A ciascuno la sua Jamaica
E si parte. Da sola.
Preambolo: organizzo il mio viaggio in solitaria con largo anticipo in quanto i pregiudizi verso i giamaicani sono tantissimi, tutti mi dicono che l’isola è pericolosissima e rischio grosso. Impauriti dalle classifiche redatte dagli organismi internazionali che fotografano la Giamaica come uno dei paesi con il piu alto tasso di omicidi al mondo i turisti rimangono chiusi nei resort e io dovrei fare la stessa fine. Invece scelgo l’opzione di appoggiarmi a Maria Carla, la proprietaria di una guest house a Port Antonio, nord est della jamaica, fuori dal turismo di massa. Maria Carla è giornalista, attivista politica, responsabile di Amnesty International, console e donna speciale, la ricordo mille anni fa presentatrice del Sunsplash e già mi basta questo per spingermi a partire da sola e conoscerla. L’organizzazione del viaggio mi porta a fare la conoscenza di altre splendide persone che mi stimolano e mi incoraggiano. La paura di cambiare idea all’ultimo mi fa prendere il biglietto con largo anticipo, non considerando i mille scali che avrei dovuto fare e che oggi non rifarei più. Se domani dovessi partire, andrei su opodo e prenderei immediatamente un volo per Kingston con 1 solo scalo.
Partenza 1 febbraio. Direzione Montego Bay. E si inizia con un viaggio di 4 ore verso il Nord Est dell’isola, a ritmo di reggae, su una strada piena di buche gigantesche simili a crateri. La rete dei trasporti pubblici non esiste, tutti i giamaicani si muovono su pulmini privati che caricano gente a ogni angolo di strada,suonando il clacson in continuazione. Riassumere quello che i miei occhi hanno visto per 3 settimane è troppo difficile. Malgrado la pioggia che ogni giorno si presentava alla porta, malgrado la stagione assolutamente non lo prevedesse.
Il luogo è a dir poco paradisiaco: Frenchman’s Cove, Winnifred Beach, Long Bay rispecchiano “la spiaggia caraibica”; le Reach Falls, la Rio Grande Valley ti catapultano nella natura e nella vegetazione allo stato puro. La “Jerkeria” di Boston Bay, la ruralità del Mercato di Port Antonio, i colori di Ocho Rios, la strada verso Nine Miles, le baracche improvvisate a bar/discoteche..E mille mille altri angoli da visitare. Potrei dilungarmi a parlare di ital food, di acqua da bere tranquillamente dal rubinetto.. Però, quello che davvero mi preme raccontare è la gente che ho incontrato, i loro sorrisi , la loro voglia di conoscere e il rispetto per la loro terra.
Porterò con me l’atmosfera di Winnifred Beach per tutta la vita, la tranquillità e il relax di quell’angolo di paradiso. Io mi sentivo a casa, non ho mai sentito l’esigenza di dovermi proteggere in qualche modo in quanto ragazza da sola, mai nessun commento pesante, anzi, io mi sentivo davvero al sicuro.
E anche per questo devo ringraziare Carla, rispettatissima da tutti , in quanto è stato fondamentale il suo aiuto perché questa spiaggia non venisse venduta a una multinazionale per la costruzione di un resort. Ad oggi la spiaggia è ancora pubblica, la sola rimasta pubblica, l’unica dove gli abitanti del portland possono trascorrere le loro domenica senza dover pagare uno stipendio per poterci entrare. La battaglia non è ancora finita e speriamo davvero che i giamaicani possano tenersi la loro spiaggia.
Porterò con me l’atmosfera del Fi Wi Sinting, festa popolare come ricordo e memoria delle radici africane. E quella del giorno del compleanno di Bob, raccontato come mito e leggenda e ricordato con tutti gli onori. Devo ringraziare gli innumerevoli compagni di viaggio con i quali ho condiviso buche e chilometri di costa a bordo di scalcinati taxy,li ringrazio particolarmente perché per i viaggi un po’ più lunghi ho potuto dividere con loro le spese di un driver privato, cosa che da soli risulta davvero esosa (vedi tragitto da MoBay a Port Antonio). Ogni sguardo, ogni sorriso meriterebbe un racconto.
La cronaca parla di una jamaica caratterizzata da violenze, ingiustizie,corruzione. In effetti, l’aria che ho respirato a Kingston mi dava quel presagio, è stato un po’ come essere in prigione xchè a Kingston senza essere accompagnati non è possibile per una ragazza da sola.
Io voglio dire che la jamaica non è solo quello. Mi sono ritrovata a discutere in merito alle liriche omofobe, mi sono trovata davanti una realtà inaccettabile per me, i giamaicani davvero non ne vogliono sapere degli omosessuali, non vogliono comprendere. Ma sono sicura che se in tanti proviamo a dare le nostre motivazioni in modo educato e civile davanti a una Red Stripe, come ho fatto io, una soluzione è possibile.
Sembrerà assurdo ma le serate con Carla a discutere di polizia corrotta, malavita, analfabetismo, violenza con le minoranze, le 2 ore passate con il barista a cercare di fargli capire che siamo tutti uguali, mi hanno fatto innamorare di quest’isola. Potevo scegliere un resort a Negril e vedere con i miei occhi come il turismo cancelli le radici di un popolo e come il soldo incattivisca la gente. Ho scelto di andare in mezzo ai rasta, in mezzo alla natura, a scoprire quella che per me è la vera Jamaica. Anche qui si può scegliere la porzione pregiata servita in un ristorante elegante oppure quella comprata all’angolo di una strada e cotta alla brace in un bidone di latta – jerk – due mondi , un’isola. Non c’è un’opzione che valga più dell’altra, semplicemente i 2 mondi non si toccano. L’esempio più eclatante è che in Giamaica si produce il caffè piu’ buono del mondo, ma in giro non trovi altro che caffè solubile senza sapore e odore. Tutto ha un prezzo, e qui la differenza la vedi davvero. L’isola è costosa, ma come lo è per noi, ancora di più lo è per i giamaicani. Poi un giorno ho avuto una folgorazione. Ho avuto l’illuminazione. Stavo ascoltando IRIE FM dalla radiolina sul frigorifero (xchè c’era una radio in ogni stanza) e ho capito. Ho capito cosa mi ha portato qui. Non capivo perché il reggae è cosi potente. Non è la ganja, non è nemmeno il mare con le palme sulla spiaggia. E’ che in ogni taxi su cui sono salita (e vi assicuro che sono stati molti), di fianco a ogni casa cui sono passata,è la musica che la fa da padrona,colonna sonora di tutti gli abitanti di quest’isola,una sola radio regna sovrana,un solo suono:il reggae. Qualche altra stazione c’è,ma nessuno l’ascolta,tutti fanno scoccare le ore da IRIE FM,dal reggae. Io credo che sia questo a rendere unita l’isola, non è sicuramente un’operazione commerciale. C’è un solo posto dove non sento molta musica ed è la spiaggia, xchè il mare ha già ql suono potente che circonda tutto. Sto pensando che è un po’ come il discorso che in Italia manca il senso della nazione, rappresentato forse solo dall’episodio di commemorazione a De Andrè che risuonava lo stesso pezzo in ogni stazione alla stessa ora per tutta la penisola. E magari tanti non se ne sono nemmeno accorti. E sto pensando che in fondo è un poco come a Napoli che risuona di musica popolare in ogni dove. Ma Napoli è un pezzo, non è il tutto. Ok, forse la povertà dell’isola aiuta a cercare un’unità da qualche parte, ma poi la povertà cos’è? Qui nessuno obbliga nessuno ad ascoltare reggae. Rimane il fatto che tutti l’ascoltano. Ce l’hanno dentro. Questa è la potenza del reggae. Ti arriva dentro e tu sei inconsapevole del fatto che milioni di persone si svegliano vivono e vanno a letto con qlla musica nell’anima. Forse ancora non è chiaro. Ma questa è la linfa di un popolo intero. Noi, una linfa non ce l’abbiamo.
A ciascuno la sua Jamaica. E questa era la mia.
Ero partita dicendo: ‘mi come here fi drink milk, mi noh come here fi count cow,ca if me wulda know seh a cow me a come count, me beta stay inna mi yaad’ vengo qui a bere il latte, non vengo qui a contare le vacche, xchè se avessi saputo che sarei venuta a contare le vacche, sarebbe stato meglio rimanere a casa non sono venuta per perdere tempo Missione compiuta.
E basta dire che la Jamaica è pericolosa! Un bless speciale a Maria Carla, Francesca, Jahmani, Gianluca, Otis, Marc e Ivonne, Mali , il figlio di Dicki’s, Nicola e Irene, Michele e Valentina e alla moglie di Woody e il suo Enjoy your cake!!!!!