A Trinidad e Tobago

Proseguono i racconti di viaggio. Prima puntata di un viaggio ai Caraibi, tutto speciale. Nell'estate del 98, Franka ed io ci portammo appresso un grande amico, certo Gianni Feta, il quale voleva conoscere le radici della mia compagna. Già nella primavera di quell'anno organizzammo la vacanza a Trinidad. Emozionatissimi, ci imbarcammo a...
Scritto da: cagallio
a trinidad e tobago
Partenza il: 28/07/1998
Ritorno il: 24/08/1998
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
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Proseguono i racconti di viaggio. Prima puntata di un viaggio ai Caraibi, tutto speciale.

Nell’estate del 98, Franka ed io ci portammo appresso un grande amico, certo Gianni Feta, il quale voleva conoscere le radici della mia compagna.

Già nella primavera di quell’anno organizzammo la vacanza a Trinidad.

Emozionatissimi, ci imbarcammo a Verona, destinazione Francoforte, per il cambio di aereo.

Nel primo pomeriggio si ripartì su un 747, destinazione altra tappa intermedia, per Toronto (Canada), dove arrivammo di pomeriggio (pure là) ora locale.

Prima di sera, altro imbarco, per la destinazione finale: l’aeroporto di Piarco, centro a una ventina di kilometri dalla capitale Port of Spain (P.O.S.). Qui arrivammo verso le 22,30, ora locale, dove ad attenderci c’erano i genitori di Franka e Hira, taxista di fiducia, di origini indiane.

Piccola annotazione di viaggio: essendo il nostro amico Feta gran fumatore e non potendo perciò tirarsi una sigaretta nei lunghi trasferimenti in volo, ogni tanto chiamava la hostess per farsi portare un cognachino…

Dopo il meritato riposo a casa dei genitori della mia compagna, il mattino seguente, Feta ed io, ci facemmo le prime camminate, con escursioni fuori porta, a Barataria – frazione di San Juan – a 6, 7 kilometri da POS, con birra fresca a portata di mano.

E qui facemmo le prime conoscenze: il macellaio Hico – battezzato Micio – e sua moglie (gran fumatrice) a cui Feta regalò un pacchetto di MS, di nascosto del marito; il venditore ambulante Joet, che ci vendette la birra frasca; il bar dell’angolo, dove ci prendemmo il primo rum – di buon mattino – gestito da un certo Bishop, subito battezzato da Feta “il zengion” (in gergo veneto significa un tiratardi “voglia di lavorare saltami addosso”).

Ci recammo quindi al supermarket del posto, a circa 6-700 metri da casa, denominato Jumbo (o Mamo, secondo il Feta), per fare le prime compere per il pranzo. Quindi altra sosta in altro bar, a berci un altro rum, gestito da una bella caraibica, dalla quale Feta non voleva staccarsi, ed a cui fu affibiato il nomignolo “la rossa” per i suoi capelli fluenti rosso fuoco.

Non molto lontano vi era un negozio di ferramenta, dove si vendevano anche sigarette, formaggio, caramelle e pane, conoscemmo un altra gran bella commessa – rasta – di nome Judit, anche questa battezzata “con giudizio”.

Dopo aver fatto conoscenza con parenti di Franka, con una cugina di quest’ultima – Serena – Feta, Franka e Carlo (chi vi scrive), organizzammo un escursione al Pich Lake, sorta di lago di asfalto essicato su un giacimento di pece. Sì perchè Trinidad è molto vicino alle coste del Venezuela, dove notoriamente vi sono i pozzi di petrolio. Una di queste è anche la ricchezza di T&T.

Partimmo perciò per La Brea, villaggio addossato al lago d’asfalto e che dista ad un centinaio di km da POS e una trentina da S. Fernando (Sando per i locali), seconda città per importanza del Paese.

Arrivati a metà mattina, fummo accompagnati da 4 ragazzini del posto che ci fecero da guida, peraltro simpaticissimi e con i quali legammo subito; dopo le foto di rito, al ritorno, ci fermammo in un fast food (il Kentuky) a mangiare pollo fritto e patatine.

Assieme a Franka e i sui genitori, non mancarono diverse uscite sulle spiagge di Maracas, Las Quevas, Manzanilla e Toco, dove si mangiavano enormi panini con lo squalo fritto “bake and shark”.

Non mancarono le visite guidate in città, accompagnati dagli zii di Franka, Leon e Tony, simpaticissimi e di ottima compagnia: Potemmo così ammirare piazze, vie, costruzioni modernissime ed in stile Vittoriano, case in legno con tetti in lamiera, musei e parchi. Uno in particolare la “Savanah” , enormemente grande, dove si facevano corse di cavalli, allenamenti del Criket, sfilate del Carnevale, ecc. Il tutto incorniciato dai 7 castelli o residenze di Ambasciate, del Presidente e del Primo Ministro.

Si andò a mangiare pure in un ristorante gestito da un italiano sposato da diversi anni ad una caraibica.

E, sopratutto, andammo a cenare in un tipico locale del posto, nel giorno del compleanno del Feta.

Quest’ultimo, vista la tavola imbandita anche da 5-6 brocche di acqua e ghiaccio, esclamò che l’acqua – per lui – non era proprio il massimo. Si fece portare perciò 3-4 bottiglie di Frascati, unico vino che disponeva il locale.

Altro aneddoto da raccontare fu quando, un giorno, visitammo una foresta fluviale e lui, curioso per natura, andò proprio ad accomodarsi sul tronco di un albero inclinato ma, punto da insetti, dovemmo rovesciarli mezza bottiglia di rum sul collo e l’altra mezza se la scolò…

Inoltre l’amico si dilettava spesso ai fornelli di casa Franka, preparando gustosi pranzetti all’italiana, cosa che i parenti di Franka apprezzavano molto.

Ci eravamo infatti portato in valigia formaggio parmigiano, pasta, sughi di ogni genere in bottiglia e, specialmente, lardo pestato. Erano leccornie per i locali.

E qui stacco, sperando di non avere stancato chi ci legge, ricordando a malincuore che era ormai il tempo del ritorno. Alla prossima



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