Al mare nel Peloponneso

Al mare nel Peloponneso (11° viaggio in Grecia) Partenza da Bari, destinazione Patrasso.
Dopo anni (nel ’77 il primo viaggio) di frequentazioni della Grecia, per la prima volta abbiamo prenotato il traghetto tardi (10 giorni prima della partenza), via Internet, con qualche difficoltà.
Nessun itinerario predefinito, a parte la volontà di andare al mare nel Peloponneso.
Letti due volte il bellissimo libro di Fermor (Mani – Viaggi nel Peloponneso – Ed. Adelphi – euro 24), oltre agli itinerari di viaggio dei numerosi “turisti per caso”, come noi amanti della Grecia, decidiamo di optare per una scelta chiara: solo mare, nessuna contaminazione con itinerari storici e/o mitologici, niente attraversamenti del Taigeto, niente Olimpia, Micene, Epidauro, niente trenino per Kalavrita: quando si cercano di accorpare più cose possibili, nell’illusione di ottimizzare tempo e soldi di una vacanza, nella inevitabile mistura dei generi, dei profumi, delle atmosfere, delle luci e delle ombre, si finisce con lo smarrire lo spirito del viaggio.
Almeno così è per noi, ed anche se poi, alla fine, non è andata del tutto così.
Dopo un viaggio eccellente su Superfast ed arrivo a Patrasso alle 12.00, ci immettiamo subito sulla strada per Pyrgos. Non cessano mai di stupire, in Grecia, le migliaia di pompe di benzina, dai prezzi più disparati (per il gasolio, oscillazioni “mostruose” tra 0.929 e 1.069 al litro).
Da Patrasso a Pyrgos, “la rivoluzione arancione” delle zucche, vendute senza soluzione di continuità da decine di banchi, sul bordo della strada.
Decidiamo per una digressione verso Kalogria, 40 km dopo Patrasso, definita “un posto furbo” in uno dei tanti reportage Internet sul Peloponneso.
Degna di menzione, nell’avvicinarsi alla grande pineta sul mare, un’enorme quercia, sotto cui cercano sollievo dal sole una decina di mucche e due vitelli – evoca certi paesaggi del Marocco, con le capre sugli alberi – .
Procediamo fino ad arrivare al mare, un’interminabile spiaggia piena di gente. Se di “posto furbo” si tratta, lo è certamente per i produttori di antimalarici e di cortisonici: Kalogria è un trionfo di tafani e zanzare – tenaci e combattive come gli abitanti – che giorno e notte organizzano mega-raduni, ebbre per gli ettolitri di birra presente nel sangue delle migliaia di turisti punti.
Ripartiamo subito, cercando di chiudere fuori dalla macchina gli insetti, impazienti di scoprire, come noi, nuovi lidi.
Da Patrasso a Methoni la strada ignora il mare, ed è una prima delusione.
Arriviamo rapidamente a Kyparisia, città pulita ed ordinata, ma senza attrattive particolari.
Proseguiamo per Pylos, nostra prima tappa pianificata.
Pylos è suggestiva la sera. Con la luce del giorno, al di là degli splendidi paesaggi naturali, un po’ artificiosa: le esigenze del turismo hanno finito per contaminare lo spirito greco e regalarle un aspetto anonimo, alla maniera di certi villaggi della Costa Smeralda.
Decidiamo di proseguire, con qualche rimpianto per la Laguna di Gialova (245 specie di uccelli, il camaleonte africano, le tartarughe di mare) e la spiaggia di Voidokilia, che ci lasciamo, non viste, alle spalle.
Methoni ci restituisce le atmosfere greche: stradine con sedie e tavolini all’aperto, vecchi e vecchie sull’uscio spalancato di antiche case, scogli a degradare dal bel castello, vento e silenzio.
Pochi km dopo, di nuovo lontani dal mare, tra la felicità di un ragazzino in motorino che, in un deserto di macchine, indovina le movenze, all’incontro con la nostra macchina e quella francese che ci precede, mimando la testata di Zidane prima, per poi esultare con entrambe le mani in alto alla nostra vista, scopriamo Finikounta, pressoché ignorata dai reportage.
Cittadina piccola, autentica, il mare sempre così così (trasparente ma con poche sfumature di colore).
Alla fine del paese, subito prima dell’anonimo albergo Finikuda Beach (per altro consigliato agli amanti della vela), Anna (ottimo inglese), con le sue dieci stanze, tutte “vista mare”, oltre che accesso al mare a 50 metri, ci restituisce il piacere del bagno serale.
Curioso come in tutta Finikounta ci siano centinaia di limoni a terra, di belle dimensioni, non raccolti da nessuno, sotto alberi stracarichi ( possibile che non amino il Gin Tonic?).
Nel paesino, oltre al tradizionale locale di giros con pita (ottima), in un mulinare di spiedi con syglino e kotopulo, all’estremo nord, in posizione leggermente sopraelevata e vista mare a 180°, il ristorante Helena garantisce pesce fresco, buona scelta di vini greci, musica dal vivo il giovedì e venerdì (invero senza molta anima), ed un proprietario che mostra di simpatizzare con la vittoria italiana ai mondiali (il conto, con pesce fresco e buon vino, sui 70 euro in due, all’italiana, appunto).
Decidiamo di rimanere 4 giorni, tutto bagni, sole e riposo.
Il 18 partenza da Finikounta, tempo così così e mare che ingrossa.
A Koroni il mare ha finalmente le celebrate tonalità greche, non male il paesino, aggrappato alla montagna ed appoggiato al consueto castello veneziano.
Un’insalata greca a Petalidi (di più non merita) e finalmente a Kardamili! Osserviamo affascinati le case in pietra, le stradine con acciottolato, gli scogli taglienti, che ricordano quelli di Portovenere e delle Cinque Terre.
Da Anniska si alloggia sul mare, con pratici lettini antistanti gli scogli e, per entrare in acqua, accesso levigato ad una scaletta, fissata artigianalmente sugli scogli.
Dopo una cena alla Taverna Lela’s, posto memorabile con terrazzino semicircolare sul mare, il salmastro che si mischia agli aromi greci, le patate tagliate a mano da una giovane volenterosa, l’ottimo tzatzichi (e non è sempre così), l’eccellente moussaka ed il delizioso vino bianco locale, decidiamo di aver trovato la meta finale del nostro viaggio.
Finalmente si rivede qualche gatto decentemente nutrito e non terrorizzato.
Per mero scrupolo, decidiamo di andare a vedere Stoupa, consigliataci per la spiaggia e pur sempre luogo ispiratore di Katzanzakis, per il suo “Zorba il greco”.
Per strada si incontrano due calette, tra gli scogli, le prime veramente degne di menzione, ma Stoupa non è che un agglomerato disordinato di case, piena di turisti e famiglie con bambini urlanti. Ci fermiamo a mangiare, in fondo al paese, in un ristorantino sopra all’acqua, ed assistiamo al primo tramonto memorabile del Peloponneso.