20 giorni in Perù
Mi chiamo Alessandro, sono giardiniere e vivo a Milano.
La mia professione purtroppo non mi permette, durante le vacanze estive italiane, di potermi assentare troppo a lungo dalla mia città e dal mio lavoro, perchè in tale periodo i miei impegni raggiungono il loro apice. Così, come consuetudine, la mia vera vacanza ripiega nei mesi ...
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Mi chiamo Alessandro, sono giardiniere e vivo a Milano. La mia professione purtroppo non mi permette, durante le vacanze estive italiane, di potermi assentare troppo a lungo dalla mia città e dal mio lavoro, perchè in tale periodo i miei impegni raggiungono il loro apice. Così, come consuetudine, la mia vera vacanza ripiega nei mesi invernali, nel periodo che và da dicembre a febbraio. In questi mesi la natura dorme. Non avendo ancora scelto il mio itinerario, e complice la neve che cadendo copiosamente aveva spezzato rami e fatto cadere piante procurandomi così lavoro inaspettato, ho posticipato la mia partenza nel mese di Febbraio per una meta che piano piano si era fatta strada nella mia mente: il Perù. Dopo essermi sufficientemente documentato, leggendo recensioni di viaggio su questo sito, e assimilando le informazioni più importanti riguardo la sicurezza e la cultura di quel paese, ho prenotato un mese prima un volo on-line con la compagnia aerea olandese KLM, volo che mi avrebbe portato a Lima facendo un breve scalo ad Amsterdam. La stessa rotta che sarà percorsa al mio ritorno, ovviamente in senso inverso. La mattina del 14 febbraio (Sabato), salgo sull’aereo all’aeroporto di Malpensa consapevole della bellissima esperienza che stavo per vivere. Faccio notare che andare in vacanza è già bello di suo in qualsiasi luogo si vada. Ma farlo a Febbraio quando tutti lavorano, quando il turismo è ridotto all’osso, quando gli aeroporti sono semivuoti e non si fà alcuna coda, si ha la sensazione di essere un privilegiato, e questo aggiunge maggior entusiasmo. Dopo un volo comfortevole sotto tutti i punti di vista, atterro nel tardo pomeriggio di Sabato a Lima. Sbrigate le procedure doganali e ritirato il mio bagaglio, esco dall’aeroporto e trovo ad attendermi Edison, il taxista che mi porterà all’ hostall “Casa Yolanda” della senora Yolanda per l’appunto. Le strade di Lima sono semivuote, è sabato e la gente non lavora. Una breve chiacchierata con Yolanda, doccia veloce, esco a mangiare qualcosa e torno in camera per cercare di dormire un pochino, cosa che si rivelerà molto difficile avendo ovviamente nella testa e nel corpo sei ore (in meno) di fuso orario. In realtà non alloggio in una stanza ma in un vero e propio appartamento dotato di camera, bagno, salotto e cucina, tutto per la modica cifra irrisoria di 25 dollari. La mattina seguente, di buon’ora, lo stesso taxista mi riporta all’aeroporto dove mi imbarcherò alla volta di Arequipa, la prima vera meta del mio viaggio. Il bello stà per incominciare, stò per andare nel vero Perù, quello che si trova sulle Ande, sulla cordellera Andina. Ad Arequipa, alloggio all’hostall “la casa del los Pinguinos”. Rimarrò qui 2 giorni, il tempo di visitare la città e di bruciarmi la testa. Mi trovo a oltre 2000 mt. Di altitudine e a poche centinaia di km dall’equatore, quindi dovrei evitare di starmene allegramente seduto sulla scalinata della cattedrale sotto il sole, a dire il vero non molto cocente, senza mettere un cappellino. Lezione che pagherò duramente e che difficilmente scorderò… Arequipa è una piccola cittadina, molto popolata. Ora finalmente posso vedere i veri peruviani, quelli con pelle più scura quasi olivastra, più bassi, con gambe un pochino stortine e le guance puntinate di rosso. Sono bravissimi, cordiali e onesti. Per tutta la mia permanenza sulle ande, di città in città, questa mia prima impressione verrà confermata e rafforzata. L’andino non guarderà mai come sei vestito, se hi le scarpe nuove, se hai l’orologio o il telefono nuovo. Egli ha una sua dimensione, tutti si inventano un lavoro: chi pulisce le scarpe, chi vende i cappelli, chi fà il giocoliere quando il semaforo è rosso per racimolare qualche spicciolo, chi vende le cose più inutili. Ma nessuno sarà insistente se tu rifiuterai di comprare qualcosa, nessuno cercherà di imbrogliarti sul resto, nessuno ti raggirerà o cercherà ti farti del male. Chiaramente, un pizzico di prudenza non guasta mai, è una delle prime cose che bisogna portarsi in vacanza insieme al passaporto. In poche parole non ho mai avvertito quella forma di “razzismo” psicologico, se così si può dire, che si riceve quando un occidentale si trova in vacanza in un paese più povero. Una cosa molto bella e importante che ho notato, è che difficilmente il popolo andino fuma e beve alcolici. Sono delle persone fisicamente pure. In questa città ho visitato il museo preinca, in cui si possono ammirare reperti di artigianato (vasi, collane, bracciali, ecc), di armi rudimentali utilizzate per la caccia, e di indumenti. La visita può essere libera oppure si può avere (dietro piccolo compenso),una guida. Io scelgo la prima possibilità, in quanto il museo è piccolissimo e non ci sono cose difficili e impossibili da capire. Terminata la mia visita, ripasso ovviamente dall’ingresso per poter uscire e vengo salutato dalle tre ragazze che lavorano all’interno, con molti sorrisi e complimenti riguardo la mia persona. Ringrazio, saluto e proseguo il mio tour. Prossima visita alla città,è il monastero di Santa Catalina (Santa Caterina da Siena). L’ingresso è di 15 soles (circa 4,5 euro), come il museo preinca. In questo caso scelgo di farmi guidare da una senorita, in quanto il monastero è grandino e ci sono veramente molte cose che devono essere ben spiegate per essere capite. Le chiedo di parlare in castigliano e non in italiano. Sono in Perù, sono io che mi devo adattare, e inoltre voglio migliorare ulteriormente la loro lingua che comunque parlo già discretamente. Il monastero nonostante il terremoto degli anni ’90 è tenuto benissimo, è interessante da vedere e sopratutto è interessante ascoltare la scpiegazione della competentissima guida. Finita la visita durata circa un’oretta, lascio una piccola mancia, ringrazio e saluto. Visito la cattedrale, altri musei inca, passeggio per il piccolo centro e guardo i negozietti (tiendas) che si trovano nelle stradine. Ovviamente non compro nulla, come in ogni viaggio sono sicuro che le stesse identiche cose, in questo caso cappelli, maglioni, guanti ecc. Li ritroverò in qualunque luogo andrò, quindi sarebbe stupido riempire la valigia fin da ora. Meglio viaggiare più leggeri. L’indomani a bordo di un pullmino, insieme ad altri turisti, compagni temporanei di viaggio, ci dirigiamo verso Vinchay, un paesino sperduto in mezzo a una valle, Colca Canyon, a tre ore da Arequipa. Qui invece fà freddino, ci troviamo a oltre 3000 metri e pioviggina, ma è sufficiente indossare un giubbino neanche troppo pesante, per sentirsi meglio. Il paesino è piccolissimo, a parte la piazzetta non offre molto. Qui si nota maggiormente la povertà della persone che comunque, come delle formichine, camminano in tutte le direzioni, animando le piccole vie infangate del centro. Vado nel mio Hostall, lascio armi e bagagli e vado nel piccolo ma carino centro termale. E’ stranissimo, quasi al limite del’incredibile stare a mollo nelle acque calde termali, mentre sopra la mia testa cade pioggia fine e mentre i miei occhi vedono le vette più alte ancora innevate, a poche decine di chilometri. Finito il bagno termale, mi rivesto e mi soffermo ad ammirare il paesaggio. Mi trovo in una meravigliosa valle dove vi è il microclima. Pensate, mi trovo ad oltre 3000 metri e ci sono i fichi d’india. In qualunque direzione guardo, vedo uno sfondo fantastico, impossibile da raccontare e da descrivere. Io sono un pessimo fotografo ma credetemi, ho scattato delle foto stupende, è merito della natura di questi posti che riesce bene, in qualunque posizione si metta la macchina fotografica. Ritorno nella stanza, mi lavo e rivesto. Quindi vado a mangiare del pollo alla brace con una montagna di patatine. Qui in Perù sono le cose più mangiate. A Vinchay dopo le 10 di sera non c’è assolutamente nulla, ma è la porta che mi farà arrivare, insieme ai miei compagni di viaggio part-time, al canyon del Condor. La mattina seguente mi dovrò svegliera di buon’ora (6:00), perchè il pullmino proseguirà il viaggio. Ancora assonnato, vado a fare colazione. Decido di bere il famoso “mate de coca” che pare combatta il mal di altura. Infatti tra poche ore arriveremo a 3800 mt circa. Si parte quando il sole è sorto da poco. Sono seduto vicino al finestrino e così posso ammirare il meraviglioso paesaggio che cambia continuamente. La vegetazione è rigogliosa. Non ci sono tantissime varietà di piante, ma comunque posso notare degli imponentissimi alberi di Eucalypto e udite udite, delle Palme. Sì, sembra incredibile ma a 3.800 mt vi erano alcune varietà di Palme.C’è il microclima e la temperatura rimane sempre tra i 10 e i 23 gradi. Ammirando il paesaggio, di tanto in tanto si vedono greggi di Alcapa e piccole mandrie di vacche. I campi coltivati rigorosamente a mano, sembrano tantissimi quadri colorati. La cosa che mi piace molto è che ci sono pochissimi turisti europei. A bordo del pullmino oltre che me, ci sono cileni, peruviani e brasiliani. Fantastico, propio quello che volevo. Mi viene da sghignazzare quando penso che in Italia si muore di freddo e tutti stanno lavorando. Parlo e riparlo con i miei compagni di viaggio in castigliano. Mi piace, mi piacciono loro, mi piace la gente latina. Finalmente arriviamo al canyon del Condor. Peccato, su questo promontorio c’è parecchia foschia e la giornata comunque non è molto serena. Questo ostacolerà sicuramente l’avvistamento dei Condor che dal fondo della valle spiccheranno il volo per raggiungere la parte più alta del Canyon, in pratica nella direzione dove ci troviamo noi. Aspettiamo un paio d’ore ma dei Condor neanche l’ombra. Intanto ci possiamo distrarre guardando i soliti maglioni, cappelli e prodotti artigianali che si trovano su delle bancarelle allestite dalle donne peruviane. Hanno anche da mangiare e da bere. Ovviamente non mancano i bellissimi bambini peruviani vestiti con maglioni e cappellini colorati, con le loro manine e piedini sporchi e le guanciotte puntinate di rosso. Sono bellissimi. Durante tutti gli spostamenti con i vari pullmini di paese in paese, ci si ferma nei siti di maggior interesse, il tempo di scattare qualche foto,guardare le solite bancarelle e ovviamente fare i propri bisogni fisiologici. Gli spostamenti sono ben organizzati e c’è una guida che parla oltre che il castigliaano anche l’inglese. Non vedendo neanche l’ombra di un Condor, risaliamo sul pullmino e proseguiamo il viaggio. Ma scherzo del destino, appena il motore si accende, vediamo spuntare all’improvviso qualcosa: è un Condor. Ci mettiamo tutti a urlare, apriamo di colpo le porte e scendiamo dal pullmino spingendoci, quasi buttandoci. Sembriamo dei militari che scendono da un elicottero per fare irruzione da qualche parte, solo che al posto dei fucili puntiamo fortunatamente le macchine fotografiche. Il tempo di uscire e il Condor è già sparito, ma questa volta non ci facciamo fregare, non abbassiamo la guardia e la nostra pazienza viene premiata. Dopo pochi minuti il Condor ritorna indietro, ma non è solo, sono in due. Fantastici, bellissimi, grandissimi. Pensate…possono raggiungere un’apertura alare di oltre 3 mt. Volando, passano a poche decine di metri da noi. Ora la missione è compiuta, possiamo ripartire. Appena risaliti si fà a gara per vedere chi ha scattato la foto più bella. Io ne ho fatta solo una e non è venuta neanche troppo bene ma non importa. Ho preferito guardare i Condor con i miei occhi, il loro volo sarebbe stato visibile solo per poche decine di secondi, non volevo perdermelo. Le foto di un Condor si possono comprare anche nelle piccole bancarelle del posto. Al ritorno dormicchiamo un pochino tutti. Facciamo sosta in una piccola posada. Il tempo di bere, e stiracchiare un pochino le gambe. Qui, mi dicono che devo salutare i miei ormai ex compagni di viaggio, perchè a bordo di una jeep mi porteranno nella mia prossima meta: Puno. Altre tre ore di viaggio, in compagnia di una coppia di signori francesi. Capisco subito che non hanno voglia di socializzare, quindi mi guardo il solito meraviglioso paesaggio e mi addormento. Arrivati a Puno, mi scaricano davanti all’Hostall Hinkarry, dove trascorrerò la notte. L’indomani ci sarà l’ennesima alzataccia, va ne varrà la pena credetemi. A bordo di un traghettino, io ed altri nuovi compagni di viaggio, solcheremo le acque del più alto lago navigabile del mondo, il lago Titicaca. Pensate, un lago gigantesco ad oltre 3200 mt di altitudine, completamente navigabile con isole e isolotti al suo interno, che occupa anche parte del territorio boliviano. E così è. La mattina seguente a bordo di un pullmino raggiungo il lago e salgo a bordo del traghetto. Siamo una ventina, anche in questo caso tutti sudamericani ad eccezione di una coppia di ragazzi slavi. La nostra guida, anche in questo caso ci spiega il tutto in spagnolo. La nostra prima meta sarà la visita alle isole Uros. Dopo 20 minuti di navigazione trascorsi ad ammirare il paesaggio ed a scattare foto, intravedo in lontananza attraverso la barriera di piante acquatiche che fuoriescono di circa un paio di metri dall’acqua, un qualcosa che pare irreale, non vero. Ci sono tantissimi isolotti galleggianti con un diametro di 30 mt. Circa, al di sopra dei quali ci sono delle capanne, fatte con le canne delle piante acquatiche stesse. Lo stupore è tanto, non crediamo ai nostri occhi. L’atmosfera è magica ed il paesaggio lo è ancor di più. Sembra di essere in un villaggio incantato, tipo il mago di OZ. Gli isolotti galleggianti sono fatti in questo modo: vengono legati i ceppi delle piante galleggianti, in pratica la parte sottostante, quella che si trova sott’acqua. Le foglie vengono tagliate a filo dell’acqua e vengono distese in modo incrociato sul suolo, per uno spessore di circa un metro. In pratica fanno da pavimento. Gli isolotti sono rotondi. Su di essi ci sono capanne e capannucce, la zona dove si cucina, e il minimo indispensabile per la sopravvivenza dei loro particolari abitanti. C’è l’isolotto dove i bambini vanno a scuola, quello dove si portano gli ammalati o le donne che devono partorire, ecc. E’ in pratica un paesino galleggiante. Quando c’è qualche ricorrenza o qualche festa, ad esempio un matrimonio, il peso di tutti gli ospiti grava sull’isolotto che si abbassa di livello, senza ovviamente correre il rischio di affondare. Per spostarsi da un’isolotto all’altro, gli abitanti usano delle barche sempre costruite con le foglie delle piante galleggianti, a forma di animale. Hanno in pratica la prua che termina con una faccia di anima le e la poppa con una coda. Quando attracchiamo con il nostro traghettino, le donne ci vengono incontro con i loro abiti blu e arancioni e ci cantano la canzone di benvenuto con balletto incorporato. Gli uomini invece ci aspettano al centro dell’isolotto, per spiegarci il loro modo di vivere e tutto quello che ho precedentemente descritto io. Dopo un’oretta circa, a malincuore, risalpiamo e procediamo in direzione della nostra seconda e ultima meta: l’isola Taquile. Ci aspettano però 3 ore di navigazione, tempo che permetterà a noi passeggeri di chiacchierare e di conoscerci un pochino meglio. Il tempo passa rapidamente e senza accorgercene arriviamo a destinazione. L’isola Tequile è invece terraferma. Noi dovremo arrivare nella piazzetta che si trova nel punto più alto dell’isola su questo versante, dove si trova la piazzetta più importante. Ci dovremo andare a piedi, qui non esistono nè macchine ne corrente elettrica. Ci avviamo sul sentiero ripido dal quale si può ammirare il paesaggio. Il lago è azzurrissimo e sembra il mare. L’atmosfera è magica, vorrei rimanere lì per sempre. Dopo 20 minuti arriviamo a destinazione. La vista da quì è indescrivibile, non cerco neanche di spiegarvelo perchè non riuscirei. Scatto un milione di foto, mi siedo a mangiare con i miei compagni e poi si ritorna verso il traghetto, ma non dallo stesso sentiero, ma da una ripida scalinata che scende dalla parte opposta, ma che porta comunque al molo. Dopo mezz’ora ci rimbarchiamo e ritorniamo verso Puno. Ci vorranno tre ore e mezza, tempo prezioso per recuperare le forze. Il sentiero, gli scalini di roccia e il sole che picchia da far paura, ci hanno tolto tutte le energie. Il ritorno però me lo faccio sul ponte del traghetto, questa volta però…ho il cappellino. La notte la trascorro nuovamente all’hostall Hinkarry. La mattina seguente partirò per Cusco (con nuovi compagni), la tappa obbligatoria di chiunque voglia andare a vedere il simbolo del Perù: il Machupicchu. Il viaggio da Puno a Cusco dura nove ore, praticamente tutto il giorno. Questo perchè durante il tragitto facciamo quattro soste: una per visitare un museo, una per mettere qualcosa sotto i denti, e due per visitare siti archeologici Incas. La sera, arrivato a Cusco, ho giusto le forze per uscire a mangiare qualcosa, poi torno all’Hostall e mi sparo la mia prima vera dormita della vacanza. Infatti il giorno seguente non dovrò fare spostamenti, rimarrò a visitare Cusco, così come il giorno dopo ancora. Puno è la città andina più turistica in assoluto. Tutti coloro che vanno in Perù passano da qui. Ovviamente, più turismo…più cara la vita. Visito la Plaza de Armas (tutte le piazze principali delle città peruviane si chiamano così), musei, altre rovine e muraglie Incas situate alle porte della città, cammino a destra e sinistra e passano i due giorni. Arriva così la mattina in cui partirò per avvicinarmi ulteriormente al Machupicchu. A bordo di un pullmino pubblico, vado verso Ollantaytambo. Il pullmino è strapieno ma essendo arrivato tra i primi, riesco a stare seduto. La mia valigia è legata al portapacchi che si trova sul tetto. Neanche a farlo apposta, al mio fianco siede una signora peruviana che ha vissuto 2 anni in Italia. Lei mi parla bene del mio paese, io del suo e piano piano arriviamo a destinazione dopo un’ora e mezza. Ad Ollantaytambo dovrò prendere, nel pomeriggio, il trenino che mi porterà ad Aguascalientes. Il treno arriva puntuale ed è molto carino. E’ blu con la scritta Perurail in giallo. Salgo a bordo, e si parte. Il viaggio durerà altre 3 ore. Anche in questo caso il tempo scorre velocemente perchè il paesaggio è incredbile. La ferrovia passa in mezzo ad una gola e costeggia un fiume, le cui rapide lasciano intendere che se qualcuno dovesse avventurarsi nelle sue acque, non avrebbe scampo. In questo periodo infatti, le correnti sono fortissime, e vengono sospese tutte le attività di rafting. Il fiume fà veramente paura. All’interno, oltre che le rapide ci sono enormi massi. Chiunque verrebbe fatto a pezzi. Arriviamo ad Aguascalientes in serata, è buio. Il paesino non è altro che una stradina stretta in salita, lunga 500 metri circa. Ai suoi lati ci sono solamente Hostall e ristorantini, questo perchè tale posto è meta di soli turisti. Infatti, a pochissimi chilometri c’è il Machupicchu. Solita doccia veloce, cena e nanna. L’indomani mattina mi dovrò svegliare alle 5. Sarà fondamentale arrivare al simbolo del Perù tra i primi, si eviteranno code all’ingresso e si potrà godere di un paesaggio migliore, non essendoci ancora in giro centinaia di turisti che scattano foto. Intanto inizia a piovere. Vado a letto ma non riesco a dormire, causa la pioggia che sbatte sulle tettoie di ondolus di resina, e l’emozione, l’ansia e l’agitazione che si sono impadronite di me. Alle 5 mi sveglio, fuori è buio pesto e piove. Nonostante l’ora c’è gente che corre verso la stazione dei bus. Aumento anche io il passo, sono in prossimità della stazione, giro l’angolo e cosa vedo? Un fiume umano che in fila, attende il propio turno per salire sui bus che fanno la spola dal Machupicchu a Aguascalientes. Impreco a denti stretti, dovevo alzarmi prima. Salgo sul bus, e dopo qualche chilometro e decine di tornanti arrivo all’ingresso del sito archeologico. Ovviamente, c’è tutta la gente che era partita prima di me. Sono arrabbiato…la troppa gente, la pioggia, la foschia. Tutto sembra andare storto. Con un’abile mossa, complice anche il fatto di essere solo, riesco a guadagnare posizioni, anche perchè la lunga attesa ha fatto allentare l’attenzione delle persone che mi precedono. Ora ho solo poche decine di persone davanti a me, in pratica, sono in tribuna d’onore. Alle 6 e 30 in punto aprono il cancelletto e l’addetto inizia a strappare i biglietti. La gente si agita, l’emozione sale a mille. Varco il cancello e subito mi sembra di avvertire un’atmosfera magica, surreale. Davanti a me c’è un muro, devo girargli intorno. Lo faccio, percorro qualche decina di metri stando attento a non scivolare sulla roccia umida, alzo lo sguardo e…rimango impietrito. Le mie gambe non si muovono più, sento i miei occhi che diventano umidi. Là , davanti a me c’è il Machupicchu. E’ un momento indescrivibile, un’emozione indescrivibile. Mi accorgo che ha anche smesso di piovere. Il posto è magico, la pioggia qui non arriva. Sul costone della montagna vi è una colossale costruzione di rocce ottogonali poggiate una sopra l’altra, a formare mura di contenimento. Dopo di loro c’è il vuoto assoluto, un profondissimo burrone. Come avranno fatto a portarle lì e aposizionarle ed incastrarle in quel modo? La gente, come me rimane senza parole. Ci sono persone che si abbracciano e piangono, è la verità. La mia mente però è attraversata da un lampo di tristezza. Anche io avrei voluto avere una persona amica da abbracciare con cui condividere questo momento. Ma è solo un istante, allontano pensieri paranoici e continuo ad ammirare l’incredibile. Ma c’è un’altra cosa che devo vedere prima che ci sia troppa ressa: il Wynapicchu. Il Wynapicchu è una montagna a punta che si trova alle spalle del Machupicchu. Per accedervi bisogna oltrepassare un secondo cancello. Anche qui ho davanti a me una lunghissima fila, ma ormai ho imparato il trucchetto e scavallo quasi tutti. Ancora una volta sono tra i primi a entrare, per l’esatezza 27°. Conosco la mia posixione perchè in questo caso passa un addetto che scrive la posizione sul tiket. Al momento della consegna di quest’ultimo alla biglietteria, un secondo addetto scrive su un registro il nome di chi entra, del’ora in cui entra e del numero di entrata. Questa precauzione viene presa perchè la visita a Wynapicchu consiste nel percorrere un sentiero e una miriade di alti scalini al limite dell’impraticabilità che si affacciano sul vuoto. Chiunque potrebbe cadere nel vuoto e non venire più ritrovato, dato che non esistono barriere di protezione. Il numero in poche parole serve per vedere se tutti coloro che sono entrati a visitare, sono anche usciti sani e salvi. All’inizio, appena si entra tutti procedono a ridosso l’uno con l’altro, ma dopo le prime decine di scalini piano piano il gruppo si stacca. Gli scalini sono migliaia, vanno su e giù per la montagna. Portano a delle rovine archeologiche ed a una grotta (gran caverna). Io fortunatamente ho un fisico agile e non ho avuto molte difficoltà a viaggiare spedito e a rimanere tra i primi. Poi ci si perde l’uno con l’altro. Io credo di aver pecorso tutte le strade e tutti gli scalini. Ho impiegato quasi 4 ore, sfinito, sfiancato ma contento. Ripercorro la strada in senso opposto e riguadagno l’uscita, incrociando le persone che entravano ignari della madornale fatica che le stava aspettando. Ho fatto bene a visitare subito il Wynapicchu, ora c’è una fila interminabile, e può accedere solo un numero di persone alla volta. Ora posso visitare tranquillamente le rovine del Machupicchu. Ormai c’è poca gente. Ho avuto una chiave di lettura giusta della situazione. Mentre la gente si intratteneva a visitare la città perduta per poi ritrovarsi in massa a dover entrare al Wynapicchu, io ho fatto l’esatto opposto con il risultato di poter visitare in tutta comodità l’uno e l’altro. Nel tardo pomeriggio, riprendo il bus, e ritorno ad Aguascalientes. Mi lavo, metto qualcosa sotto i denti e riprendo il trenino che mi riporterà a Ollantaytambo e quindi Cusco. Una Volta arrivato a Cusco, alloggio in un Hostall e svengo letteralmente dalla stanchezza. La mattina successiva un aereo mi porterà a Lima, dove ci sarà la coincidenza per Trujillo. A Trujillo ci sono altri siti archeologici inca e preinca, oltre che l’oceano Pacifico. Io però, se devo essere sincero, ho scelto questa destinazione perchè finalmente avevo l’occasione di conoscere una ragazza peruviana che avevo conosciuto in chat, e con cui mi scrivevo da diversi mesi: Carolina…la guapa latina. Sulla costa, la storia è diversa. Il peruviano è diverso, imbroglione e furbo. La città è abbastanza pericolosa di notte e in qualche via anche in pieno giorno. I taxisti sono pericolosi, bisogna scegliere la compagnia di taxi giusta. I taxisti, in combutta con i piccoli criminali del posto fanno rapinare i propi passeggeri. Trujillo è una città poco turistica, io non passavo di certo inosservato. Il peruviano che vive sulla costa è simile all’occidentale: beve, fuma, fà uso di droghe, è invidioso quando guarda come sono vestito, gli piace il dinero facile. Ovviamente non tutti sono così. Comunque, io non sono nato ieri, prendo le mie precauzioni e trascorro una fantastica settimana di mare. Una settimana dopo, faccio ritorno a Lima e quindi in Italia. In sostanza, il Perù è un paese fantastico, quasi surreale. L’atmosfera, gli odori, i rumori che si sentono non si possono descrivere. La sua popolazione è pacifica e cordiale. E’ latina, quindi ha il sangue caldo e soride, sorride, sorride. I bambini sono bellissimi, tenerissimi. Capiterà che vi chiedano del denaro, non dateglielo mai. Fate come me, mettete in valigia dei giocattolini, anche quelli dell’ovetto kinder oppure dei quaderni da colorare con dei pennarelli, e man mano che vi spostate di paese in paese dategli quelli. Credetemi, quando glieli davo erano felicissimi, non saprei dirvi se erano più contenti loro che ricevevano il regalo o io che vedevo la loro reazione. Non siate mai antipatici o sgorbutici con gli andini, non se lo meritano. Abbiate rispetto della loro cultura e del loro modo di vivere. Non contrattate più di tantoo il prezzo delle cose che comprate. Vedevo gente che non comprava le cose perchè costavano due o tre soles in più di quello che pensava. Non sono neanche un’euro. E poi magari sono quelle persone che comprano le stesse cose nei negozi dell’aeroporto, dove costano quattro volte di più, solo perchè devono finire i soldi peruani…che tristezza. Spero di essere stato esauriente sotto tutti i punti di vista, e non noioso. Consiglio a tutti il Perù, anche a ragazzi e ragazze che intendono viaggiare da soli. Il perù è molto economico. Io ho speso 2500 Eueo…ditemi se è tanto! Ciao e ….buon viaggio.
Alessandro
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