceniamo e passiamo il tempo leggendo, giocando a carte o dormendo per terra…Dopotutto ormai siamo abituati! Finalmente annunciano il volo, ormai la notte nella capitale è andata persa, ma noi non ci scoraggiamo, ormai siamo abituati agli imprevisti…

3 marzo h. 6,00 Un taxi ci porta dall’aeroparque all’alberghetto in centro, la stanchezza ci induce ad andare a letto, ma il panorama della città alle prime luci dell’alba ed il desiderio di goderci ancora un po’ di Argentina per l’ultima volta non ci lasciano dormire per più di tre ore, così alle nove e mezza decidiamo di fare una buona colazione e di partire temerari alla scoperta della “capital” e dei suoi segreti.

La giornata è fantastica: cielo blu, sole cocente e Buenos Aires… Ci muoviamo con i mezzi pubblici: quartiere La Boca, con le sue fantastiche casette tutte colorate, le tangherie sul Caminito ed i mercatini, San Telmo, con le botteghe degli antiquari, i locali con i ballerini di tango e la musica che riecheggia nell’aria, La Recoleta, con il suo cimitero, i mercatini artigiani, la biblioteca, e quindi l’obelisco, Plaza de Mayo, l’Avenida 9 de Julio, la Casa Rosada… ed il fantastico popolo argentino, che lascerà per sempre un ricordo indimenticabile nel nostro cuore.

Ormai è giunta l’ora di fare la valigia e di dire “Adios” a questa terra, o meglio “Arrivederci”, perché una parte di noi è rimasta qui, in attesa che l’altra parte un giorno torni a prenderla… Cosa non dimenticherò mai di questa esperienza unica in una terra ancora vergine e allo stato puro? La cordialità e la bellezza delle sue genti, la genuinità dei prodotti della sua terra, la spettacolarità dei suoi paesaggi, la grandiosità dei suoi territori, la varietà dei suoi animali, il sibilo incessante del vento ed il silenzio, che qui valgono molto più di una sola parola.

Don’t cry for me Argentina… la fierezza del tuo popolo ti farà risorgere dalle tue ceneri più bella di prima…



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