Abbasso le topes!!!
La storia di questo viaggio inizia a gennaio 2001, periodo in cui io e Roby (mia moglie) decidiamo quale nazione sarà costretta a “sopportarci” per le ferie estive. E’ già da un po’ che stiamo discutendo e, ALLELUJA, quest’anno tocca a me decidere. Rilancio la solita proposta: SI TORNA IN EGITTO. Risposta: SI VA IN BRASILE (lei già sa che non voglio andarci). Siamo al supermercato e vedo delle confezioni precotte di enchiladas e tacos. IDEA!! E se andassimo in Messico? Roby non ci pensa su neanche 3 secondi e dice si! Mi ha infinocchiato un’altra volta: era proprio lì che voleva andare.
OK. Si parte.
Giorno 1 agosto, volo Continental Milano – New York – Mexico City. Piccola consolazione: riesco a convincere Roby (sai che sforzo) a fare una sosta nella Big Apple per fare un po’ di shopping. Noi non lo sappiamo ancora ma sarà l’ultima volta che vedremo i “gemelli”. Riusciremo a tornare in questa città che adoriamo con lo stesso animo di sempre? L’hotel che abbiamo scelto, il Park Central sulla Broadway, ha una posizione favolosa, ma non per Central Park o il Metropolitan o lo shopping: xchè di fronte c’è Fluffy’s, un posto dove, per colazione, ci sono dei muffins da 1 kg e dei coockies da 6 etti.
Il 3 di agosto si riparte alle 17.55 per Mexico City da Newark. Arriviamo nell’antica Technotitlan alle 23 e ci rechiamo al nostro hotel, il Westin Galeria Plaza nella zona rosa: bello e comodo. Durante il trasferimento abbiamo chiesto alcune notizie e l’autista ci ha detto che l’unica certezza a Mexico City è che alle 5 di sera piove sempre.
4 agosto. Ci svegliamo di buon’ora, quando siamo in ferie sembra che il tempo non basti mai. Si va allo Zocalo!!! La prima impressione è che Iannacci aveva ragione quando cantava “Messico & nuvole”: il tempo fa schifo, ma noi non ci fermiamo. Prendiamo la metropolitana che è il mezzo più sicuro per girare “il mostro” visto che i simpatici maggiolini verdi, i taxi, tanto sicuri non sono xchè spesso gli autisti la tariffa se la fanno da sè portandovi via il portafogli. Usciamo dalla metro e la prima cosa che vediamo sono miriadi di pulisci scarpe, lavoro molto diffuso nella capitale. A prima vista lo Zocalo ci delude: pochi colori, le tende rosa degli Zapatisti perennemente piazzate davanti al palazzo del governo ed un tempo infame. Entriamo nella Catedral metropolitana e ci facciamo un giro. Ci piace, ma c’è dell’altro che ci aspetta. Usciamo e ci dirigiamo verso verso i resti del templo Major (il Teocalli)n ed iniziamo a respirare l’atmosfera azteca: è questo che vogliamo, non cattedrali cristiane! Questa è l’anima, persa, del Messico. Vediamo una rappresentazione di una danza azteca. Copricapi piumati, visi indios, ritmi sconosciuti. Visitiamo il templo major e, dopo, il museo. Vediamo i resti della grande piramide che ne racchiudeva altere sei: ogni divino oratore (il re) ne costruiva una sopra alla precedente. Nel museo vediamo la ricostruzione della mensola dei crani: è inquietante pensare ai sacrifici umani. Dice una cronaca del tempo che i sacerdoti aztechi sono riusciti a fare fino a 12.000 sacrifici umani in un giorno, e che alla fine erano stanchi! Bontà loro.
Usciamo e ce ne andiamo un po’ a zonzo fino a quando riprendiamo la metropolitana per andare al Mercado sabado a San Angel. Il perchè del nome è ovvio: è sabato. Il posto è molto caratteristico e c’è una varietà di artigianato allucinante. Ci facciamo tentare ed iniziamo a fare un po’ di acquisti: non c’è una volta che si ritorna da un viaggio con le valigie vuote. Abbiamo però imparato una cosa dai nostri viaggi: ora almeno le valigie le portiamo via da casa vuote!! C’è sempre qualcosa di carino da portare con noi. Finito il giro prendiamo un “peseros”: l’autobus per eccellenza di Mexico City, che si ferma ad ogni angolo ad un cenno della mano e che si paga con pesos in moneta (da qui il nome). Ci dirigiamo verso un altro quartiere, quello di Coyoacan. Benedetta Lonely Planet, a volte sbaglia, ma se non ci fosse bisognerebbe inventarla. Con le sue piantine ci aiuta sempre in ogni angolo del globo. Coyoacan è un posto carino e caratteristico. Mercatini, gente che suona, gli immancabili baracchini dei lustrascarpe, e le ormai usuali bancarelle degli zapatisti. Mi sorge un dubbio: ma il comandante Marcos è un’imvenzione turistica o cosa? In ogni angolo vedo pupazzi di pezza del “Comandante” venduti come giocattoli. Ci viene fame ed iniziamo la nostra cura a base di tortillas: co fermiamo in un fast-food e ci spariamo un tacos ed una Negra Modelo, una birra scura veramente ottima. Guardiamo l’orologio, sono le 4, cosa facciamo? Prendiamo un peseros e ritorniamo alla metro per tornare in centro. Facciamo appena in tempo a salire sulla metro che inizia un diluvio universale: sono le 5. Mai diffidare della saggezza popolare. Dopo un’ora circa arriviamo all’Alameda Central. Da lì ci dirigiamo verso Plaza Santo Domingo per vedere gli scrivani nei loro minuscoli uffici: sotto i portici della piazza infatti, oltre alla gente che gioca a scacchi, ci sono dei piccoli “gabbiotti” che possono contenere solo una persona, con dentro degli scrivani che battono a macchina e fanno lavori di copisteria. Pensate: costa meno il lavoro manuale di una fotocopia. Intanto riprende a piovere e decidiamo di ritornare in albergo. Per cena ci fermiamo nella zona rosa, e facciamo, una volta tanto, quello che tutti i turisti fanno: cena in un locale con spettacolo di mariachi.
5 agosto. E’ domenica e si va al museo di antropologia nel Bosque de Chapultepec (o delle cavallette): notevole e ci facciamo un assaggio di quello che vedremo il giorno dopo, Teotihuacan. Usciamo e ci facciamo un giro nel parco. Sorge una domanda, cosa facciamo a pranzo? Ci guardiamo attorno e decidiamo di fare come tutti i messicani: patatine, tacos, hot dog, coca e ci sediamo sulla riva del lago del bosque. Finito il pranzo iniziamo a girare i mercatini che troviamo e vediamo le cose più disparate. Ci colpisce in particolare una cosa: un tizio che si porta dietro la sua scassatissima bilancia pesa persone da casa e, dopo averla messa a terra, invita tutti a pesarsi per un pesos. Vogliamo andare al castillo di Massimiliano. Arrivati sotto al castello Roby mi dice: da dove si entra? Io, la guida indiana VOLPE CHE LEGGE LONELY PLANET, rispondo: da lì!!! Ci mettiamo in coda davanti ad uno sportello attaccato ad una bella casa proprio all’ingresso del parcio del castello, facciamo i biglietti ed entriamo: era la casa degli specchi!!! Usciamo e, con l’orgoglio di guidab ferita davanti a Roby che si “sganascia”, prendiamo il trenino che ci porta all’ingresso del castillo, che risulta interessante più per la storia che per quello che c’è. Vediamo l’estensione di Mexico city dall’alto: immensa. Mentre io cerco di leggere qualcosa sul castillo Roby parte in quarta: vuole vedere il bagno di Carlotta. Domanda: xchè le donne sono sempre attratte dai bagni? Scendiamo e, dopo i nostri soliti 30 km. A piedi, ritorniamo verso l’albergo. Sono le 5 quando arriviamo alla metro: inizia a piovere. Dubbio amletico: cosa facciamo per cena? E’ ovvio: tequileria! decidiamo di cambiare menù, stasera niente tacos, si va di enchiladas.
6 agosto: è il gran giorno, si va a Teotihuacan. Abbiamo acquistato un’escursione in inglese/spagnolo nell’ufficio davanti all’albergo: dall’Italia costa 250.000 a testa, lì ce la caviamo con 140.000 in due. Prima ci fermiamo alla Basilica de Guadalupe. Notevole! Ma è notevole la storia dell’indio Juan Diego e la storia, nelle due versioni, quella india e quella spagnola, che ci racconta la guida sulla conversione delle popolazioni precolombiane. Quando vediamo la basilica vecchia ci rendiamo conto di cosa vogliono dire i messicani quando parlano di sprofondamento delle costruzioni. E’ tutto fuori asse, la costruzione è tujtta storta e rinforzata. C’è un detto tra la popolazione locale: Mexico City è stata costruita sopra alla vecchia Tenochtitlan e lo sprofondamento dei monumenti è dovut alla vendetta dei vecchi dei, i quali vogliono far ritornare in superficie i loro templi. Ci possiamo credere oppure no, ma la verità è una sola: Città del messico non è mica così stabile. Si va verso il sito archeologico. La cosa che ci colpisce sono i quartieri poveri situati nell’immensa periferia della capitale: una sterminata immensità di casupole abbarbicate su qualsiasi pendio, spalmate su qualsiasi zona pianeggiante e costruite una sulla “schiena” dell’altra per accogliere 12 dei 22 milioni di abitanti del gigante messicano. Arriviamo al sito e rimaniamo zittiti dalle due piramidi del Sol y de la Luna. Ci saranno 40 gradi. Resistiamo alla tentazione di salire sulla prima che ci si presenta, quella del sole, la più alta. Infatti la vista migliore del sito si ha da quella della luna che, anche se è più bassa come costruzione, essendo costruita alla fin della Calzada de los muertos, risulta alla stessa altezza in quanto situata più in alto, e, essendo posizionata all’estremità del sito, è quella che permette di vedere il tutto nella sua completezza. Saliamo. I gradini sono una tortura, sono piccoli e alti. Li facciamo tutti fermandoci per passeggiare sui gradoni. Quando arriviamo in cima ci rendiamo conto di dove siamo: il sito è maestoso. Osservando le piramidi dall’alto nonostante il caldo abbiamo un brivido pensando ai sacrifici umani che lì si sono consumati. Scendiamo dalla piramide e gironzoliamo per il sito. E’ tutto molto bello ed abbastanza ben conservato, ma non vediamo l’ora di vedere l’altro pezzo forte della giornata, ovvero il muro del serpente nella ciudadela. Ci colpisce molto, e non possiamo fare a meno di pensare a com’era quando aveva i suoi colori originali. A proposito di colori, troviamo un indio che ci fa vedere come gli antichi ricavavano i colori e la cera per renderli duraturi dai cactus: ci colpisce molto. Si ritorna in città. Stasera è l’ultima sera nella capitale, domani si parte per il nostro viaggio in macchina verso lo Yucatan, durante il quale incontreremo il nostro incubo: le topes!!! N.B.: molti dicono che New York è cara. Avete mai provato Mexico City? 7 agosto: Mexico City – Oaxaca 440 km. Di autostrada. Ci svegliamo e ci facciamo portare con il taxi dell’albergo alla Hertz per ritirare la nostra macchina, una mitica Nissan Tsuru (siamo un po’ preoccupati: che caspita di auto sarà?). Il ritiro è previsto alle 10 ma noi, previdenti, ci presentiamo alle 9.30 e facciamo il primo vero incontro con la puntualità messicana: la macchina non è pronta. Dopo 1 ora e mezza e svariati caffè offerti dalle impiegate, ci fanno portare all’aereoporto dove troveremo sicuramente, a detta delle impiegate, la nostra macchina. Ci sorge un dubbio: non è che ci vogliono già imbarcare su un volo per l’Italia xchè da buoni milanesi ci siamo lamentati della voglia di lavorare dei messicani? Arrivati all’aereoporto uno zelante impiegato della società ci dice che dobbiamo aspettare 10 minuti per la consegna. Dopo un’ora di attesa io (Fabio) inizio a guardare malinconicamente il parcheggio dell’Avis a fianco dove fanno bella mostra file e file di Nissan Tsuru parcheggiate(in Messico sembra sia uno status simbol). Alle 12.30 inizio ad inc…Rmi: parlo con l’impiegato che decide di darmi un’altra macchina, una bella Chrysler Stratus. Partiamo. Prendiamo la 135 D a pagamento: 440 km. 80.000 lire, è cara ma, fortunatamente, poco trafficata. Mi colpisce la varietà dei paesaggi. Ogni 3 km cambiano e non ti stufi mai di guardarti attorno. Roby, intanto, tra una dormita e l’altra filma un po’ di paesaggio. Arriviamo a Oaxaca alle 5: casualmente piove. Andiamo in hotel, il Mision de los Angeles (carino ma non eccellente) a lasciare i bagagli e poi ci dirigiamo in centro. La cittadina è simpatica e spagnoleggiante. Ne approfittiamo per vedere i mercatini e per farci la nostra solita razione di tortillas: ma ci sarà qualcos’altro da mangiare oltre a tacos, enchiladas e carne? Dopo cena ci godiamo un po’ l’atmosfera del posto: lo zocalo è carino (tutte le piazze centrali messicane si chiamano così) e la gente è cortese. Ci sono un sacco di turisti che passeggiano, probabilmente domani li troveemo tutti a Monte Alban.
8 agosto: andiamo a Monte Alban. Il sito ci lascia un po’ a bocca asciutta: dopo Tenochtitlan assume un valore diverso. Nell’antica capitale Zapoteca vediamo però l’interessante osservatorio, un edificio fatto a freccia che fungeva da ossrvatorio e che risulta al di fuori dei canoni di simmetria delle città precolombiane. All’interno del museo invece vediamo delle cose raccapriccianti e delle cose interessanti: un gruppo di teschi di bambini relativi ad un sacrificio e dei teschi di persone che hanno subito trapanazioni craniche per fini, si suppone, terapeutici. Pensate: i conquistadores consideravano queste popolazioni primitive, mentre quelli usavano tecniche chirurgiche quando noi guarivamo i malati con i salassi.
A Oaxaca acquistiamo dei bellissimi tappeti ed arazzi. In questa zona sono gli articoli più ricercati. 9 agosto: Oaxaca – Tuxtla Gutierrez – 750 km. Circa per la 190.
Di nuovo in macchina. La strada è ad una sola corsia e ci porta dalle montagne al mare e di nuovo sulle montagne. I panorami sono stupendi: crudi, belli, colorati, favolosi e poi ancora crudi e via così per tutta la strada. Iniziamo a trovare le topes. Vi spiego cosa sono. Avete presente i rallentatori in gomma che vediamo noi in Italia sulle nostre strade? Bene qui sono fatti in cemento e sono mal segnalati. Ve li ritrovate davanti quando meno ve li aspettate, sono dello stesso colore dell’asfalto e, se non rallentate a passo d’uomo, ci lasciate perlomeno le gomme (se non la coppa dell’olio o un semiasse). Solitamente li trovate prima,durante e subito dopo dei centri abitati, quando per centri abitati si intende anche un gruppo di 3 case. Stiamo per arrivare nel Chiapas e lo notiamo da una cosa: i posti di blocco dell’esercito. Quando ci fermano la prima volta siamo in po’ sulle spine: c’è un grande impiego di mitra, fucili e pistole. Ci preoccupa una cosa che abbiamo letto su una guida: l’esercito approfitta dei posti di blocco per derubare i turisti. Ci accorgiamo prestoperò che tutto questo non corrisponde a verità: quando perquisiscono la macchina ed i bagagli voglioni sempre che guardiamo cosa fanno per accertarci che non rubano niente. Addirittura un militare trova alcuni pesos sotto il sedile e me li restituisce. Dopo 10 ore circa arriviamo a Tuxtla Gutierrez. La città è abbastanza anonima e noi prevediamo di fare solo una sosta per la notte. All’arrivo inizia a piovere, ma fa talmente caldo che io mi catapulto in piscina: la guida mi ha distrutto.
10 agosto: Tuxtla Gutierrez – San Crisobal de Las Casas – 180 km.
Partiamo e ci fermiamo subito al canyon del Sumidero. Anche qui vogliamo fare tutto da soli senza giri organizzati. Arriviamo all’imbarcadero dove si prendono le lance veloci per effettuare l’escursione di 35 km. Nel canyon. Paghiamo la metà di quello che ci chiedevano dall’Italia, l’unico inconveniente è il fatto che dobbiamo attendere altre persone per fare una lancia completa, in quanto tutti quelli che arrivano hanno già i tour organizzati e noi non possiamo salire con loro. Niente paura. Attendiamo una ventina di minuti e poi si parte. Il canyon è molto bello: vediamo la cascata ell’albero di natale (si chiama così xchè l’acqua, cadendo, crea delle formazioni di calcare con sopra un muschio verde che sembrano un albero di natale. Ci sono le scimmie urlatrici, gli alligatori, la madonna de los colores. Impressionante quando passiamo nel punto più profondo del canyon: le pareti salgono fino a 1.100 metri. Bello.
Al ritorno facciamo il nostro primo incontro personale con la fauna locale mentre ripartiamo: una bella iguana verde ci attraversa la strada. Ci mettiamo in strada rilassati convinti di percorrere i 180 km che ci aspettano in un lampo. Attenti: il Messico inganna. Facciamo una strada che ci porta dagli 800 m di Tuxtla ai 2700 metri prima di scendere ai 2200 m di san Cristobal. La strada è stretta, piove, entriamo nelle nubi e la visibilità si riduce a 5 – 10 metri. Nel frattempo su quella stessa strada (larga poco più di una stringa di liquirizia con il burrone senza paracarro da una parte e la montagna dall’altra) i camion modello tir americano vanno e vengono ad una velocità folle. Comunque, tra topes, nuvole, pioggia e camion, arriviamo a destinazione. San Cristobal è carina, tipica e la gente è molto cortese. Qui abbiamo l’occasione di conoscere una mamma con una bambina splendida. Vendono dei braccialetti e non vogliono niente da noi se non quello che spetta loro se decidi di acquistare qualcosa e noi lo facciamo. Vediamo un bel mercatino tradizionale dove troviamo ancora i pupazzi di Marcos: ma siamo sicuri che ormai non sia diventato un business. Acquistiamo dei bei dipinti fatti su pelliò. Entriamo nella cattedrale: è tutta piena di pannelli d’oro e, senza fare discorsi filosofici, ci sale alle labbra una domanda: era giusto far morire di fame gli indios mentre si ostentava tutta quella ricchezza in una chiesa? Nel bel paese dalle case colorate poi abbiamo trovato due posti interessanti: la casa del pan, dove di mangiano dei dolci eccellenti ed una fonduta di formaggio e funghi eccellente, ed il museo del caffè dove si beve un buon espresso.
Oltre a questo abbiamo visto anche un altra cosa comica: giovani italiani attirati lì dal mito di Marcos che, da buoni idealisti, si sentono i salvatori delle popolazioni indie e abitanti del luogo che avevano come unico interesse quello di spillare quattrini a questi giovani italiani: è proprio vero che quello che vediamo è solo quello che vogliamo vedere.
11 agosto: San Cristobal de las Casas – Palenque – 220 km. Circa.
Prendiamo la 199 e ci dirigiamo verso Palenque: abbiamo voglia di vedere la mitica tomba dell’astronauta. Durante la strada ci fermiamo alle cascate di Agua Azul: lo spettacolo è impressionante. Ci viene voglia di fare il bagno: siamo passati dai 20 gradi di San Cristobal ai 40 circa della giungla nei dintorni di Palenque. L’umidità ci uccide. Dopo un breve giro ci rifugiamo nell’aria condizionata della macchina e proseguiamo verso il sito che è maestoso. Unico neo: la tomba di Pakal è chiusa. Ci dobbiamo accontentare di vedere la ricostruzione nel museo. La analizziamo, la guardiamo, la “beviamo” con gli occhi ed arriviamo ad una conclusione: non siamo degli appassionati di dischi, sigari, piatti o tartarughe volanti, ma, caspita, se non è un’atronave quella dentro la quale è raffigurato Pakal, singifcia che il buon re maya di Palenque aveva una sauna personale dove rinchiudersi che era molto strana.
La sera, dopo la visita, facciamo un giro del paese, ma lo troviamo abbastanza insignificante.
12 agosto: Palenque – Merida. 500 km. Circa. Prendiamo la 186 per Campeche. Ad Escarcega ci portiamo sulla 261 per prendere poi, a Champoton, la 180.Unico imprevisto: al confine tra Chiapas e Campeche, fuori Palenque, ci imbattiamo in un posto di blocco dove un soldato troppo zelante con a tracolla un mitragliatore un po’ troppo in ostentato si innamora, durante una perquisizione, di un vaso che abbiamo acquistato a Mexico City. Dopo mille moine del soldato, fortunatamente, giunge dietro a noi un’altra machina di turisti ed il soldato ci deve lasciare andare. Abbiamo salvato capra e cavoli. Dopo Campeche, Roby ed io, decidiamo di fare una deviazione: siamo in anticipo, perchè non visitiamo Uxmal? Prendiamo quindi una strada secondaria per San Antonio Cayal che, tra armadilli, tapiri, avvoltoi ed iguana, ci porta fino al sito archeologico. Abbiamo anche la fortuna di assistere e filmare il pasto di due avvoltoi. Arrivati ad Uxmal ci addentriamo nel sito. E’ molto bello, senz’altro migliore di Monte Alban e, forse, anche di Palenque. Lo giriamo in lungo ed in largo e ci colpiscono il Cuadrangulo de las Monjas, la piramide, il palacio del bobernador lungo quasi 100 metri (un consiglio: per salire sulla piramide potete passare dalla collina del palacio del gobernador, così vi troverete già a metà scalinata) e la casa del Adivino sulla quale però non si poteva salire. Dopo aver girato tutto siamo stanchi ed abbiamo voglia di arrivare a Merida. Tra l’altro si è alzato un vento micidiale e le nuvole non promettono niente di buono. Ci mettiamo in macchina e fuggiamo dal solito temporale delle 5.
Arriviamo a Merida. Il clima è umido, non si respira e qui ci accorgeremo poi che finisce il Messico e comincia la terra dei turisti. Merida è una città che potrebbe anche essere carina, peccato che la gente inizia a diventare insistente, tenta di trascinarti dentro i negozi, è maleducata e, anche se la rispetti xchè sei a casa loro, loro non ti rispettano. Arriviamo all’hotel, il Grand Hyatt, e ci tuffiamo come al solito in piscina dopo una bella doccia: ci voleva. Si esce a cena e troviamo un locale dove l’atmosfera è abbastanza intima, non fosse per l’afa. Il ristorante è l’Amaro in calle 59 tra calle 60 e calle 62. Dopo cena facciamo un giro e rientriamo in albergo: l’indomani ci aspetta Chichen Itzà o “bocca del pozzo degli Itzà”.
13 agosto: è il mio compleanno. Ci alziamo presto e prendiamo la 180D a pagamento: è cara ma non c’è nessuno e si va che è un piacere. Ci sono circa 200 km. Tra Merida ed il sito. Arriviamo presto, sono le 9. Paghiamo (come in tutti i siti devi pagare l’ingresso per la video camera, ma qui è più caro di quello per le persone) e ci dirigiamo subito verso il castillo, la piramide, vogliamo salirci prima che la temperatura arrivi a limiti insopportabili. E’ una grande emozione arrivare in cima a questa costruzione dopo averla vista in tutte le foto. Sostiamo un po’ e poi scendiamo: dobbiamo vedere il grupo de las mil columnas, l’enorme campo del juego de pelotas, la plataforma de los craneos e, finalmente, il Cenote Sagrado. E’ inquietante. Mi spingo fino alla piattaforma da dove i sacrificandi venivano spinti giù: la sensazione è forte. Pensate: le persone da scrificare venivano spinte giù all’alba come messaggeri per gli dei. Se a mezzogiorno erano ancora vive, venivano ripescate xchè significava che portavano un messaggio, altrimenti tanti saluti. Narra una leggenda però che un indio molto furbo si presentò come volontario per un sacrificio, venne gettato nel cenote, a mezzogiorno, ancora vivo, venne ripescato e, come messaggio, disse che gli dei avevano deciso che lui doveva essere il sovrano di Chichen Itzà. Beh, lo divenne! Finito con il Gran Cenote, ci siamo poi riiretti al Castillo. Alle 11 della mattina veniva infatti aperto l’accesso alla stanza scoperta all’interno della piramide. Dopo una breve attesa siamo entrati: non credete a quelli che vi dicono che si passa da un budello pauroso. E’ un semplice passaggio illuminato largo 1 metro ed alto 1 metro e 70 circa che sale per 60 gradini fino ad un piccolissimo pianerottolo dove potete vedere un trono di giada molto caratteristico.Non è consigliabile a chi soffre di claustrofobia, ma non è poi così tremendo.
14 agosto: si va al mare. Partiamo presto da Merida e ci dirigiamo verso Akumal. Speriamo di evitare, in quel posto, la bolgia di turisti di Cancun e Playa del Carmen.
Dopo altre miriadi di topes arriviamo ad Akumal. L’hotel, il Copacabana, è molto bello ma ha un piccolo neo: non è adatto a noi. Tutti gli hotel di questa categoria, in questa zona, offrono l’all inclusive e noi, che non vogliamo mai essere legati da orari e da vincoli “mangerecci”, capiamo che non siamo fatti per questo tipo di sistemazione. Comunque abbiamo la possibilità di conoscere gente molto simpatica e di fare un po’ di vita di mare. Altro neo: il mare non è così splendido. E’ possibile fare 12 ore almeno di volo per questo mare? E’ bello, ma non eccellente.
Visitiamo poi Tulum: niente di speciale il sito mentre la spiaggia, dove ci sono solo 63 milioni di miliardi di persone è molto bella.
Andiamo a =Playa e Cancun: ma è possibile fare tutti questi chilometri per venire in una Rimini messicana cara tre volte Milano? 21 agosto: la fine di questo viaggio ha rischiato di rovinare tutte le belle sensazioni precedenti. Mai ritorneremo nello Yucatan. Prendiamo l’aereo della Continental da Cancun a Houston. All’arrivo abbiamo solo 30 minuti per la coincidenza per Newark. Telefoniamo a casa: stiamo tornando. Si riparte per Newark. Tra 20 giorni da qui passeranno delle persone con intenzioni molto diverse dalle nostre. Prendiamo il volo per Milano ed arriviamo a casa. Anche per quest’anno è finita. Dove ci porterà il prossimo anno la nostra voglia di vedere? Ciao.