Alla scoperta della Tanzania… da sola zaino in spalla
Parto da Roma Fiumicino con la Swiss, volo comodissimo che fa solo un’oretta di scalo a Zurigo e poi via, diretto fino a Nairobi (Kenya) e poi finalmente la tanto sognata Tanzania! Atterro a Dar es Salaam in centro Tanzania sulla costa, sono le 21.00, appena esci dall’abitacolo dell’aereo sei inondata dal caldo e da uno speciale profumo dell’aria: L’Africa! E’ buio e dal taxi che mi porta all’ostello dell’NGO Italiana CEFA dove ho deciso di passare le prime notti,non vedo un granchè a parte un eccesso di polvere che mi rendo poi conto essere dovuta al fatto che c’è solo una strada asfaltata principale e tutte le altre non lo sono. Al CEFA sono molto accoglienti ed il clima è molto famigliare oltre ad essere decisamente italiano. La mattina seguente la responsabile del centro mi offre la possibilità di accompagnarla in un villaggio dove il CEFA è impegnato in aiuti umanitari di vario genere ed è fantastico: sono appena arrivata e mi ritrovo a camminare tra bancarelle, capanne, donne colorate con in testa oggetti di ogni tipo e soprattutto tanti, tanti bambini che ti salutano tutti festosi. Mi sento già proiettata in un’altra dimensione.. Lasciata la nuova amica del CEFA mi avventuro per un paio di giorni alla scoperta della città di Dar: traffico impensabile, folle di uomini e donne che tra un’auto e l’altra ti vorrebbero vendere di tutto, bajaji (equivalenti dei tuc tuc asiatici) a centinaia e dalla dalla (camioncino anni settanta Wolsvaghen) pieni all’inverosimile, colori, musica e swahili (lingua ufficiale) molto musicale anche questa! Caribù! L’unico quartiere di Dar es Salaam paragonabile ad una città come intendiamo noi le città in Europa, è il quartiere centrale della “Posta” con banche e grattacieli…la parte che mi è piaciuta meno, ma che può essere di conforto ai nostalgici delle infrastrutture occidentali.
Dopo questa iniziale permanenza a Dar ecco che arriva il giorno stabilito per la partenza per il safari nei quattro parchi del sud! Organizzato con Agenzia Tanzaniana che mette a disposizione guida tanzaniana e cuoco tanzaniano Jeep 4×4 adatta al caso, e che si occupa della sistemazione per la notte all’interno delle riserve. Il safari è l’unica cosa che non si può fare da soli a meno chè non si abbia la possibilità di spendere una fortuna: per condividere questa spesa, sono stata molto fortunata, ho trovato Francesco, un ragazzo che nel corso del suo anno sabatico ha deciso di inserire l’esperienza del safari nello stesso posto e periodo scelti da me! Una fortuna anche a livello di intesa personale dato che in safari vivi 24h su 24 a stretto contatto e non sempre le situazioni in cui ti puoi trovare sono delle più facili..insomma, miracolosamente, senza nemmeno conoscerci, mi è capitato il compagno di viaggio ideale! Che ha contribuito a sdrammatizzare i pericoli e a farmi fare un sacco di risate con i suoi commenti non proprio alla Piero Angela…
Bene, finalmente si parte io, Francesco, con la nostra Jeep tipica da safari 4×4 con tettuccio apribile, con Thomas alla guida e Endrew il cuoco. I primi 3 giorni sono dedicati al Selous Game Reserve che raggiungiamo dopo circa 5 ore di jeep su strade quasi tutte non asfaltate attraversando villaggi e vasti tratti di vegetazione indisturbata che cambia notevolmente nel giro di pochi chilometri da foreste di palme ad alto fusto a savana brulla, spettacolare la terra, la strada tutto di sabbia rossa! Come prima cosa all’interno di Salous facciamo un safari in canoa sul fiume Rufiji dove vediamo per la prima volta dal vivo ippopotami (in acqua a pochi metri da noi!) ma anche coccodrillini e coccodrilloni. A Selous dormiamo all’Hippo Camp a bordo fiume e quindi nella struttura in legno in cui dormiamo, di notte, si sentono perfettamente i movimenti di coccodrilli, versi e camminate di ippopotami e qualche strisciamento che ho personalmente imputato a qualche grosso serpente essendo anche zona di pitoni e black mamba… Insomma per le prime due notti può essere difficile prendere sonno ma in compenso, al sorgere del sole, ti alzi con una adrenalina impensabile quando dormi nel tuo appartamentino di città e ti alzi per andare in ufficio. Grazie alla nostra bravissima guida tanzaniana Thomas che con la jeep si lancia in numerosi fuori pista (non senza conseguenze come insabbiamenti ecc.) vediamo tantissime giraffe, Impala, gnu, bufali, zebre ed anche la scimmia cappuccina tipica della zona con un pelo lunghissimo nero e bianco e una specie di cappuccetto in testa. Il primo incontro con un branco di elefanti, quando un grande maschio inizia a sventolare le sue enormi orecchie e a barrirci contro, facendo rimbombare tutto, è indimenticabile.
Il terzo giorno di safari lasciamo Salous per dirigerci al National Park di Mikumi, per raggiungere il quale, Occorrono ben quasi 8 ore di jeep (strade tassativamente sterrate e non poco..) ma il paesaggio è affascinante e cambia continuamente: attraversiamo le montagne Uluguru, fiumi, villaggi, case fatte di fango, piccole fattorie, nelle zone abitate la gente sente la Jeep e si precipita ai bordi del sentiero per lasciarci passare (impensabile da noi). Il giorno dopo, all’interno del parco di Mikumi abbiamo il primo avvistamento di due leonesse che man mano diventa un incontro ravvicinato dato che ci attraversano la strada quasi toccando la jeep! Ci guardano con i loro occhioni gialli che visti da vicino ti trasmettono intensamente la sensazione del selvaggio…Thomas non si muove, le lascia avvicinare, secondo me pericolosamente, fino quasi a toccarci perchè hanno mangiato da solo un giorno e diventano più pericolose solo dopo il quinto, sesto giorno dall’ultimo pasto: siamo in una botte di ferro! E dopo le leonesse, come preannunciato dalla nostra esperta guida, i leoni maschi non tardano a raggiungere le loro femmine ed anche loro, uno giovane con la criniera ancora corta ed un bell’adulto di circa 11 anni con la classica criniera da re leone ci sfilano lentamente davanti alla jeep senza omettere di fermarsi difronte al nostro paraurti fissandoci negli occhi e noi muti e immobili…tanto per farci capire chi è il re laggiù nella savana anche se noi siamo a bordo di un potente fuoristrada. Anche loro, come le femmine, hanno pranzato di recente dice Thomas..meno male!
Il terzo parco che raggiungiamo è il grande parco Ruaha. Per arrivarci percorriamo la strada (questa a volte asfaltata) che attraversa la storica città di Iringa a 1500 metri di quota in centro Tanzania: spettacolo di mercatini e colori come del resto sempre da queste parti. A Ruaha Park io ed il mio intrepido compagno di avventura Francesco decidiamo di fare qualcosa di più ardito: il “walking safari” ossia un percorso a piedi, senza jeep nella savana. Partiamo dopo avere firmato un foglio in cui ci assumiamo tutte le conseguenze di ciò che potrebbe succedere (…), dopo tutte le raccomandazioni del caso, partiamo a piedi, scortati da due rengers armati: bisogna camminare in fila indiana, in silenzio e attenersi ai comandi dati dal renger che ci precede. La camminata dura 2-3 ore dove vediamo per fortuna solo animali non pericolosi o con lo stomaco già molto pieno come un coccodrillone di 6 metri. Solo alla fine, quando già vediamo la nostra cara jeep con Thomas che è venuto a recuperarci, avvistiamo un branco di elefanti…
A Ruaha National Park stiamo due giorni interi durante i quali vediamo branchi di leoni con i leoncini sempre vicinissimi, branchi di bufali fortunatamente non in spostamento, giraffe, le modelle della savana per come si fanno calmamente fotografare in tutte le pose, zebre, macachi di tutte le dimensioni, ancora tanti elefanti, impala e gazzelle, gnu, dik dik, facoceri e anche la non tanto carina iena. Ogni sera rientriamo al campo tendato che condividiamo con elefanti e leoni di passaggio (di notte) lasciandoci alle spalle tramonti rosso fuoco su sterminati paesaggi selvaggi.
Lasciato anche Ruaha ci dirigiamo verso l’ultima meta del safari: Udzungwa Mountains National Park che raggiungiamo dopo un’intera giornata di jeep . Questo parco è praticamente una foresta di montagna, è uno dei 34 “World Biodiversity Hotspot” ed una delle 200 ecoregioni WWF di importanza critica mondiale. Con una guida locale a piedi ci incamminiamo verso la famosa cascata di 70 metri di cui raggiungiamo la vetta dopo solo due ore di cammino in salita anzichè le normali 3 dato che la nostra guida deve avere pensato, vedendoci, di avere a che fare con due atleti.
Arrivo sfinita ma finalmente ci si può sedere a mangiare il nostro pranzo al sacco preparato dal bravissimo Endrew (il cuoco), “sulla testa del mondo” ovvero in cima alla cascata con sotto una vallata di canne da zucchero! Dopo esserci rifocillati altre due ore per scendere, anzichè tre – ovvio..
Dopo avere dormito l’ultima notte non dentro al parco ma in un resort esterno, saliamo a bordo del nostro mezzo per l’ultimo viaggio che ci separa da Dar es Salaam anche questo viaggio è molto lungo 6-7 ore e siamo un po’ tristi di dovere salutare Thomas e Endrew che sono stati la migliore guida ed il miglior cuoco che ci si poteva aspettare. Ma come si dice, l’avventuar continua e così torniamo al buon Cefa a Dar es Salaam dove raccontiamo il nostro splendido safari/avventura al personale dell’ostello che ci aveva visti partire con tanto di jeeppone ed equipaggio.
Il giorno dopo sono pronta a proseguire la mia avventura tanzaniana da sola, infatti, con Francesco lasciamo il Cefa prendendo lo stesso taxi che però porterà lui all’aereoporto mentre io vengo scaricata prima alla delirante stazione dei bus di Dar es Salaam direzione costa nord, precisamente Pangani. Il taxista capisce quale bus devo prendere (impossibile se non parli Swahili dato che sui bus non ci sono indicate le destinazioni). E’ quindi giunto il momento di salutare il buon Francesco che mi lascia alquanto preoccupato dato che la bolgia umana in questa stazione è veramente caotica e non si vede più un bianco ne’ si stente più una parola che non sia in Swahili…ma come vedi, caro Francesco, Hakuna Matata!
Salgo quindi su questo bus da 50 posti a 45 gradi di temperatura interna che dovrebbe partire alle 10.00 ma che di fatto, come poi ho capito tutti i bus in Africa, non parte fino a quando non è pieno cioè anche tutto il corridoio in piedi (70-75 persone a bordo). Siccome salgono tantissime donne con bambini piccoli e piccolissimi sulle spalle o sui fianchi mi preparo ad un viaggio di urlii e pianti dato che si prevedono 6 ore a più di 40 gradi su strade poggi e buche da sbattere la testa ogni minuto; e invece no! Tutti belli tranquilli e sorridenti, una sola fermata in 6 ore per i bisogni fisiologici e non un lamento nemmeno dai neonati tenuti in braccio a turno tra i fortunati seduti. Peccato che questo bus non arriverà mai alla destinazione Tanga city dove dovrei prendere la coincidenza per il villaggio di Pangani, infatti, a mezz’ora dall’arrivo, finisce la benzina! Lo intuisco perchè scendiamo tutti in mezzo al niente e l’autista e qualche altro uomo si affannano a valutare il livello nel serbatoio. Anche se non parlano inglese, vedendomi bianca e un po’ sprovveduta si fanno in quattro per farmi capire il da farsi: o aspettare che arrivi la benzina (potrebbero passare ore) o cercare di saltare sul primo dalla dalla che passa direzione Pangani e così faccio ed è la salvezza! Nel dalla dalla (camioncino wolsvaghen anni 70) saremo in trenta stivati come sardine, ormai è buio e degli altri si vedono solo i denti. Dico il nome del resort dove dovrei scendere sulla strada tra Tanga e Pangani: “AboraPori” (Spiaggia selvaggia in Swahili) e fortunatamente qualcuno lo conosce e mi indica gentilmente dove scendere! L’altruismo africano davvero da qui in poi che mi sposto da Sola l’ho sempre costatato, non ho mai avuto una sensazione di pericolo anzi, tutti molto preoccupati di aiutare la sorella bianca! “Hey sister!” mi chiamavano così ed in effetti non ho più visto un bianco per una settimana per villaggi e villaggi.
La Mattina dopo posso rendermi conto del meraviglioso piccolo resort ecologico dove sono arrivata,di proprietà di conoscenti italiani: ci sono solamente 6 – 7 cabanas totalmente in legno e corde di bambu tutto costruito da locali nel verde di fronte all’oceano indiano. All’interno delle cabanas si ha una vista spettacolare dell’esterno perchè c’è solo la tenda traforata e la struttura in legno: vedi utto ciò che ti circonda fuori. Questo bel resort tutto ecologico è stato la mia base dei giorni a seguire. Ogni giorno partivo (sempre in compagnia di qualche lavorante del resort: impossibile stare da soli in Africa!) con destinazioni nuove: le grandissime grotte di Tanga, all’interno delle quali si fanno ancora riti magici per le guarigioni ( ne ho visti alcuni resti..); La chiassosa Tanga città. Il bel villaggietto di Pangani che affaccia da un lato sull’oceano e dall’altro sull’omonimo fiume che divide Pangani in due sponde collegate da un pittoresco ferry boat. Ma soprattutto la costa: l’oceano indiano con le sue spiagge bianche e palme e a volte con le mangrovie. Da Pangani con 3 ore di barchetta in legno ( sicura se il mare è calmo) si arriva a Zanzibar ma, in un’oretta si raggiungono isolette minori ma fantastiche, paradisiache che però bisogna abbandonare alle tre di pomeriggio perchè spariscono, vengono sommerse dalla marea e, se non hai la barca a portata di mano ti ritrovi in mezzo al mare a chilometri dalla costa! A fine giornata sulla costa come nell’interno c’è un altro spettacolo della natura unico: il cielo! La prima volta che casualmente ho alzato la testa sono rimasta senza parole: un planetario naturale all’aperto! Meglio di un planetario! In più sulla costa c’è lo spettacolo del sorgere della luna dal mare che illumina l’oceano indiano e dal AboraPori mi godevo lo spettacolo da dentro la mia cabanas! Memore del lungo viaggio di andata sono tornata a Dar es Salaam 2 giorni in anticipo rispetto al mio aereo, sempre ospite degli ormai amici del CEFA e ho sfruttato il giorno rimasto a Dar per andare sull’isola di fronte plomba: una piccola Zanzibar ma non commerciale! oltre alla spiaggia bianca, c’è una parte verde di alberelli e arbusti attrezzata con amache dove ti puoi godere il fresco e mangiare il pesce rigorosamente con le mani e bere birra per soli 10.000 scellini tanzanesi! Dopo questa cigliegina sul tortone di avventura che mi ero regalata, sono ripartita back to Italy con la conferma che le infrastrutture più moderne e mastodontiche non raggiungeranno mai la bellezza dell’immensità della sola natura, che gli animali di quelle zone sono una ricchezza e un patrimonio di cui non abbiamo abbastanza consapevolezza e che dovrebbe essere tutelato soprattutto dai paesi così detti civilizzati invece di andarci a cacciare in maniera indiscriminata (purtroppo in Tanzania è ancora così) e che se per civiltà si intende l’umanità delle persone, bhe, in Africa sono molto più civili di noi.