Alla scoperta del Montenegro

Ma che razza di popolo sarà mai questo montenegrino? Poco prima della partenza da Dubrovnik, l’impiegato della società di autonoleggio, ci descrive Podgorica come il posto peggiore dove trascorrere le vacanze! Le sue parole lasciano me e l’amico Uccio esterrefatti ma, nonostante ciò, a bordo della fiammante Opel Corsa testé consegnataci,...
Scritto da: palinuro71
alla scoperta del montenegro
Partenza il: 01/01/2008
Ritorno il: 04/01/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Ma che razza di popolo sarà mai questo montenegrino? Poco prima della partenza da Dubrovnik, l’impiegato della società di autonoleggio, ci descrive Podgorica come il posto peggiore dove trascorrere le vacanze! Le sue parole lasciano me e l’amico Uccio esterrefatti ma, nonostante ciò, a bordo della fiammante Opel Corsa testé consegnataci, puntiamo la “prua” verso il confine tra la Croazia e il Montenegro. Giunti alla frontiera, dopo essere stati sottoposti ai rituali controlli, chiediamo ingenuamente alla poliziotta croata: “ Excuse me we are going to Podgorica, is a nice and quite place? ” e lei: “ I never been there, but believe me is just bad people!”. Con Uccio ci guardiamo fissi negli occhi, attoniti, per qualche secondo non sappiamo che pesci prendere. Sono sempre io quello che si assume la responsabilità di organizzare i viaggi comuni e anche questa volta, nonostante tutto, sapevo di aver fatto la scelta giusta. La cosa difficile era spiegarlo ad Uccio che continuava a subissarmi di domande, alcune opportune e altre terrorizzanti. Il tenore delle sue affermazioni era: “ tu sei matto dove stiamo andando fino a ieri qui c’era la guerra ” oppure “ vedi li odiano tutti sono degli assassini” e ancora “ quando noi giocavamo con i soldatini questi maneggiavano le bombe a mano ”. Insomma una sequela di interrogativi inquietanti che hanno creato, da subito, un clima teso ed uno stato d’animo carico di angoscia.

Il viaggio prosegue e la vista del mare, serve per mitigare il clima pesante all’interno dell’abitacolo. La mattina del 01/01/2008, di buon ora, stiamo circolando in assoluta libertà immersi in un contesto naturalistico aspro e selvaggio; in mezzo alla carreggiata, d’improvviso, vediamo spuntare dei grossi massi carambolati giù dal costone. Alcune macchine tipo 128 e 600 della Fiat (quest’ultima uguale identica al modello posseduto da una mia vecchia zia defunta vent’anni fa), hanno l’ardire di superarci in curva in un tratto ripido che rappresenta il primo pezzo di un lungo tragitto che dal mare risale verso le montagne. Gli imprevisti non finiscono mai. Adesso è la neve che scende copiosa a crearci i maggiori disagi. Siamo dei pazzi scatenati con un coraggio da leoni e, sprezzanti del pericolo, proseguiamo la marcia come se niente fosse. Ad un certo punto, però, le condizioni atmosferiche si aggravano talmente tanto da essere a un passo da una scelta radicale: invertire il senso di marcia e mandare tutto all’aria. La mancanza di una meta di ripiego e il buon senso di entrambi prevalgono sull’insofferenza dilagante. Dopo tre lunghe ore di viaggio, arriviamo alla periferia di Podgorica, la tanto agognata capitale della repubblica del Montenegro. Vista dall’alto sembra una città afghana, situata su una zona brulla, priva di vegetazione e frastagliata in disomogenei gruppi abitativi. Si capisce subito che è una località spuria senza un’anima con ancora i segni tangibili dello sgretolamento sociale derivante dai postumi dell’economia socialista. Le prime cose che notiamo sono la notevolissima diffusione di automobili Golf euro zero e una significativa presenza di bambini ai semafori che chiedono spiccioli. Tante le cataste di ferro, metallo e lamierati sul ciglio della strada e malsane baraccopoli adattate ad abitazioni tutt’intorno.

L’albergo individuato è l’Hotel Montenegro un quattro stelle della catena Best Western. L’addetta al ricevimento parla perfettamente la nostra lingua; le spieghiamo che abbiamo necessità di 2 camere singole, di un ristorante dove mangiare e di una buona cartina per orientarci. Appena varcata la soglia della camera crolliamo esausti nel letto per circa due ore senza aver neppure disfatto le valigie. Alle otto in punto siamo già nella hall dove consegniamo le chiavi prima di scendere in garage e montare in macchina per andare ad esplorare la città. La Njegoševa e la Ivana Crnojevića sono due viali pedonali con case basse e facciate variopinte. Una sorta di rimescolamento di stili tra quello anglosassone per la parte relativa ai colori e le tipologie abitative tipiche degli scenari western per l’altezza degli edifici. L’unica cosa che, nella zona centrale, non si riesce a trovare, perché risultano chiusi, sono i ristoranti. Un po’ sorpresi per questa stranezza, soprattutto perché in contrasto col movimento vitale che si percepisce per le strade, risaliamo a bordo della vettura per andare a trovare un posticino dove sederci a mangiare qualcosa di tipico. Il mio gps satellitare, purtroppo, non dispone di una mappa aggiornata del Montenegro e il suo utilizzo rimarrà una chimera per tutto il viaggio. Dopo numerosi giri a vuoto riusciamo ad intercettare un’insegna con la scritta “restorant” in un angolo sperduto e buio della periferia. I morsi della fame cominciano a farsi sempre più trafittivi ma per fortuna i tempi di attesa non sono eccessivamente lunghi. Abbiamo modo di gustare degli ottimi piatti di abbondante carne alla griglia, gustosissima e molto economica. Il Montenegro è una zona ricca di cacciagione con un ampio ventaglio di specie animali; i nostri connazionali non perdono occasione per far risuonare gli spari dei loro fucili in questa terra che viene invasa in tutti i periodi dell’anno da gruppi di bracconieri.

Finita la cena ritorniamo nell’area divertimenti con tanta voglia di conoscere la night life di Titograd, vecchio nome di questa città. I locali hanno la caratteristica di essere piccoli e di trovarsi uno di fronte all’altro e tutti disposti in serie. Solo per raggiungere il Buddha Bar è necessario svoltare l’angolo ma si tratta di poche centinaia di metri rispetto al punto di maggior concentrazione di pub. Prima di partire avevo letto un racconto di viaggio dove si paragonava la vita notturna di Podgorica a quella di Cracovia e Barcellona. Io, sinceramente, credevo che fosse un’esagerazione di qualche italiano obnubilato dall’avvenenza delle ex – jugoslave. Invece, con grande stupore, constatiamo che l’animazione notturna è all’altezza di altre più rinomate località europee. I giovani vivono in pieno la loro città e sembra quasi che questo allegro diversivo festaiolo rappresenti una valvola di sfogo ai troppi anni di isolamento e di imposizioni politico-autoritarie. L’ambiente all’interno dei locali è molto familiare con gruppetti di giovani che occupano i tavoli a loro riservati. Noi due sembriamo degli alieni venuti da Marte; unici ospiti dell’albergo e i soli turisti presenti in città a gennaio. Il popolo montenegrino è molto affascinato dall’Italia; in Europa non ho mai incontrato gente che conoscesse cosi’ bene l’italiano. Fino a qualche anno fa, infatti, gli schermi televisivi proiettavano le immagini di Rai Uno, i talk-show nostrani erano molto apprezzati ma soprattutto la vicinanza col bel paese è sempre stata intesa in senso storico. Vittorio Emanuele III nel 1896 aveva sposato Elena del Montenegro con l’idea di dar vita ad una stirpe di spilungoni. Il grande eco che l’evento suscitò nel Paese e l’orgoglio di sentirsi complici delle scelte della principessa fanno dell’Italia un riferimento unico e imprescindibile. Sono effettivamente di statura medio alta gli abitanti di questa terra; ma risultano tanto alti quanto bonaccioni. Una delle prime cose che balza agli occhi è la grande ospitalità che mostrano nei nostri confronti. Sono i più vari gli aggettivi positivi che gli si possono attribuire: umili, generosi, cortesi, rispettosi e onesti in ogni circostanza. Non sembra neanche che siano stati coinvolti recentemente in un conflitto lacerante, hanno, al contrario, un’anima pacifica e democratica. Il forestiero è ultra rispettato sempre visto come una risorsa e mai come inopportuno o sgradito. All’ingresso dei locali il personale preposto alla sorveglianza dimostra riverenza nei nostri confronti e intransigenza per alcuni elementi locali considerati inadeguati al tema della serata. Nonostante il freddo intenso ci divertiamo a giocare di sponda tra una parte e l’altra della strada e con grande disinvoltura apriamo le porte dei vari pub incuriositi dal continuo via vai di giovani ragazze solitarie. Con alcune ci fermiamo a chiacchierare e, guarda caso, due di loro conoscono perfettamente l’italiano. Una addirittura parla contemporaneamente con noi in romanesco ( incredibile ma vero!!) e con le amiche in lingua madre. Ci sentiamo a casa e questa cosa ci piace. La prima sera “tiriamo” fino alla tre del mattino e lentamente cresce la convinzione di essere capitati in un luogo degno della nostra fama di tomber de femmes. Purtroppo la città non offre niente a livello storico e culturale; quasi del tutto assenti chiese, musei ed edifici storici. La mattina successiva non ci rimane altro da fare che un’escursione di 40 km a nord in direzione Niksic per andare a visitare un luogo di culto. Siamo ai primi del 2008, il Natale ortodosso è alle porte, cosa c’è di meglio che purificarsi la coscienza riappacificandosi con lo spirito dopo un anno appena trascorso? Il Monastero di Ostrog custodisce le reliquie di San Basilio che dicono abbiano proprietà curative. E’ un punto di approdo per molti seguaci di varie religioni, tra cui quella cattolica, ed ogni anno milioni di pellegrini si mettono in marcia per raggiungerlo in cima al cucuzzolo. Sembra facile ma invece non è un’impresa alla portata di tutti. Coloro i quali, tra cui noi, si inerpicano fin lassù per compiere questa missione votiva mettono letteralmente a repentaglio la loro vita. Soltanto la convinzione di essere in prossimità di un luogo mistico e quindi, forti di godere di protezione divina, ci da il coraggio di intraprendere un cammino così ricco di insidie. Il riferimento è, in particolare, all’unica strada, o meglio mulattiera, che ti conduce fino in cima. Lunga otto chilometri, larga si e no 5 mt, con precipizi vertiginosi, senza barriere di protezione laterali e con lastre di ghiaccio che rendono l’asfalto una saponetta. Uccio guida la macchina in preda ad una crisi isterica e io cerco di sdrammatizzare con la mia proverbiale verve umoristica. La cosa che crea maggior disagio è il possibile incrocio con i veicoli che sopraggiungono in senso opposto. In due non si passa questo è poco ma sicuro; a seconda del punto di incontro diventa necessario infilare la retromarcia per raggiungere lo slargo più vicino. Potete immaginare lo stato d’animo dei sottoscritti che a più riprese hanno temuto il peggio. A circa 4 km. Di distanza ci rendiamo conto che proseguire diventa difficoltoso per via del manto viscido. Altre vetture salgono tranquillamente con macchine molto più datate della nostra. Per quel che ci riguarda non abbiamo fretta e gli ultimi passi preferiamo farceli a piedi. La salita diventa un allenamento utile per le gambe e per i polmoni; l’aria è frescolina e man mano che procediamo lungo il sentiero disegnato tra gli alberi ci rendiamo conto di essere sempre più in prossimità della meta. L’ubicazione di questo santuario è a dir poco singolare. L’edificio fu costruito nel XVII sec. All’interno di una roccia, incavato geometricamente, come a volerlo preservare e custodire gelosamente. Le persone che incontriamo lungo il cammino sono di varie nazionalità e non mancano i bambini piccoli e gli anziani. A metà strada intercettiamo una coppia di sposi: lui argentino e lei montenegrina che vivono a Roma i quali ci ragguagliano sulla situazione e ci incoraggiano a proseguire. La determinazione e l’audacia sono caratteristiche che a noi non mancano e in queste situazioni vengono fuori naturalmente. L’obiettivo è stato raggiunto! Io e Uccio, a turno, ci mettiamo in posa per scattare alcune foto con la chiesa alle spalle. Nel muro interno di fronte alla porta principale sono stampigliate delle iconografie giganti; subito a sinistra le uniche scale ti guidano verso il piano superiore dove si può godere della vista globale sulla pianura di Bjelopavlići, ricolma di neve. Il percorso a ritroso lo viviamo in maniera molto più distesa e scanzonata rispetto all’andata; con calma raggiungiamo una baita-trattoria dove cogliamo l’occasione per scaldarci a fianco a un caminetto prima di ordinare una fumante polenta e della carne arrosto. Al termine di questa lunga giornata rientriamo in albergo e le poche ore di riposo non bastano, da sole, a smaltire tutta la stanchezza accumulata nelle ore precedenti. La seconda sera in terra montenegrina nasce sotto i migliori auspici. In un pub conosciamo un ragazzo del posto che ci racconta, in un italiano impeccabile, alcuni aneddoti legati alla guerra dei Balcani. All’età di 18 anni fu chiamato alle armi dal suo paese e contestualmente inglobato nell’esercito militare. Dai suoi racconti riusciamo a dare una spiegazione definitiva alla tracotanza dimostrata dai croati nei loro confronti quando, a inizio viaggio, risposero in tono sprezzante e ironico alle nostre specifiche domande sul luogo dove ci saremo dovuti recare. Geico, questo è il suo nome, ha 33 anni e non è assolutamente un fanatico guerrafondaio né tantomeno un ardito marines barbaro e crudele. Mentre parla gli occhi gli diventano lucidi e da ciò che riesce a esprimere si capisce una sola cosa: tanta rabbia per una guerra assurda e il rimpianto per non aver potuto aiutare i commilitoni che in quella circostanza hanno sacrificato le loro giovani vite. Ora fa il manager al pub Camelot molto ben inserito nell’ambiente dei ganzi e strappa cuori per vocazione. Ha l’aspetto tipico dell’uomo scaltro; si vede che ci tiene a fare bella figura con noi e, per renderlo esplicito, da immediate disposizioni ai camerieri di liberarci un tavolo a fianco di due giovani pulzelle: Maria e Milena. I nostri corteggiamenti non bastano a catturare le attenzioni delle due ragazze. Infatti, son tutte intente a lanciare sguardi sdolcinati all’amico montenegrino, che da vero playboy, si lascia adulare con un po’ di civetteria. A noi non piace rimanere isolati da una parte a guardarci intorno spaesati, tanto meno fare i terzi incomodi, e rapidamente sbalziamo dalle sedie per andare alla ricerca di un altro locale. Come insegna la statistica le giornate non si ripetono mai uguali nel corso delle 24 ore! A malincuore, dobbiamo prendere atto che la serata inizia progressivamente a perdere di interesse; con aria dimessa rientriamo in albergo pur sentendoci ancora carichi di adrenalina. Il giorno dopo non sappiamo come occupare la mattinata. Uno shopping center non esiste; è ancora in fase di costruzione e ci vorrà del tempo prima di vederlo ultimato. L’alternativa è scandagliare ad uno ad uno i vari negozietti delle grandi marche dalla Puma all’Adidas passando dalla Lacoste e dalla Marina Yachting. I prezzi sono quelli imposti dalle ditte per cui risulta assai improbabile acquistare merce scontata o concludere il grande affare. In ogni caso riusciamo a far passare le ore passeggiando comodamente tra i viali e la piazza centrale con piccole soste qua e là. Le energie residue preferiamo risparmiarcele per la notte; l’idea è di tornare al Camelot come il giorno prima. Alle 20.30 puntuali ci presentiamo all’ingresso del locale; Geico fa anche oggi gli onori di casa e ci comunica, orgogliosamente, di essere capitati in una serata speciale con karaoke e musica dal vivo. Dopo circa un’ora la sala si riempie in maniera esagerata e, per il troppo fumo, preferiamo tornare al pub 911, quello della prima sera. Qui l’ambiente è troppo soft per i nostri gusti; li per li, conveniamo sull’opportunità di sperimentare valide alternative. Nella via principale un tassista loquace ci traghetta dall’altra parte della città con una spesa esagerata (1 euro e 50 cent :-). La discoteca da lui suggerita è tra quelle riportate in una guida on-line che ho stampato da internet. E’ l’unico posto dove paghiamo l’ingresso ma ne vale sicuramente la pena. Nel palco allestito alla bene meglio si sta esibendo un gruppo di musicisti locali; al centro della pista una cospicua presenza di ragazze bellissime si agitano più del normale e cantano a squarcia gola. Sono tutte delle bighe e noi, piccoli sardi, ci sentiamo come due pulci in mezzo alle giraffe. Al bancone del bar ordiniamo una birra Nikšičko pivo che giudico di eccellente qualità. Nel frattempo ascoltiamo le canzoni, i cui testi, risultano incomprensibili alle nostre orecchie. Dai ritmi acustici e dalle sonorità si intuisce che il genere proposto è quello pop – dance. L’atmosfera coinvolgente inviterebbe a rimanere fino all’alba ma vista l’ora preferiamo rincasare per essere pronti l’indomani ad affrontare il lungo viaggio di ritorno. Belli e riposati ci ridestiamo intorno alle 9.30 pronti per il check-out e per un’abbondante colazione. Salutiamo la nostra amica centralista che con garbo ci indica le possibili opzioni sulle strade da percorrere. Noi scegliamo la più breve, quella che passa lungo la costa. Il tempo a disposizione è sufficiente per godersi la vista del paesaggio circostante con le montagne che “cadono” a picco sul mare. Si riflettono come uno specchio in un intreccio variopinto di piccoli fiordi e di nuvole basse che rendono lo scenario incredibilmente suggestivo. La prima tappa è Budva una cittadina moderna adagiata sul mare che ricorda i paesini tipici della riviera ligure, meta estiva di molti russi, slovacchi, tedeschi, irlandesi e di immancabili italiani che non amano farsi spennare in patria. Risaliti in macchina, dopo qualche chilometro, eccoci giunti a Cattaro un vero e proprio gioiellino ancora intonso. Due gli aspetti peculiari di questo luogo: l’imponente cinta muraria con il suo alto sistema di fortificazioni e il centro storico dove all’interno sono presenti numerosissime piazze, palazzi, chiese e torri. La pavimentazione è identica a quella che, a suo tempo, vidi a Friburgo in Germania e le costruzioni sono in stile rinascimentale – barocco. Il tempo di una breve passeggiatina tra i vicoli molto ben tenuti prima di ripartire alla volta di Dubrovnik da dove abbiamo l’aereo che ci riporterà in Italia. Alle 15 puntuali giungiamo in aeroporto in tempo utile per consegnare l’auto e compiere le procedure d’imbarco. Da questo viaggio io e Uccio abbiamo imparato una cosa: non partire mai carichi di pregiudizi ma pensare sempre all’aspetto positivo dei luoghi da visitare. Il Montenegro, certamente, è fuori dal circuito turistico ma proprio per questo coltiva in sé il seme della genuinità. Il malaffare, l’arroganza del denaro e il turismo sessuale in questo paese non sanno nemmeno cosa siano. Meno male che di posti come questo ne esistono ancora, ma mi chiedo fino a quando resisterà così casto e puro??



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