9 parchi nel cuore – California, Arizona, Utah e Nevada
Ci piace definirci “viaggiatori con budget limitato”, per questo abbiamo pernottato nei motel più economici, abbiamo quasi sempre pranzato al sacco e a volte cenato in camera con cibo caldo acquistato al supermercato. Detto ciò, il nostro racconto di viaggio risulta perciò molto utile e ricco di informazioni per chi desideri sostare per non più di un giorno nello stesso luogo e voglia immergersi nella natura dei parchi, praticando un po’ di attività all’aria aperta.
Tuttavia, le miglia da percorrere in macchina sono molte, per cui bisogna munirsi di tanta pazienza anche se le strade per lo più dritte degli Stati Uniti non richiedono una grande concentrazione alla guida e la benzina costa un terzo che in Italia.
Abbiamo viaggiato l’ultima settimana di marzo e i primi di aprile e le temperature sono risultate molto gradevoli in quasi tutti i parchi, nonostante a causa della neve al Grand Canyon e al Bryce alcune camminate fossero chiuse. La Death Valley ovviamente ha fatto eccezione con i suoi 35°C.
SAN DIEGO – JOSHUA TREE NATIONAL PARK – NEEDLES
25 Marzo
Partiamo da San Diego in mattinata e raggiungiamo l’entrata meridionale del JOSHUA TREE NATIONAL PARK in circa 3 ore 20 minuti, seguendo la I-15 N fino a Temecula e proseguendo da lì verso Indio. Già ci sorprendiamo dei cambiamenti nel paesaggio passando dalla costa ricca di vegetazione e abitazioni alla pianura desertica in cui a tratti spuntano montagne punteggiate solamente da arbusti e cittadine a diverse miglia l’una dall’altra. Prima di raggiungere il centro informazioni a sud del parco, bisogna percorrere un breve tratto di strada. Arrivati al Cottonwood Visitor Center compriamo la tessera dei parchi valida per una settimana (Annual Pass: $80; dà accesso a tutti i parchi nazionali, non a quelli statali nè a quelli Navajo; è valida per un anno e si può utilizzare. Per prima cosa ci dirigiamo a Cottonwood Spring dove parcheggiamo la macchina e ci incamminiamo sul primo “trail” della nostra vacanza verso Lost Palms Oasis (3.7 miglia, 4 ore andata e ritorno). È un percorso molto semplice, piuttosto lungo e da evitare in estate quando fa troppo caldo, come la maggior parte delle camminate nei parchi statunitensi meridionali a meno che non si sia ben equipaggiati. Quando si raggiunge l’oasi di palme nel mezzo di un avvallamento si rimane meravigliati, soprattutto perché durante il tragitto si incontrano solo arbusti e ocotillos, piante molto caratteristiche. Tutte le piante ci incuriosiscono. Ritornati al punto di partenza nel primo pomeriggio decidiamo di dirigerci verso nord seguendo l’unica strada asfaltata che collega il lato meridionale del parco a quello settentrionale. Facciamo una sosta al Cholla Cactus Garden, una distesa di cactus piuttosto singolari e dopo il campground “Belle” svoltiamo a sinistra per esplorare “The Wonderland of Rocks”. Percorrendo la strada all’improvviso ci si imbatte infatti in un’area del parco piena di rocce di grandi dimensioni e degli immancabili Joshua Trees, gli alberi che danno il nome al parco. Sulla strada ci fermiamo in diversi punti per goderci il paesaggio, alla Skull Rock a forma di teschio e alle Jumbo Rocks dove ci arrampichiamo sulle pareti di roccia. Più avanti imbocchiamo la strada sterrata “Desert Queen Mine Road” alla cui fine parcheggiamo e in un quarto d’ora a piedi andata e ritorno raggiungiamo un punto panoramico da cui si vedono le vecchie entrate delle miniere. Purtroppo non possiamo dedicare più tempo al parco, avendo programmato di passare solo un giorno qui, così ci dirigiamo verso Twentynine Palms, ossia la cittadina dove si trova l’entrata nord del parco. Avremmo voluto fermarci anche all’Oasis of Mara per contare se realmente le palme al suo fianco fossero 29 ma l’ingresso alle h 18.15 è ormai chiuso. Perciò ecco che ci spostiamo verso Amboy, attraversando il Bristol Dry Lake, ossia un lago asciutto di cui è rimasta solo una distesa bianca di sale. L’idea era di pernottare al “Roy’s Hotel Cafè” che scopriamo essere chiuso da almeno 5 anni. Il proprietario della pompa di benzina ci spiega che mantengono il sito internet aggiornato solo per attirare i turisti e farli fermare a far benzina! E non vendono nemmeno cibo! Quindi il luogo più vicino per passare la notte è a due ore da Amboy, a Needles, strada che ci costringe a percorrere un tratto di ROUTE 66 al buio, senza potercela godere un po’. Appena usciti dalla I-40 E a NEEDLES ci accontentiamo di pernottare nel primo motel che incontriamo, ossia il “Rio del Sol Motel” ( $ 59 in double, io non ho dormito molto a causa dei rumorosi camionisti che bazzicavano proprio davanti alla nostra porta) e ci fiondiamo a mangiare al “Taco Bell” ($ 10 per due Buck Box con burritos, tacos, patatine..insomma un fast food messicano non troppo leggero). Dopo aver programmato la giornata seguente ci tuffiamo esausti nel letto king size (quindi un letto a quasi tre piazze!!).
NEEDLES – GRAND CANYON SOUTH RIM – TUBA CITY
26 Marzo
Ci alziamo ancora un pò spossati per il giorno precedente, ma vogliosi di scoprire cosa ci riserva il giorno nuovo. Seguendo la I-40 E e proseguendo per Tusayan in 3 ore siamo al Back Country Information Center del GRAND CANYON SOUTH RIM dove recuperiamo tutte le informazioni per la giornata. Lasciamo la macchina al parcheggio e ci dirigiamo verso la fermata del bus rosso gratuito chiamato “Hermits Rest Route Transfer” dopo esserci coperti con tutte le giacche estive portate dall’Italia. A fine marzo nella parte meridionale del Grand Canyon nevica e le temperature possono raggiungere gli 0°C o meno. Inoltre tira un gran vento. Il bus rosso è l’unico mezzo di trasporto ammesso sulla Hermit Road e sosta in 5 punti panoramici. Se si ha tempo si può percorrere la strada a piedi e poi tornare con il bus, ma purtroppo questo non è il nostro caso. Ad ogni modo in 3 ore riusciamo a fermarci in tutti i punti panoramici (Maricopa, Powell, Hopi, The Abyss, Pima Point e Hermits Rest). Se non si vuole attendere per il bus successivo, si può scendere, fare due foto e subito dopo rientrare nel pullman che attende solitamente cinque minuti prima di ripartire. Non sappiamo esprimere preferenze, da qualsiasi punto lo si veda il Grand Canyon è favoloso e stupisce per la sua maestosità. Gli scorci del fiume Colorado regalano ancora più emozioni. Nonostante faccia freddo, la neve blocchi ancora la maggior parte dei trails (percorribili solo con scarponcini da neve o ciaspole) e il cielo sia coperto di nuvole, i colori del canyon non smettono di stupirci. Giunti nuovamente al parcheggio ci dirigiamo alla volta della Desert View Drive che ci porterà all’entrata orientale del Grand Canyon. Sostiamo solo in corrispondenza dei punti panoramici che ci sono stati suggeriti al Visitor Center, ossia Lipan Point, Navajo Point e Desert View, tutti molto meritevoli. Tuttavia, il punto panoramico che maggiormente ci colpisce, il Little Colorado Scenic Overlook, è proprio a 30 minuti dall’uscita est del parco. Non è difficile vederlo dalla strada e dopo l’orario di chiusura non è a pagamento (essendo un’area Navajo). Fatti pochi passi ci si ritrova sull’orlo di un canyon da dove si può ammirare uno scorcio singolare del Little Colorado River. Dopodichè ci affrettiamo verso TUBA CITY, passando per Cameron, imboccando la US-89 N e la US-160 E. Giunti nella cittadina, composta per la maggior parte da hotel e ristoranti, decidiamo di pernottare al “Dine Inn Motel” ($57 per una double) e di cenare al “Katy’s Café” ($26 / 2 pp., carne, uova e patatine in abbondanza e di buona qualità; l’ambientazione del ristorante ricorda uno di quei vecchi fast food che ci vengono riproposti nei film americani). Notte decisamente tranquilla.
TUBA CITY – MONUMENT VALLEY – PAGE
27 Marzo
Da Tuba City in 1 ora e mezza siamo alla MONUMENT VALLEY (visto che è un parco Navajo l’entrata è a pagamento, $ 6 per veicolo). Che dire! Oggi il sole splende, fa particolarmente caldo e non vediamo l’ora di girarci in macchina il percorso sterrato che conduce a diversi punti di interesse per ammirare al meglio questa valle meravigliosa. Innanzitutto, già dal Visitor Center si gode della vista più famosa della valle, “The Mittens and Merrick Butte”, tre guglie nel mezzo di una pianura desertica. Il punto migliore per fare foto è dal balcone a cui si accede da una porta del negozio di souvenir. Pieni di aspettativa incominciamo la nostra discesa verso il primo punto panoramico che permette di contemplare meglio i tre “Buttes”. Veniamo sorpassati ripetutamente da fuori strada che possono permettersi di andare più veloce rispetto alla nostra Ford Focus che ad ogni modo ha compiuto sempre il suo dovere (nonostante in alcuni casi le strade percorse durante la vacanza fossero veramente off limit). Seconda tappa: Elephant Butte”, una formazione rocciosa che richiama il profilo di un elefante. Le “Three Sisters”, tre guglie strette che si distinguono rispetto ai monti rocciosi attorno ad esse, si possono osservare da più vicino effettuando una deviazione a destra verso il “John Ford’s Point Overlook” dove si può camminare su una sporgenza rocciosa e innamorarsi per l’ennesima volta della Monument Valley. Proseguendo sulla strada ci fermiamo a “Bird Spring” e “Totem Pole & Yei Bi Chei” (sulla mappa fornitaci dal centro informazioni queste formazioni rocciose non sono riportate coi nomi coi quali poi vengono contrassegnate sui cartelli ma vale la pena fare una sosta). Sempre più estasiati raggiungiamo l’”Artist’s Point Overlook” e tornati sulla strada circolare proseguiamo per “The Thumb”, roccia a forma di pollice all’insù, fino alla “North Window Overlook”. Qui decidiamo di scendere dalla macchina (appena giunti all’imboccatura della “finestra” tra le due pareti rocciose, alla vostra destra cercate il profilo del viso e della pancia di un uomo =). Ci avventuriamo sul sentierino che gira intorno a “Cly Butte”. Sostiamo in un luogo ombreggiato con un’ampia vista sulla valle per pranzare al sacco e continuiamo a seguire il sentierino (ad un certo punto non è più segnato, quindi consigliamo di camminare a monte e di fare lo slalom fra le rocce, attenzione ad alcuni tratti sdrucciolevoli; alla fine si raggiunge uno spiazzo sabbioso cosparso di arbusti, noi semplicemente abbiamo seguito le orme dei cavalli fino alla strada sterrata già percorsa che ci ha riportato alla macchina, percorso totale di circa 30-40 minuti). Dopo quest’avventura passiamo per l’ultimo punto rimasto, “Camel Butte”, una formazione rocciosa a forma di cammello. Alla fine del percorso, durato in totale 3 ore, ci godiamo la vista dal balcone del centro visitatori per circa un’oretta. Dopodiché eccoci di nuovo in strada verso PAGE, a 2 ore dalla Monument Valley (si percorre di nuovo un tratto di US-160 W e poi si imbocca la AZ-98 W). Giunti a destinazione ci fermiamo al primo motel che sembra non fare parte di alcuna catena alberghiera (di solito risultato i più economici). Ci sistemiamo al “Page Boy Inn” ($ 46 in double con colazione compresa), un motel molto carino in cui rimarremo per tre notti nella stanza n°3 (da noi tanto amata a causa della foto alla parete raffigurante “The Wave”). Ceniamo al “Pizza Hut” ($ 20 per due pizze medie, non ottime ma più che gustose per la fame che ci ritroviamo).
28 Marzo
Upper Antelope Canyon – Marble Canyon
Ci alziamo alle 7 e filiamo dritti a far colazione (a base di cereali, caffelatte e tortine). Siamo gli unici due! Obiettivo della giornata: vincere la lotteria e ottenere il permesso per andare a “The Wave”. Su internet le informazioni sono piuttosto confusionarie; ci affidiamo a un racconto di viaggio in cui c’è scritto di raggiungere un certo “BLM” ossia “Bureau of Land Management” alle 8.30 per iscriversi alla lotteria entro le 9 e partecipare così all’estrazione di sole 10 persone che otterranno il permesso di raggiungere “The Wave” il giorno successivo (più altre 10 persone che hanno preventivamente ottenuto il permesso online per estrazione, avendo dovuto però iscriversi almeno 4 mesi prima!). Tutti di fretta ci mettiamo in strada in direzione N sulla US-89 per arrivare al primo Bureau of Land Management a BIG WATER in meno di 20 minuti. Ci fiondiamo nell’ufficio, ma ecco la sorpresa! La tanto agognata lotteria non avviene qui, bensì al “Paria Contact Station” che si trova ad altri 15 minuti da qui. Inoltre, visto che questo ufficio si trova nello Utah, che è 1 ora avanti rispetto all’Arizona e quindi a Page, siamo in ritardo. Siamo sconsolati, ma decidiamo di tentare la fortuna il giorno seguente. Facciamo dietrofront e da Page raggiungiamo la AZ-98 fino all’indicazione dell’Upper Antelope Canyon. Nel parcheggio veniamo subito accolti da un indiano da cui acquistiamo un tour guidato ($ 31 /pp + $ 6 /veicolo per l’entrata in un parco Navajo) che parte alle 11.30 dal parcheggio poiché mezzogiorno è il momento migliore per fotografare i raggi di luce che penetrano all’interno degli “slot” (ossia canyon piuttosto stretti, all’aperto o al chiuso, scavati dalla forza dell’acqua). Dopo la prenotazione ci dirigiamo verso la HORSESHOE BEND (sulla US-89 S), un punto panoramico sull’orlo del canyon che si raggiunge in 10 minuti a piedi. Si tratta di una curva a forma di ferro di cavallo che il fiume Colorado forma all’interno del canyon; è veramente stupenda, con riflessi che vanno dal blu scuro al verde. Dopodiché ritorniamo al motel, pranziamo e ci presentiamo puntuali all’appuntamento all’entrata dell’UPPER ANTELOPE CANYON. Veniamo caricati insieme ad altre 10 persone su un camioncino a 4 ruote motrici, mentre altrettante persone vengono fatte salire su un altro camioncino (loro prenderanno parte al tour fotografico, più costoso, il quale dà la possibilità di fermarsi più a lungo sotto i raggi di luce e poter avere delle foto senza persone nel mezzo di esse). Con il camioncino-jeep percorriamo un tratto sabbioso (è impossibile tenere aperti occhi o bocca, la sabbia entra ovunque). Raggiungiamo l’imboccatura dello slot canyon e dopo una breve spiegazione della nostra guida indiana ci addentriamo nel canyon assieme a troppe altre persone (il tour di mezzogiorno è in assoluto il più affollato ed essendo il canyon molto stretto in certi punti bisogna lasciare passare i gruppi che ritornano dai tour precedenti). Nonostante l’affollamento questo canyon non può far altro che affascinarci e siamo ben contenti che la guida ci abbia preso in simpatia poiché continua a prenderci in prestito la macchina fotografica e a scattare delle foto per noi (inoltre ci insegna a impostare la macchina per scattare foto in luoghi bui, siamo proprio imbranati). Sgattaiolando sotto i raggi di luce solare nei giusti momenti riusciamo a immortalarci proprio al di sotto di essi. Il tour purtroppo dura 1 ora e mezza, ci piacerebbe restare finché tutta la gente se ne va e goderci da soli questa meraviglia della natura. Consiglio molto importante: abbiamo incontrato un indiano che ci ha consigliato di visitare GRATUITAMENTE il “Lower Antelope Canyon”, sul lato opposto della strada rispetto all’”Upper Antelope Canyon”. Rispetto al suo gemello il “Lower” è leggermente più largo alla base ma permette di godere degli stessi scorci senza dover pagare e trovarsi incastrati tra la parete rocciosa e il turista di turno. Purtroppo il “lower” non viene pubblicizzato, nemmeno su internet.
Prossima tappa: MARBLE CANYON. Si deve imboccare la US-89 S e a Bitter Springs effettuare una curva a U, proseguendo sulla strada fino ad arrivare al Navajo Bridge. In realtà si tratta di due ponti di ferro battuto, uno pedonale e l’altro per il passaggio dei mezzi. Tappa obbligatoria. Non ci fermiamo al centro visitatori ma continuiamo a seguire la strada godendoci la guida all’interno di questo canyon rosso accesso. Passiamo Vermillion Cliffs Lodge e ci fermiamo per strada in corrispondenza delle Old Rock Houses, curiose casupole costruite a ridosso di pietre enormi rotolate chissà quanti milioni di anni fa dal fianco del canyon. Proseguiamo fino all’Old Cliff Dwellers Lodge, dove un anziano signore e un ragazzo ci fanno da “visitor center” e ci consigliano di tornare verso il Navajo Bridge e girare poco prima in una strada a sinistra fino all’indicazione del percorso “Cathedral Wash”, un trail della durata di 3 ore andata e ritorno nel mezzo di un canyon in discesa che sbocca sul Colorado River. Ci forniscono una cartina e ci raccomandano di restare sulle rocce sulla destra del canyon appena giunti a metà percorso. Il trail inizialmente è piano, poi incomincia a discendere e richiede un bel po’ di sali e scendi su rocce non sempre stabili o a portata di tutti. In ogni caso lo sbucare sulla riva del Colorado River in piena è un ottimo stimolo che invoglia a proseguire; la salita al ritorno lo è un po’ meno, ma per noi è valsa la pena avventurarci in questo ramo di canyon e fare un po’ di movimento fisico. Giunti alla macchina puntiamo dritti a PAGE, dove una volta giunti al nostro motel ceniamo in camera con pollo arrosto, verdura, frutta e biscotti comprati al supermercato all’insegna del risparmio (di qualità comunque ottima).
THE WAVE LOTTERY – WAHWEAP HOODOOS
29 Marzo
Oggi è il giorno più agognato di tutta la vacanza, su cui abbiamo concentrato molte delle nostre aspettative. Alle 6.30 del mattino ci mettiamo in strada alla volta del PARIA CONTACT STATION a 30 minuti da Page. Esso si trova nello Utah, quindi un’ora avanti rispetto all’Arizona (Page). Lo raggiungiamo alle 8 (7 per l’Arizona) e aspettiamo che venga aperto il cancello per parcheggiare davanti al centro informazioni (già due macchine oltre alla nostra aspettano di entrare). Poco dopo le 8.30 incominciano ad arrivare sempre più persone per compilare il foglio in cui bisogna inserire i propri dati. Una volta compilato, si consegna ad uno dei ranger che assegna un numero ad ogni gruppo (ciascun gruppo deve essere composto massimo da 6 persone). Noi siamo il numero 4. Alle 9 categoricamente non accettano più iscrizioni e si incomincia la lotteria vera e propria. Nella stanza siamo circa una quarantina e si sente la tensione. I ranger incominciano a girare il gabbiottino con le palline numerate. Non siamo il primo numero estratto. Quando annunciano il 2° numero estratto, il 4, quasi non esultiamo nemmeno, un po’ per rispetto per le altre persone che gelose ci guardano, un po’ perché non ce ne rendiamo subito conto di aver vinto la lotteria per The Wave!!! Dopo aver assegnato 9 posti, l’ultimo n° estratto è di una coppia; purtroppo solo uno dei due può partecipare per raggiungere il numero di 10 persone ammesse; il marito lascia il posto alla moglie che ci avvicina il giorno seguente per farsi scattare delle foto. I ranger consegnano ad ogni gruppo di partecipanti dei talloncini verdi (uno per la macchina e uno da portare con sé durante la camminata) e una mappa ultra dettagliata con foto e descrizioni del percorso. Segue un’ulteriore spiegazione del percorso da parte del ranger e infine ognuno paga $7 di permesso e può chiedere chiarimenti riguardo al tutto. Noi ci informiamo su un possibile trail che ci tenga impegnati nel pomeriggio; optiamo per l’hike che porta ai WAHWEAP HOODOOS, pilastri rocciosi bianchi con una roccia rossastra in equilibrio sulla cima. Torniamo a Page e prenotiamo un’altra notte in motel, rigorosamente nella stanza dei giorni passati. In 15 minuti siamo a Big Water dove bisogna imboccare l’unica strada sulla sinistra; seguendola bisogna raggiungere l’area di parcheggio prima dell’attraversamento del fiume. Facciamo il grave errore di non leggere a fondo le indicazioni sulla mappa affidataci (il percorso segnato sulla cartina non è del tutto chiaro senza la spiegazione in basso a sinistra). Così proseguiamo sulla strada #327 (la Nipple Creek Road) che è in pratica quella che si imbocca attraversando il fiume e è adibita al passaggio di veicoli 4×4. Camminiamo di buona lena per circa mezz’ora, godendoci tra l’altro il paesaggio di mille colori, ma dopo una faticosa salita decidiamo di dare una sbirciata alla indicazioni sulla mappa e scopriamo che siamo sulla strada sbagliata. Torniamo al punto di partenza e stavolta imbocchiamo senza esitazioni il percorso corretto (basta seguire il letto del fiume). Come in molte altre camminate l’andata ci risulta sempre più complicata perché come in questo caso non siamo riusciti a trovare sempre il percorso più o meno battuto per raggiungere la meta, per cui ci siamo infilati in mezzo ai cespugli parecchie volte, convinti di tagliare la strada ma in realtà complicandoci la vita perché siamo stati costretti a fare zig zag fra gli arbusti. Dopo circa 2 ore e mezza intravvediamo a breve distanza le agognate colonne bianche, molto caratteristiche, e, come capita spesso nei parchi americani, inaspettate poiché uniche nel contesto circostante. Nonostante venga consigliata la visita in mattinata affinché il sole illumini gli hoodoos, dopo 3 ore e mezzo di cammino a noi sembrano perfetti così come sono. Dal primo gruppo di hoodoos, proseguendo per una cinquantina di metri, appare un altro gruppo di colonne, questa volta più piccole, ma il gruppo più singolare si trova ancora più avanti dietro la parete di roccia che lo copre alla vista, nel cui mezzo ecco spuntare “The Tower of Silence”. Siamo contenti di essere gli unici in assoluto sul percorso, innanzitutto per la pace che si respira e in secondo luogo perché, sgretolandosi molto facilmente, gli hoodoos scomparirebbero se fossero assaliti da masse di turisti tutti i giorni. È giusto che il percorso rimanga non segnalato, un po’ misterioso e selvaggio, frequentato principalmente da mucche nere e piccoli roditori. In qualità di camminatori non troppi esperti il nostro consiglio è di tenere sempre d’occhio la mappa e il terreno in cerca di impronte umane e piccoli mucchi di pietre che indicano che si è sulla buona strada. Il ritorno è stato come sempre più agevole e breve. In 6 ore abbiamo concluso l’ennesima avventura. Torniamo a PAGE*, fisicamente distrutti ma contenti. Controlliamo il meteo per il giorno successivo; la primavera ci sta graziando con un solo giorno di brutto tempo nel Grand Canyon.
*Proprio a ridosso della città si trova l’estremità meridionale del lago Powell incluso nel più esteso “Glen Canyon”. Purtroppo non abbiamo avuto il tempo e i soldi necessari per poter visitare il lago, accessibile prevalentemente tramite imbarcazioni da diporto, tramite diverse strade sterrate percorribili da 4×4 o raggiungibile grazie a percorsi piuttosto lunghi e tortuosi attraverso varie ramificazioni del canyon.
Noi abbiamo solo goduto della vista sul lago Powell da un punto panoramico lungo la US-89 N e abbiamo intravisto la “Lone Rock” dalla strada.
THE WAVE – MT CARMEL JUNCTION
30 Marzo
Ci alziamo con un gran sorriso. Facciamo colazione al motel e partiamo con destinazione “The Wave”. In poco più di mezz’ora sulla US-89 N si raggiunge l’imbocco della strada sterrata (non del tutto visibile dalla strada) che porta al parcheggio da cui si può raggiungere THE WAVE oppure percorrere il trail “Buckskin Gulch”, ottenendo anche in questo caso un permesso e equipaggiandosi per più giorni. Non bisogna dimenticarsi di esporre il tagliando verde sul parabrezza della macchina e di registrarsi nell’apposito fascicolo a fianco all’unico punto informativo che si vede. Grazie alle spiegazioni iper-dettagliate, corredate di foto e mappa, fornite dal Paria Contact Station, è difficile perdersi. Nonostante siano ammesse solo 20 persone al giorno, lungo il trail vi sono diverse impronte e segnali lasciati da visitatori precedenti che non disturbano in nessun modo il paesaggio e, nello stesso tempo, aiutano a ritrovare la strada a chi si perde. Dopo circa 1 ora avvistiamo il famoso “notch” (solco nella roccia che sovrasta The Wave). Un’altra mezzora a piedi e siamo finalmente a “The Wave”, letteralmente onde che solcano la roccia prima rossa, poi rosa, poi arancio e gialla. Ci sono poche parole per descrivere cosa si prova a vedere una simile meraviglia naturale, extraterrestre una fra tutte. Sembra di essere veramente su un altro pianeta e ovviamente il bello non è restare in questa prima “onda” ma esplorare attorno, come consigliano i ranger, poiché l’intera area è protetta e solo vincendo la lotteria si può accedere a questo spettacolo. Troviamo una seconda “The Wave”, la Burger Rock (nome utilizzato da qualche turista fantasioso e da noi riciclato), giungiamo fino a una cascata piuttosto asciutta e ci arrampichiamo fino in cima; al ritorno passiamo attraverso un canyon di onde e saliamo fino a “The Wave”. Viene quasi voglia di non camminare sulle onde di roccia per non rovinarle; si sgretolano così facilmente. Dopo la pausa pranzo sdraiati nelle conche naturali scavate dal vento e dall’acqua, decidiamo di scalare la parete che fiancheggia The Wave in cima alla quale si trova un arco naturale di pietra. Ci mettiamo circa 40 minuti salita e discesa; dall’alto si gode di una vista spaziale: gruppi di formazioni rocciose tutte colorate da entrambi i lati, fantastico! Nella discesa raggiungiamo una terza “The Wave”, cappeggiata da due torrette rocciose che si trova esattamente alla destra della “Wave” originaria ma non è facilmente raggiungibile e visibile se si arriva dal percorso stabilito nella mappa. Scattiamo una foto dopo l’altra ammagliati, ma ormai è giunta l’ora di incamminarci verso il parcheggio. A malincuore abbandoniamo questa marte sulla terra e in circa 1 ora di cammino raggiungiamo il parcheggio. Dopo aver lasciato un commento entusiasta sui fogli in cui ci eravamo registrati al mattino, partiamo alla volta di MT CARMEL JUNCTION e in 1 ora 15 minuti giungiamo a destinazione. Questa località è costituita da due alberghi con due ristoranti annessi, un benzinaio e qualche campeggio, meglio così. Dormiamo al “Golden Hills Motel” ($ 42 in double, molto pulita e confortevole) e ceniamo al ristorante annesso ($ 12 / 2 pp., All you can eat – Salad and Soup), molto economico. Prendiamo almeno 3 scodelle di zuppa a testa, tutte le verdurine possibili, una macedonia di frutta fresca e delle belle fette di torta, tutto molto buono e a solo $6 a testa!
MT CARMEL JUNCTION – RED CANYON – BRYCE CANYON – ESCALANTE
31 Marzo
Ci svegliamo con molta calma, le passeggiate degli ultimi giorni si fanno sentire sul nostro fisico. Ci gustiamo due cappucini French Vanilla (il mia versione di cappuccino preferita anche se estremamente dolce) e imbocchiamo la US-89 N e poi la UT-12 E. Il sole splende, cumuli di neve fiancheggiano i bordi della strada e le rocce rosse del RED CANYON risaltano in contrasto al blu intenso del cielo. Ci fermiamo a fotografare gli archi di pietra scavati per il passaggio dei veicoli e a passeggiare fra i pinnacoli rossi (da questo stop partono diversi trail, fra i quali il Photo Trail e il Birdseye Trail). Ci rimettiamo in strada e dopo 10 minuti giungiamo all’entrata del BRYCE CANYON dove, mostrando la tessera dei parchi “Annual Pass”, entriamo gratuitamente. Il Bryce si estende per diverse miglia, ma noi decidiamo di non spingerci oltre il Bryce Point e di visitare in macchina i principali punti panoramici del Bryce Amphitheater. Per chi ha più di un giorno a disposizione il parco offre trail magnifici; a noi sarebbe piaciuto il Navajo Loop Trail, ma non avevamo né scarpe giuste (con la neve che si scioglie il terreno è tutto fangoso) né tempo sufficiente a disposizione. Il primo punto al quale ci fermiamo è il Bryce Point, quello più a sud; veniamo subito colpiti dalla maestosità degli hoodos arancioni, gialli, rosa che si innalzano tutti al di sotto di noi formando letteralmente un grande anfiteatro di colori e forme. I pinnacoli sono ancora coperti di neve, ma la temperatura esterna è molto gradevole, con una giacchetta e un maglione si sta bene al sole. Seconda tappa: Inspiration Point che richiede una piccola salita fino al punto di osservazione più alto. Anche questa vista è promossa a pieni voti. Poi ci spostiamo al Sunset Point, dove discendiamo lungo il sentiero al sole per qualche centinaio di metri per ammirare al meglio le formazioni di roccia. Dopodiché pranziamo al sacco nell’area picnic dove veniamo avvicinati da due uccelli molto singolari, il Clark’s Nutcracker che si muove perpendicolarmente ai tronchi degli alberi molto velocemente e lo Steller’s Jay di colore blu-violetto che è facilmente riconoscibile per il ciuffo che ha in testa e per i suoni particolari che emette. Rinvigoriti ci dirigiamo verso l’unico punto rimasto, il Sunrise Point, che offre di nuovo una prospettiva differente sul meraviglioso anfiteatro. Soddisfatti dallo spettacolo del Bryce usciamo dal parco dopo aver avvistato numerosi alci e proseguiamo sulla Ut-12 E fino ad ESCALANTE. Dopo 1 ora avvistiamo il “Moqui Motel” subito dopo essere entrati nel piccolo paesino e decidiamo di passarci la notte ($50 per una double), facciamo la spesa nell’unico supermercato della cittadina e ceniamo in camera.
ESCALANTE – LOWER/UPPER CALF CREEK FALLS – BRYCE CANYON – MT CARMEL JCT.
1 Aprile
Appena svegli cerchiamo un bar per far colazione e l’unico aperto è un cafè non molto visibile dalla strada principale (infatti chiediamo informazioni a un locale). Oggi vogliamo dedicarci a due passeggiate nella natura e usare la macchina il meno possibile. Il primo trail del giorno è quello che conduce alla LOWER CALF CREEK FALL, ossia una cascata alta circa 40 metri che discende lungo la roccia formando un piccolo bacino d’acqua verde smeraldo ai suoi piedi. È meglio arrivarci quando è ancora mattina perché la luce del sole mette in risalto maggiormente i colori del luogo. Impieghiamo 10 minuti di macchina fino al parcheggio del Calf Creek Campground a 15 miglia da Escalante e circa 30 minuti a piedi per arrivare alla cascata. Ci restiamo per ben due ore, sdraiati sotto il sole cocente in un angolino di sabbia. Dopo il meritato relax torniamo al parcheggio. Bisogna pagare $2 per fare la camminata ($1 se si ha la tessera dei parchi) che si devono inserire in una busta da prelevare al punto informazioni nel parcheggio del campground (ricordarsi di esporre il tagliandino che attesta il pagamento sul cruscotto della macchina). Il secondo trail conduce all’UPPER CALF CREEK FALL, una seconda cascata meno bella rispetto alla Lower e più difficile da raggiungere, ma a noi piacciono maggiormente i percorsi impegnativi, quelli che ti fanno arrampicare un po’ su e giù dalle rocce. Proseguendo sulla UT-12 E, peraltro percorrendo un tratto di strada molto panoramico, bisogna imboccare una strada sterrata, troppo sterrata per i nostri gusti, sulla sinistra, non facilmente visibile dalla strada. Giunti al parcheggio a piedi (la nostra Focus non ce la faceva ad arrivare fin qui) ci registriamo nel fascicolo all’inizio del trail e incominciamo a discendere lungo la parete di roccia seguendo i mucchi di sassolini che indicano il cammino. Arriviamo ai piedi della cascata dopo 20 minuti e ci godiamo la caduta dell’acqua al fresco sotto una roccia sporgente. Non contenti raggiungiamo anche la parte superiore della cascata per vederla dall’alto; dopodiché ritorniamo indietro in circa 30 minuti; la salita è più faticosa e il caldo e il sole ci costringono a delle pause per bere e asciugarci il sudore. Entrambe le cascate si trovano all’interno del parco Grand Staircase – Escalante, un parco enorme la cui entrata è gratuita.
Abbiamo calcolato di arrivare al BRYCE CANYON per il tramonto (in questo periodo dell’anno il sole tramonta alle 7.20 circa sul Bryce Canyon) e siamo in perfetto orario. In 1 ora e mezza eccoci al Sunset Point (dopo l’orario di chiusura del Visitor Center non si paga l’entrata del parco). Siamo pronti a vedere l’odissea di colori cangianti promessa da tutti i volantini informativi, ma semplicemente vediamo l’ombra prendere possesso dell’anfiteatro. Anche la puntatina al Sunrise Point ci delude un po’ siccome ci aspettavamo un totale cambiamento di colori. In assoluto per noi è molto meglio vedere il Bryce durante il giorno col sole che crea giochi di luci e ombre tra i pinnacoli. Lasciamo il Bryce in ogni caso a malincuore e ci dirigiamo nuovamente verso MT CARMEL JUNCTION che raggiungiamo in 1 ora, godendoci il tramonto e il circobaleno intorno al sole che ci saluta da dietro i monti. Facciamo appena in tempo a sistemarci in una stanza al “Golden Hills Motel” (sempre $ 42 per una double) e a divorarci altre zuppe e insalate per $6 dollari a testa al ristorante adiacente (che chiude alle 9).
MT CARMEL JUNCTION – ZION NATIONAL PARK – LAS VEGAS
2 Aprile
Consigliamo vivamente a chi voglia visitare lo Zion National Park e le Coral Pink Sand Dunes di pernottare a Mt Carmel Junction. In 30 minuti si raggiungono entrambi i parchi. Studiando le recensioni del Coral Pink Sand Dunes intuiamo che la vera attrazione è cavalcare le dune con una moto o un quod, svaghi non proprio alla portata delle nostre tasche. Con rammarico saltiamo questa tappa in programma e ci dirigiamo allo ZION NATIONAL PARK. Trenta minuti di guida, una galleria piuttosto lunga e qualche tornante ci conducono all’interno del parco più verde fra quelli che abbiamo visitato durante la nostra vacanza. Raggiunto il Visitor Center, veniamo subito sorpresi dalla quantità di gente che si aggira nel parco, la maggior parte cittadini americani con al seguito la propria famiglia. Deduciamo che il mese d’aprile probabilmente è il periodo migliore per gli statunitensi per visitare lo Zion: la temperatura è ottimale per avventurarsi lungo i numerosi trail del parco nonostante l’acqua del fiume sia ancora fredda per poter ristorarsi con un bel bagno. All’interno dello Zion ci si muove con uno shuttle che ferma nei principali punti di interesse. All’interno del Visitor Center veniamo consigliati da una ranger anzianotta molto gentile e piena di spirito che confessa di percorrere ancora diversi trail piuttosto difficili. Se avessimo avuto la giusta attrezzatura (scarponcini da montagna, vestiti impermeabili, caschetto, briglie e quant’altro) avremmo sicuramente scelto di addentrarci nella “Subway”, un trail consigliato ad esperti ma accessibile ai più temerari se si prendono le giuste precauzioni. Si deve ottenere un permesso per percorrerlo e in questo mese dell’anno non è consigliabile perché l’acqua nel canyon (ebbene sì, bisogna tuffarsi e nuotare in alcuni meandri del canyon) è troppo gelida (anche in estate deve essere piuttosto fredda perché il sole non batte mai laggiù). Guardate le foto della “Subway” e vedrete che avrete voglia di fare anche voi questa “scampagnata” unica. Ad ogni modo l’intenzione per oggi è quella di raggiungere Angel’s Landing tramite un percorso difficoltoso e assolutamente sconsigliato a chi soffre di vertigini. Con lo shuttle raggiungiamo la fermata “The Grotto” in 20 minuti e iniziamo il trail; l’andata è decisamente più lenta del ritorno perché è tutta salita. Il punto finale del percorso è già visibile all’inizio della camminata; bisogna superare una serie di tornanti, poi raggiungere una seconda serie di tornanti ed infine prepararsi ad arrampicarsi sulle rocce, a mantenersi saldi alle corde di acciaio sul percorso nei punti più critici e a camminare su massi di un metro di spessore con lo strapiombo su entrambi i lati. Il percorso è unico e appena giunti in cima si gode di una vista magnifica sullo Zion e sul fiume che scorre nel mezzo del parco; lo stupore maggiore tuttavia deriva dal fatto di incontrare durante la camminata moltissima gente di tutti i tipi, da anziani a ragazzi in infradito a papà con zaino e bebè compreso, nonostante Angel’s Landing sia in assoluto il trail più faticoso e pericoloso che abbiamo fatto (il vento in cima è abbastanza forte da far perdere l’equilibrio). Gli americani non smettono mai di stupirci! Impieghiamo 2 ore e mezzo andata e ritorno nel complesso. Consigliamo vivamente questo trail per chi è allenato e non ha problemi con l’altezza. Giunti di nuovo a “The Grotto” saliamo sullo shuttle e scendiamo a “The Temple of Sinawava”, l’ultima fermata del bus da cui parte un trail lungo il fiume consigliato alle famiglie e accessibile anche ai disabili. Qui si ammira una cascata altissima discendere da un’apertura nella parete del canyon, da vedere. Ma ancora più bella è la cascata della fermata “Weeping Rock” poiché si ha la possibilità di osservarla stando al di sotto di un masso sporgente mentre cade con tutta la sua forza nel piccolo bacino sottostante e continua a cambiare traiettoria a causa del vento. In 20 minuti siamo di nuovo all’Information Center del parco; ci arriviamo alle 5 del pomeriggio. È ora di partire alla volta di LAS VEGAS. In 2 ore e mezza siamo in città e già incominciamo ad innervosirci per il traffico. Ci vuole mezzora solo per percorrere il breve tratto di Las Vegas Boulevard chiamato “The Strip” e senza cartina l’impresa è ancora più difficile se per caso si volesse tornare indietro. È sabato e i prezzi degli hotel e anche di motel da 4 soldi si triplicano magicamente, purtroppo non potevamo né anticipare né ritardare la visita a Las Vegas. Dopo aver superato il Circus Circus Casino ci fermiamo al “Desert Motel” ($ 39 per una double) proprio di fronte alla “Little White Wedding Chapel” e assistiamo in diretta alla sessione fotografica di uno dei famosi matrimoni celebrati a Las Vegas. Prima di prendere la stanza l’impiegato dietro il bancone ci da le chiavi per dare un’occhiata alla stanza; ecco, quando vi succede significa che lo standard del motel/hotel è veramente basso. Scegliamo la stanza che puzza meno di fumo e sembra meno sporca dell’altra ma è comunque un sudiciume, la moquette è macchiata ovunque, il frigo non funziona, l’aria condizionata neppure e non osiamo sbirciare sotto le lenzuola. D’altra parte era la stanza più economica e più vicina al centro, ma col senno di poi avremmo volentieri speso il doppio e dormito in un motel decente. Ceniamo e ci costringiamo a uscire nonostante stanchezza e insofferenza a tutto quel caos che è la città di Las Vegas. Il parcheggio in qualsiasi casinò è gratuito, quindi ci sembra una scelta saggia parcheggiare al Circus Circus e da lì farcela a piedi fino al cuore della Strip. Solo dopo due ore a piedi dal Circus Circus fino al Bellagio Casino e ritorno realizziamo che la nostra scelta di parcheggio non è stata delle migliori. Visitiamo internamente solo il Circus Circus, centinaia di slot machine, roulette, giocatori incalliti ai tavoli che giocano a black jack e a poker… tutti fumano e bevono. Passiamo al piano superiore ed entriamo nel vero e proprio “circo”, un parco divertimenti sotto l’enorme cupola che copre il casinò dove i genitori lasciano divertire ragazzi e bambini. Torniamo all’aria aperta e camminiamo fino al The Venetian; è tutto un tripudio di insegne luminose che invitano la gente ad entrare in ogni casinò. Vediamo moltissima gente ubriaca, alcuni vestiti eleganti, altri in modo alternativo. Fotografiamo il Venetian, la Eiffel Tower, il Bellagio, il Caesar’s Palace , The Mirage ed infine Treasure Island. Ci perdiamo lo spettacolo di fontane del Bellagio che avviene a mezzanotte e quello del vulcano fumante del Mirage, ma siamo troppo stanchi fisicamente e infastiditi dai rumori e dalle luci per curarcene. Prendiamo la macchina al Circus Circus e andiamo al nostro motel, sperando di prendere sonno, il posto non è per niente rassicurante, sconsigliato apertamente a chiunque. Concludiamo che Las Vegas non fa per noi, preferiamo stare in mezzo alla natura e dopo i giorni splendidi passati a fare passeggiate in posti incontaminati qualunque città ci avrebbe un po’ nauseato.
LAS VEGAS – DEATH VALLEY – BEATTY
3 Aprile
Ci svegliamo sul tardi dopo una notte non molto piacevole a causa del caldo e dei rumori. Appena usciamo dal centro città ci sentiamo subito meglio. Andiamo a fare colazione in un benzinaio subito fuori Las Vegas e a pompare le ruote della macchina; la nostra Focus dovrà resistere ancora qualche giorno su alcune strade sterrate nella Death Valley. Percorrendo la NV-160 W e imboccando la Bell Vista Avenue all’altezza di Pahrump (attenzione, non è facile notare dalla strada questa Avenue, bisogna fare attenzione ai cartelli) siamo a Furnace Creek in 2 ore e mezza. Qui ha sede uno dei due Visitor Center della DEATH VALLEY. Già percorrendo la CA-190 W il paesaggio si preannuncia desertico e la temperatura incomincia ad alzarsi man mano che l’altitudine si abbassa fino a raggiungere i 35°C ai primi di aprile. Non osiamo immaginare cosa significhi sperimentare i 50°C in luglio e agosto, ma in futuro non saremo certo curiosi di verificare di persona. Dopo esserci informati brevemente tramite i ranger del parco, decidiamo che la nostra prima meta sarà il Salt Creek Interpretive Trail, un percorso a 10 minuti da Furnace Creek che affianca un ruscello pieno di piccoli pesciolini che in questo periodo dell’anno si moltiplicano senza freno. Interessante trovare acqua in mezzo a un parco così arido e soprattutto forme di vita così in gran numero. In altri 10 minuti, svoltando al primo incrocio verso Stovepipe Wells Village, siamo all’inizio del trail del Mosaic Canyon. Prima di arrivarci bisogna superare un breve tratto di strada sterrata in macchina (la maggior parte delle strade sterrate sono tenute molto bene in modo che quasi tutti i veicoli possano accedere ai principali punti di interesse; alcune strade sono chiuse al traffico di caravan). La camminata si effettua entro uno slot canyon di marmo fino a che non si giunge in un canyon più largo. Noi non abbiamo proseguito oltre, ci siamo ristorati con acqua e pranzo al sacco e siamo tornati alla macchina accaldati: sono le 4 del pomeriggio e ancora il termometro segna i 30°C. Prossima fermata: Mesquite Sand Dunes, dune di sabbia finissima nel mezzo del nulla che sembrano essere state trasportate qui per mano dell’uomo e non della natura. Ci camminiamo in mezzo per una mezzora, non vedendone mai la fine, eppure dalla strada sembrano una distesa piuttosto piccola. Dopodiché ci rimettiamo in strada per raggiungere l’Ubehebe Crater a nord della valle ( non siamo particolarmente interessati allo Scottyìs Castle e non abbiamo nemmeno tempo sufficiente per visitarlo). In 40 minuti andando a velocità sostenuta arriviamo sul bordo di questo cratere creato da un esplosione del terreno causata dal surriscaldamento dell’acqua sotterranea per via del magma incandescente risalente in superficie. Meglio andare a vedere l’Ubehebe Crater durante il giorno, rimane illuminato dal sole e si può scendere al suo interno. Noi ci accontentiamo di vederlo ormai all’ombra e raggiungiamo il secondo piccolo cratere alla sua destra. È arrivato il momento di dirigersi verso BEATTY, dove abbiamo deciso di pernottare siccome i prezzi delle stanze sono più contenuti rispetto alle sistemazioni all’interno della Death Valley. Dopo 1 ora giungiamo a destinazione e prendiamo una stanza all’”Exchange Club Motel” ($ 60 per una double). Andiamo a mangiare al “KC’s OUTPOST” che sembra essere l’unico ristorante aperto nella zona; ci gustiamo una pizza ottima e grande, difficile da trovare negli Stati Uniti ($ 15 / 2 pp.).
BEATTY – DEATH VALLEY – BARSTOW
4 Aprile
Dopo una lauta colazione ci mettiamo in strada con destinazione Furnace Creek nel mezzo della DEATH VALLEY. Nel tragitto facciamo tappa a Rhyolite, un paese fantasma. Carine le sculture di fantasmi e la casa fatta di bottiglie, ma nulla di eccezionale. Dopo 1 ora arriviamo all’entrata del percorso del Twenty Mules Tem Canyon: è una strada sterrata a senso unico che si immerge fra montagne desertiche giallognole punteggiate a tratti da terre verdi, rosse e nere. Decisamente un percorso suggestivo, ma la vista dal punto panoramico Dante’s View, il quale raggiungiamo in 30 minuti, è ancora più affascinante. Qui la temperatura scende sensibilmente rispetto al fondo della valle (siamo a 1.669 metri di altitudine). Da qui si può ammirare buona parte della Death Valley e farsi impressionare dall’estensione del bacino di sale di Bad Water e di quello di Devils Golf Course. Ci è stato consigliato di raggiungere Dante’s View di mattina presto, probabilmente perché l’aria è più nitida e l’orizzonte non è offuscato dal calore che già sale dalla valle. In altri 30 minuti discendiamo dal monte, godendoci il paesaggio mozzafiato fino ad arrivare ai piedi della collina sul cui cucuzzolo si trova lo Zabriskie Point, raggiungibile dopo una breve salita a piedi. Proprio quando arriviamo in cima inizia una visita guidata gratuita tenuta da uno dei ranger che dura però 40 minuti e ne ascoltiamo solo una parte, peraltro ben dettagliata e interessante (se siete interessati, informatevi al centro visitatori di Furnace Creek sugli orari e i luoghi dove vengono tenute queste visite). Scopriamo che la Death Valley, lungi dall’essere stata per secoli una valle desertica, era un lago enorme; per questo vi si trovano ancora distese di sale marino e i piccoli pesci chiamati “pupfish” all’altezza di Salt Creek. Inoltre, ci viene detto che la strada ai piedi della collina su cui ci troviamo ha subito un allagamento non molti anni fa, il quale ha raggiunto il singolare hotel “Furnace Creek Inn & Ranch Resort”, circondato da palme come una vera oasi. Per deviare il corso dell’acqua in caso di futuri allagamenti è stato scavato un piccolo canyon all’interno delle distese di roccia sottostanti. Dallo Zambriskie Point la vista spazia su colline di roccia e sabbia; la cresta di alcune di esse è composta da sedimenti vulcanici neri, la cresta di altre è più bianca del resto a causa del passaggio di numerosi turisti, i quali nella Death Valley hanno la possibilità di camminare dovunque vogliano. Ritorniamo a Furnace Creek e teniamo la strada che porta a sud della valle fino all’imbocco del Golden Canyon Interpretive Trail, dove un’altra visita guidata da parte di un secondo ranger sta per avere inizio. Superiamo la comitiva di turisti per poter fotografare il canyon senza persone nel mezzo. Le pareti sono di un giallo innaturale; in realtà si tratta di uno strato spesso di fango che si è depositato sulle rocce sottostanti a seguito del prosciugamento del lago che riempiva la valle. A metà del tragitto si può ammirare la Red Cathedral, ossia una montagna rossa che si staglia proprio dietro le pareti dorate del canyon; giunti ad una diramazione decidiamo di seguire il sentiero meno battuto sulla sinistra, ma dopo una decina di minuti torniamo indietro, non del tutto convinti che il percorso scelto porti a qualche punto panoramico. Ritornati alla macchina dopo 1 ora di cammino siamo pronti alla nostra prossima meta: l’Artists Drive, una strada sterrata piuttosto lunga che porta a contemplare da vicino i colori spettacolari delle rocce. In particolare il punto maggiormente scenografico è l’Artist Palette; troverete una piccola deviazione segnalata a destra del percorso che vi condurrà proprio ai piedi di questa tavolozza di colori: dal verdino al rosso al rosa al marrone al giallo e al bianco, non le si staccherebbero gli occhi di dosso. Dopo 20 minuti abbondanti di guida sulla Artists Drive sbuchiamo nuovamente sulla strada principale e ci dirigiamo ancora più a sud verso il Devils Golf Course. È stata creata una strada sterrata apposta per trovarvisi nel centro e per meravigliarsi di queste formazioni del terreno coronate da cristalli di sale, assolutamente uniche nel loro genere. Calcolate 10 minuti per raggiungere il Devils Golf Course dall’Artists Drive e altri 10 minuti per trovarvi di fronte al Bad Water Basin partendo dal “campo da golf del diavolo”, nome peraltro azzeccato. Anche stare nel mezzo del bacino di sale di Bad Water regala sensazioni strane; ci si trova a 855 metri al di sotto del livello del mare, il sole picchia a tutte le ore, il sale si incolla sotto le suole delle scarpe e per miglia si vede solo il bianco del sale sul terreno. Bellissimo luogo. Non possiamo soffermarci troppo a lungo purtroppo perché ci aspettano 3 ore di macchina fino a BARSTOW per spostarci il più vicino possibile alla meta di domani: Los Angeles. Giunti a Shoshone dopo aver percorso una strada panoramica che porta al di là della montagna che delimita la Death Valley ad est, si imbocca la CA-127 S fino a Baker (cittadina i cui hotel vengono tutti sconsigliati nei diversi blog su internet) ed infine si prende la I-15 S che passa proprio in mezzo a Barstow. Questa cittadina offre un discreto numero di sistemazioni, diversi ristoranti e due supermercati. Pernottiamo al “Motel 6” ($ 42 per una double + $ 3 per internet che non è incluso nel prezzo e bisogna farsi assegnare la stanza con la connessione) che finora avevamo snobbato per il prezzo piuttosto alto delle sue camere. Ceniamo in casa con pollo arrosto e pasta fredda (negli Stati Uniti se il supermercato è abbastanza grande, di solito si trova al suo interno la sezione simile ad una rosticceria che offre piatti pronti caldi e freddi).
BARSTOW – LOS ANGELES (HOLLYWOOD, BEVERLY HILLS, DOWNTOWN)
5 Aprile
Appena svegli andiamo a ritirare il caffè gratuito alla reception del motel e poi eccoci in strada alla volta di LOS ANGELES. In 1 ora e mezza arriviamo alle porte della città, immensa e super trafficata, e impieghiamo un’altra ora e mezza per visitare in macchina Hollywood, percorrendo il Sunset Boulevard, e Beverly Hills, passando per il Santa Monica Boulevard. Dopo la visita del centro città nel pomeriggio realizziamo che sarebbe stato meglio passare molto più tempo a Hollywood e dintorni, magari passeggiando accanto ai locali alla moda e lungo la “Walk of Fame”, piuttosto che dedicare alcune ore al downtown. Arriviamo al “Backpackers Paradise Hostel” nella zona di Inglewood poco dopo mezzogiorno ($ 37 in due in camerata mista; abbiamo preferito prenotare su internet ma ci sono comunque molti posti liberi); le camerate e le stanze private (in cui abbiamo sbirciato) sono piuttosto pulite, anche i bagni, e in questo ostello c’è addirittura una piscina, quest’ultima non molto pulita. Il caffè e il tè sono gratis a qualsiasi ora, c’è una laundry per gli ospiti e un parcheggio interno, la colazione e un rinfresco serale sono inclusi nel prezzo. Ci informiamo alla reception sugli autobus da prendere per arrivare nel downtown. Ci viene detto di prendere il bus 740 la cui fermata è a pochi passi dall’ostello e il quale impiega ben 1 ora per arrivare in centro. Dal bus osserviamo i quartieri per i quali passiamo e non ci piacciono nemmeno un po’: la gente sembra abbastanza povera e di aspetto malconcio, le vie della città non sono per niente pulite e appena arriviamo sulla Broadway i lati della strada sono fiancheggiati da negozietti da 4 soldi che vendono persino vestiti da sposa non più bianchi. Scendiamo ad Union Station, l’ultima fermata del 740, e visitiamo l’interno della stazione; carina, soprattutto la sala d’aspetto mantenuta ancora in stile anni ’30. Usciti dalla stazione attraversiamo Alameda Street e ci troviamo di fronte l’antico centro città di Los Angeles, “El Pueblo de Los Angeles”. Nulal di eccezionale, vi troviamo delle bancarelle, due chiese, una delle quali, “La Iglesia de Nuestra Señora Reina de Los Angeles”, è letteralmente circondata da una folla di cittadini di origini messicane (parlano tutti spagnolo) che aspettano l’uscita di una famosa star messicana la quale ha appena girato una scena di un film nella chiesa. Raggiungiamo Spring Street e giriamo a sinistra, percorrendola fino a trovarci sulla sinistra un enorme edificio bianco, ossia la “City Hall of Los Angeles”. Ci giriamo intorno fino a trovare l’ingresso adibito ai visitatori, passiamo lo screening di controllo e ci viene assegnato un bollino da incollare alla giacca. Dopodiché prendiamo tre ascensori fino ad arrivare in cima al palazzo, ci ritroviamo in una sala arredata con sedie ai lati e un podio su un lato, molto bruttina; usciamo sul balcone che gira intorno alla sala e veniamo alquanto delusi dalla vista di Los Angeles, un tappeto di costruzioni e palazzi grigi che si estende per miglia e miglia senza vederne la fine, il mare non si scorge e si vedono in lontananza solo delle montagne verdi, su una delle quali si trova la scritta “Hollywood” che non riusciamo minimamente a distinguere. Non scattiamo nemmeno una foto dallo sconforto. Scesi ai piedi della City Hall decidiamo che l’unico edificio degno di uno sguardo è il Walt Disney Concert Hall, una bizzarra accozzaglia di pareti argentate ondulate che si incastrano l’una nell’altra. L’ingresso è libero ma non si possono visitare le sale da concerto, solo girare all’esterno dell’edificio. Saliamo una scalinata che ci porta in un’area laterale addobbata con alberi e una fontana a forma di rosa come un giardino, un’area molto carina. Da qui si possono fotografare il gruppo di grattacieli nel centro della città. Dopo la visita della Concert Hall decidiamo di non esplorare ulteriormente il downtown, ma di dirigerci di nuovo verso Union Station dove prendiamo al volo il bus che ci riporta all’ostello. A Los Angeles abbiamo effettuato la visita più corta e meno soddisfacente della vacanza, da saltare volentieri. Al Backpacker Hostel arriviamo giusti in tempo al bar per usufruire di due bicchieri di spumante gratuiti a testa e del buffet di riso, patatine, palline fritte di riso e torta con una montagna di crema. Dopo l’abbuffata non abbiamo proprio bisogno di andare fuori a cena. Dopo una doccia e un po’ di ricerche su internet per l’indomani, andiamo a dormire in camerata. A parte la luce accesa nulla ci impedisce di prendere sonno.
LOS ANGELES – MALIBU – SANTA MONICA – VENICE – AIRPORT
6 Aprile
Caricati i bagagli in macchina e usufruito del caffè e del tè gratuiti dell’ostello nonché di un muffin a testa, lasciamo volentieri la città per dirigersi verso la costa, direzione MALIBÙ dove arriviamo in 40 minuti. Oggi non splende il sole, un fattore che ha contribuito a imbruttire la già non bella Malibù, costruita a ridosso della strada costiera, fatta eccezione di isolate ville disperse sui fianchi della verde montagna che corre lungo la costa. Parcheggiamo gratuitamente a lato della strada e camminiamo fino alla fine del molo di Malibù, osservando un gruppo di surfisti che cercano disperatamente di cavalcare le onde basse di questa mattina un po’ uggiosa. Mentre ci rilassiamo sul molo ne approfittiamo per fare le ultime chiamate a parenti e amici prima di prendere il volo che ci porterà in Australia. È ora di mangiare ma non vogliamo proprio rimanere a lungo qui, per cui in 15 minuti raggiungiamo SANTA MONICA e in altrettanti minuti troviamo un parcheggio sulla strada a pagamento ($2 per 2 ore). A due passi si trova la spiaggia immensa che corre parallela al mare, finalmente un posticino un po’ carino. Arriviamo fino al molo di Santa Monica, venendo immortalati dalle telecamere che filmano una puntata di “CSI: Los Angeles”. Sul molo si trova un grande lunapark e tanti negozietti oltre a numerosi artisti di strada che cercano di guadagnarsi la giornata. Notiamo subito il ristorante “Bubba Gump” che è stato aperto ispirandosi ad uno dei personaggi più particolari del mitico film “Forest Gump”. Non dimenticatevi di fare una foto sulla panchina di fianco all’entrata del ristorante dove si possono infilare i piedi nelle scarpe di Forest e abbracciare la scatola di cioccolatini. Ci concediamo l’unico pranzo “costoso” della vacanza proprio qui ($ 32 per 2 pp.): una ceasar salad e un’insalata ai frutti di bosco con aceto di lampone, buonissime!! L’interno del ristorante è pieno zeppo di cartelli con scritte che ricordano il film e i suoi personaggi e su ogni tavolo si trovano due cartelli: se il cartello indica “Forest Run” i camerieri non si fermano, se invece lo girate sulla scritta “Forest Stop” verranno a chiedervi l’ordinazione. Siamo veramente soddisfatti della scelta del ristorante. Ora abbiamo ancora mezzora per ritornare alla macchina e dirigerci verso VENICE, a 5 minuti di strada.