African Dreams on the road: Namibia
Storia di due viaggiatori innamorati alla scoperta della Namibia
ITINERARIO
# Da a km Organizzazione Map
- 1 Venezia volo h.14:00 partenza da Venezia h 20:00 partenza da Francoforte
- 2 volo Windoek 30 H 8:00 partenza da Johannesburg H 13:00 arrivo in hotel H 14:00 visita alla città http://goo.gl/maps/lvQvr
- 3 Windoek Bagatelle Ranch 260 H 8:00 partenza H 12:30 arrivo al Bagatelle Ranch H 16:30 Cheta Feeding H 17:00 Aperitivo al tramonto http://goo.gl/maps/0YUTh
- 4 Bagatelle Ranch Sossusvlei 310 H 8:00 partenza H 13:30 arrivo al Sossusvlei Lodge H 15:30 visita al Sesriem Canyon http://goo.gl/maps/E1rY7
- 5 Sossusvlei Sossusvlei 120 H 7:00 partenza H 8:00 salita duna 45 H 11:00 Deadvlei H 15:30 gita in quad http://goo.gl/maps/CF2tb
- 6 Sossusvlei Swakopmund 350 H 8:30 partenza per Walvis Bay H 9:30 Solitaire H 14:00 Swakopmund H 15:00 Welwitschia Drive http://goo.gl/maps/7Ji3U
- 7 Swakopmund Swakopmund 70 H 7:45 partenza H 9:00 tour catamarano a Walvis Bay H 12:30 tour Sandwich Harbour http://goo.gl/maps/KDqTP
- 8 Swakopmund Mowani Camp 410 H 8:30 Partenza H 10:00 Cape Cross H 15:00 Mowani Camp http://goo.gl/maps/Xnwr8
- 9 Mowani Camp Opuwo 340 H 8:30 partenza H 9:00 visita Tweifelfontain H 15:30 arrivo a Opuwo http://goo.gl/maps/B80P1
- 10 Opuwo Opuwo 0 H 9:00 visita villaggio Himba
- 11 Opuwo Etosha 412 H 8:00 partenza H 12: 30 arrivo parco Etosha http://goo.gl/maps/Ggf2V
- 12 Etosha Etosha 120 Visita parco Etosha
- 13 Etosha Etosha 200 Visita parco Etosha
- 14 Etosha Wateberg 255 H 8:00 partenza H 10:30 Visita CFF H 12:30 ripartenza H 14:00 Arrivo Wateberg H 16:00 passeggiata http://goo.gl/maps/p2ezX
- 15 Wateberg Windoek 350 H 9:00 partenza H 11:00 mercato Okahandja http://goo.gl/maps/GwvWo
- 16 Windoek Volo 30 H 13:00 partenza da Windohek H 17:00 partenza da Johannesburg
- 17 volo Italia H 9:00 partenza da Francoforte
Potete contattare mio marito all’indirizzo: massimilianoniselli@gmail.com: ha a disposizione le tracce GPS registrate.
ORGANIZZAZIONE
· Idea di massima del viaggio e inizio consultazione cataloghi e diari di viaggio: Agosto 2012
· Prenotazione del viaggio: Gennaio 2013
CONSIGLI
1. Noleggiate una macchina robusta: i chilometri di sterrato sono tanti. Noi avevamo un Toyota Hilux. Lungo la strada abbiamo corso e superato al doppio della velocità di molte utilitarie. È vero che in Africa il tempo non esiste, ma arrivare in metà tempo fa sempre comodo
2. Noi abbiamo viaggiato a cavallo tra Giugno e Luglio, in pieno inverno. Le giornate sono molto corte e quando cala il sole fa parecchio freddo. Ci siamo goduti poco le strutture (tutte con la piscina). Settembre/Ottobre può essere sicuramente un periodo più favorevole
3. Profilassi antimalarica: non l’abbiamo fatta. Abbiamo conosciuto europei che vivono in Namibia e non l’hanno mai fatta. Abbiamo visto solo tre zanzare. Tenete a mente che l’unica zona a rischio per davvero (almeno in inverno) non è compresa nel nostro diario e comprende Caprivi e zona delle Epupa Falls
4. È necessario entrare nella mentalità che vanno sfruttate le ore di sole: perciò sveglia alle 6:30, cena alle 18:30 e alle 21:30 sotto le coperte!
5. Fate sempre benzina quando ne avete occasione e ricordate che al distributore si paga solo in contanti. Tenetevi sempre 500 dollari namibiani di riserva, non si sa mai!
6. Patente Internazionale: serve. Sul sito della Farnesina c’è scritto che è consigliata ma non obbligatoria. A noi è stata chiesta ben due volte, di cui una all’ingresso dell’Etosha. Se non ce l’avessimo avuta probabilmente non saremmo entrati nel parco.
7. Prima di partire fate un salto dal vostro meccanico di fiducia e imparate e cambiare una gomma. A noi non è servito ma evidentemente abbiamo avuto un colpo di fortuna! Inoltre controllare, al momento del noleggio, che ci siano tutti i pezzi necessari per cambiare la gomma (crick compreso).
COSA LEGGERETE IN QUESTO DIARIO
Durante il viaggio abbiamo scritto entrambi il nostro diario personale. Ogni luogo è stato condiviso ma anche vissuto in modo unico e diverso. Abbiamo deciso di mettere nel web entrambi i diari, per non far torto a nessuna sensazione e per non rovinare ciascun ricordo. I consigli per il viaggio posti in calce a ciascuna tappa sono gli stessi in entrambi i diari.
24 giugno 2013
Verso Windhoek – ore 21.30
Ancora non riesco a crederci! Siamo qui, seduti a bordo di un grande aereo diretto a Johannesbug!! Fino a 48 ore fa avevamo la testa solo per il matrimonio: adesso il viaggio ci è saltato addosso e ci sentiamo completamente impreparati! Sappiamo l’itinerario a memoria ma di colpo sembra non essere abbastanza. Comunque, hakuna matata! L’Africa ci aspetta e non vediamo l’ora di scoprirla insieme!
26 giugno 2013
Kalahari Desert
Siamo arrivati a Windhoek ieri pomeriggio verso le 13. Ci aspettavamo una nuova versione della Baviera che abbiamo tanto amato e invece siamo sbattuti addosso ad una città del terzo mondo: negozi incasinati, strade mal asfaltate, gente seduta per terra a vendere ciondoli e manufatti di legno. A freddo, nel bel mezzo di una piazza, ci siamo imbattuti nelle donne Himba i cui capelli sono coperti di argilla e terracotta così come la loro pelle. Che strano vedere in città i nativi, e che strano entrare, a due passi da loro, nell’hotel Hilton, così moderno e occidentale in un mondo che di europeo non ha nulla, eccezion fatta per la forma di alcuni edifici che ricordano vagamente lo stile tedesco.
Il nostro primo contatto con il popolo namibiano è stato un venditore da cui ho acquistato una tovaglia coloratissima. L’ho pagata 300 NS che equivalgono a 25 euro circa. Massi dice che ho pagato troppo ma sono troppo felice del mio acquisto. Poi è stato il turno del cappello di Massi: aveva solo chiesto se ne avevano uno e con una telefonata i cappelli sono arrivati, anzi, portati di corsa da un tizio. Il prezzo di acquisto è stato più che dimezzato e così ce lo siamo portati a casa. A pelle mi sembra che la gente locale sia buona e pronta ad accoglierti. Qualcuno poi esagera e appena vede il turista gli salta addosso per avere, in cambio di aiuto, denaro. Peccato, questa è l’unica nota dolente di un popolo che per il resto non manca mai di una cosa: il sorriso, stampato sulla faccia di tutti.
All’ora di cena eccoci da Joe’s Beer Hause: un locale pazzesco, di una bellezza unica, tutto in stile etnico, un mix di africano, messicano, europeo, con tanto di scritte in tedesco a decorazione del locale. Abbiamo mangiato la nostra prima bistecca di zebra: una vera goduria! La serata si è conclusa alle 21 con noi crollati esausti nel nostro letto: per due giorni abbiamo indossato gli stessi vestiti; ora invece, con il pigiama addosso e l’aspettativa nel cuore, ci siamo addormentati.
CONSIGLI:
1. Non parcheggiate lungo la strada perché il parcheggio è valido per un’ora (colonnina con monetine da inserire, 1 dollaro massimo); noi abbiamo parcheggiato al parcheggio del supermarket (a pagamento ma senza limite di tempo)
2. Non fatevi prendere dalla frenesia di comprare: lungo il percorso ci sono mille occasioni di fare acquisti e la capitale non è il massimo
3. Prima di lasciare la città fate una buona spesa di acqua, biscotti e crackers: non si mai cosa può succesede nel deserto
DA NON PERDERE:
1. fate un giro lungo la via principale anche se non c’è molto da vedere; carino il post mall
2. Joe’s Beer Pub: il locale è veramente bello. Prenotate via mail un posto all’interno, soprattutto se ci andate in inverno
CON IL SENNO DI POI
Nulla da dire sul programma, non cambieremmo niente
Stamane sveglia ore 6.45. Come ogni mattina il mio orologio biologico è entrato nel panico e mi sono svegliata stanchissima. Piano piano poi la stanchezza è venuta meno per lasciare posto all’entusiasmo di attraversare il nostro primo deserto africano: il Kalahari. Risolto l’intoppo del carica batteria del pc, causa dimenticanza cavo, siamo approdati alle porte del deserto ripassando per la capitale: vedendola di giorno, con la testa riposata, non si può dire che sia così malvagia. La stanchezza è una pessima lente deformante.
Il paesaggio si è fatto prima montagnoso, poi sui toni del beige e infine è diventato rosso rosso, esattamente come lo immaginavo. Che emozione scendere dalla macchina e farsi immortalare in un panorama simile! Abbiamo superato il tropico del capricorno: troppo bello farsi fotografare dalla mia macchinetta attaccata al treppiede (guai a non averlo!). Dopo tre ore circa, trascorse in macchina ad ascoltare musica fra una canzone di Bruce e una di Bryan, la nostra meta è stata raggiunta: eccoci al Bagatelle Ranch. Questo posto è ciò che tutti sognano: pulizia perfetta, stile incredibilmente etnico, lusso e perfezione in ogni dove. Alla reception siamo stati accolti da uno springbok (antilope): noi abbiamo cani e gatti come animali domestici, qui vanno di antilopi e orici! La nostra camera è uno dei dieci chalet che si trovano disseminati sulle dune di questa fettina di deserto. Adesso sono a letto e penso alle zanzare che, contrariamente alle aspettative, ci sono eccome! Ne ho uccise ben tre e non me l’aspettavo davvero. Sono convinta che siano entrate in camera quando siamo entrati noi, attratte dalla luce artificiale. La prossima volta farò bene attenzione a non sbagliare le tempistiche di apertura/chiusura porte/zanzariere e nel frattempo continuo a spruzzare spray repellente J
Oggi pomeriggio, appena arrivati, ci siamo concessi un po’ di sano relax a bordo piscina: Massi voleva fare il bagno ma l’acqua era torbida, perciò abbiamo rinunciato. Dopo un paio di ore e uno stupendo sandwich al prosciutto e formaggio, è stata la volta del primo vero assaggio di Africa: l’esperienza con i ghepardi. Distesa a bordo piscina avevo notato la presenza di un recinto alle nostre spalle ma non mi ero chiesta perché ci fosse. Alla fine ho capito che proprio quel recinto ci teneva lontani dai ghepardi, in numero di tre, tenuti in cattività per salvarli da morte certa. Quando la guida ha aperto i cancelli e ci siamo trovati i ghepardi che correvano liberi, accanto a noi, a poco più di un metro di distanza, mi è venuto un nodo alla gola. I ghepardi si mimetizzano troppo bene, non si vedono proprio nel bel mezzo della savana, e noi oggi siamo pure scesi a fare delle foto in mezzo alla strada!! Che brivido se ci ripenso! I ghepardi sono degli animali meravigliosi, e come corrono nella savana!
Alle 18 è stata la volta del tramonto: bumpando sulla nostra jeep multiposto, storditi dal vento freddo come il ghiaccio, siamo arrivati in cima ad una duna dalla quale abbiamo goduto, per circa un’ora, di tutte le sfumature di giallo, rosso e rosa che la nostra madre terra possa offrire. Surreale lo snack offerto dallo staff dell’albergo: una tavola con bibite e persino vino bianco assieme a patatine e arachidi, il tutto ovviamente nel bel mezzo del deserto! Uno spettacolo il poter immortalare un albero della savana con, alle spalle, una simile bellezza.
Stasera a cena abbiamo assaggiato altra specialità africane, in particolare orice grigliato e polpette di springbok: molto molto buoni!! Credo che alla fine della nostra vacanza non vorremo più vedere la grigliata che amiamo tanto, ne stiamo mangiando davvero molta ed è superslurp!!
Chissà cosa ci aspetterà domani!
CONSIGLI:
1. Il Bagatelle Ranch è il Lodge più familiare in cui abbiamo dormito; vale davvero la pena fermarsi.
DA NON PERDERE:
1. Il cheetah Feeding: farsi rincorrere dai ghepardi è proprio emozionante e non c’è paragone nemmeno con la fondazione per la cura dei ghepardi che troveremo in seguito.
2. L’aperitivo al tramonto: molto suggestivo
CON IL SENNO DI POI
A noi è sembrato perfetto
28 giugno 2013
Namib Desert
Come ho già fatto in un precedente diario, mi sento di cominciare la pagina di oggi partendo dalle ultime cose fatte piuttosto che dalle prime. Stamane ci siamo svegliati all’alba per andare nel deserto del Namib. Le porte del parco si aprono alle 6.45 e noi volevamo essere lì puntualmente per evitare code. Proprio non riusciamo ad uscire dalla nostra mentalità europea basata sull’efficienza e sul risparmio del tempo. Ieri eravamo già passati per la stessa barriera, diretti però al Sesriem Canyon (niente di speciale se paragonato a quelli che abbiamo visto in America): siamo rimasti allibiti dalla lentezza con cui le cose procedono in questo mondo. Ci ha accolto una signora di mezza età che prendeva nota, una alla volta, di alcuni dati circa ciascuna macchina e delle persone che la guidavano. Motivo: boh! Il tutto nell’arco di una decina di minuti. Ogni cosa qui ha il suo tempo e d’altra parte non c’è motivo di correre in un mondo dove chi comanda non è il denaro ma la Natura.
Stamane, dopo una lauta colazione, siamo schizzati in camera a prendere le ultime cose prima di partire all’avventura e quindi… via! Abbiamo oltrepassato i cancelli e iniziato al percorrere la strada asfaltata in direzione Sossuslvei. Ieri sera abbiamo acquistato due magliette con la scritta Namibia sul davanti: erano leggere vista la temperatura del mattino, e quindi sepolte sotto a una coltre di pile e cappotto, ma alla fine siamo riusciti a sfoggiarle e a farci immortalare nel paesaggio namibiano con le stesse magliette addosso.
Il panorama innanzi a noi ha iniziato a tingersi di rosso: intorno a noi le dune, a creare una specie di anfiteatro che non ha paragone in natura. Cielo azzurro, dune rosse, due mongolfiere lassù, in alto: poche volte nella vita mi sono sentita così beata nel guardare un simile paesaggio e poche volte ho avuto così tanta paura di affezionarmi ad un’altra terra, al punto dal desiderare di non lasciarla. Ha ragione chi dice che, per capire e assaporare davvero l’Africa, ci vuole una fase di adattamento di qualche giorno. La domanda è questa: riuscirò a tornare al mondo reale?
Duna 45: che spettacolo! Chissà perché hanno scelto questa duna come monumento del deserto del Namib. E poi… le dune non si spostano? Perché questa invece è sempre nello stesso punto? Siamo partiti per scalare la nostra duna con il solo pile addosso, ma dopo qualche passo abbiamo capito di doverci vestire di più: un vento gelido sferzava insistentemente sulle nostre facce, gettandoci addosso raffiche di polvere rossa. Lentamente, come due processionarie, ci siamo avviati sul crinale della duna, i piedi immersi nella sua sabbia rossa, le gambe tremolanti per lo sforzo fisico di risalita in un percorso tutt’altro che facile. Arrivata in cima mi sono girata e ho visto Massi piccolo piccolo, in bilico sul crinale della montagna rossa. Che emozione poterlo immortalare in quel panorama J Siamo proprio fortunati ad essere qui.
Scalata la duna, per la prima volta sorpresa dall’insistenza di Massi che voleva raffiche di foto (di solito sono io quella che vuole foto dappertutto!) ci siamo incamminati alla volta di Sossusvlei. Massi si è lanciato in una distesa di sabbia con la nostra mitica 4×4 che abbiamo battezzato Cabby. Abbiamo sobbalzato sulle dune di sabbia ridendo come dei pazzi, troppo entusiasti all’idea di poterci divertire da soli con la nostra macchina. Quanto mi sono divertita a guidare al ritorno, con Massi che si è chiuso nel baule per fare le sue riprese! Lo vedevo sobbalzare dallo specchietto retrovisore, ogni tanto bussava al vetro chiedendo che mi fermassi ma avevo troppa paura di rimanere piantata sulla sabbia, perciò andavo avanti!! Povero, è uscito distrutto, pieno di botte perché sballottato a destra e a sinistra dalla mia guida superscatenata!
Deadvlei: magnifica la camminata per arrivare al lago bianco, quello che caratterizza ogni foto della Namibia, in contrasto con il rosso fuoco delle dune che a mezzogiorno erano colorate come e di più del sole. Incredibili quegli scheletri fossili di alberi, presenze imperiture in un deserto che cambia sempre mentre loro, sentinelle di legno, restano a vigilarlo per i secoli a venire. Alla nostra sinistra si ergeva una duna che, dal basso, sembrava lanciare una sfida, come se dicesse un silenzioso: “Dai, provaci! Vediamo se riesci a scalarmi”. Noi abbiamo risposto alla sfida e abbiamo iniziato a inerpicarci sul suo fianco, piegati a carponi con le mani immerse nella sabbia. Ancora un passo, un altro e poi… meraviglia!! Eccoci, siamo in cima!! Che panorama superlativo! Dal basso un gruppo di veneti ci salutava gridando “Bravi! Ce l’avete fatta!”: i veneti nel mondo, che forza!
Ore 12: il caldo africano ha iniziato a farsi sentire, anche se siamo in pieno inverno. Stanchi, esausti dopo una giornata forse troppo piena di emozioni, siamo tornati al nostro lodge. Una fame terribile mi divorava e pertanto mi sono fiondata sul ricco buffet di mezzogiorno che l’albergo offriva. Massi è crollato all’ombra di un’acacia: è il riposo del guerriero.
Alle ore 15 ci siamo alzati dalla nostra breve siesta e ci siamo diretti verso l’ultima avventura della giornata: il quoadbiking nella savana. Non avevo mai guidato un quoad ma si è rivelato più semplice del previsto: giro la chiave, accendo il motore, ingrano la marcia e via! Si parte! La nostra guida era indiavolata, divorava la strada e ci seminava. All’inizio titubante sul da farsi ho in seguito preso confidenza con la sabbia e ho capito come curvare e soprattutto come restare sulla mia motocicletta, eccezion fatta per un fuoripista che mi ha fatto spaventare non poco: all’ombra delle montagne, complice un polverone innalzato dalla nostra guida che ci precedeva non ho più visto la strada e sono uscita dal seminato, perdendo il controllo del mezzo e piantandomi su un cespuglio pieno di spini. Mi sono rivista nella scena del re leone, quella in cui la iena cade nel cespuglio e si riempie di spine. Dopo lo spavento mi sono messa a ridere: che scena pazzesca!! Massi si è piegato dal ridere quando mi ha visto togliermi una spina dal sedere: che dolore atroce! Quoaddare è meraviglioso, soprattutto se lo si fa in un posto così straordinario come la savana africana, laddove il cielo e la terra non si toccano mai.
Il viaggio verso le rosse dune africane è stato spettacolare: siamo passati attraverso un’infinità di paesaggi, prima rossi come la sabbia del Kalahari, poi gialli come le steppe più aride, infine marroni e verdi come le praterie americane. Ci siamo immortalati in un’infinità di paesaggi, cercando sempre di cogliere il meglio attraverso l’obiettivo della macchina fotografica che però non riuscirà mai a intrappolare l’emozione del cuore. Non poteva mancare una foto nelle “piazzole di sosta” costituite da un gran albero della savana, due panche e un tavolinetto. Che spettacolo! Più bella di tutte le “piazzole di sosta” però era Solitaire, un paese che ci ha attratto soltanto per il suo parco macchine d’epoca mezze scassate e disposte al suo ingresso. Sotto la scritta “Solitaire” il numero di abitanti: 92! Il paesino consta di una pompa di benzina, un negozio di dolci e una specie di supermercato in miniatura. Delizioso a dir poco, ci ha ricordato le cittadine del deserto americano tipo Oatrust, così surreali che sembrano essere quasi finte. :
CONSIGLI
1. Il Lodge, sebbene molto caro, va prenotato solo per il buffet incredibile e tipico che offre
2. La mattina della visita alle dune partite molto presto: a mezzogiorno fa davvero caldo. Portatevi via anche qualche capo di abbigliamento pesante: le escursioni termiche sono molto elevate
DA NON PERDERE:
1. Una foto seduti sulla Duna 45 con la vostra macchina sullo sfondo
2. Il deserto di sale con gli alberi pietrificati di Deadvlei
3. La scalata di una duna (non sulla cresta ma sul fianco)
4. La guida sulla sabbia per raggiungere Deadvlei con il vostro 4×4
5. Una foto sulle macchine abbandonate a Solitaire (molto Route 66)
CON IL SENNO DI POI
1. Sarebbe stato bello fare il giro in mongolfiera, ma è molto costoso (si parlava di 300 euro a testa).
2. Dato che l’arrivo è per forza di pomeriggio è inutile addentrarsi nel parco i cui cancelli chiudono al tramonto. Informatevi quindi sulle attività che organizza il lodge e prenotatele un giorno prima. Vanno a ruba!
01 luglio 2013
Running to Mowani Camp
La strada per il Mowani, la nostra prossima tappa, appare desolata e sabbiosa: non è quello che ci aspettavamo. Solo in questo momento il paesaggio si è fatto più africano, con la vera savana intorno a noi e qualche montagna solitaria.
Ieri è stata un’altra giornata da ricordare. Siamo arrivati a Swakopmund la sera precedente: poche cittadine in vita mi hanno dato una sensazione di grande entusiasmo e questa è una di loro. Stupendo lo stile liberty, germanico, coloratissimo e geometrico nelle sue forme squadrate. Bellissimi anche i negozietti di “cincionerie” che abbiamo finito con l’acquistare: stamattina abbiamo comprato un’insalatiera di legno colorato dipinta a mano con i mestoli. Non vedo l’ora di preparare deliziosi contorni al mio Amorino e di servirli al suo interno! Stupenda anche l’accoglienza del Kuki’s pub dove abbiamo fatto amicizia con due locali che gestiscono un’agenzia di viaggi. Sono belli gli incontri che si fanno on the road e quasi sempre ti ripagano con una generosità che in altri contesti è cosa rara.
Ieri ci siamo alzati all’alba per fare il nostro primo giro in catamarano: siamo partiti a bordo di una barca bianca che filava un sacco sulla cresta delle onde. Ci ha accolto una simpatica foca che ha dato spettacolo di sè divorando dei pescetti congelati che il capitano della nostra nave le offriva. Chissà quante volte ha ripetuto questo numero! Poi è stata la volta dei pellicani, quindi dei delfini: meravigliosi mentre nuotavano a pelo d’acqua sotto la nostra barca, giocando con la schiuma. Infine è toccato alla più grande di tutte: la balena, un raro esemplare di shy wale che si è fatto solo scorgere a pelo d’acqua. Finito il nostro giro in catamarano ci siamo avventurai con Captain Hans alla volta di Sandwich Harbour. Adrenalina: correre sulla cresta delle gialle dune che si buttano a capofitto nell’oceano, in tratti in cui la discesa era quasi perpendicolare al terreno, è stato fantastico. Ho provato un forte senso di libertà, finalmente affrancata da una vita di “devi fare” e “fai in fretta”. Mi sento assalita dall’ansia se penso di dover abbandonare questa terra che, giorno dopo giorno mi sta insegnando a prendermi il mio tempo per godermelo. La velocità è il male del nostro tempo occidentale.
Stamane, sulla via del Damaraland, abbiamo fatto una deviazione a Cape Cross per vedere le Otarie. Che odore nauseabondo!! Massi era avvolto nella sua sciarpa, nel vano tentativo di soffocare quella puzza di guano terrificante; io me la passavo a guardare i piccoli di foca giocare fra di loro. Era una tappa che andava fatta!
Lungo il nostro viaggio, stiamo incontrando i locali. Ai lati della strada, rigorosamente battuta, incontriamo decine di “negozietti” in cui si vendono pietre e bamboline colorate. Siamo attratti e spinti a fermarci dalle donne che, sfoggiando abiti coloratissimi, danzano a bordo della carreggiata. Alla loro ombra spuntano bambini piccoli, pieni di tosse e coperti di mosche che però non mancano mai di una cosa: il sorriso. Quando ci fermiamo al primo capanno una bella signora ci chiede se abbiamo vestiti e cose da mangiare. Massi le da tre magliette che ha portato da casa: quella azzurra, con lo stemma dell’Italia, attira l’attenzione del bambino che se la poggia davanti. La maglietta è grande come lui che non fa che ripetere “Ciao!”, dopo che io l’ho salutato così. Ci lasciano un indirizzo per mandargli vestiti e medicine, anche per il futuro nuovo bambino. E’ allora che mi accorgo che la donna, di nome Julia, è gravida. Mi viene un colpo: dove nascerà questo bambino?
CONSIGLI:
1. Si può dormire in una qualsiasi Guesthouse, come abbiamo fatto noi: sono economiche e carine
2. Prenotate il tour per Walvis Bay in anticipo: noi l’abbiamo fatto con Sun Sail e ci siamo trovati bene
DA NON PERDERE:
1. Tour in catamarano a Walvis Bay
2. Sandwich Harbour e la corsa pazza in macchina fra oceano e dune
3. Cape Cross
CON IL SENNO DI POI:
1. Noi abbiamo fatto il giro a Sandwich Harbour in 4×4: anche in quad non deve essere male (forse un po’ più faticoso!)
2. L’esperienza di sciare sulle dune forse andrebbe provata
Siamo al Mowani Camp. La strada per arrivare all’albergo è stata spettacolare nel suo ultimo tratto. I colori erano tali e quali quelli della Monument Valley, laddove le rocce vengono infuocate dal sole del tramonto. La differenza è che qui le montagne sembrano degli ammassi di grandi sassi, pur conservando lo stesso colore che abbiamo tanto amato in America. Il lodge è splendido. Siamo una ventina di persone circa e il silenzio regna sovrano. Il nostro bungalow è isolato, con vista vallata. Il tetto della nostra camera è di paglia, l’arredamento è tutto in legno, in stile etnico. La cura dei dettagli è impressionante. Ora una fame allucinante ci attanaglia: oggi abbiamo pranzato al volo, lungo la strada, come dei veri turisti on the road. Arrivati a Uis siamo stati assaltati da un paio di locali che volevano farsi dare un passaggio. Siamo scappati verso la nostra meta con in tasca un misero panino con il formaggio targato Parmalat (what the fuck, how is that possible??). Adesso ci sfondiamo!!
In Europe we have the clock. In Africa they have Time.
03 luglio 2013
Opuwo – Kaokoland
Ieri sera, dopo un viaggio infernale sulla sterrata più sconnessa che abbiamo mai percorso, siamo arrivati alla cittadina di Opuwo. Siamo partiti da Twyfelfontain, poco distante dal Mowani Camp: questo luogo, di grande interesse storico per la presenza di pitture rupestri, è incastonato nella valle che, in mattinata, abbiamo ammirato dal Mowani, ancora quando era avvolta nella nebbia. Lungo il percorso ho scambiato due parole con la guida che ci ha spiegato come funziona la vita in Namibia, come sono divisi gli allievi fra le scuole, come le materie di studio siano le lingue (afrikaans, inglese e lingua locale), l’agricoltura, la fisica, la scultura nel legno. Mi affascina sapere come vivono queste persone nella realtà di tutti i giorni e non in quella deformata dei lodge.
La giornata di ieri è stata vissuta all’insegna dell’avventura: lungo il tragitto infatti ci siamo accorti che non solo la benzina scarseggiava ma che stupidamente non avevamo fatto prelievo di contanti con cui acquistarla, in un posto per altro privo di ATM. Prima regola dell’Africa: ogni volta che trovi un benzinaio fai benzina, anche se hai il serbatoio quasi pieno. Quando siamo arrivati alla Fuel Station e abbiamo realizzato l’intoppo ci siamo spaventati. Cosa fare? Partire e sperare nella presenza di un magico distributore? Restare? E dove? Per fortuna alcuni namibiani del posto ci hanno detto che la Fuel Station era di proprietà del lodge adiacente (l’unica struttura presente in quel deserto di sassi) e che ci avrebbero aiutato. Così è stato: in cambio di una strisciata sulla carta di credito abbiamo guadagnato 1000 N$ in cash, abbastanza per fare il pieno e avere anche dei soldi per le tasche. Che fortuna sfacciata! Anche questo viaggio ha avuto la sua avventura e ne siamo usciti indenni. Mai sottovalutare l’Africa: mai.
La strada per Opuwo si è rivelata più lunga e sconnessa del solito e l’imprevisto di una salita lunga e pendente, di cui non ci era stata segnalata la presenza, ci ha costretto a ingranare la terza e a partire sparati verso la sua sommità, mentre dentro ballava tutto. Dimentichi del fatto che la nostra macchina è un 4×4, e che la sua funzione è appunto quella di arrampicarsi anche nei posti più difficili, abbiamo iniziato una corsa pazzesca sulla nostra strada usando le marce normali, bumpando nella macchina al suono delle valige che, nel baule, saltavano con noi verso il tetto della vettura. Valicato il passo ci siamo fermati: adrenalina a picco, un urlo di euforia: ce l’abbiamo fatta!! Che salita memorabile!
Lungo il percorso Massi ha finalmente avvistato un animale figo: la nostra prima giraffa!
CONSIGLI:
1. Il Mowani è il posto più spettacolare in cui abbiamo dormito. Costa parecchio, ma ne vale assolutamente la pena
2. Al Mowani propongono un safari a caccia di elefanti e giraffe. Sicuramente all’Etosha questi animali non mancano!
3. Se siete diretti ad Opuwo mettetevi in marcia presto: la strada è davvero impervia e se viaggiate in giugno le giornate sono corte. Non dimenticare mai che il buio incombe.
DA NON PERDERE:
1. Tweifelfontain e le pitture rupestri
2. Il tramonto sulle rocce del Mowani Camp
CON IL SENNO DI POI:
1. Fate benzina ad Uis: da qui a Opuwo ci sarà solo un’altra stazione a Palmwag (con diesel). Non vale la pena rischiare.
Arrivo ad Opuwo: uno schiaffo. Ci era stato detto che questo sarebbe stato il primo vero assaggio di Africa e così è stato. Abituati allo standard a cinque stelle dei lodge che abbiamo abitato negli ultimi giorni, siamo stati catapultati nell’Africa vera, quella della gente che vive per strada di giorno e nelle baracche di notte. I marciapiedi brulicavano di persone: bambini con lo zaino in spalla, donne con abiti lunghi e coloratissimi, uomini in jeans e maglietta in stile occidentale, qualche inimitabile fricchettone che Massi avrebbe voluto fotografare. Presa una strada sterrata sulla sinistra siamo giunti al nostro lodge. Mi sono spaventata nel vedere la nostra camera, così piccola e spoglia se paragonata a quella precedente. All’alba dell’indomani mi vergognerò di questo pensiero che ho fatto. Stanchi per il viaggio che avevamo alle spalle, dopo aver mangiato appena, siamo andati a letto, in attesa del domani.
Stamattina ci siamo svegliati alle 6.30 per effettuare la nostra escursione alla tribù Himba. Ho visto Massi lievemente preoccupato e impacciato all’idea di recarci in una delle loro tribù, come se andassimo a violarla nella sua dignità ed integrità. Da parte mia, ho sentito dentro di me il fuoco della curiosità.
Quando siamo arrivati in prossimità del villaggio, costituto da una decina di capanne con il tetto in paglia, circondate da uno steccato di legno, la nostra guida ci ha chiesto di aspettare qualche minuto per ottenere il permesso di entrarvi. In macchina ho fatto mille pensieri senza senso e di cui non ho memoria. Al cenno della guida siamo scesi dal nostro van e siamo entrati nel loro territorio. Ci hanno accolto due bambini, per nulla diffidenti. Chissà quanti occidentali hanno già incontrato: forse questo è il loro giorno di festa, o forse questo è diventato (purtroppo) una specie di rituale che sono avvezzi a inscenare ogniqualvolta noi yankee vogliamo andare da loro. La guida ci ha spiegato che un’intera famiglia vive in quel villaggio e che il capo famiglia ha ben tre mogli, ciascuna con figli. La prima bambina che ho visto mi ha preso istintivamente la mano e siamo andati tutti insieme verso il secondo gruppo di Himba, seduti a terra poco più avanti. Siamo arrivati nel momento della colazione, a base di mais e farina. La guida l’ha chiamato “pudding”: solo a vederlo ho provato un forte senso di repulsione, chiedendomi come possa essere possibile che un bambino di due anni riesca a crescere mangiando solo quella poltiglia. Massi mi ha fatto notare che uno dei bambini aveva “la pancia grande”: si chiama edema da malnutrizione. Siamo quindi entrati in una delle loro abitazioni. Inaspettatamente non c’era alcun insetto all’interno: solo un paio di pelli distese a terra (il loro letto) e alcuni “vestiti” di pelle appesi lungo un filo. Che squallore. Una donna Himba ci ha mostrato come si ottiene la polvere con la quale si tingono la pelle ogni giorno, al levar del sole: queste donne non hanno mai fatto il bagno in vita!! Non so cosa dire. Anche qui però l’ambizione è donna: ecco che, alla fine della fase di “colorazione”, segue la fase di “profumazione”, ottenuta dando fuoco ad alcune erbe e assumendone i vapori. Quando siamo usciti una ventina di donne, ciascuna con i propri figli, si è disposta in cerchio per venderci qualche collanina o braccialetto, tutti uguali per altro. Difficile scegliere fra tanti, ma alla fine siamo venuti a casa con tre braccialetti da regalare alle mie amiche una volta tornata a casa. Il capo della tribù è venuto a salutarci prima che lasciassimo il villaggio: ci ha chiesto com’è l’Italia, anche se non ha idea di dove sia. Ci ha anche chiesto cosa facciamo di lavoro e quando gli ho detto che sono un medico mi ha chiesto quando venivo a lavorare qui, attorno ai villaggi: anche la sua famiglia ha bisogno di cure mediche. Mi sono fermata a riflettere sul senso del mio essere medico: il prof dice sempre che bisogna sapere, saper fare e saper essere. Il saper essere si impara qui, in Africa, in una terra dove davvero fai il medico e dove la medicina difensiva non esiste. Che ricchezza poter essere qui! Che grande messaggio mi porto a casa: non voglio dimenticarmene una volta tornata nel frenetico ritmo occidentale. Voglio che, un giorno, anche i miei figli vedano come vive questa gente, per capire il valore delle cose che abbiamo e che diamo per scontate. Loro non hanno nulla e sono felici; noi abbiamo tutto e ancora non lo siamo.
Altro giro, altra corsa. Oggi pomeriggio, dopo un paio di ore di meritato riposo, siamo scesi in paese per vedere la vera Africa. Per la prima volta in vita mi sono sentita fuori posto: eravamo i soli bianchi presenti al supermercato e subito una pioggia di bambini e donne si sono accampati intorno a noi per chiederci dei soldi. Capisco le necessità di questa gente che non ha nulla ma a volte sono davvero eccessivi.
Sulla via del ritorno ci siamo fermati presso una specie di orfanotrofio. La guida del mattino ci aveva detto che, in quella piccola casa che era apparsa e scomparsa alla nostra sinistra, una coppia di missionari si prende cura di “bambini disagiati”. Questi bimbi vengono loro affidati dalle loro famiglie che, per vari motivi, non possono mantenerli adeguatamente. Siamo scesi dalla macchina senza sapere cosa dire e cosa aspettarci. Abbiamo chiesto a dei ragazzi seduti sulla recinzione se quella fosse la casa giusta e ci hanno detto di sì, indicandoci un piccolo cancello per entrare. La porta si è aperta e una signora di nome Emilie ci ha fatti entrare, spiegandoci quello che lei e suo marito, un uomo di chiesa, fanno ogni giorno per i bambini, tutti in età prescolare. La casa era piccola ma accogliente, arredata in stile povero ma con tutti i confort, perfino il forno a microonde. Ed ecco che, dopo una buona mezzora, spunta da dietro il divano una piccola bimba con le treccine, vestita di una felpa a righe rosa che faceva risaltare i suoi occhioni nerissimi. Mi sono tremate le gambe al primo sorriso; mi ha conquistata appena mi si è attaccata alle gambe per giocare. Abbiamo fatto un’offerta per la casa: 400 N$, che in Italia equivalgono a poco più di 30 euro. Noi stamane ne abbiamo spesi quasi 100 a testa per andare a vedere il villaggio Himba: che peso diamo al denaro? La cosa più stupefacente comunque è stato l’invito a cena da parte del figlio della signora: “So, what do I prepare to you for dinner?”. Sono rimasta allibita: questa gente non ha nulla ma quello che ha te lo dà tutto. Abbiamo declinato l’invito, chiedendo di dare tutto il cibo ai bambini e non a noi, che stasera abbiamo mangiato primo, secondo e dolce. Che popolo ospitale, gentile, unico nella sua accoglienza.
CONSIGLIO:
1. La strada per arrivare è la peggiore in assoluto: in molti tratti è difficile superare i 60 km/h! Non prendetevi troppo tardi. Sulla rampa più pendente ricordatevi di azionare il 4×4 se ce l’avete.
DA NON PERDERE:
1. Visita al villaggio Himba
2. Un’ immersione nella realtà di Opuwo: non è una cosa esattamente turistica ma questa è l’Africa vera
CON IL SENNO DI POI
1. È possibile visitare il villaggio Himba subito nel pomeriggio se si arriva entro le 14:00. In questo modo il giorno successivo si possono visitare le Epupa Falls che noi non abbiamo fatto in tempo a vedere.
05 luglio 2013
Okakuejo Camp Site
Ieri è iniziata la nostra avventura al parco Etosha.
Siamo partiti da Opuwo alle 7.30 di mattina, terrorizzati all’idea di fare un viaggio analogo a quello della tratta precedente. Con nostra sorpresa abbiamo scoperto che tutta la strada che dovevamo percorrere era “tarred”, cioè asfaltata. Che gioia immensa!! Abbiamo corso, e siamo arrivati alla nostra meta in sole tre ore. In realtà, quattro ore, a causa di un problema con la polizia locale che ci ha multati perché la vettura non ha la targa posteriormente. Incredibile ma vero: non ho mai preso una multa in Italia, neanche per divieto di sosta, ma l’ho presa in Africa!! Un poliziotto dall’aria assopita, identica a quella di tutti quaggiù, ci ha spiegato con una flemma incredibile che queste sono le regole e che ne deve rispondere l’agenzia di noleggio. Vedremo cosa riusciremo a combinare quando riporteremo indietro il veicolo.
Alle 15 di ieri pomeriggio abbiamo valicato i cancelli e abbiamo iniziato la nostra corsa all’Etosha. Abbiamo scontrato all’istante una mandria di giraffe, zebre e springbok, tutti intorno ad una pozza. Quando abbiamo trovato la nostra prima giraffa ci sentivamo all’apice: qui capisci che le giraffe te le tirano dietro! Lungo il tragitto, con una piccola deviazione, siamo incappati in due elefanti: trovare uno dei “big five” nelle prime ore di permanenza al parco era più di quanto osassimo sognare. Siamo andati a letto contenti, ansiosi di scoprire cosa avremmo trovato l’indomani.
Alla prima pozza abbiamo individuato giraffe, zebre e altri tipi di gazzella. Ormai siamo esperti nel differenziare l’orice dall’eland e dal kudu: all’inizio ci sembravano tutti uguali! Alla seconda pozza, trovata per insistenza di Massi, abbiamo scovato il primo rinoceronte bianco: che trofeo! Giusto il tempo di immortalarlo, poi è scappato. Il massimo però è capitato all’ora di pranzo, in prossimità del camp. In una savana classica, illustrata perfettamente ne “Il Re Leone”, laddove centinaia di zebre e spingbok pascolavano serenamente, un leone è apparso alla mia sinistra, facendoci inchiodare. La leonessa, perfettamente mimetizzata fra i ciuffi color oro della savana, era seduta in totale immobilità. Quando ci ha visti si è alzata e ha attraversato la strada, avvicinandosi alla mandria che subito si è allertata, in una specie di paralisi attenta, diretta tutta a studiare ogni singolo movimento del felino. Osservare la mandria in quel momento era come mettere il tasto “pausa” ad un film in dvd: nessun movimento, gli animali sembravano finti. Che meraviglia la natura!
07 luglio 2013
Al di fuori dell’Etosha
Mi trovo oggi a scrivere quello che ieri sera, dopo chilometri passati a correre all’interno del parco Etosha, non avevo la forza di fare.
Abbiamo lasciato l’Etosha, e in particolare Okakuejo Camp, con nostalgia. Ieri sera, dopo una lauta cena, ci siamo recati di nuovo alla pozza per vedere gli animali. Con grande sorpresa ci siamo trovati davanti ad uno spettacolo vivente. Laddove prima avevamo avvistato qualche animale ora la pozza brulicava di gente: elefanti, rinoceronti, antilopi, giraffe, zebre, tutte intorno alla pozza secondo un rituale lento che credo sia impossibile da decifrare. Gli elefanti entrano ed escono dalla scena senza paura; le giraffe sono le più fifone e prima di avvicinarsi alla pozza ci mettono quasi se non più di un’ora; i rinoceronti sembrano sempre scontrosi e quando il piccolo rinoceronte parte alla carica delle giraffe facendole scappare a noi tutti parte una piccola risata; un orice è immerso completamente nella pozza e se ne sta lì, impalato. Sembra di essere davanti ad un palcoscenico con attori che entrano ed escono dal backstage in continuazione. La pozza è ben illuminata perciò riusciamo a scorgere bene le sagome di chi è presente e di chi si avvicina. A tratti il quadro “si ferma” e tutti sembrano restare immobili, in attesa di essere dipinti. Come ha detto oggi Massi in macchina, non puoi capire il senso del “cerchio della vita” se non lo vedi con i tuoi occhi.
Oggi pomeriggio abbiamo avuto un incontro indimenticabile con gli elefanti. Svoltata una curva ci siamo letteralmente finiti addosso mentre attraversavano la strada. Erano almeno una ventina e procedevano a rilento, passo dopo passo, verso la nostra destra. D’un tratto uno di loro, quello più grande e dotato di due belle zanne, si è girato verso la nostra macchina e ha accennato ad attaccarci. Massimiliano ha ingranato la retro ma… la nostra macchina era spenta!! Se l’elefante avesse davvero preso la carica verso di noi ci avrebbe schiacciati. Quando si sono allontanati abbiamo cercato di seguirli fra i bush e lo stesso elefante si è girato verso di noi e ha alzato una gran quantità di sabbia con le zampe anteriori, barrendo rumorosamente. A quel punto, a macchina accesa, siamo scappati!! Che avventura!! Ultima frame di questo cammino nel parco è stata la visione del re della savana: il leone, che se ne stava lì, seduto accanto ad una specie di fortino, immobile nella sua regalità. Solo lui può permetterselo, è lui l’indiscusso sovrano del parco.
CONSIGLI:
1. Non vale la pena fare il giro con le guide: non hanno percorsi privilegiati rispetto ai nostri. Per vedere gli animali bisogna avere fortuna.
2. Partite presto la mattina e fate piuttosto una pausa lunga a mezzogiorno. Gli animali con il caldo non girano
3. Arrivate da nord come abbiamo fatto noi: è un modo per attraversare il parco più facilmente. Inoltre la strada da Opuwo al Gate è tutta asfaltata
4. Procuratevi una buona cartina del parco: all’ingresso non ve la danno. Attenzione inoltre alla legenda delle pozze: molte sono asciutte e non ci sono animali.
DA NON PERDERE:
1. Obbligatorio soggiornare ad Okaukejo: restate il più a lungo possibile (anche ore) attorno alla sua pozza perché non esiste spettacolo più bello
CON IL SENNO DI POI:
1. Avremmo dormito una notte in più ad Okaukejo e magari speso qualche soldo in più per aver la camera di fronte alla pozza. Evitare di dormire subito in prossimità dell’Etosha se non volete perdere lo spettacolo degli animali
08 luglio 2013
Waterberg Camp
Ieri abbiamo passato la notte in un lodge situato al di fuori dei cancelli dell’Etosha. A saperlo avremmo pernottato un’altra notte a Okakuejo per vedere di nuovo la “pozza dei miracoli”. Peccato davvero.
Lungo il nostro tragitto per il Waterberg, ormai alla fine di questa vacanza indimenticabile, mi sono sentita improvvisamente triste. Sarà stata la musica, forse è colpa della stanchezza che si fa sentire, saranno questi 3000 km on the road, ma mi sono sentita di colpo triste all’idea di lasciare questa terra così selvaggia che, come nessun’altra, suggerisce un profondo senso di libertà e di pace. In America avevo provato un senso di libertà euforica; qui il tempo che passa ha un valore tutto diverso e il concetto di libertà sembra essere più intenso e deciso. Qui si è liberi nell’anima e nel corpo.
Stamane ci siamo recati in visita dalla Cheetas Foundation che si trova lungo la strada per il Waterberg. In essa vi sono custoditi una cinquantina di ghepardi in cattività, molti dei quali malati e che pertanto vengono curati. Questo progetto nasce dalla passione di una americana di mezza età, di professione veterinario, che negli anni ‘90 ha iniziato a prendersi cura dei ghepardi, razza tuttora a rischio di estinzione. Il progetto mira alla cura immediata di questi animali e all’evitare che essi vengano uccisi dagli allevatori di capre per preservare gli attacchi al bestiame. Ciò si ottiene mediante l’inserimento di un pastore anatolico all’interno del gregge: il cane viene allevato all’interno delle mura della fondazione in modo che, restando a contatto con le capre sin dalla nascita, maturi lo spirito di protezione nei loro confronti. Mi ha impressionato il trovare in Africa una struttura costruita su modello americano, con tanto di video in lingua e museo con giochi e percorsi educativi volti ad informare anche i più piccoli sull’importanza della conservazione dei ghepardi. Il cheetas feeding è stato abbastanza deludente: forse ho ancora in mente quella scena al Bagatelle Ranch in cui ci hanno fatto scendere dal veicolo a un metro dal ghepardo per vederlo mangiare. Qui invece si osserva tutto attraverso una rete che rende il tutto una specie di spettacolo paragonabile a quello che si vede negli zoo.
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Adesso siamo appena arrivati al Waterberg Camp. Alla reception ci ha accolto una sgarbata signorina del posto: evidentemente questi camp statali selezionano appositamente il personale per essere villano con i clienti. I namibiani sono in generale un popolo splendido: queste donne sono da prendere a schiaffi. La sistemazione lascia a desiderare ma ormai ci siamo abituati a questo standard: i camp statali, eccezion fatta per il Namutoni, vanno presi così.
09 luglio 2013
Windhoek
Abbiamo appena terminato il nostro “cerchio”: ci troviamo di nuovo nella capitale, nello stesso luogo in cui siamo arrivati due settimane fa. Quante cose in più abbiamo nella nostra valigia, fisicamente ed emotivamente! E’ stata una vacanza splendida.
Ieri pomeriggio siamo arrivati sul Waterberg carichi di aspettative: delusione cocente! Il paesaggio non si è rivelato un gran che, la flora e la fauna neanche. Abbiamo deciso di fare una passeggiata, forse la prima e vera dall’arrivo in Namibia. Lungo la camminata abbiamo incontrato un gruppo di italiani e francesi che seguivano il sentiero del Waterberg Plateau capeggiati da una guida molto zelante. Ci siamo trovati a camminare nello stesso sentiero con loro, affrontando un path tutt’altro che semplice, dal momento che esso era tutto in salita, in stile arrampicata sulle rocce. Siamo arrivati in cima in mezzora e, in effetti, il panorama meritava. A parte questo però non mi sento di dover aggiungere nulla a questa tappa che si è rivelata abbastanza dispersiva. Durante il tragitto ci siamo imbattuti in un gruppo di simpatici babbuini che all’inizio sembravano spaventati, poi curiosi di conoscerci. Incredibili le loro movenze: sembrano davvero degli esseri umani. Terminata la cena ci siamo accorti che, nella stanza accanto, alcuni membri dello staff stavano seguendo in tv la partita “Ghana-Cile”: ci siamo messi a guardala per scherzo e abbiamo finito per vedercela tutta, tifando ovviamente per il Ghana che ha vinto! Che bello esultare con loro quando hanno segnato il goal della vittoria! Massimiliano ha sfoggiato la sua ottima cultura calcistica con la gente del posto che sembrava meno preparata di lui circa il Campionato d’Africa (secondo me non avevano idea di cosa fosse!). Siamo quindi andati a dormire, consci del fatto che l’indomani sarebbe stato il nostro ultimo giorno ufficiale in terra africana.
CONSIGLI:
1. Usciti dall’Etosha avevamo calcolato due giorni di viaggio per arrivare a Windhoek. La strada è lunga ma asfaltata e forse si riesce a percorrere in un solo giorno, magari con stop a Okahandja.
DA NON PERDERE:
1. Il CFF è molto bello, ci hanno detto che ce n’è uno migliore pochi chilometri più a sud
CON IL SENNO DI POI:
1. Il Wateberg non ci è piaciuto molto: non vale la pena perderci un giorno.
Stamattina, ore 7.00, sono stata svegliata dai versi dei babbuini che si erano accampati davanti alla porta di camera nostra. Ma porca miseria, che casino fanno!! Ci siamo incamminati lentamente verso Okahandja, famosa per il suo mercatino di legno che è il secondo più grande in tutta l’Africa. Abbiamo trovato un paese piccolo ma con tutte le strutture: banche, pompe della benzina, ristoranti. I mercatini sono divisi in due settori, uno all’inizio e l’altro alla fine della cittadina. Ci siamo fermati al primo e abbiamo fatto gli ultimi acquisti per i nostri familiari ed amici. Bisogna saper contrattare: la gente del posto ti salta addosso (come al solito, questa è l’unica cosa che non mi mancherà dell’Africa!) e spara alto. Il ragazzo da cui abbiamo fatto acquisti, tale Albert, aveva 18 anni e continuava a ripetere: “It’s 300 N$, but we can talk!”. A pelle mi è subito piaciuto e in pratica abbiamo esaurito i nostri acquisti nel suo negozio: le bancarelle sono costituite da montagne di articoli di legno tutti simili, creando una concorrenza pazzesca con i vicini. Di positivo c’è il fatto che chi vende divide con i suoi vicini il guadagno giornaliero: Albert infatti ci ha seguito in ben tre bancarelle diverse, facenti capo ciascuna a un titolare differente. Siamo tornati a casa con alcune “salad bowel” dipinte a mano, un paio di piccole ciotole e alcuni “portachiavi” fatti a castagna, personalizzati con i nomi dei destinatari. Mi sono divertita a fare spese J
Adesso ci troviamo nella nostra Guest House all’interno della quale probabilmente ceneremo. All’inizio del viaggio ci eravamo ripromessi di tornare da Joe’s Beer per un’ultima grigliata: attualmente ci viene il voltastomaco all’idea di affrontarne ancora, pertanto stasera andiamo di insalata. Non vedo l’ora di mangiare una pizza gigantesca al nostro ritorno in Italia!!
Guardo Massimiliano e penso alle mille cose che abbiamo diviso insieme in questo lungo viaggio: la strada in tutte le sue forme, asfaltata, sterrata, sassosa, sabbiosa, in tutto quasi 4000 km; le forti emozioni; gli spettacolari tramonti; i rumori dell’alba; l’ottima cucina; le nostre camere d’albergo fatte di mura, teli e una volta anche di cielo; il sole africano; la sabbia del deserto; la furia dell’oceano; le magnifiche stellate; gli animali, protagonisti e padroni di uno spettacolo di cui abbiamo avuto la fortuna di essere spettatori; i ricordi ricorrenti che tingevano ogni tratta del nostro peregrinare africano, come dei dardi lanciati in un cielo sereno. Il sogno africano si è avverato e, come sempre per ciascuna cosa sognata così a lungo, si è rivelato essere diverso e al di sopra delle aspettative. Non so se ci basterà una vita intera per fare tutte le cose che abbiamo in mente!