Alla ricerca della vera Budapest
I GIORNO (2 gennaio 2017)
Arriviamo a Budapest con un volo Alitalia che parte da Napoli e fa scalo a Roma. I bagagli arrivano immediatamente. Proprio davanti ai nastri trasportatori, troviamo una macchinetta bancomat e uno sportello MINI-BUD. Il bancomat è una fregatura: come tutti quelli (numerosissimi nel centro-città) che presentano la scritta EURO HUF, è un bancomat privato e quindi applica un tasso di conversione euro-fiorino svantaggioso. Non sapendolo, preleviamo qualcosa.
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Il consiglio è di utilizzare solo quelli delle banche oppure di pagare con la carta di credito (quasi sempre possibile). Il MINI-BUD invece è un servizio straordinario. Fornisce trasferimenti dall’aeroporto alla città, lasciandoti esattamente dove devi arrivare. Il tutto per circa 8 euro. Noi acquistiamo anche il ritorno perché conviene, ma precisando che non sappiamo ancora dove dovranno venirci a prendere. Ci spiegano che, entro 24 h dal ritorno, dovremo scrivere una mail indicando l’indirizzo e l’ora dell’appuntamento. Così faremo, e tutto funzionerà alla perfezione. Allo sportello MINI-BUD, ti lasciano una ricevuta su cui è indicato il numero dello shuttle che devi prendere. Nella hall dell’aeroporto, c’è uno schermo luminoso su cui compare il numero degli shuttle in arrivo, per cui, quando leggi il tuo, esci e lo trovi. Nell’attesa, ci rechiamo prima allo sportello informazioni (imbattendoci in impiegati molto professionali), poi a quello dei trasporti pubblici, dove acquistiamo l’abbonamento settimanale al costo di 17 euro. Dopo circa venti minuti, arriva il nostro shuttle.
Il tragitto dura una mezzora scarsa senza traffico. Su Airbnb, abbiamo prenotato un bilocale a Buda, nella Szentkiralyi Utca (la parola Utca, di solito scritta puntata, si legge UZZA e vuol dire “via”) à www.airbnb.it/rooms/12216410. Costo: 290 euro per sei notti. Il padrone di casa non può accoglierci, ma ci ha fornito via mail tutte le indicazioni per entrare, oltre a molte dritte turistiche. L’appartamento è troppo carino: si trova al piano terra di un palazzo antico molto suggestivo. Ha grandi finestre e soffitti alti, una cucina-salotto soppalcata, una bella camera da letto con letto king-size, due bagni, un arredamento ironico in stile austro-ungarico (con tanto di camera segreta!) e tutto l’occorrente per il soggiorno: asciugamani, asciugacapelli, pentole, bollitore, caffè solubile, etc. Anche la zona è ottima: al confine tra i distretti 7 e 8 (Erszbetvaros, dove si trova il quartiere ebraico, e Josefvaros, il quartiere dei palazzi), a 150 mt dalla parte più turistica della città ma nella pace e nel silenzio, vicino a metropolitane e fermate di autobus, con 3 supermercati a pochi passi.
La prima sera non ci spostiamo di molto. Attraversando Rakoczi utca, entriamo nell’ex ghetto e facciamo due passi, cercando di abituarci al freddo (siamo di poco sotto lo zero). Ci imbattiamo subito nel Gozsdu Udvar: un passage ultra-turistico, pieno di bar e ristoranti di ogni genere. Lì di fronte, si trova il Cafè Spinoza (locale storico, di cui ho letto su diverse guide); proviamo a entrare, ma non ci sono tavoli liberi; il cameriere ci consiglia un vicino ristorantino ebraico, che però pure è pieno, per cui ne scegliamo un altro, il Kazimir, che ci conquista con la sua atmosfera calda e accogliente, sebbene la cucina non sia eccezionale. Inauguriamo lì la nostra lunga serie di Gulasch, al termine della quale capiremo questa importante verità: se è inserito tra gli antipasti, è brodoso; se è inserito tra i piatti principali, somiglia alla carne al ragù napoletana.
II GIORNO (3 gennaio)
Fa già più freddo e il cielo è grigio. Ci dirigiamo nelle zone dei turisti. Percorriamo la grandissima Rakoczi Utca, passando davanti alle stazioni della metro (e relative piazze) Astoria e Ferenciek tere. È tutto molto interessante: bei palazzi storici si alternano a grigi palazzi comunisti, negozi fuori moda, saloni di barbiere realmente vintage, eleganti cortili con boutique. Superate chiese, statue, locali abbandonati e la biblioteca dell’Università, ci immettiamo nella strada più turistica di Budapest, Vaci Utca, che è un susseguirsi di negozietti e locali accalappia-viaggiatori. L’unico posto degno di interesse è un negozietto che vende solo cappelli realizzati da una stilista locale: coloratissimi e dalle fogge molto particolari.
Alla fine della strada, troviamo la grande piazza sul Danubio, Fovam ter, dove sorge il più famoso dei mercati coperti della città: Vasarcsarnok. È costruito su tre livelli: sottoterra, si incontrano solo le persone del posto, che acquistano pesce, carne, enormi barattoli di sottaceti, prodotti per la casa. Al piano terra, si trovano i banchi di frutta, verdura, formaggi. Il primo piano è destinato interamente ai turisti, che acquistano souvenir o specialità gastronomiche, a prezzi per nulla vantaggiosi. La struttura, però, è molto bella, anche se non riscaldata, per cui poco meno fredda dell’esterno.
Usciti dal retro del mercato, passiamo davanti al principale Ateneo di Budapest, intitolato al re ungherese Mattia Corvinus, e ci ritroviamo sul lungofiume, da cui si ha una vista magnifica di Pest, la città che sorge sulla riva opposta. Passiamo davanti a due dei grandi ponti che uniscono le rive del Danubio (il ponte della Libertà, in acciaio verde, e quello di Elisabetta) e riprendiamo Vaci Utca nel suo lato più chic, tutto boutique, catene di negozi occidentali, ristoranti e bar. Sostiamo nella grande piazza Vorosmarty, ancora tutta addobbata con decori natalizi, e mangiamo malissimo e a caro prezzo a una bancherella di pietanze tipiche. Andiamo poi a visitare la Basilica di Santo Stefano: bella, con abeti natalizi ai lati degli altari. Ci mettiamo in cerca di un posto per fare merenda e prendere un po’ di calore, e troviamo un localino molto grazioso, A la maison grande, dove mangiamo crèpes e waffel accompagnati da un buon thè. Passeggiando a casaccio, arriviamo nell’immensa Piazza della libertà, dove sorge un contestatissimo memoriale, quello per le vittime dell’occupazione tedesca, accusato dalla comunità ebraica di trascurare la connivenza del governo ungherese e la sua partecipazione attiva alla Shoà. Da lì, ci spostiamo nell’incredibile piazza del Parlamento, probabilmente il monumento più emozionante di Budapest, soprattutto di notte grazie a una splendida illuminazione. Dopo innumerevoli foto dalle più diverse prospettive, torniamo nel quartiere ebraico. Prendiamo una birra nel più celebre dei Ruin pub della città – il Szimpla Kert, un posto davvero unico, dove si mangia, beve, assiste a concerti, proiettano film – e poi andiamo a cenare nel ristorantino che ieri sera era chiuso: Macesz Bistrò. Buono, molto tipico, non eccessivamente simpatico.
III GIORNO (4 gennaio)
Nevica! Da quando ci svegliamo fino a sera tardi. Prendiamo un bus su Rakoczi utca che ci porta oltre il fiume, a Buda. Scendiamo nel tranquillo quartiere di Taban e da lì passeggiamo fino all’immenso Palazzo Reale, con le sue torri, bastioni, muri di cinta. Grazie alla neve e allo scarso numero di visitatori, sembra di fare un salto indietro nel tempo. Decidiamo di non visitare il museo e proseguiamo verso la splendida Chiesa di Mattia Corvino e il Bastione dei pescatori. La visuale non è delle migliori, per cui ci ripromettiamo di tornare. Ci fermiamo a riposare e mangiare qualcosa al Cafè Mirò, arredato con mobili che si ispirano ai dipinti del grande pittore spagnolo. Buone le zuppe di funghi e di formaggio. Non scendiamo con il Siklò (la funicolare) perché il biglietto non è incluso nell’abbonamento, ma con un bus che ci porta di nuovo sul lungofiume. Lì ne prendiamo un altro e arriviamo a uno dei grandi complessi termali di Budapest: le Gellert, inserite in un grande albergo. L’esperienza non è delle migliori. Non solo per la gran folla (prevedibile in questo periodo dell’anno e con questo freddo), ma anche per l’aspetto trasandato e squallido della struttura. Orribili luci al neon, armadietti strettissimi, spazio inesistente per cambiarsi, poche cabine, pochi asciugacapelli, poco personale, un bar a dir poco triste. Inoltre, la principale attrazione delle terme (la vasca all’aperto) si raggiunge con una non breve passeggiata all’aperto: per me assolutamente impossibile con quelle temperature. Naturalmente, è stato molto piacevole sguazzare tra i 36 e i 38 gradi per un intero pomeriggio, ma non ci tornerei. Usciti da lì, siamo andati a piedi a casa a posare le borse, e siamo partiti alla volta di un ristorantino di cui avevamo letto su diversi siti (quello da cui abbiamo attinto più informazioni gastronomiche è: www.dunaflat.com/tempolibero/dining-in-budapest-budget-accommodation-in-apartments-IT). Si tratta di M. Restaurant, un bistrò franco-ungherese, che si trova in Kertesz Utca, nel quartiere ebraico. È gestito da un gruppo di gentilissime ragazze e ci siamo trovati molto bene, anche se la cucina è più di estetica e meno di sostanza rispetto alla media budapestese.
IV GIORNO (5 gennaio)
È una bellissima giornata e c’è un freddo tagliente. Invece di andare verso il centro, ci inoltriamo nell’VIII distretto, descritto su alcune guide come un quartiere un po’ pericoloso, abitato da rom, delinquenti. Non ci fidiamo, e andiamo alla scoperta. Belle strade e bei palazzi antichi. Piazzette con parchi-giochi per bambini. La bella Rakoczi ter dove troviamo un mercato coperto davvero autentico, frequentato solo da gente del posto, e dove mangiamo per la prima volta un langòs, vale a dire una pizza fritta ricoperta di panna acida e formaggio grattato. Una delizia! Ancora palazzi, la chiesa di San Giuseppe, piste da pattinaggio sul ghiaccio, e via lungo la popolarissima Baross Utca, dai negozi fuori moda e i grandi palazzi comunisti. Arrivati alla Kalvaria ter e ai suoi guardini pubblici, giriamo su Illes Utca, via del tutto spopolata, solo palazzi, giardini e un vivaio innevato, e alla fine ci ritroviamo in un grande parco alle spalle del Museo di storia naturale. Lo attraversiamo, ci ritroviamo a un grande incrocio, compriamo il dolce tipico di Budapest da una signora sotto alla fermata della metro (quel rullo di pasta ricoperto di zucchero e cannella) e prendiamo un tram al volo. Scendiamo a Teleki ter, nella Budapest più vera, troviamo un altro mercato coperto, questo povero e desolato, ma ancora belle piazzette e palazzi degni di foto. Un salto al cimitero monumentale, e poi andiamo alla stazione dell’Est (Keleti palyaudvar): molto bella e suggestiva, anche se decadente. Da lì, attraversata la strada, torniamo nel VI distretto, quello ebraico, ma in una parte lontana dalle orde turistiche, piena di sinagoghe, scuole, vie residenziali. Girovaghiamo a casaccio, finchè il gelo non ci costringe in un baretto autentico, dove non parlano inglese e non ci considerano affatto, e noi beviamo un the per riprendere calore, trovando il riscaldamento troppo troppo basso.. Di nuovo fuori, ormai al buio, camminiamo verso il centro, passando per la bella Andrassy Utca, la grande piazza Oktogon, l’Opera. Torniamo davanti al Parlamento, per qualche altra foto in notturna, e poi andiamo a cenare proprio dietro casa, in un ristorante ebraico molto carino: il Fulemule.
V GIORNO (6 gennaio)
Un’altra mattina di sole e di gelo. Partiamo dai dintorni, cioè dal quartiere ebraico. Prima tappa, la Dohany sinagoga: la sinagoga più grande d’Europa. A intervalli regolari, iniziano visite guidate (obbligatorie) in tutte le lingue. La nostra guida era davvero in gamba e ci ha spiegato molte cose interessati sul mondo e la storia degli ebrei ungheresi. Proseguiamo con un giro in vie ancora sconosciute del quartiere, imbattendoci nell’ennesima bella piazzetta con mercato coperto (Klauzal ter) e nell’omonima via, Klauzal utca, dai palazzi pittoreschi e dai molti affascinanti localini. Facciamo un salto a casa per prendere lo zaino da piscina, e andiamo in metro alle terme più famose della città: le Szechenyi. Si trovano all’interno del parco di Vorosliget, a due passi dalla Piazza degli eroi (Hosok tere), e sono davvero magnifiche. L’attrazione principale è rappresentata dalle enormi piscine scoperte, dove Marco ha il coraggio di andare nonostante gli svariati gradi sotto lo zero, io no. Dopo alcune ore di relax e tepore, siamo pronti per ripartire. Con la metro, arriviamo alla piazza Oktogon e raggiungiamo un ristorantino vicino frequentato da soli indigeni e davvero molto autentico: Karcsi Vendeglò. Qui, con una coppa gelato troppo anni Ottanta, concludiamo quest’altra giornata!
VI GIORNO (7 gennaio)
Forse il giorno più freddo di tutti, ma con un cielo magnifico. Andiamo alla scoperta di una parte inesplorata del quartiere dei palazzi: passiamo davanti al bel Museo nazionale ungherese (da visitare, quando torneremo a Budapest), procediamo attraverso Kalvin ter e lungo la Ulloi utca. Giunti alla grande Ferenc krt, deviamo a destra e arriviamo sul Danubio: tutto ghiacciato! Che spettacolo! Prendiamo un tram che ci porta fino al ponte Margit. Lo attraversiamo, incantati dal Danubio e dalle rive del quartiere a nord del centro, che non faremo in tempo a visitare. Un salto all’isolotto dove in estate si tiene lo Sziget festival (e dove adesso la gente corre, passeggia mentre noi combattiamo con il congelamento di mani e piedi) e ci ritroviamo sull’altra riva del fiume. Procediamo verso il centro di Buda, vogliamo rivederlo con il sole, ma il freddo ci costringe a una sosta, e troviamo un posto adorabile, un bar di quartiere dove, avvolte nei plaid, persone di ogni età giocano a carte o chiacchierano davanti a una birra. Noi prendiamo una magnifica omelette con formaggio e funghi. Percorrendo Fo utca, attraversiamo i bei quartieri residenziali dell’altra sponda. È il crepuscolo quando arriviamo di nuovo alla chiesa di Mattia Corvino e al bellissimo Bastione dei pescatori, affacciato su tutta la città. Torniamo in centro per andare da Gerbaud, la più celebre pasticceria di Budapest. Elegante, suggestiva, ma gestita da un personale molto spocchioso. Dolci e the buoni, ma non indimenticabili. L’ultima cena la consumiamo nel quartiere ebraico, in un altro posto privo di turisti anche se più commerciale: Regòs Vendeglò, a Szofia utca.
VII GIORNO (8 gennaio)
Chiuse le valigie, usciamo per la nostra ultima mattinata a Budapest. Camminiamo fino a Blaha Luiza ter e lì prendiamo un tram che ci porta a Oktogon. Con due passi a piedi, siamo alla Terror Haza, la casa del terrore. Un museo davvero ben fatto, anche se notevolmente di parte, che ricostruisce la repressione attuata prima dai nazisti (durante l’ultima parte della seconda guerra mondiale), poi dall’URSS per tutta la seconda metà del novecento. Ottime le audioguide, necessarie almeno 2-3 ore. Impressionanti le celle dei prigionieri e delle torture, conservate così come erano poiché il museo ha sede proprio nell’edificio destinato alla persecuzione degli oppositori politici. Pranzo veloce e ottimo in un fast-food thai a Kiraly utca: Budda mini. Come previsto, l’autista del servizio Mini bud viene a prenderci a casa e ci porta in aeroporto in perfetto orario. Una vacanza perfetta, insomma! A presto rivederci, Budapest!