2500km in Marocco-1
4 Marzo 2005, venerdì Genova > Roma > Casablanca > Meknès Questo è il nostro diario di viaggio in Marocco.
Partenza da Genova con Alitalia venerdì 4 Marzo, destinazione Milano e da li, Casablanca. Io ancora febbricitante, Anna, mia moglie, che inizia ad accusare i primi sintomi, temperatura polare, venti centimetri di neve ghiacciata che ci sono fuori di casa, in pieno centro (non accadeva da vent’anni…) e la sveglia alle 4,30…Beh, come inizio non c’è male.
Arriviamo a Casablanca alle 15,30 invece che alle 13 e, sbrigate le pratiche doganali, cambiamo gli euro e andiamo a cercare la macchina che abbiamo prenotato dall’Italia.
Recuperata la Fiat Uno nuova fiammante, è di quelle che producono in Brasile, carichiamo i bagagli e via, destinazione Meknès. Il cielo è grigio ma almeno la temperatura è accettabile.
L’autostrada è praticamente deserta, fino a Rabat, un’ora e mezza circa, nessun problema.
Il primo impatto con il traffico caotico e lo stile di guida “esuberante” dei marocchini lo abbiamo alla deviazione per Meknès e Fes, dove all’improvviso sparisce l’autostrada e ci si ritrova nel traffico cittadino. Inizia anche a piovere. Così com’era finita, riappare l’autostrada. Ora piove decisamente forte, sta diventando buio e il tergicristallo fatica a tenere sgombro il parabrezza.
Dobbiamo resistere, Meknès non dovrebbe essere lontana. Come da indicazione del sito sul quale ho prenotato l’albergo, usciamo a Meknès est e sempre sotto la pioggia e al buio riusciamo a raggiungere l’hotel Ibis della catena Accor. Siamo distrutti. Dopo esserci fatti preparare due panini al bar dell’albergo, Tachipirina e tutti a letto, rimandiamo a domani tutto, cibo marocchino compreso.
5 Marzo 2005, Sabato.
Meknès Piove. Anna ha la febbre. Colazione veloce, farmaci, e a letto a guardare la televisione. Il “programma” originale per oggi prevedeva Volubilis e arrivo in serata a Fes. Ieri avremmo dovuto vedere la città…Rapida consultazione e decidiamo di prolungare il soggiorno Meknès, il cielo si sta anche aprendo. Pranzo, farmaci per Anna. Io non resisto, ora non piove e, Lonely Planet alla mano vado alla scoperta della medina. Inizio dalla medina vecchia e vi assicuro che, anche per uno abituato a girare nei vicoli di Genova, mantenere l’orientamento non è facile! Decido di uscire per cercare di arrivare al mausoleo di Moulay Ismail e poi a Bab el-Mansour, una delle porte monumentali più imponenti di tutto il Marocco, seguendo la cinta di mura dall’esterno. Saggia decisione, è decisamente più facile. Il cielo sembra avere nuovamente un aspetto minaccioso, meglio tornare in albergo.
6 Marzo 2005, Domenica.
Meknés > Midelt La febbre è passata, almeno sembra. Colazione e partenza, destinazione Volubilis, il sito che ospita la rovine romane più estese e meglio conservate di tutto il Marocco. La strada per raggiungere le rovine è molto suggestiva, campagne coltivate e uliveti, la giornata è stupenda. Arriviamo presto, siamo i primi, il parcheggio è praticamente deserto.
Iniziamo il giro in solitaria, dopo aver rifiutato la consulenza di una sedicente guida, il sito non è molto esteso e in circa un’ora lo visitiamo tutto. La cosa che sicuramente mi ha colpito di più di tutto il sito sono stati i nidi di cicogne costruiti sulla sommità delle colonne della basilica ed i mosaici, rimasti sorprendentemente nella loro posizione originaria, anche se un po’ sbiaditi.
All’uscita incontriamo due coppie di italiani in pensione che sono in giro con i loro camper da due mesi. Beati loro… Vengono da Merzouga, e sono rimasti bloccati lì due giorni. Tempesta di sabbia. E’ una delle nostre prossime tappe, speriamo bene! Ritornati a Meknès facciamo un breve giro per la medina, in modo che anche Anna possa godersi un po’ le bellezze della città, recuperiamo i bagagli in albergo e partiamo. Dobbiamo superare l’Atlante per arrivare poi al deserto. Passiamo per Azrou, una tranquilla cittadina berbera. Si inizia a salire, c’è un sacco di neve, le foreste di cedri che circondano la cittadina sono popolate dalle scimmie di Barberia che, in una radura ai margini della strada, osservano i passanti che si fermano a fotografarle. Le scimmie in mezzo alla neve! Arriviamo a Midelt nel tardo pomeriggio, una specie di terra di nessuno situata quasi al centro del Marocco tra i monti del Medio e dell’Alto Atlante. Ci fermiamo all’hotel Kasbah Hasmaa, appena fuori la città. 650 Dr per una doppia con cena e la prima colazione. L’albergo è un po’ tetro e parecchio kitsch, con tappeti ovunque. Dalla nostra camera si vede un bellissimo tramonto con l’Atlante innevato sullo sfondo. Anna non è in gran forma e si mette a letto. Visto che il posto, oltre al panorama, non offre un molto, vado a guardare Roma-Juve nella hall con il proprietario dell’albergo che mi offre l’immancabile the alla menta.
Cena discreta a base di couscous per Anna e tajine (una specie di stufato) per me, accompagnata da musica berbera e poi a nanna, domani dobbiamo arrivare a Merzouga.
7 Marzo 2005, Lunedì.
Midelt > Merzouga Ci svegliamo presto, la giornata è bellissima ma la temperatura esterna non sembra mite…Prima di fare colazione vado a controllare la macchina. E’ completamente bianca, coperta da uno spesso strato di brina ghiacciata. La sposto al sole, sperando che basti.
Dopo la colazione, carichiamo i bagagli in macchina, che nel frattempo si è scongelata, e partiamo alla volta del deserto. La strada per Er-Rachidia è di una bellezza struggente. Attraversa l’hammada, il deserto di pietra, tra scenari marziani correndo lungo la valle dello Ziz. Le rocce sono tutte rosse, i piccoli villaggi costruiti con mattoni di fango cotti al sole anche. Attraversiamo il Tunnel du Légionaire – costruito dai francesi – e le Gole dello Ziz; questo magnifico tragitto attraversa cittadine e ksar contornati da rigogliosi palmeti, in netto contrasto con il deserto di roccia incontrato poco prima. Dopo pochi chilometri arriviamo a Er-Rachidia, da qua proseguiamo per Erfoud e quindi per Rissani, dove arriviamo mentre centinaia di ragazzi tornano a casa da scuola. Siamo letteralmente circondati dalle biciclette, che ci costringono a procedere a passo d’uomo. Il caldo e la fame iniziano a farsi sentire, è dalle 8.30 che siamo in macchina. Sarà anche per questo che le due coppie di “guide motorizzate” che ci affiancano in motorino, cercando a tutti i costi di portarci al “migliore” albergo della zona, risultano particolarmente fastidiosi! Lasciamo finalmente Rissani, e l’oasi che la circonda, la strada per Merzouga corre in mezzo al nulla! Dopo circa 30 minuti, in lontananza si scorgono le prime dune dell’unico erg sahariano del Marocco, insomma, il deserto come uno se lo immagina. Lungo la strada ci sono un sacco di deviazioni per raggiungere i vari alberghi, tutte strade sterrate. A Merzouga, che è formata da 4 case e una moschea, la strada finisce, da qui in avanti solo deserto, fino all’Algeria. Torniamo sui nostri passi e scegliamo la Kasbah Tomboctou, un po’ perché segnalata dalla Lonely, un po’ perché la strada sterrata è più breve.
Davanti ad un bicchiere di the alla menta, dopo aver visto le diverse tipologie di camere disponibili, quelle vecchie, 500 Dr la doppia con mezza pensione, e quelle dell’ala nuova, 650 Dr, decisamente più belle, ci viene prospettato anche un’altra alternativa. Alle 15,30 si può partire per passare la notte nel deserto, sotto una tenda berbera in un’oasi a 2 ore di dromedario dall’albergo.
Visto che abbiamo ancora un po’ di tempo per scegliere, decidiamo di riempirci innanzitutto lo stomaco assaggiando un’ottima kalia, il piatto tipico della zona, a base di carne tritata di montone con pomodoro, cipolle, peperoni, uova e spezie. Davvero niente male.
Ok, vada per il deserto, quando ci ricapiterà l’opportunità di passare una notte così? Lasciamo i bagagli in macchina e riempiamo gli zainetti con lo stretto necessario e due bottiglie di acqua che non è compresa nel prezzo. Anna ha qualche problema a salire sul dorso del dromedario, bisogna tenersi ben stretti perché altrimenti quando l’animale si alza in piedi si rischia di essere scaraventati per terra.
L’impatto con il deserto è davvero mozzafiato, ciò che mi colpisce è soprattutto il silenzio assoluto, tanto assoluto da dare quasi fastidio, da diventare quasi simile a un urlo. Dopo 2 ore di cammino arriviamo all’oasi, situata ai piedi di una duna altissima che decidiamo di scalare. L’impresa è decisamente faticosa, ma lo spettacolo a cui assistiamo ci ripaga pienamente. Il sole sta tramontando, le ombre cambiano in continuazione e il deserto diventa di un rosso incredibile.
Appena cala il buio, abbastanza presto considerata la stagione, la temperatura diventa molto rigida. Alì, il nostro “padrone di casa”, e gli altri ragazzi prima ci offrono il classico the alla menta per riscaldarci un po’ e quindi ci preparano la cena: riso con verdure e tajine, non il massimo dell’originalità, ma senza dubbio molto abbondante. In una lingua strana, un misto tra francese, italiano, spagnolo e berbero, scambiamo 2 chiacchiere con Alì, che ci chiede quale sarà la nostra prossima tappa. “Zagora”, gli rispondo io, deciso. “Inshallah”, risponde lui. Ovvero, se Dio lo vorrà. Evidentemente Allah non lo avrà voluto: a Zagora non arriveremo mai… Poi ci sono solo il silenzio, le miriadi di stelle luminosissime nel cielo nero (non c’è nemmeno la luna) e l’atmosfera magica che regna in questo posto sperduto. Decisamente rapiti da questo spettacolo, quasi non ci accorgiamo più del gelo che ci circonda. Andiamo a dormire piuttosto presto, la tenda berbera – 4 stracci, un tappeto e un materasso per terra – non dà l’impressione di essere particolarmente calda… Alì ci fornisce una decina di coperte. Ok, così non si sente il freddo, forse, ma con tutto questo peso addosso sembra quasi di soffocare! Nonostante tutto, questa situazione un po’ spartana non ci pesa per niente, anzi. Ci addormentiamo come sassi, davvero felici di poter vivere un’esperienza come questa, così diversa dalla quotidianità cui siamo abituati.
8 Marzo 2005, Martedì Merzouga > Ouarzazate Ore 5. Alba. Siamo venuti apposta per vederla. Con gli occhi ancora appiccicati per il sonno, cerchiamo di uscire da sotto la montagna di coperte che abbiamo usato per non congelare questa notte. Il sole non è ancora sorto. Macchina fotografica in mano, usciamo dall’accampamento. Di nuovo il silenzio assoluto che ci colpisce. Foto di rito al sole che comincia a fare capolino dall’Algeria – qui il confine è molto vicino – e alle dune che mutano colore con il passare dei secondi, rientro alla tenda, saluti e benedizioni varie da parte di Alì e via, si ritorna in albergo. Il vento gelido che soffia questa mattina ci fa preferire la camminata nel deserto sulle nostre gambe, piuttosto che il rischio di rimanere congelati in cima al dromedario.
Colazione a base di una specie di frittelle, il tempo di recuperare i bagagli e di darci una rinfrescata e siamo già pronti per partire. Destinazione Zagora, cittadina fondata durante il periodo coloniale francese, famosa soprattutto per il cartello “Tombouctou 52 jours” (ovvero, 52 giorni di cammello per Tombouctou”).
Da Merzouga, torniamo indietro passando nuovamente per Rissani ed attraversando quindi la desolatissima hammada, paesini sperduti e poco altro. Sembra di essere in Arizona.
A Tazzarine chiedo ad un vigile di indicarci la strada migliore per Zagora, ma poi, al bivio seguente, decido di prendere quella che sulla carta sembra decisamente più breve (80 km contro 130 km). Errore madornale, gli ultimi 50 km sono di totale sterrato. Niente da fare, bisogna per forza tornare indietro. Oggi il caldo si fa sentire, almeno in macchina. Siamo svegli dalle 5, abbiamo già fatto più di 300 km, non ce la faccio più. Dopo un’altra ora arriviamo a N’Kob. Decidiamo di fermarci all’Auberge Enakhil Saghro, il primo che incontriamo, per mangiare qualcosa. Scelta felice, la terrazza offre una splendida vista sul palmeto e una kasbah in lontananza, oltre che una temperatura decisamente piacevole. Sono le 2 del pomeriggio passate, siamo gli unici clienti. Anna spezza la monotonia e ordina una omelette berbera, con cipolle, pomodoro, olive e leggermente piccante, io rimango fedele al tajine. Ristorati e rinfrancati, riprendiamo il viaggio. Scegliamo però di cambiare destinazione e di dirigerci direttamente a Ouarzazate. Il tempo a disposizione è limitato, Zagora è troppo lontana, a malincuore rinunciamo a immortalare il famoso cartello. Alì è stato profetico (o semplicemente un po’ gufo), evidentemente non è destino che arriviamo a Zagora. La strada che porta a Ouarzazate passa attraverso la magica Valle del Drâa, una vasta distesa multicolore di palmeti, kasbah e villaggi berberi. Arrivati a Ouarzazate decidiamo di fermarci all’Hotel la Vallée, a 2 km dalla città, prima del ponte; un po’ spartano, ma comunque accogliente ed economico(220 Dr la doppia con colazione). Siamo a pezzi. Dopo una bella doccia, Anna crolla definitivamente, non si alza nemmeno per cenare. Io mangio qualcosa al ristorante dell’albergo, dove un vecchietto che si crede un cantante emette gorgheggi da fare accapponare la pelle. Raggiungo Anna in camera e crollo anch’io.
9 Marzo 2005, Mercoledì Ouarzazate > Gole del Dades > Ait Benaddu …Alla prossima puntata…