Al mare nel Peloponneso

Al mare nel Peloponneso (11° viaggio in Grecia) Partenza da Bari, destinazione Patrasso. Dopo anni (nel ’77 il primo viaggio) di frequentazioni della Grecia, per la prima volta abbiamo prenotato il traghetto tardi (10 giorni prima della partenza), via Internet, con qualche difficoltà. Nessun itinerario predefinito, a parte la volontà di...
Scritto da: marimila
al mare nel peloponneso
Partenza il: 13/07/2006
Ritorno il: 27/07/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Al mare nel Peloponneso (11° viaggio in Grecia) Partenza da Bari, destinazione Patrasso.

Dopo anni (nel ’77 il primo viaggio) di frequentazioni della Grecia, per la prima volta abbiamo prenotato il traghetto tardi (10 giorni prima della partenza), via Internet, con qualche difficoltà.

Nessun itinerario predefinito, a parte la volontà di andare al mare nel Peloponneso.

Letti due volte il bellissimo libro di Fermor (Mani – Viaggi nel Peloponneso – Ed. Adelphi – euro 24), oltre agli itinerari di viaggio dei numerosi “turisti per caso”, come noi amanti della Grecia, decidiamo di optare per una scelta chiara: solo mare, nessuna contaminazione con itinerari storici e/o mitologici, niente attraversamenti del Taigeto, niente Olimpia, Micene, Epidauro, niente trenino per Kalavrita: quando si cercano di accorpare più cose possibili, nell’illusione di ottimizzare tempo e soldi di una vacanza, nella inevitabile mistura dei generi, dei profumi, delle atmosfere, delle luci e delle ombre, si finisce con lo smarrire lo spirito del viaggio.

Almeno così è per noi, ed anche se poi, alla fine, non è andata del tutto così.

Dopo un viaggio eccellente su Superfast ed arrivo a Patrasso alle 12.00, ci immettiamo subito sulla strada per Pyrgos. Non cessano mai di stupire, in Grecia, le migliaia di pompe di benzina, dai prezzi più disparati (per il gasolio, oscillazioni “mostruose” tra 0.929 e 1.069 al litro).

Da Patrasso a Pyrgos, “la rivoluzione arancione” delle zucche, vendute senza soluzione di continuità da decine di banchi, sul bordo della strada.

Decidiamo per una digressione verso Kalogria, 40 km dopo Patrasso, definita “un posto furbo” in uno dei tanti reportage Internet sul Peloponneso.

Degna di menzione, nell’avvicinarsi alla grande pineta sul mare, un’enorme quercia, sotto cui cercano sollievo dal sole una decina di mucche e due vitelli – evoca certi paesaggi del Marocco, con le capre sugli alberi – .

Procediamo fino ad arrivare al mare, un’interminabile spiaggia piena di gente. Se di “posto furbo” si tratta, lo è certamente per i produttori di antimalarici e di cortisonici: Kalogria è un trionfo di tafani e zanzare – tenaci e combattive come gli abitanti – che giorno e notte organizzano mega-raduni, ebbre per gli ettolitri di birra presente nel sangue delle migliaia di turisti punti.

Ripartiamo subito, cercando di chiudere fuori dalla macchina gli insetti, impazienti di scoprire, come noi, nuovi lidi.

Da Patrasso a Methoni la strada ignora il mare, ed è una prima delusione.

Arriviamo rapidamente a Kyparisia, città pulita ed ordinata, ma senza attrattive particolari.

Proseguiamo per Pylos, nostra prima tappa pianificata.

Pylos è suggestiva la sera. Con la luce del giorno, al di là degli splendidi paesaggi naturali, un po’ artificiosa: le esigenze del turismo hanno finito per contaminare lo spirito greco e regalarle un aspetto anonimo, alla maniera di certi villaggi della Costa Smeralda.

Decidiamo di proseguire, con qualche rimpianto per la Laguna di Gialova (245 specie di uccelli, il camaleonte africano, le tartarughe di mare) e la spiaggia di Voidokilia, che ci lasciamo, non viste, alle spalle.

Methoni ci restituisce le atmosfere greche: stradine con sedie e tavolini all’aperto, vecchi e vecchie sull’uscio spalancato di antiche case, scogli a degradare dal bel castello, vento e silenzio.

Pochi km dopo, di nuovo lontani dal mare, tra la felicità di un ragazzino in motorino che, in un deserto di macchine, indovina le movenze, all’incontro con la nostra macchina e quella francese che ci precede, mimando la testata di Zidane prima, per poi esultare con entrambe le mani in alto alla nostra vista, scopriamo Finikounta, pressoché ignorata dai reportage.

Cittadina piccola, autentica, il mare sempre così così (trasparente ma con poche sfumature di colore).

Alla fine del paese, subito prima dell’anonimo albergo Finikuda Beach (per altro consigliato agli amanti della vela), Anna (ottimo inglese), con le sue dieci stanze, tutte “vista mare”, oltre che accesso al mare a 50 metri, ci restituisce il piacere del bagno serale.

Curioso come in tutta Finikounta ci siano centinaia di limoni a terra, di belle dimensioni, non raccolti da nessuno, sotto alberi stracarichi ( possibile che non amino il Gin Tonic?).

Nel paesino, oltre al tradizionale locale di giros con pita (ottima), in un mulinare di spiedi con syglino e kotopulo, all’estremo nord, in posizione leggermente sopraelevata e vista mare a 180°, il ristorante Helena garantisce pesce fresco, buona scelta di vini greci, musica dal vivo il giovedì e venerdì (invero senza molta anima), ed un proprietario che mostra di simpatizzare con la vittoria italiana ai mondiali (il conto, con pesce fresco e buon vino, sui 70 euro in due, all’italiana, appunto).

Decidiamo di rimanere 4 giorni, tutto bagni, sole e riposo.

Il 18 partenza da Finikounta, tempo così così e mare che ingrossa.

A Koroni il mare ha finalmente le celebrate tonalità greche, non male il paesino, aggrappato alla montagna ed appoggiato al consueto castello veneziano.

Un’insalata greca a Petalidi (di più non merita) e finalmente a Kardamili! Osserviamo affascinati le case in pietra, le stradine con acciottolato, gli scogli taglienti, che ricordano quelli di Portovenere e delle Cinque Terre.

Da Anniska si alloggia sul mare, con pratici lettini antistanti gli scogli e, per entrare in acqua, accesso levigato ad una scaletta, fissata artigianalmente sugli scogli.

Dopo una cena alla Taverna Lela’s, posto memorabile con terrazzino semicircolare sul mare, il salmastro che si mischia agli aromi greci, le patate tagliate a mano da una giovane volenterosa, l’ottimo tzatzichi (e non è sempre così), l’eccellente moussaka ed il delizioso vino bianco locale, decidiamo di aver trovato la meta finale del nostro viaggio.

Finalmente si rivede qualche gatto decentemente nutrito e non terrorizzato.

Per mero scrupolo, decidiamo di andare a vedere Stoupa, consigliataci per la spiaggia e pur sempre luogo ispiratore di Katzanzakis, per il suo “Zorba il greco”.

Per strada si incontrano due calette, tra gli scogli, le prime veramente degne di menzione, ma Stoupa non è che un agglomerato disordinato di case, piena di turisti e famiglie con bambini urlanti. Ci fermiamo a mangiare, in fondo al paese, in un ristorantino sopra all’acqua, ed assistiamo al primo tramonto memorabile del Peloponneso.

Proseguiamo per Aghios Nikolaos: l’unico interesse è dato dalla gente del posto, scura di carnagione ed ospitale. I resti del tempio di Nettuno non suscitano particolari emozioni per chi, come noi, è abituato alla pletora di italiche antichità.

Torniamo a Kardamili, e prenotiamo fino a tutto il 25 luglio.

Il mare, pur nella mediocrità dei fondali, è incantevole, la sua temperatura ottimale (ve lo assicura una leggenda vivente in tema di entrata in acqua al rallentatore).

Il pomeriggio di un giorno qualsiasi decidiamo di visitare la città vecchia, in prossimità del tramonto: torri fortificate intorno ad una magnifica chiesa del 18° secolo, sul cui portone laterale campeggia l’aquila bipenne bizantina. Anche i rari turisti si muovono silenziosi per le antiche scale, forse sentendosi fuori posto, con gli abiti estivi europei. Tra gli archi, squarci di Taigeto, cipressi e mare.

Una mattina facciamo un’escursione verso Areopolis, senza per altro arrivarvi: meravigliose montagne con chiesine improvvise, per ogni piccolo agglomerato di case. La strada è ideale per chi ama guidare, agli altri si consiglia di affittare una macchina con cambio automatico.

Molto bella la spiaggia di Limeni ed il paesino sovrastante, tutto sul mare. Il 26, dopo 8 giorni di totale benessere, sentendoci un po’ in colpa per la nostra insensibilità storico-culturale, e ad onta della decisione iniziale, lasciamo Kardamili per andare a Micene, via Mystras (per ragioni di tempo rinunciamo ad Epidauro, del resto ogni scelta è dolorosa, come quella di aver rinunciato a Gialova, Elafonissi, al Tanaro ed a Monemvasia).

Temprati dagli infernali 37 km di tornanti tra Kardamili e Kalamata, prendiamo la tortuosa strada per Sparta.

Osservando i contrafforti del Taigeto ed i lineamenti della gente che si incontra nei paesini montani, si capisce perché il Mani, dal 1800 in poi, non sia stato mai conquistato: la terra ripida, dai contrafforti tumultuosi e lo spirito della gente, sembrano amalgamarsi formando una lega difficile da piegare (certo non poco ha contribuito anche l’abitudine al continuo guerreggiare tra loro, torre contro torre, degli aristocratici manioti).

Affascina la fusione di ulivi e cipressi, pronti a degradare dall’alto fino al mare.

Alle 12.00 arriviamo a Mystras.

Mystras non è solo il castello dei Franchi del 1249 ed il Monastero di Pantanassa, circondato da altri 3 monasteri. Superata la prima impressione negativa (il caldo avvolgente che toglie il respiro), ci si fa prendere, a poco a poco, dall’atmosfera di silenzio quasi irreale – il sottofondo delle cicale, particolarmente intenso, ne rappresenta una componente – e poi, gradualmente, nell’ascesa verso Pantanassa, dall’aleggiare misterioso di qualcosa di indefinito, che si appalesa nel fresco improvviso del monastero, alla vista dei meravigliosi mosaici bizantini, che ricoprono interamente volta, pareti e colonne.

Che si sia credenti o meno, è un’esperienza emozionante, che giustifica abbondantemente le 2 ore di faticose salite e discese sotto il sole.

Ripartiamo per Sparta, a soli 6 km. Cittadina orrenda, dell’antica Sparta non restano ormai che 4 ruderi. Del resto, tutte le civiltà guerriere impostate esclusivamente sulla guerra, non lasciano che poche rovine, come traccia di sé.

Da Sparta a Tripoli le montagne divengono brulle e solitarie (si rimpiange il Taigeto) e sembrano interminabili, fino all’apparire improvviso, lontano e molto, molto in basso, della baia di Nafplion. Sembra incredibile come, nel Peloponneso, la strada per il mare passi sempre attraverso interminabili percorsi di montagna.

Nafplion, molto decantata, è in realtà solo graziosa. In compenso, la fama di antica capitale è riscattata dalla quantità di negozi e dalla qualità dei ristoranti, molto più ricchi di piatti di quelli del Mani, con ampia scelta di vini (obbligatorio il Nemea Rosso, di uvaggio Agiorgitico, presente solo nel territorio omonimo).

A Nafplion, specie nella città nuova, la pulizia, a differenza che nel Mani, lascia molto a desiderare. Salutata la statua di Kolokotroni, così come reso, nel Mani, un doveroso saluto a Mavromikalis, i 2 condottieri del riscatto greco e della liberazione, la mattina del 27 partiamo per Patrasso, fermandoci doverosamente a Micene. Trovarsi davanti alla porta dei leoni, è un po’ come vedere al Louvre la Nike di Samotracia o, al Museo d’Orsai, i quadri degli impressionisti: il passaggio dalle foto, guardate decine di volte, alla realtà, provoca una sorta di sensazione di estraniamento, quasi una sospensione delle emozioni che, dopo lasciato il sito, colpiscono ad ondate nelle ore successive: questa è la ragione per cui preferiamo non vedere, nella stessa giornata, più di un sito importante.

Si riparte per Corinto: il canale, se si riesce a trovarlo nella latitanza totale di cartelli stradali (e checché se ne dica), merita di essere visto. A noi è capitato nel momento dell’apertura delle chiuse, ed al passaggio di navi varie. Colpisce soprattutto il colore del mare, di un celeste lattiginoso assolutamente sbalorditivo.

Dopo una breve sosta a Diakofto, arriviamo a Patrasso dal lato giusto per vedere il ponte Rion Antirion che unisce il Peloponneso al continente: lo spettacolo è di un certo effetto, l’unico di rilievo, per altro, a Patrasso.

Alle 18.00 imbarco e rientro in Italia.

A consuntivo: per una vacanza esclusivamente “marina”, mi sentirei di sconsigliare il Peloponneso: la presenza della Laguna di Gialova e di Elafonissi, vere cattedrali nel deserto, oltre ad una scarsa fantasia nel cibo, non giustificano, a mio avviso, un viaggio (relativamente) così impegnativo; ci sono sicuramente altri posti, in Grecia, e più facilmente accessibili, in grado di gratificare maggiormente gli amanti del mare.

Altro discorso per una vacanza “meditativa”, per la quale Kardamili rappresenta un paesino fuori dal tempo (o, per meglio dire, dove il tempo continua a scorrere ma conservando memoria di sé), o per un itinerario “storico”, per il quale sembrano però più appropriati i mesi di aprile, maggio, settembre e ottobre: i siti sono numerosi e facilmente collegabili, se si decide di ignorare il mare, e tali da consentire, fosse solo per i trasferimenti, di apprezzare l’interno che, con l’incredibile e mutevole Taigeto, appare molto più suggestivo della costa. In tal caso suggerirei la lettura preventiva del bellissimo “Mani”, di Fermor, non dimenticando che è stato scritto negli anni 50, e che lo spirito greco e l’antico candore, da allora, si mantengono solo in alcuni paesini arroccati dell’interno.

A proposito dei danni del turismo, una considerazione merita la dicotomia tra la massiccia presenza di pannelli solari, espressione di rispetto per l’ambiente e per il risparmio energetico, anche nei paesini più sperduti, e la pervasiva diffusione di impianti di condizionamento, oltremodo inquinanti e dispendiosi che, sulla costa, non risparmiano uno delle migliaia di alloggi in affitto.

In ultimo, una doverosa citazione merita l’atteggiamento dei greci nei confronti di cani e gatti: cani: in tutto il nostro itinerario abbiamo trovato (e non è che non li abbiamo cercati) un solo cane, diciamo così “randagio”. Questo potrebbe indurre ad ottimistiche considerazioni sull’efficacia della lotta (civile) al randagismo, ma la presenza di decine di cani malnutriti e malati, a Plataria, vicino ad Igoumenitsa, induce ad un certo pessimismo; gatti: celebrati in calendari, cartoline e gadgets per turisti, sono in Grecia diffusamente (nel Peloponneso in particolare) malnutriti, e trattati con manifesta insofferenza (quando non sottoposti a veri e propri maltrattamenti, come a Finikounta).

Questo rattrista ed offende chi, come noi, ha sempre sostenuto la generosità e la sensibilità del popolo greco.



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