Lo sapevi che anche gli antichi Romani facevano trekking? E la loro strada preferita del Lazio esiste ancora dopo 2500 anni

Progettata e costruita prima dell’Appia, già percorsa quando Roma non era ancora la padrona del mondo, la Via Sacra a Rocca di Papa costituisce una delle opere d’ingegneria stradale più longeve e meglio conservate che siano giunte sino ai nostri giorni.
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Il tracciato, che, nel comune di Rocca di Papa, Castelli Romani, si è mantenuto ottimamente, custodisce una storia unica, legata, in particolare, al tempio di Giove Laziale ubicato sulla sommità del Monte Cavo (950 m.s.l.m.), la vetta lungo cui, ancora oggi, il percorso si articola e prende vita.
Prima che dai romani, dunque, che sconfissero i latini durante la metà del IV secolo a. C., questo antico basolato fu percorso e frequentato dai vari popoli facenti parte della Lega Latina, una confederazione – o, come la chiameremmo oggi, alleanza –, delle varie città-stato del Latium vetus, il Lazio antico.
Ma non addentriamoci in temi che ci potrebbero allontanare dal focus principale, e andiamo a vedere che cosa rende questa antica strada così sui generis.
Il trekking dei latini e degli antichi romani
Quella del trekking sembra una definizione anacronistica – per non dire démodé –, eppure, non è così distante dalla realtà dell’epoca.
Il tracciato della Via Sacra, infatti, si sviluppava interamente in salita, una caratteristica parecchio insolita per una strada, e una circostanza che, oggi così come ieri, costringeva, appunto, a fare un po’ di trekking, o, per meglio dire, una bella scampagnata.
Non un’arteria di collegamento da un centro all’altro, quindi, come poteva essere l’Appia, da Roma a Brindisi, la Flaminia, da Roma a Rimini, o la Cassia, da Roma a Luni; tutt’altro.
La strada era stata creata ad hoc per raggiungere un punto preciso, il santuario di Giove Laziale, Giove Padre. Questa era, fra le genti latine, la divinità più importante, il padre di tutti gli dèi, e il suo luogo di culto principale sorgeva proprio nel comune di Rocca di Papa, sulla vetta del Monte Cavo.
Il santuario, ad oggi quasi del tutto scomparso, era abbondantemente frequentato; insomma, una meta di pellegrinaggio – come possono essere considerate oggi Roma o Gerusalemme –, conosciuta e parecchio in voga fra le genti latine prima e i romani poi.
Il percorso, che si diramava per circa 30 chilometri, prima di arrivare sulla vetta del Monte Cavo passava per il bosco sacro di Nemi – il cui lago è ad oggi ammirabile, insieme a quello Albano, dal panorama della Loggetta –, dove c’era un altro importantissimo luogo di culto, quello di Diana Nemorensis, dea delle selve e della caccia.
Abbiamo detto che il santuario era ampiamente frequentato, e questo è vero; tuttavia, è necessario precisare che la sua importanza accresceva particolarmente durante il periodo delle Feriae latinae, una festività mobile, solitamente indetta nel periodo primaverile.
Istituita, secondo la tradizione, da Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, con ogni probabilità, per celebrare alcune sue vittorie, le Feriae prevedevano l’uccisione di un toro bianco.
Al termine del rituale, noto come tauroctonia, le viscere venivano bruciate, affinché il fumo potesse raggiungere il cielo, e dunque gli dèi, mentre le parti del toro erano divise fra i vari portavoce delle città latine.
Il clou, e cioè, l’uccisione del toro, era preceduto, prima e dopo, da un preciso codice rituale: la processione e la condivisione di alcuni alimenti – formaggio, carne, vino, pane –, e, al termine, l’accensione di un grande fuoco purificatore sulla sommità del Monte.
I segni del tempo lungo il percorso della Via Sacra
Da prima della nascita di Roma, dunque, la Via Sacra era già percorsa, attraversata e battuta, con una frequenza direttamente proporzionale alla notorietà del Santuario di Giove Padre. In tal senso, la domanda sorge abbastanza spontanea: possibile che tutte le pietre, o, per meglio dire, i basoli, si siano conservati?
La risposta è no; e, per capirlo, basta guardare dove si mettono i piedi! Prestando infatti attenzione mentre si cammina, si possono osservare, su alcune pietre, delle V e delle N, che, rispettivamente, significano Vetus e Novus, vecchio e nuovo. Questa dicitura indica che, dal punto in cui c’è la V fino al punto in cui arriva la N, la strada è stata soggetta, negli anni, a una ristrutturazione.
Va da sé che il tratto di strada precedente e successivo a quello interessato può considerarsi quasi interamente originale, e, cioè, non soggetto a dei rimaneggiamenti. Insomma, come ci camminavano (o ci facevano trekking?) i latini e i romani più di 2000 anni fa, oggi ci camminiamo noi!