45 giorni con i samburu
45 giorni….
45 giorni all’inferno, ma anche 45 giorni in paradiso…L’inferno della lotta quotidiana contro la malattia,spesso a me anche poco conosciuta: malaria, scabbia, jeeglers (pulci perforanti), AIDS, ustioni, dissenterie ed una quantità industriale di malattie dell’apparato respiratorio… …..L’inferno di anche più di un giorno intero di cammino nella savana arida e arsa dal sole per venire a farsi visitare, Morani(i guerrieri della tribù Samburu), donne, bambini, anziani, dal Daktari bianco (solo un infermiere anche un po’ spaventato dal gran numero di persone che quotidianamente si presentano con qualcosa da farsi curare), che con medicine miracolose (purtroppo poche), un fonendoscopio e due grandi mani che toccano tutti alla ricerca del male, nel vano tentativo di estirparlo anche solo con la forza del pensiero, la sera alla luce di una candela nella sua capanna pensa e ripensa all’adeguatezza di quello che ha fatto durante il giorno… …..L’inferno di una ragazzina di 14 anni che, per nascondere una gravidanza, si avvelena con una manciata di pastiglie contro la malaria, abortisce da sola sotto ad un albero, agonizza mezza giornata fino quasi a morire solo perché non ho a disposizione altro che due flebo che le possono solo allungare la vita di qualche ora…La fine, il cuore che quasi si ferma e, come per miracolo, riprende ad andare per soli altri due giorni perché non si può fare una banale trasfusione di sangue che da noi non avrebbe scompigliato un capello a nessuno…
…..L’inferno di un bimbo malato di AIDS, praticamente “mangiato” dalla scabbia persino nei genitali, sdraiato in terra ed avvolto solamente in un mantello rosso come il sangue che, copioso, esce dalle lesioni diffuse in tutto il corpo…L’inferno di doverlo strappare con la forza al padre perché troppo povero per permettersi di portarlo a sue spese al piccolo ospedale di Wamba a 3 ore e mezzo di jeep nella savana…
…..L’inferno di Paul, maggiore di 5 fratelli la cui madre, malata di AIDS e vedova già da anni, muore solo un mese dopo il suo figlioletto più piccolo a cui, oltre la vita, aveva donato anche il VIRUS, lasciando al mondo 5 orfani…
…..L’inferno di vedere le missioni dei più disparati ordini religiosi attorniate da prati all’inglese, “gestite” da parroci ben pasciuti, lavati, puliti, arredate con sculture in legno, tappeti, mobili molto belli, televisori, videoregistratori; tavole imbandite con ogni ben di Dio anche nel bel mezzo della savana (vedi missione sulla strada per Mararal): olio extravergine di oliva, aceto balsamico di Modena, carne, frutta e verdura fresca, formaggi, acqua, vino (!!!), gazzosa, limonata, Coca-Cola…Volete sapere un particolare?: ai due ragazzi neri che erano con noi non è stato permesso entrare (diciamo che formalmente non sono stati “invitati”) e si sono dovuti cercare qualcosa da mangiare nel piccolo villaggio adiacente (Luigi ha dato loro qualche soldo)!!!! Non ho mai provato una tale nausea neanche sulle montagne russe!! Spero di aver visto solo il peggio e sono sicuro che ci siano comunque missionari religiosi degni di questo nome…
…..L’inferno di dover uscire dalla chiesa della missione di Oldonyiro durante le più belle funzioni a cui io abbia mai assistito perché all’offertorio tutti indistintamente vanno all’altare a mettere una moneta nel cestino per poi la sera bere solo una tazza di latte di capra invece che un pugno di riso che quella moneta avrebbe permesso loro di comprare… …..L’inferno di lunghi periodi senz’acqua, di siccità (piove due volte all’anno), di conseguente mortalità fra uomini e bestiame…
…..L’inferno di una lotta per la sopravvivenza che questa popolazione, i pastori Samburu, affronta quotidianamente con fierezza e coraggio, così lontana (anni luce) dal nostro mondo, dalla nostra vita fatta di agi, comodità, macchine, telefonini, villaggi turistici, case al mare, ai monti, conti in banca, sprechi, Pòkemon, rinfreschi, bomboniere, inutilità continue… La mia non vuole essere un’accusa, ma solo un grido di dolore che io ho fisicamente provato e ho dentro tuttora, che ha cambiato la mia vita, il mio modo di vedere le cose, e chi mi sta vicino sul lavoro e fuori se ne è sicuramente reso conto.
Da un certo punto di vista mi ritengo fortunato perché ho potuto “scremare” molte cose, fare scelte, rendermi conto che posso decidere se continuare a farmi travolgere dai ritmi, i meccanismi e le “scelte obbligate” che la società in cui viviamo ci presenta oppure iniziare concretamente a muovere mani, bocca e penna per qualcosa di concreto e per cui valga forse la pena di fare qualche “pazzia”…
Una persona qualunque, un ex-muratore NONNO LUIGI, questa scelta l’ha già fatta da diversi anni: con le sue sole forze e dei pochi ragazzi che lo aiutano raccoglie orfani, li fa crescere, mangiare, studiare, giocare e soprattutto sorridere…Ed è qui che inizia il paradiso…, il paradiso naturale che circonda la comunità di Ndugu-Zangu, la fauna, gli elefanti che tutte le notti passano a meno di 50 metri dal villaggio, i colori “colorati”, il cielo notturno non contaminato da fumi e luci artificiali, ma padrone della notte con una luna che da quando sorge a quando tramonta ti costringe a tenere gli occhi incollati su di sé… …..Il paradiso che rappresenta il silenzio, rotto solo dai suoni della natura, che ti permette di liberare la mente, di essere lucido, di apprezzare anche la più piccola cosa…Che è sempre una cosa più di niente…
…..Il paradiso nel sorriso della gente che ti incontra durante il cammino, che non litiga mai, ti prende la mano con calore e ti invita ad entrare nei loro piccoli villaggi di capanne (chiamati Manyatte) per offrirti con la massima cordialità ed ospitalità la loro bevanda (il Chai: latte di capra con dentro foglie di thè), che spesso per loro vale anche da cena, senza aspettarsi niente in cambio come ringraziamento di aver scoperto che esistono ed aver curato le loro ferite…
…..Il paradiso è uno spiazzo alla luce della luna in cui i guerrieri saltano e cantano fino a notte fonda parole di fratellanza facendo tremare la terra, contrapponendosi alle dolci voci delle donne che, con i loro voluminosi ornamenti, producono suoni muovendosi in armonia… …..Il paradiso nel sorriso di bimbi che per me hanno un nome, un volto perché li ho toccati, abbracciati, baciati, curati…
…..Il paradiso è vedere lo sguardo rispettoso e pieno di amore che questi bimbi rivolgono al loro (e mio) Nonno Luigi che li ha raccolti dalla strada e dà loro pane, amore, ed una possibilità di studio che li aiuterà a crescere e, forse un domani, a rendersi indipendenti…
…..Il paradiso è vedere le fondamenta del piccolo ospedale che Nonno Luigi ed i suoi ragazzi più grandi hanno cominciato a costruire ad intervalli, ogni qualvolta arriva qualche soldino dalla gente come noi… …..Il paradiso sarebbe vedere entro fine anno trivellato il terreno del campo per raggiungere una falda di acqua potabile che si trova a 160 metri di profondità, e che risolverebbe molti problemi legati alla siccità, permettendo anche al piccolo ospedale di rendersi autonomo una volta terminato…
…..Il paradiso sarebbe riuscire a raccogliere “l’enorme” somma di 22.000 euro necessaria per la trivellazione ed il consolidamento del pozzo…Quanto ci mette uno di noi a decidere di spendere la stessa cifra per un’automobile? Non mi voglio dilungare oltre perché l’ho fatto già abbastanza, vorrei solo dire ancora che tutti i giorni siamo tempestati da richieste di denaro fatte da enti religiosi e associazioni per questo, quello e quell’altro ancora (adozioni a distanza, programmi di aiuto, di sviluppo, ecc.) di cui poi non possiamo verificare visivamente e direttamente il buon uso del denaro richiesto; a volte sono giunte notizie di sprechi, mancato arrivo a destinazione degli aiuti, personaggi che si arricchiscono approfittando del buon cuore delle persone…
Io sono andato in Kenya da Nonno Luigi per aiutarlo dal punto di vista sanitario visto che di professione faccio l’infermiere, ma anche per rendermi conto di cosa succede lì, di come vengono spesi quei soldi che raccogliamo periodicamente in reparto fra colleghi…E ho dato un volto ai nomi, un valore alle cose, ho toccato, guardato, verificato…E ringraziato il cielo che “Mzee” Luigi esista ed operi in quel luogo ed in quel modo.
Vi posso solo dare la mia parola che i soldi che gli mandiamo vengono veramente utilizzati per lo scopo a cui sono destinati.
Cerchiamo di dargli una grossa mano…Noi siamo tanti, ma lui è solo!! Grazie!! Alessandro Pegazzano Infermiere della Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico Apuano di Montepepe (MS)