Una città che non ha bisogno di presentazioni, perché è ogni cosa: moda, economia, arte, cultura, innovazione, design, storia; sia per gli italiani che per gli stranieri, vivere Milano significa fare un’immersione in tutto ciò che guarda al futuro, con uno stile italiano inconfondibile che mescola sapientemente la nostra identità con tutte le contaminazioni possibili. Questo si traduce in esperienze culinarie che, dagli anni ‘80 in poi, hanno progressivamente conquistato ogni angolo della città, offrendo la possibilità ad avventori e residenti di trovare ogni tipo di ricetta, spaziando dalle offerte più fast & cheap a quelle più ricercate, con una infinita disponibilità di soluzioni per tutti i gusti e per tutte le tasche. Ma soprattutto, hanno segnato una cesura evidente dal suo passato industriale e popolare a un presente “fighetto”, spesso più stellato che legato alle radici, ma che è sintomatico della gentrificazione di questa città, ponte italiano verso l’Europa e il resto del mondo, in cui tuttavia la cucina milanese non ha perso interesse, invece ne ha acquistato.
Le ricette antiche della cucina milanese e la loro narrazione
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Voglio fare, insieme a voi, un viaggio nella tradizione ma lasciando ad Artusi la presentazione del piatto ‘’che bisogna lasciarlo fare ai Milanesi, essendo una specialità della cucina lombarda. Intendo quindi descrivervelo senza pretensione alcuna nel timore di non essere canzonato. È l’ossobuco un pezzo d’osso muscoloso e bucato dell’estremità della coscia o della spalla della vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e gustoso”.
Pellegrino Artusi si occupa di questo ingrediente ne La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene del 1891, il primo ricettario, il più famoso e letto sulla cucina italiana, descrivendo il procedimento: l’ossobuco va cotto in un ‘’battuto crudo e tritato di cipolla, sedano, carota e un pezzo di burro’’, sottolineando che va aggiunto burro insieme alla farina in modo da legare bene il sugo; vanno a completare la ricetta anche la buccia di limone e il prezzemolo in modo da profumare il piatto, prima di levarlo dal fuoco.
Questa ricetta era stata già citata da Sorbiatti ne Il memoriale della Cuoca del 1879, ricetta descritta con aggiunta di gremolada, una salsa fatta con buccia di limone, aglio, prezzemolo (è possibile mettere anche l’acciuga), il tutto finemente tritato: un tocco deciso e fresco per la ricetta dell’ossobuco. L’ingrediente principale, tagli di geretto di vitello da latte comprendenti l’osso centrale contenente il midollo, determina la consistenza del piatto, perché è proprio la parte grassa che conferisce cremosità e succhi alla ricetta. La cottura in umido risulta lunga proprio per esaltarne il sapore e la consistenza.
Risotto allo zafferano, il piatto principe della cucina milanese
Il piatto unico della cucina milanese, per utilizzare un termine attualissimo, vede l’ossobuco in abbinamento con il risotto allo zafferano: questa spezia preziosissima fu reintrodotta nelle nostre zone durante il Medioevo dalle popolazioni arabe, perchè con la caduta dell’impero romano la coltura era scomparsa. La storia narra che nel XIV secolo lo zafferano veniva utilizzato dai vetratisti del Duomo di Milano per dare la giusta colorazione gialla ai vetri della chiesa: durante il matrimonio della figlia di Valerio di Fiandra, vetraio belga impegnato nei lavori del Duomo, lo zafferano venne servito in aggiunta al risotto del pranzo, frutto evidente dell’atto goliardico escogitato dagli altri vetrai in combutta con il cuoco.
Sta di fatto che questo risotto conquistò occhio e palato, con il suo incredibile color oro: il successo fu talmente grande che la ricetta circolò per tutta la città arrivando fino ad oggi come uno dei simboli indiscussi di Milano. Già allora venivano attribuite a questa spezia numerose proprietà, e questo fu un grosso incentivo alla diffusione del risotto allo zafferano in tutte le osterie e taverne. Per la ricetta originale servono midollo di manzo o di bue, brodo ristretto, grasso d’arrosto, cipolla, burro e i pistilli di zafferano che vanno a completare il piatto; per il riso scegliamo un carnaroli o un vialone nano e procediamo con tostatura, cottura e mantecatura.
Entrambe le ricette, ossobuco e risotto, hanno ricevuto il riconoscimento di De.Co., Denominazione Comunale, che ne ufficializza l’appartenenza al territorio.
Milano da bere: il Negroni Sbagliato
Non suggerirò un abbinamento con il vino questa volta, perché c’è qualcosa di davvero speciale nella cucina milanese, qualcosa a cui non posso rinunciare ogni volta che ho l’occasione di passare qualche giorno in città.
Sto parlando del Negroni Sbagliato, un drink da aperitivo che compie cinquant’anni. Mirko Stocchetto ha buona parte del merito di aver “inventato” la moda degli aperitivi: lo Sbagliato nasce proprio da un momento di superlavoro al Bar Basso, dove a causa dei tanti clienti e delle loro richieste, un Negroni viene accidentalmente preparato con uno Spumante Ferrari al posto del Gin. Tecnicamente il cocktail risultò più leggero, quindi più bevibile, più fresco e meno alcolico, versando in un tumbler basso un terzo di spumante, un terzo di Campari Bitter e un terzo di Vermouth Red. Il successo fu clamoroso, talmente grande che lo Sbagliato è un drink attualmente conosciuto in tutto il mondo anche con il nome di Wrong Negroni o Mistaken Negroni, a testimonianza dell’indiscusso successo dell’Italian Style.