Danimarca alternativa

06/08/2007 Bologna - København Dopo un’infinità di considerazioni e ripensamenti quest’anno si è deciso per la Danimarca e mai scelta si rivelò più azzeccata! Nessuna levataccia in questa occasione, per una volta arriviamo in aeroporto a Bologna con ampio margine sull’orario di partenza, cosicché salutati i genitori di Sara pranziamo...
Scritto da: Culdefeu
danimarca alternativa
Partenza il: 06/08/2007
Ritorno il: 14/08/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
06/08/2007 Bologna – København Dopo un’infinità di considerazioni e ripensamenti quest’anno si è deciso per la Danimarca e mai scelta si rivelò più azzeccata! Nessuna levataccia in questa occasione, per una volta arriviamo in aeroporto a Bologna con ampio margine sull’orario di partenza, cosicché salutati i genitori di Sara pranziamo con tutta calma prima di procedere al check-in, dove in una selva di teste bionde notiamo distinguersi una coppia, lui è ivoriano e lei modenese. Dopo un breve scambio di convenevoli ci salutiamo per incontrarci in attesa dell’imbarco, dove la ragazza racconta di essersi recata come volontaria in Togo e per Sara che ha vissuto un’esperienza similare solo pochi mesi prima, l’argomento è quanto mai invitante. A bordo del velivolo ci perdiamo nuovamente di vista, poco male poiché detestando gli aerei l’unico modo per far trascorrere il tempo del volo è farlo dormendo. Quando finalmente si decolla, com’è prassi da un po’ di tempo a questa parte, avvio il minidisc grazie al quale una lista di brani collaudati ed altri nuovi aggiunti in previsione di ogni vacanza fanno entrare nel vivo il viaggio. La genesi di questa colonna sonora è cominciata tre anni or sono, inevitabile quindi che le musiche mi ricordino i precedenti viaggi in Islanda, Norvegia, Svezia, Portogallo e Togo. Sono comunque sufficienti pochi brani affinché mi addormenti, per svegliarmi in prossimità dell’atterraggio, quando dai finestrini sono ben visibili le grandi turbine per l’energia eolica in piena attività nello stretto dell’Øresund. Rintracciati i nostri compagni di viaggio, riacquistiamo le valigie e ci dirigiamo verso la biglietteria ferroviaria che si trova all’interno dell’aeroporto. Le nostre strade qui si dividono definitivamente, loro soggiorneranno qualche giorno nella capitale ospiti di una amica, noi gireremo il paese per quanto possibile. In una decina di minuti il treno ci conduce in København H, la stazione centrale a ridosso del famoso parco Tivoli. Senza perdere tempo consultiamo la cartina della città procacciata in aeroporto e serpeggiando con i trolley all’evenienza tra corsie ciclabili e pedonali, arriviamo in Absalonsgade, dove pernotteremo per due notti prenotate tramite Internet. Ad accoglierci troviamo Marianne, la proprietaria dell’appartamento, che si dimostra subito molto affabile. Preso possesso della camera e dopo una doccia ed un cambio d’abiti siamo in strada, pronti per cenare. Nella zona della stazione appena giunti avevamo notato (impossibile non farlo) il locale Hard Rock Cafè, ma dopo aver appurato l’impossibilità di accomodarci in tempi umani, optiamo per il Bryggeriet Apollo, un bel ristorante localizzato sempre in Vesterbrogade. Si tratta per inciso di una cena frugale, durante la quale faccio il mio primo approccio con la birra danese. Quando torniamo in strada decidiamo di concederci una serata al rinomato Tivoli; l’acquisto del biglietto d’ingresso di per sé oneroso non include la possibilità di poter usufruire dei giochi del parco, che vanno pagati singolarmente comprando negli appositi distributori disseminati nel parco gli opportuni tagliandi. Prima però di entrare nel parco Sara adocchia a ridosso dell’ingresso il Build-a-Bear, un negozio popolato da centinaia di pupazzi senza consistenza, che il negoziante al momento dell’acquisto provvederà dar loro forma imbottendoli della giusta quantità di lana con un apposito macchinario, per poi abbigliarli a piacimento con le infinite soluzioni che la rivendita propone. Per i bambini è il regno della perdizione, eppure anche Sara dall’alto dei suoi ventisei accusa un duro colpo tanto che mi vedo costretto a trascinarla fuori a forza. Entrati nel Tivoli ci soffermiamo in un piccolo padiglione dove è in corso un concerto di musica celtica, dopodichè gironzoliamo a lungo tra le varie attrazioni, in un mondo di luci colorate dove giochi e luoghi più romantici trovano il loro spazio senza per questo stridere l’uno con l’altro. Prima della chiusura del parco, nel laghetto al suo interno viene messa in opera una danza di luci colorate e di zampilli d’acqua al ritmo di musica classica, mentre tutt’intorno coppie più o meno giovani si fermano ad osservare rapite dallo spettacolo. E’ tutto molto suggestivo, la degna chiusura di questa prima giornata danese.

07/08/2007 København Verso le otto del mattino siamo operativi e da Absalonsgade comincia la nostra perlustrazione di København, in una mattinata solo inizialmente fresca. Percorrendo Vesterbrogade passiamo di fronte ad un negozio della catena Seven-Eleven, nel quale acquistiamo alcune paste e qualcosa da bere, in definitiva la nostra colazione. Passeggiando superiamo l’Hard-Rock Cafè ed immediatamente dopo l’ingresso del Tivoli, che tra poche ore aprirà i cancelli ad una nuova orda di visitatori. Giunti alla desolata piazza del municipio facciamo la fila al seguito del consueto gruppo di turisti giapponesi che ritraggono ogni singolo componente della comitiva al fianco della statua di Andersen, quindi dopo averli emulati ci immettiamo nel celebre viale pedonale denominato Strøget. Sara osserva con interesse le vetrine, ma viene frenata da eventuali acquisti quando mette a fuoco il carovita danese. Seguendo alla lettera l’itinerario a piedi consigliato dalla guida, ci soffermiamo in una Højbro Plads abbacinata dal sole dove ci concediamo una pausa osservando la partenza dei battelli per la visita della città attraverso la rete di canali. Ci trastulliamo con la statua di una donna che stringe tra le mani una sogliola, osserviamo la statua del fondatore della città, il vescovo Absalon, quindi prima di riprendere il tour scoviamo un negozio di souvenir a ridosso del naviglio che espone prezzi consoni alle nostre tasche. Sara intende comprare per sua madre un piatto di ceramica tipico della città e sembra aver trovato quello che fa al caso suo, ma prima di operare l’acquisto stabilisce di cercare ancora. Percorriamo il restante tratto dello Strøget fino ad arrivare in Kongens Nytorv, la piazza sulla quale si sporgono l’Accademia Reale di Belle Arti ed il Teatro Reale. Senza indugi la abbandoniamo per addentrarci nel Nyhavn, il suggestivo canale sul quale si affacciano stretti gli uni agli altri splendidi edifici colorati che ospitano ai piani inferiori eleganti ristoranti e caffé ancora abbastanza deserti. Proseguendo fino al numero sessantasette arriviamo all’abitazione dove alloggiò per un periodo della sua vita lo scrittore Hans Christian Andersen, dopodichè ci rechiamo a vedere l’Amaliehaven, un giardino decisamente insignificante e dal quale si ha una vista non propriamente idilliaca sull’Yderhavnen. Giunti all’Amalienborg Slot, la residenza della famiglia reale, assistiamo al cambio della guardia… O perlomeno ci proviamo! La cerimonia è interminabile, molto scenografica, ma, com’è giusto che sia, tutt’altro che spettacolare. Provo un po’ di pena per quei ragazzi in uniforme costretti ad interminabili rituali alla mercè del sole, mentre un branco di fastidiosi turisti, tra i quali noi, li tempesta di fotografie alla maniera di animali rari. La statua equestre di Federico V verte al centro della piazza, punto dal quale riprendiamo il nostro cammino alla volta della maestosa Marmorkirken, popolata nel suo giardino da numerose statue e da giovani turisti che sui gradini dell’ingresso oziano al riparo dal sole. Si è fatta ora di pranzo e data la nostra localizzazione faccio pressione perché si vada all’Ida Davidsen, il locale di smørrebrød a detta della Lonely Planet, migliore di tutta la Danimarca. Questa pietanza, fondamentalmente una fetta di pane di segale sulla quale sono stesi i condimenti più disparati, è un po’ il simbolo culinario (pesce a parte) del paese. Sebbene senza prenotazione, riusciamo ad accomodarci nell’ultimo tavolo libero e ad ordinare al banco quasi immediatamente. Da questo momento i tempi assumono proporzioni bibliche, cosicché cominciamo a domandarci che fine abbiano fatto le nostre ordinazioni, quando finalmente ci vengono servite due irrisorie porzioni di pane con roastbeef per il sottoscritto, salmone e caviale rosso per la mia compagna. Sara conviene che al banco ci sia stata poco chiarezza e dovrà combattere a lungo per venire a capo di quel caviale che la disturba alquanto. Il conto ci spezza le gambe, nonostante fossimo al corrente dei prezzi mai avremmo pensato di spendere duecentoventi corone per due smørrebrød ed un paio di bibite. Alleggeriti nel portafoglio conveniamo di prestare maggiore attenzione alle spese future, quindi percorrendo il lungo viale anonimo denominato Drønnings Tværgade, capitiamo nei bellissimi giardini di Kongens Have dove ci uniformiamo alla popolazione locale stendendoci al sole in una sorta di pennichella post-pranzo. Constatiamo come anche all’interno del parco i numerosi viottoli siano costantemente solcati dalle bici, sovrane incontrastate di questa città ed in generale come avremo modo di vedere, di questa nazione. L’erba soffice e curata alla maniera di un giardino inglese si offre ai numerosi avventori, in particolare giovani coppie con prole al seguito e studenti, che indistintamente riposano, prendono il sole, si riparano sotto alle fronde degli alberi. Salutiamo la nostra piazzola e rimanendo sempre all’interno dei Kongens Have ci rechiamo al Rosenborg Slot, il castello al cui interno sono custoditi i tesori della corona. Nei pressi della fortezza è in corso una esercitazione militare alla quale assiste una nutrita schiera di turisti tra i quali Sara, pertanto mi concedo una passeggiata nei giardini del Rosenborg Slot, un edificio affascinante circondato da un bel fossato nel quale si protendono alcuni salici ad offrire ricovero alle numerose anatre che popolano il rivo. Sara mi raggiunge ed insieme decidiamo che è finalmente giunta l’ora di prendere le famose biciclette di København: allo stesso modo di un carrello della spesa le si prende a nolo inserendo nel posteggio una moneta da venti corone che verrà restituita all’avventore una volta ricondotte in uno degli appositi posteggi disseminati per la città. Ebbene, nonostante i centoventicinque punti nei quali le si può trovare dislocate, solo al termine di una lunga ed estenuante ricerca riusciamo ad impossessarci di un paio di biciclette. Pronti ad esultare ci rendiamo conto che una delle due ha una ruota inservibile, dunque portandoci al seguito quella sana cominciamo ad esplorare le strade della città alla ricerca di una compagna. Solcare lo Strøget con la bicicletta al proprio fianco nell’ora di massima affluenza si rivela un vero e proprio martirio, cosicché arrivati ad un deposito e constatato che non verremo mai a capo della nostra ricerca, depositiamo il mezzo e recuperati i soldi cominciamo l’avvicinamento alla Sirenetta confidando sulle nostre gambe. Nel pressi del Nyhavn concordiamo che sarebbe una buona idea raggiungere il monumento a bordo di uno dei veicoli a tre ruote che qua al nord riscuotono tanto successo. Ne troviamo uno che sembra fare al caso nostro, il conducente è impegnato nel dare informazioni a dei turisti, ma quando si libera senza esitazione lo avvicino ed in un inglese grossolano gli chiedo quanto ci verrebbe a costare una pedalata fino alla statua della Sirenetta. Destino vuole che il conducente del mezzo sia un ragazzo italiano, veneziano per la precisione, inizialmente a København per una visita di piacere. Afferma di aver scoperto un business perfetto per il suo mese di permanenza nella capitale danese, il noleggio del mezzo infatti è poca cosa in confronto ai guadagni che si ricavano. Concordato il prezzo e suggeritoci come punto d’arrivo il Kastellet, a detta sua meritevole di una visita, ci accomodiamo nel sedile posteriore e lo lasciamo pedalare. Sebbene København sia prettamente pianeggiante, in prossimità del Kastellet vi è una salita da affrontare che lo costringe a smanettare ripetutamente con il cambio affinché il triciclo non torni al punto di partenza. Per tutto il tragitto io e Sara ci sentiamo una sorta di negrieri del ventunesimo secolo, ma quando arriva il momento di pagare le pattuite ottanta corone per quella che è stata una pedalata di pochi minuti, tale sensazione, almeno personalmente, svanisce all’istante. Accediamo così al Kastellet, una bella zona verde rialzata al cui interno vecchi edifici magistralmente ristrutturati ed un mulino solitario si fondono in un contesto di serenità e rilassatezza; a completare il quadretto alcuni podisti che percorrono il periplo del complesso e cani al seguito dei padroni. Da qui arrivare alla statua della Sirenetta è semplice, sebbene giunti al sito indugiamo sgomenti allo spettacolo che ci si presenta di fronte: un paio di ragazzi di una scuola francese stanno infatti posando per i compagni eseguendo sull’opera una serie di prese da wrestling sotto l’occhio divertito dell’insegnante il quale piuttosto che dissuaderli dalla penosa messinscena ne incita altri a dar man forte. La pantomima è interminabile, insieme ad un gran numero di altri turisti attendiamo speranzosi che la giustizia divina si abbatta su di loro, ma dobbiamo accettare l’idea che Thor oggi abbia di meglio da fare. Riusciamo alla fine a farci scattare una foto al fianco della Lille Havfrue, un monumento forse un po’ troppo sottovalutato, ma che rimane comunque il simbolo della città. Passeggiamo lentamente, il sole è ancora alto e questa zona di København immersa nel verde e intersecata da placidi affluenti riesce quasi a farmi dimenticare che Absalonsgade è a diversi chilometri di cammino. Tornati in Højbro Plads Sara perfeziona l’acquisto dei già citati piatti di porcellana ed in uno dei tanti Seven-Eleven prendiamo anche una carta telefonica per chiamare casa. Il foglietto col codice per telefonare che ci viene consegnato, ovviamente con istruzioni unicamente in danese, risulta inutilizzabile nelle cabine tant’è che tornati alla rivendita scopriamo trattarsi di una ricarica per cellulari, quando invece ne avevamo richiesta esplicitamente una da utilizzare nelle cabine pubbliche. Non c’è verso di farci convertire il credito e piuttosto adirato esco dal negozio maledendo il gestore e meditando vendetta nei confronti della catena. Indecisi sul rincasare o meno, decidiamo di concedere una chance anche alla famosa Christiania, che si trova dalla parte opposta del fiume, nel quartiere chiamato Christianshavn. Per raggiungerla costeggiamo lo Slotsholmen, il complesso che ospita il governo danese, quindi percorrendo il ponte che sormonta l’Inderhavnen, la presenza di individui dall’aspetto non propriamente raccomandabile ci lascia intuire che ci stiamo avvicinando alla meta. Ci addentriamo nel quartiere di Christiania da un’entrata secondaria, dove un bel dipinto fantasy maschera la facciata di un vecchio edificio. Il quartiere, dichiarato dai suoi occupanti stato libero nel lontano 1971, dà l’impressione di aver perso nel tempo gli ideali sul quale era stato fondato e che ora sia unicamente un fenomeno commerciale all’interno del quale poter fumare le cosiddette droghe leggere all’aria aperta senza preoccupazioni di sorta. I colori nel tipico stile hippy decorano gli scalcinati edifici e l’odore dell’incenso misto a quello del fumo permea l’aria, dando l’idea di trovarci anni luce dalla rigorosa København. La breve visita ci porta a visitare il mercatino ed una piccola mostra a sostegno del Tibet, il bar affollato di giovani bevitori ed un gruppetto di ragazzi alle prese con uno spinello dalle fattezze di una proboscide (il ragazzo espira il fumo ed alla maniera di un ninja scompare in una nube biancastra). Salutiamo Christiania dall’ingresso principale, dove una coppia di totem solleva un cartello sul quale per noi che usciamo è inciso un messaggio di benvenuto nella comunità europea. Come in ogni angolo della capitale anche qui le biciclette la fanno da padrone, ed in particolare si notano quelle a tre ruote dotate di una cuccetta frontale con lo stemma di Christiania. Si è fatta ora di cena e tornati nello Strøget ci viene in soccorso il Manhattan Deep Pan, un locale gestito da cittadini asiatici dove con la formula “all-you-can-eat” mangiamo ben oltre il limite della sazietà, spendendo una cifra ridicola in confronto agli standard danesi. Concordiamo che la giornata possa considerarsi conclusa, le energie sono al lumicino, sufficienti quel tanto che basta per rincasare in appartamento.

08/08/2007 København – Rungsted – Helsingør – Ystad Come da programma oggi ha inizio la vera e propria esplorazione del suolo danese. Ci alziamo da letto senza fretta, il ritiro della macchina è previsto a metà mattinata e considerando che l’ufficio di noleggio si trova a pochi passi dal nostro appartamento, ci concediamo il lusso di svegliarci senza fretta. Marianne, come annunziatoci la sera prima, non è in casa. Completate le operazioni di prassi ed appurato di non aver lasciato i classici ricordi (vedi shampoo, dentifrici, ecc.), saliamo sull’ascensore e guadagnato il piano terra ci avventuriamo per una Absalonsgade ancora assonnata. Siamo titubanti sul fare o meno colazione, a quest’ora è aperto il solo e solito Seven-Eleven mentre saremmo più propensi a pasteggiare con calma in un vero e proprio caffé, cosicché stabiliamo di ritirare la vettura e di proseguire la ricerca in un secondo tempo. Arriviamo alla sede della Europcar con facilità e dopo poco siamo in strada a bordo di quella che nei prossimi giorni sarà la nostra compagna di viaggio, una nuovissima 307 station-wagon nera (a questo punto sorge qualche incertezza avendo prenotato tramite internet la versione berlina, ma questi dubbi li dipaneremo solo l’ultimo giorno). Per mia somma gioia circolano pochissime vetture che rispettando inflessibilmente la segnaletica mi permettono di avere un approccio più morbido con il mezzo, qualcosa di inverosimile se pensiamo che København pur non essendo una metropoli è comunque una capitale da oltre un milione di abitanti. Siamo ora alla ricerca dell’autostrada per dirigerci nello Sjælland del nord, ma una volta averla trovata, a causa di una serie interminabile di lavori in corso che ci costringono ad una penosa andatura da calesse, mi affiora alla mente la lettura del racconto di un turista per caso, che la sconsigliava poiché a suo dire la strada costiera offriva un panorama sublime. Confidando in tali parole inforco la prima uscita e dopo aver percorso qualche chilometro attraverso uno stupendo viale costeggiato da piccole ville immerse nel verde, intravedo comparire di fronte a noi l’Øresund. Dopo essermi lasciato alle spalle una intera squadra di calcio panchina compresa di bar e caffé, giunti a Vedbæk allo snodo con la strada panoramica troviamo un grazioso punto di ristoro che mi viene in soccorso. Ci accomodiamo nel retro del locale a consumare la nostra colazione in compagnia di alcuni autoctoni che mangiano e dialogano tra loro molto educatamente, lasciandomi gustare questo momento di totale serenità. Osservo il tipico tetto a graticcio dell’edificio, i fiori che armonizzano il contesto, gli uccellini che si avvicinano alla ricerca di qualche briciola e l’Øresund illuminato da timidi raggi di sole: sento già di amare questo paese! Riprendiamo la marcia e la strada panoramica si conferma un meraviglioso sogno ad occhi aperti. In prossimità delle piccole spiagge, in risposta alla bella giornata di sole si formano dei piccoli ingorghi che tuttavia si sbrogliano con ordine e senza colpi di clacson. Giungiamo senza intoppi a Rungsted ove si trova Rungstedlund, l’antica tenuta di Karen Blixen, l’autrice del romanzo “la mia Africa” e numerose altre opere di successo. L’abitazione è stata adibita a museo, mentre l’enorme parco congiunto assolve al ruolo di riserva ornitologica. Una comitiva di anziani ci ha preceduto di una manciata di secondi e per l’intera durata della visita dovremo accodarci a loro ed attendere che ogni ala dell’edificio sia stata visitata dalla canuta combriccola prima di potervi accedere, cosicché approfittiamo dell’attesa per fare una passeggiata nel parco prima di visitare l’edificio. All’ingresso ci vengono fatti indossare dei sacchetti di tela alle scarpe al fine di preservare la superficie del pavimento, quindi grazie ad un opuscolo in lingua italiana cominciamo la vera e propria visita, che si conclude giustamente nella stanza dove le lance dei masai e numerose altre testimonianze della sua vita in Africa fanno da contorno alla macchina da scrivere con la quale era solita redigere i propri romanzi. Lasciamo Rungsted e ci dirigiamo ad Helsingør, prossima tappa del nostro tour. Le distanze nello Sjælland sono contenute e questo ci permette di non annoiarci nei continui spostamenti in macchina. In prossimità del centro cittadino scrutiamo i moli dai quali salpano i numerosi traghetti diretti in Svezia e presso i quali ci imbarcheremo per raggiungere in serata Ystad. Trovato parcheggio osservo incuriosito la parata di turisti svedesi che si recano ad Helsingør esclusivamente per acquistare alcolici a prezzi decisamente più conveniente di quelli operati nel proprio paese. Numerose famiglie scorazzano con intere casse di ogni sorta di alcolici, principalmente vodka e birra, stipano il baule della macchina e ripartono per tornare a casa. Decidiamo di pranzare in un chiosco con hot-dog e patatine fritte, quindi prima di recarci al Kronborg Slot osserviamo il centro cittadino che conserva un fascino antico molto gradevole. Nonostante la distanza non sia eccessiva, per raggiungere il Kronborg Slot optiamo per la vettura, saggia scelta che ci permetterà di prendere con scioltezza il traghetto per Helsingborg. Attraversati un paio di fossati, percorrendo le mura si arriva all’ingresso vero e proprio del castello e quindi alla biglietteria, presso la quale l’acquisto del ticket è vincolato da ciò che si è intenzionati a visitare. Decidiamo di soprassedere sul Museo Marittimo Danese, quindi cominciamo la perlustrazione dalle stanze nobiliari, dove in una escalation di sfarzi si giunge alla sala un tempo impiegata per i banchetti, tra le più lunghe della Scandinavia secondo quanto dichiarato dalla guida, una prateria a parer mio. Intervallato all’antico arredo sono esposte delle opere di artisti contemporanei che a detta del sottoscritto farebbero bella figura solo in un cassonetto dell’immondizia. Il tour ormai giunto al termine ci riserva la parte più interessante del complesso, le casematte, ovvero i sotterranei dove erano localizzate le prigioni, le celle per la conservazione del cibo e gli alloggi dei soldati. Ridiscendendo pochi gradini si passa da una temperatura tipicamente estiva ad una da cella frigorifera, il tutto in un ambiente a tratti tenebroso rischiarato da sporadiche lampade a muro. Camminando e prestando attenzione a non battere la testa vista la ridotta altezza del soffitto, rimango incantato dalla vista della massiccia scultura del vichingo Holger Danske, un guerriero che secondo la leggenda veglia sulla nazione, pronto ad intervenire qualora questa dovesse fronteggiare il nemico. L’ambientazione ed una sapiente luce lo illuminano a tempi alterni conferendo al tutto un qualcosa di magico, ma Sara dopo questo monumento accelera il passo, sulle pareti passeggiano moltitudini di insetti dall’aspetto inquietante ed il labirinto simile per certi versi a delle catacombe, la invogliano a congedarsi quanto prima da questi antri. Guadagnata l’uscita torniamo immediatamente ad un temperatura più consona per la stagione, dopodichè recuperiamo la vettura e con essa ci rechiamo al porto. Acquistiamo il biglietto per il traghetto della compagnia HH-Ferries al prezzo di duecentotrenta corone e ci apprestiamo ad una breve attesa. Salutando Helsingør osserviamo dalla prua come effettivamente la costa svedese sia subito dietro l’angolo ed al tempo stesso come questo esiguo tratto di mare sia densamente trafficato da navi mercantili ed altri traghetti. Un arcobaleno fa capolino sulle ciminiere del porto svedese e repentinamente comincia a scendere una fine pioggia che si trasforma rapidamente in un vero e proprio rovescio a dispetto del sole che continua a splendere in cielo. Arrivati a destinazione ci dirigiamo subito a sud, siamo diretti ad Ystad dove alloggeremo presso l’ostello Kantarellen prenotato telefonicamente per la cifra di trecento corone svedesi. Il viaggio scorre piacevole attraverso foreste e dorati campi di grano, un paesaggio diametralmente opposto a quello offerto dalle autostrade italiane. Sara dorme per la quasi totalità del tempo, tuttavia nell’unica diramazione malamente segnalata interviene tempestivamente evitando così di farci arrivare in chissà quale località (dovendo percorrere in Svezia solo un breve tratto e considerando che Ystad si trova nella punta più a sud della penisola, non mi sono premunito dell’opportuna carta stradale). Arriviamo puntuali a destinazione, l’ostello è ben segnalato e si trova dirimpetto alla spiaggia, immerso nella pineta. Effettuiamo il check-in, ma prima di scaricare i bagagli ci rechiamo sulla spiaggia ed osserviamo il mare che si perde all’orizzonte. Siamo praticamente gli unici avventori, ben distanti da noi scorgiamo tre bambini che si dilettano a tuffarsi dalla banchina, per il resto solo il suono del mare nel quale Sara immerge i piedi. Sta cominciando lentamente ad imbrunire quando portiamo il nostro armamentario nella camera dell’ostello, uno stanzino stimato nell’ordine dei sei metri quadri al cui interno si trovano un letto a castello, un armadio ed un lavandino. Ogni gesto all’interno della camera deve essere compiuto con estrema attenzione, il tetris foggiato dai nostri corpi e dalle valigie richiede movimenti precisi pena clamorosi smottamenti di indumenti ed oggetti vari. Ci concediamo una doccia al seguito della quale elegantemente abbigliati risaliamo in macchina per arrivare nel vicino centro di Ystad. Presso un esercizio ancora aperto acquistiamo degli snack da consumare nei tragitti in macchina, quindi ci gettiamo alla ricerca di un bel locale dove cenare. Si è alzato nel frattempo un vento fastidioso che ha abbassato di molti gradi la temperatura, ragion per cui acceleriamo i tempi della nostra scelta che viene tuttavia condizionata dalla tarda ora. Molti ristoranti sono al completo, altri hanno la cucina chiusa, cosicché dopo una infruttuosa peregrinazione trovato posto al Lottas non esitiamo ad accomodarci. L’idea di mangiare all’aperto è in tema con la serata, ma ogni minuto che passa, il freddo, soprattutto per noi che siamo vestiti con indumenti leggeri, diventa sempre più arduo da sopportare, tanto che Sara alla maniera degli avventori locali si impossessa di una delle coperte messe a disposizione dal ristorante, cercando con essa di contrastare l’invisibile nemico. La cena, sebbene condizionata dalla temperatura, per buona sorte del sottoscritto è ottima e l’unica vera seccatura si rivela l’interminabile attesa al fine di saldare il conto, peraltro salato. Senza perdere tempo raggiungiamo la macchina e con questa il letto dell’ostello, ben felici di poterci infilare al caldo sotto le coperte.

09/08/2007 Ystad – Rønne – Dueodde – Snogebæk – Svaneke – Årsdale – Nylars – Rønne Quest’oggi ci svegliamo di buon’ora, il biglietto acquistato tramite internet ci garantisce un posto a bordo del traghetto, ma a scanso di equivoci ci rechiamo al molo con discreto anticipo. A conferma della mia preoccupazione, sopraggiunti all’approdo vi è incolonnata una quantità di macchine sufficiente a farci salire tra gli ultimi sulla nave. Effettuato l’imbarco ci dirigiamo verso la sala dove acquistiamo la nostra colazione, mentre il catamarano è già impegnato a solcare le acque in direzione di Bornholm. Arriviamo sull’isola in perfetto orario ed effettuato lo sbarco ci rechiamo prontamente al Danhostel di Rønne, presso il quale abbiamo riservato telefonicamente dall’Italia una camera per due notti. L’addetto alla reception (di gran lunga l’individuo più simpatico che avremo modo di incontrare in questa breve vacanza) evidentemente incuriosito dalla nostra provenienza, dopo averci dato il benvenuto ironizza sul fatto che la tessera associativa per gli ostelli costi più in Italia che nella costosissima Danimarca. Consegnateci le chiavi ci impossessiamo della camera nella quale senza perdere tempo compiamo una rapida trasformazione, indossando abbigliamento da spiaggia ed armandoci per la tanto declamata soffice sabbia della spiaggia di Dueodde. Per raggiungere la nostra meta percorriamo la bellissima strada costiera immersa in un paesaggio composto da pascoli, campi di grano e piccoli villaggi, nel quale il traffico già di per sé molto ridotto in questa nazione, qui diventa pressoché inesistente. Una folta pineta saluta il nostro arrivo a Dueodde, dove parcheggiamo in compagnia di macchine di provenienza unicamente svedese, tedesca e polacca. Il nostro idioma incuriosisce, evidentemente non sono molti gli italiani che si recano in quest’isola ed onestamente non mi dispiace. Per raggiungere la spiaggia è necessario percorrere una lunga e stretta passerella di legno che si snoda attraverso la pineta ed un tratto di palude, ma arrivati alla meta non si può che rimanere incantati dalla soffice sabbia bianca che si stende a perdita d’occhio. La spiaggia è ancora abbastanza deserta, tira un po’ di vento, ma un sole che timidamente si fa spazio tra le nubi in rapido movimento ci invita ad affrontare le gelide acque del nord. Adeguandoci all’andazzo generale troviamo alloggio al riparo di una delle tante dune dove adagiamo i nostri teli, quindi ridendo e scherzando lanciamo la sfida al Baltico. L’esperienza per assurdo non si rivela traumatica come fu l’anno precedente in Portogallo, l’acqua è decisamente fredda eppure sopportabile tanto che ci lasciamo cullare dalla forte corrente senza preoccupazioni, poiché solo al largo il mare diventa particolarmente profondo. Usciti dall’acqua passeggiamo fino ai teli sui quali ci sdraiamo fino ad addormentarci. Quando mi sveglio constato con sorpresa come il costume sia ancora in gran parte bagnato, sembra infatti che questo sole non abbia la forza sufficiente per asciugare gli indumenti. Mi lascio tuttavia crogiolare dai suoi piacevoli raggi in un ambiente surreale per chi, come nel caso del sottoscritto, risiede in una località della costa romagnola. Prima di pranzo raccogliamo le nostre cose e constatiamo come la spiaggia si sia abbondantemente popolata durante la nostra pennichella, diverse tende sono state erette e la battigia è assediata di passeggiatori. Percorriamo la passerella a ritroso osservando il faro che si staglia nel verde della pineta, prima di arrivare a ridosso della macchina ed in particolare di alcuni punti di ristoro. Facendo i conti optiamo per un panino da tavola calda, al seguito del quale inforchiamo la strada in direzione di Snogebæk, un villaggio costiero poco distante da Dueodde. Seguendo i consigli della Lonely percorriamo il viale principale per fermarci al Kjærstrup Chocolate By Hand, un negozio dedicato unicamente alla produzione di cioccolato nel quale facciamo acquisti. Ci accomodiamo sulle panchine immediatamente fuori dalla bottega per gustare i dolci che tuttavia deludono Sara, non il sottoscritto che per assurdo ignora il termine golosità. Prima di ripartire proseguiamo la passeggiata sul viale che offre piacevoli squarci sul mare, le belle abitazioni si alternano a negozi che propongono curiosa oggettistica rigorosamente prodotta a mano, fin quando al termine della strada arriviamo alla gelateria Boisenøkologisk, dove Sara si concede un gelato biologico. Ripartiamo e dopo pochi chilometri arriviamo a Svaneke, la cittadina a mio dire più bella dell’isola. Parcheggiamo in prossimità del porto e percorrendo Brænderigænget ci dirigiamo verso Svaneke Torv, il centro cittadino, in un contesto di bellissimi edifici rossi e gialli all’interno dei quali attraverso una sapiente opera di ristrutturazione sono stati ricavati ristoranti, alberghi e negozi perlopiù di artigianato locale, talmente attraenti che portano a domandarsi come possa esserci tanta creatività in un centro così piccolo. Ci soffermiamo ad osservare in un negozio una coppia di maestri vetrai plasmare piccole opere da mettere poi in vendita nel grande laboratorio, quindi ci muoviamo in direzione della chiesa, un imponente edificio rosso nel cui giardino è posta una stele runica consunta dal tempo. Tornati nella piazza centrale ci fermiamo al Bryghuset, un locale presso il quale avevo deciso di far tappa ancor prima di partire per questa vacanza. In questo bistrot è possibile infatti degustare per la somma di sessanta corone un quintetto di birre di vario genere e gradazione prodotte in loco, essendo il Bryghuset oltre che pub anche birrificio. Dopo questa piacevole digressione ci apprestiamo a salutare questa piccola cittadina, ma prima scorgiamo sulla strada il Rogeriet i Svaneke, un affumicatoio dove acquistiamo per poche corone dalla gentile cassiera alcune polpette di pescespada che consumiamo indugiando a ridosso di un paio di vecchi cannoni puntati a mare. A seguito del litro di birra, cedo coscienziosamente il volante a Sara che guida fino al vicino mulino a palo, quindi inversione del senso di marcia e breve sosta nel paesino di Årsdale, più precisamente presso un mulino a vento funzionante al quale è annesso un piccolo shop che vende tra le tante cose la farina prodotta nello stesso mulino. Ormai prossimi a Rønne facciamo una brave tappa a Nylars, ove si trova una delle quattro chiese a pianta circolare dell’isola, famose per aver assolto nel tempo oltre alla funzione di luogo di culto quella di difesa dagli attacchi portati dai pirati. Vista l’ora ci è impossibile visitarla dal suo interno, ma le spesse mura fortificate di bianco tinte le donano un fascino ed un senso di potenza difficile da descrivere. Il cimitero immerso nel verde inquadra la chiesa, fuori dalla recinzione un salice piangente tuffa le sue fronde in un piccolo laghetto, c’è ancora molta luce in cielo, ma a far da contrasto si è alzato un forte vento che ci spinge a rientrare senza esitazione in macchina. Arrivare a Rønne è un attimo, tanto che prima di ritirarci in ostello facciamo una camminata per il centro di questa cittadina che con i suoi quindicimila abitanti è la più popolata dell’isola. Beh, superata la piazza principale si ha l’impressione di addentrarsi tra le vie di in una città fantasma. Il centro storico del paese è affascinante, per la verità non troppo diverso dalle altre località dell’isola oggi visitate, ma arricchito da una maggior varietà di edifici resi ancor più attraenti da un sole particolarmente incisivo che ne mette in risalto le facciate. Camminiamo a lungo per le stradine del paese con il vento a farla da padrone, fin quando oltremodo infreddoliti decidiamo di tornare all’ostello, dove ceniamo con affettato e pane acquistati nel supermercato di Svaneke, prima di coricarci al seguito di questa estenuante, ma piacevole giornata.

10/08/2007 Rønne – Gudhjem – Frederiksø – Christiansø – Gudhjem – Hammershus Slot – Rønne Il cielo stamani è insolitamente ostile, una malinconica foschia permea tanto la campagna quanto le coste, trovando il culmine nel cuore dell’isola che attraversiamo scrutando le fattorie e le rare abitazioni ben isolate l’una dall’altra. Viaggiando in direzione di Gudhjem scorgiamo sul nostro cammino il Bornholms Middelaldercenter, nel quale abbiamo intenzione di fare tappa nel pomeriggio, quindi arrivati a destinazione lasciamo la macchina nel parcheggio pressoché deserto in prossimità del porticciolo. Acquistiamo presso la biglietteria della compagnia di traghetti Christiansøfarten i lasciapassare per la piccola isola-fortezza al largo di Bornholm e di seguito ci imbarchiamo sul battello. Notiamo con preoccupazione che la quasi totalità dei passeggeri indossa indumenti pesanti, quasi invernali, mentre noi ostentiamo un abbigliamento decisamente primaverile. Il trasbordo ha inizio, il piccolo battello non ha niente a che vedere con il traghetto che ci ha trasportato a Bornholm, ma ci porta a destinazione e questa è l’unica cosa che ci interessa. Durante il tragitto che dura poco meno di un’ora, ci viene consegnato un depliant informativo dell’isola, con una serie di informazioni storiche, ma soprattutto una trafila di divieti da rispettare per preservarne l’integrità. Scendiamo dall’imbarcazione e cominciamo l’esplorazione da Frederiksø, l’isola gemella comunicante con Christiansø per mezzo di uno stretto ponte pedonale. Siamo in mezzo al Baltico, e se a Bornholm si aveva l’impressione di essere tornati indietro di un secolo, qui la sensazione è di aver fatto un balzo temporale ancor più elevato. Passeggiamo adagio a ridosso delle mura fortificate in pietra osservando le poche abitazioni che si incastonano alla perfezione in questo paesaggio di stampo Tolkeniano, guardando divertiti un gruppetto di ragazzi che gioca a calcio in un campetto, esaminando le ninfee che hanno colonizzato un piccolo acquitrino, acquistando qualcosa nel piccolissimo negozio di alimentari. Il minuscolo campeggio è un inno all’essenzialità, l’esatto contrario delle bellissime abitazioni con giardini ornati di fiori colorati che punteggiano la boscaglia. Un postino a cavallo della sua bicicletta consegna la posta, dietro ai vetri delle case come si usa nel nord tanti oggetti di fattura a artigianale. Le poche stradine si snodano a labirinto, vorremmo lasciarci perdere in questi pochi metri di terra, ma il tempo stringe ed il nostro traghetto è infatti prossimo a recuperare il suo carico per il viaggio di ritorno. Con puntualità danese attracca presso la banchina, dove una nuova legione di turisti si appresta a riversarsi sull’isola per lasciar spazio a chi prende la via del ritorno. Salutiamo questa oasi di pace e riconquistiamo Gudhjem, l’ora di pranzo è passata da parecchio e non abbiamo ancora mangiato nulla. Poco distante dall’imbarcadero individuiamo il Gudhjem Rogeri, un affumicatoio non troppo dissimile da quello di Svaneke, cosicché ci accodiamo in attesa del nostro turno confabulando su cosa mangiare. Quando arriva il momento di ordinare la ragazza al bancone visibilmente infastidita dal mio incerto inglese, in un palese gesto di sconforto rotea gli occhi all’indietro prima di chiedere aiuto ad un collega. Sara sguaina all’istante i canini pronta ad affondarli nel bianco collo della cassiera, ma quando le faccio capire che sarebbe un inutile spargimento di sangue si acquieta pur seguitando a covare il suo (legittimo) rancore. Questa esperienza ci insegnerà un principio applicabile a tutti gli esercizi della nazione ove siano presenti dei giovani lavoratori: per loro il turista è equiparabile ad una pustola. Per riuscire a stabilire un contatto con gli autoctoni ricorriamo all’antica arte delle gesticolazione, soluzione estremamente squallida, ma che ci permette di raggiungere lo scopo. Al termine di questa impegnativa disputa consumiamo il pasto dopodiché ci incamminiamo per il centro dove ci soffermiamo ad osservare le vetrine ed in particolare l’artigianato locale che qui a Bornholm pare aver raggiunto la massima forma di espressione. La qualità tuttavia costa cara tanto che da ogni bottega usciamo con la sensazione che di regali ad amici e parenti quest’anno se ne faranno veramente pochi. Dando un’occhiata all’orologio constatiamo di essere ancora in tempo per visitare il Bornholms Middelaldercenter, un villaggio medievale ricostruito a regola d’arte sito a pochi chilometri da Gudhjem. Arrivati un’ora prima della chiusura veniamo informati in biglietteria di essere fuori tempo massimo, le rappresentazioni sono concluse ed entrare consisterebbe nel limitarsi ad osservare gli edifici facenti parte del complesso. Un po’ sconsolato concordo con Sara di tornare in centro a Gudhjem, dove continuiamo la nostra peregrinazione di negozio in negozio, osservando un altro laboratorio per la soffiatura del vetro, diversi atelier d’arte, fin quando al Karamel Kompagniet, una piccola bottega in cui si producono dolciumi, assistiamo alla creazione di cioccolatini e caramelle gommose. Ne usciamo solo dopo aver acquistato una delle tipiche scatole danesi di metallo, quindi dopo un gelato consumato in tutta calma, decidiamo di risalire la collinetta detta Bokul per osservare dall’alto la cittadina, ma giunti in cima la nebbia vanifica il nostro sforzo. Ripartiamo con la macchina in direzione dell’Hammershus Slot, le rovine di un antico castello situato dirimpetto alla vastità del Baltico. Definita dalla guida come la più grande fortezza della Scandinavia, immersa nella bruma alla maniera di Christiansø assume un fascino misterioso. Accediamo alle mura di ingresso prima percorrendo il pavè e di seguito la ripida scalinata che serpeggia sul fronte principale, quindi in cima al promontorio osserviamo ciò che ci circonda. L’Hammershus Slot, nonostante oggi la visibilità sia molto ridotta, offre visuali meravigliose da qualunque punto si guardi l’orizzonte: il mare da un lato, il bosco, i pascoli ed il magnifico percorso che sale fino all’ingresso delle rovine dagli altri versanti. Sono molti i visitatori che preferiscono dedicarsi ai sentieri escursionistici dell’Hammeren, il promontorio all’estremo nord di Bornholm, dandoci l’impressione che questo immensa fortezza sia solo nostra. Perlustriamo a fondo il sito, lo scheletro della fortezza riesce nel suo minimalismo ad evocarne i fasti del tempo che fu e così ci perdiamo tra dedali di vecchie murature e scale che ormai non conducono più da nessuna parte. Come consuetudine riprende a soffiare il solito fastidioso vento che ci spinge a fare rotta verso Rønne, la quale al nostro arrivo non mostra maggiore vitalità del mattino. Presso l’ostello alla maniera della sera precedente ceniamo nel loggiato in compagnia di famiglie apparentemente impegnate in una competizione culinaria, sfoderando primi, secondi e contorni in grado di annichilire i nostri miseri panini, sebbene l’aspetto dei loro intingoli il più delle volte sia tutt’altro che invitante. Rientriamo in camera desiderosi di una doccia rigenerante, ma devo prima tornare alla macchina nella quale abbiamo lasciato alcuni oggetti di cui abbiamo necessità in camera. Sebbene la sera sia calata prepotente sull’isola, una famigliola si sta divertendo a giocare nel minigolf dell’ostello in una situazione di precaria visibilità. Rimango un poco perplesso, ma non mi soffermo a lungo ad osservare la scena poiché in un attimo dal cielo comincia a scendere una consistente pioggia che ascolteremo ticchettare nel lucernario della camera fino al momento in cui ci addormenteremo.

11/08/2007 Rønne – Ystad – Sorø – Trelleborg – Odense La sveglia suona presto, l’imbarco previsto prima delle ore otto ci riporterà nel continente. E’ giunto dunque il momento di salutare Bornholm ed in particolar modo la sua squisita rilassatezza, i suoi paesaggi, le sue sensazioni indescrivibili. Puliamo la camera alla meglio e ci rechiamo al porto confidando sull’ampio margine di vantaggio, ma ancora una volta ci imbarcheremo per ultimi. A riportarci sulla terraferma ci penserà sempre un traghetto della compagnia Bornholmstrafikken, anche se questa volta la traversata durerà circa tre ore in quanto non viaggeremo a bordo di un catamarano come all’andata. Il trasbordo risulta tuttavia più arduo di quanto avessi preventivato, la nave è affollata in ogni ordine di posti e dormire nella zona destinata ai bambini mi risulta alquanto difficoltoso, tanto che, con Sara sonnecchiante al fianco, guarderò cartoni animati in danese per quasi l’intera durata del tragitto. Saluto con gioia la vista della costa svedese, sebbene discendendo dal traghetto osservo con un po’ di invidia chi si appresta a prendere il nostro posto con destinazione Rønne. Ad Ystad, prima di dirigerci in Danimarca, facciamo una rapida tappa all’ostello Kantarellen, più in particolare alla prospiciente spiaggia dove Sara è intenzionata a raccogliere un po’ di sabbia da aggiungere a quella della costa di Dueodde da conservare come ricordo di questa vacanza. La spiaggia a quest’ora è come l’avevamo lasciata un paio di sere fa, deserta, assonnata, con il solo rumore del mare a farle compagnia. Odense, tappa finale di questa giornata di viaggio, è distante circa duecentocinquanta chilometri, ragion per cui ci rimettiamo subito in marcia. In breve tempo arriviamo in prossimità dell’ Øresundsbroen, il famoso ponte sull’Øresund che già da lontano si staglia imponente; paghiamo il biglietto e dopo un tratto in superficie ed uno più breve sotterraneo riconquistiamo il suolo danese. La strada scorre dal finestrino e dopo averne percorsa un bel tratto, essendo in prossimità dell’ora di pranzo, stabiliamo di fermarci a Sorø per mangiare qualcosa prima di riprendere il tragitto. Per pranzare ci affidiamo al consiglio della Lonely Planet e ci accomodiamo al Marios, un piccolo locale che propone diverse pietanze tra cui la pizza, gestito da un cameriere molto simpatico e gentile di origine caraibica. La mia, a base di ananas e prosciutto cotto (tale condimento è una istituzione a queste latitudini), è senza lode né infamia, ma ci pensa l’ottimo prezzo a renderla decisamente più appetibile. Siamo pronti per riprendere il tour di Sorø e lo facciamo affacciandoci alla piazza, dopodiché proseguiamo attraversando la porta medievale denominata Klosterporten che conduce alla Sorø Kirke, la chiesa al cui interno sono conservate le spoglie del vescovo Absalon, colui a cui si attribuisce la fondazione della città di København. Costeggiamo l’edificio e transitando di fronte al portone d’ingresso, nonostante l’atmosfera pacata e la totale assenza di invitati, pare imminente la celebrazione di un matrimonio. Una coppia di uomini elegantemente abbigliati attendono all’esterno della grande chiesa l’arrivo di una vettura, uno di quei vecchi modelli americani con sospensioni eccessivamente morbide a giudicare dalla grattata che il paraurti assesta sul ciottolato quando questa curva per far scendere i suoi occupanti. Ne discendono una bella ragazza vestita in rosso accompagnata da una donna più matura, che risulta essere per nostra sorpresa la sposa. Una signora assiste in disparte insieme a noi all’evento e ci spiega che difatti ad unirsi in matrimonio sono la coppia attempata e non quella giovane, e che questi ultimi altro non sono che i testimoni. Osserviamo gli sposi ed il loro sparuto seguito venir fagocitati dalla imponente cattedrale, quindi proseguiamo il nostro cammino raggiungendo la sede dell’università ed il relativo giardino popolato da una moltitudine di anatre. Sara è più che mai sconcertata dalla vista dei perfetti giardini danesi ed in particolar modo dall’erba tagliata sempre in maniera impeccabile, tanto che comincia a serpeggiare tra di noi l’idea che ne esista un genere autolivellante. Osservato il Sorø Sø, un bacino circondato dal bosco che fronteggia la sopraccitata Sorø Akademi, ripieghiamo verso la macchina per riprendere il nostro vagabondaggio per lo Sjæælland meridionale, ma prima ci fermiamo in un supermercato ad acquistare un po’ di generi alimentari ed altre amenità. Tra gli acquirenti è divertente notare la presenza di grossi carrelli della spesa con le fattezze di automobili, all’interno della quali i genitori collocano i figli, in maniera da poter fare la spesa in santa pace. Tornati alla Peugeot inforchiamo l’autostrada, quindi per raggiungere Trelleborg ci avventuriamo in una serie di strette stradine di campagna che ci accompagnano fino al luogo ove si trova il sito. Il biglietto d’ingresso oltre alla possibilità di accedere al sito archeologico, che volendo è visibile dalla strada, permette di visitare l’annesso piccolo museo che non risulta tuttavia per il sottoscritto degno di interesse. Usciti dal museo ci soffermiamo nel parco ove si trova il sito ad ascoltare le delucidazioni di un ragazzo abbigliato alla maniera dei suoi avi che illustra come veniva un tempo prodotta la birra. All’interno di terraglie ad uso comune si possono sorseggiare i vari stadi di preparazione della bevanda (nel nostro caso riscuote successo una variante al miele), una bella prova di forza da parte del sottoscritto notoriamente restio a certi tipi di pratiche. Tornati alla visita dedichiamo un po’ di tempo al terrapieno circolare nel quale un tempo si svolgeva la vita sociale dei vichinghi, dopodichè con il sole ancora alto partiamo per l’ultima tappa della giornata. Per raggiungere Odense, principale località dell’isola di Fyn, è necessario attraversare il Storebæltsbroen, un ponte non meno maestoso dell’Øresundsbroen, la cui tratta è ovviamente a pagamento. Arriviamo ad Odense verso le diciotto, le indicazioni anche in questo caso sono perfette e ci conducono all’ostello che si trova a ridosso della stazione ferroviaria. Una volta posteggiata la vettura in una stradina chiusa non troppo dissimile da quelle che vi aspettereste di vedere nei sobborghi di Johannesburg, molto speranzosi piombiamo al Danhostel Odense City dove la ragazza alla reception ci colloca in uno stato di limbo: non vi sono disponibili né camere private né camerate miste e gli unici letti liberi sono nel dormitorio maschile. Vi è solamente una stanza libera che tuttavia attende l’arrivo dei suoi occupanti: qualora non si fossero presentati per le ore diciannove la stanza sarebbe diventata automaticamente nostra, ma fino ad allora eravamo condannati a cercare altrove. Telefonicamente appura che anche l’altro ostello cittadino è al completo, ci consiglia pertanto sulla base di una piantina della città di provare a cercare alloggio in alcuni hotel nella zona non eccessivamente cari. L’aria alla pari del mio umore è imbronciata ed il vagabondaggio da un hotel all’altro non sortisce alcun effetto se non quello di ricevere ogni volta in risposta un “siamo al completo, vi auguriamo una buona giornata!”. Piuttosto abbattuto ed assodato di aver esaurito ogni hotel dal prezzo accessibile, rientriamo all’ostello speranzosi di buone notizie. Eccezion fatta per lo scroscio serale di Rønne, per la prima ed unica volta in questa vacanza comincia a scendere una fine pioggerellina che ci costringe ad allungare il passo quando constatiamo che le piantine della città non possono espletare a lungo il ruolo di ombrello. Alla reception non vi è nessuno, di conseguenza Sara si accomoda sui gradini della scala mentre io mi reco presso la macchina per recuperare l’ombrello. Quando torno, ben poco ottimista a dire il vero, veder Sara confabulare allegramente con la ragazza alla reception scioglie ogni mia inquietudine e come in ogni film a lieto fine che si rispetti anche la pioggia smette come d’incanto di scendere. Chi aveva prenotato non si è presentato e con somma gioia ci impossessiamo della camera con una spesa complessiva di quattrocento corone per notte. Mi sento sollevato, avevo organizzato la vacanza con scrupolosità e questo neo rischiava di minare il mio egocentrismo da tour operator. La stanza molto bella e spaziosa dall’alto del suo terzo piano scruta le chiome del Kongens Have e la Vestre Stationsvej, poco trafficata e preda a quest’ora esclusivamente di pedoni e ciclisti. Depositati i bagagli visitiamo qualcosa prima di cena, cominciando da una passeggiata proprio nel Kongens Have dove si trova anche il castello della città, per prendere poi la direzione del vicino teatro ed incappare in un curioso semaforo le cui immagini del pedone hanno la sagoma del celeberrimo Hans Christian Andersen, il padrone di casa. Senza una meta precisa girovaghiamo per le vie del centro di questa piacevole cittadina, quindi rientriamo in albergo per concederci una quanto mai meritata doccia e per cenare con le rimanenze dei giorni prima. Deliberiamo di vivere almeno in piccola parte la Odense by night, cosicché vestiti di tutto punto abbordiamo la centralissima Vestergade ed in prossimità della Gråbrødre Plads troviamo il locale che fa per noi, il Café Kræz, uno splendido pub con una parte all’aperto ed una al chiuso, nella quale in una fusione di luci blu e fucsia è ben visibile il dj impegnato a maneggiare dischi. Optiamo per accomodarci fuori, sebbene non sia particolarmente caldo non si sta poi così male, e mentre Sara consuma una birra io riesco finalmente a sorseggiare un bicchierino del liquore nazionale, l’akvavit. L’atmosfera piacevole ed il gran numero di giovani che monopolizzano l’intera piazza sono l’ultimo ricordo prima di rientrare in ostello dove ci abbandoniamo al sonno nel nostro letto a castello guadagnato con tanto sudore.

12/08/2007 Odense – Juvre – Kirkeby – Lakolk – Ribe – Billund – Odense Mattinieri come è ormai nostra abitudine, ci accingiamo a visitare l’isola di Rømø, una piccola appendice di terra collegata alla terraferma da un lungo ponte che attraversa un tratto di palude. Uscendo dall’ostello e raggiungendo la macchina appuriamo che i sospetti della sera precedente erano ben fondati, nella zona dove avevamo parcheggiato è infatti in corso l’arresto di tre giovani extracomunitari. E’ un sollievo trovare la vettura in perfetto stato e dopo aver aggirato il mezzo della polizia posto di traverso ad ostruire l’uscita, siamo già in viaggio. Il traffico come sempre è un problema del tutto trascurabile e le indicazioni ci guidano con precisione fino alla meta. In cielo il sole irraggia la terra rendendo il clima ideale per una giornata di mare, ma prima di recarci in spiaggia sono interessato a visitare un paio di luoghi che dalla lettura della guida mi hanno incuriosito. Spostarsi in questo paesaggio fatto di fattorie e grandi spazi aperti dona un senso di serenità impagabile, già provato qualche giorno prima a Bornholm. Nonostante le ridotte dimensioni dell’isola riusciamo ad individuare il primo sito di interesse solo dopo averci girato attorno per un po’, arrivando in un primo tempo fino al limite invalicabile della zona militare posto a nord dell’isola. Ci fermiamo nel paesino di Juvre per visitare il Kommandørgården, una splendida abitazione risalente alla metà del diciottesimo secolo appartenuta ad un capitano di marina. L’interno dell’edificio conserva arredi di quell’epoca ed è affascinante osservare come si vivesse a quei tempi (anche se dubito che la maggior parte della popolazione potesse permettersi tale tenore di vita). In una stanza che in origine doveva assolvere al ruolo di stalla, è conservata la struttura scheletrica di un enorme cetaceo ed alcuni attrezzi utilizzati in passato dai marinai per la caccia alle balene. Prima di guadagnare l’uscita ci fermiamo nel bar attraverso il quale si ha anche accesso al cortile della Kommandørgården e consumiamo un dolce al cocco, tipico frutto del nord, prodotto artigianalmente dalla proprietaria. Saliti in macchina cerchiamo senza fortuna il fantomatico recinto di ossa di balena decantato dalla Lonely, quindi dirigendoci a Kirkeby, ove si trova la settecentesca Rømø Kirke, osserviamo il paesaggio abbellito di solitarie fattorie, con i loro tetti in graticcio, i cavalli e le mucche al pascolo. Arrivati a destinazione un avviso dispone come le riprese e le foto all’interno della settecentesca chiesa siano vietate; pur vergognandomene, trasgredisco questa regola limitandomi ad una rapida carrellata, perché nei documenti di viaggio mi dispiaceva non poter annoverare i magnifici interni di questa chiesa. Numerosi modellini di navi volteggiano sulla nostra testa, ogni elemento è curato nei minimi particolari e la luce che attraversa le vetrate ne mette in risalto la bellezza. Nel cimitero attiguo spiccano le grandi lapidi groenlandesi, sulle quali le incisioni consunte dal tempo recano epitaffi e ragguagli dei capitani di marina e delle imbarcazioni su cui prestavano servizio, essendo stata Rømø nei secoli scorsi indissolubilmente legata alla caccia delle balene. Siamo sul punto di dirigerci a Sønderstrand, una spiaggia nudista accessibile solo a seguito di una lunga camminata. Sarebbe la nostra prima esperienza del genere, ma oggi avevamo preso in considerazione anche una visita a Legoland, così ora mi trovo costretto a dover fare una scelta. Andare in spiaggia significherebbe rinunciare alle attrazioni del parco, come era tuttavia nei piani della partenza quando avevamo concordato di recarci a Legoland solo un paio di ore prima della chiusura per entrare gratuitamente accontentandoci di osservare le riproduzioni degli edifici eseguite con i famosi mattoncini, ma in questo momento il desiderio di salire sulle giostre soverchia qualunque altra cosa. Abbandoniamo così l’idea di Sønderstrand preferendogli la più accessibile spiaggia di Lakolk, alla quale arriviamo al seguito di un carosello di automobili e caravan di targa tedesca. La strada poco dopo il campeggio scompare improvvisamente inghiottita dalla sabbia che da questo punto regna sovrana incontrastata. Di fronte a noi una distesa di sabbia battuta è solcata da vetture che vorticosamente si spostano senza una meta precisa; ci adeguiamo all’andazzo generale e parcheggiata che abbiamo l’auto, dopo una lunga camminata raggiungiamo la battigia. Passeggiamo nell’acqua osservando i numerosi aquiloni levarsi in cielo e le scorze dei cannelli sull’arenile stendersi in un tappeto che si perde nel traffico dei villeggianti. Altresì osserviamo incuriositi l’impressionante numero di cani di ogni razza e taglia impegnati a giocare. Sara si affeziona ad un cucciolo di bassotto assicurato alla macchina da un guinzaglio con un raggio d’azione di pochi metri, mentre un boxer corre libero sotto lo sguardo della sua personificazione, un otre di grasso intento a redarguire il povero cagnolino che in verità desidererebbe solo un po’ di attenzione. Decidiamo sia giunto il momento di tornare sui nostri passi, ma strada facendo ci concediamo una sosta a Ribe. Già a prima vista, trovato parcheggio a ridosso dell’imponente cattedrale, siamo colpiti da questa stupenda cittadina. La visita di un’oretta non rende merito alla bellezza di questa località, ma siamo stretti con i tempi e comunque a conti fatti i siti di maggior interesse sono quasi interamente concentrati nella zona del centro. Per rendere ancora più gradevole questa passeggiata ci concediamo un ottimo waffel con panna, pasteggiato nella stradina che affianca il municipio, sulla cui cima è ben visibile il famoso nido delle cicogne. Passeggiamo fino ad arrivare in Sankt Catharinæ Plads e proseguendo poi in direzione del fiume, soffermandoci sul ponticello di legno che nasce al di sopra di un’isoletta nel mezzo del Ribe Å per diramarsi in tre pontili differenti, il tutto in un paradiso verde popolato da anatre impegnate nella pennichella. Ripieghiamo verso la macchina, diamo una sfuggevole occhiata alla Ribe Domkirke dall’esterno e partiamo, destinazione Billund, più precisamente Legoland! Nel tragitto percorriamo superstrade per noi italiani più assimilabili a strade di campagna, in aggiunta praticamente deserte, mentre giunti a destinazione siamo costretti a parcheggiare nell’ala del parcheggio più lontana dall’ingresso del parco, sembra infatti che tutta la Danimarca oggi si sia data appuntamento qua. Il costo dell’ingresso è in linea con i prezzi dei maggiori parchi di divertimento italiani, ma la magia che prova il sottoscritto cresciuto a dosi massicce di Lego è impagabile. Entriamo alle tre esatte del pomeriggio, in cielo continua a brillare un fantastico sole e Miniland, la ricostruzione con i famosi mattoncini di monumenti e parti di città, è la prima tappa della nostra visita. Approfittando del bel tempo ci incolonniamo alle famiglie e alle loro bionde progenie per saggiare i giochi d’acqua, quindi gocciolanti ci dedichiamo alle restanti attrazioni. I giochi per la verità non sono molti, quasi esclusivamente per bambini, eppure riusciamo a divertirci, anche in virtù del fatto che le file per ogni gioco si esauriscono con una rapidità sconosciuta nelle strutture italiane. Chiuse le attrazioni il parco rimane aperto ancora un paio d’ore per chi voglia limitarsi ad osservare Miniland; noi prendiamo di mira gli store. L’adrenalina non conosce dignità e solo usciti dal parco torno ad avere trentun anni. Sta giungendo alla conclusione anche questa giornata, Odense ci aspetta e comincia ad imbrunire. Arrivati in città ci riassettiamo un poco per poi fiondarci in centro alla disperata ricerca di un locale ancora aperto dove cenare, sono già le ventidue e conoscendo i ritmi qua al nord ci vediamo spacciati. Non ci sbagliamo, ogni singolo cameriere alla nostra richiesta allarga le braccia sconsolato informandoci che le cucine sono già chiuse; ci viene fortunatamente in soccorso una tavola calda in Nørregade, gestita da un ragazzo bosniaco che ha vissuto una breve esperienza in Italia. Ceniamo con uno shawarma a testa ed essendo gli unici clienti il ragazzo ci dedica tutte le sue attenzioni, dimostrando una gentilezza che a queste latitudini è cosa rara. Con una spesa di pochi euro ce ne torniamo piacevolmente sazi in ostello, lasciando Odense nel suo torpore rotto solo dal freddo vento che puntualmente come ogni sera comincia a soffiare.

13/08/2007 Odense – Nykøbing F – Elmelunde – Møns Klint – Roskilde Il programma di quest’oggi prevede la visita al villaggio Medievale di Nykøbing F sull’isola di Falster e successivamente l’esplorazione della attigua isola di Møn, dunque ci svegliamo di buon’ora ed acquistate alcune paste nella bottega della stazione ferroviaria facciamo colazione in macchina per poi partire. Come già detto, guidare in Danimarca che si tratti di un centro cittadino, di un’autostrada o di una strada di campagna, è un’esperienza in ogni caso appagante: il traffico non è mai eccessivo, la gente sempre ligia alle norme, le strade in ottime condizioni. Perfino rispettare limiti di velocità assurdamente bassi per strade che si potrebbero percorrere a tavoletta viene naturale. Giungiamo agevolmente a Nykøbing F, più precisamente nel quartiere di Sundby, dove si trova il Middelaldercentret, la ricostruzione di un piccolo villaggio medievale del quattordicesimo secolo. Il centro ha appena aperto le sue porte ai visitatori ed al suo interno figuranti in costume d’epoca con molta calma animano il borgo composto di qualche abitazione, un lago al cui interno sono ormeggiate alcune imbarcazioni e diverse botteghe ove si esercitano i mestieri di quei tempi. In questa giornata particolarmente afosa proviamo compassione per il fabbro, un ragazzo molto giovane nei cui occhi è evidente l’intenzione di farla finita gettandosi nella fornace che alimenta con l’enorme soffione. La ricostruzione è curata e le comparse col loro atteggiamento assorto danno realmente l’idea di essere in un mondo parallelo al quale noi non apparteniamo. Facciamo una breve passeggiata nel bosco limitrofo, quindi ci soffermiamo ad osservare la quantità indescrivibile di meduse arenatesi nella gora, fino a mescolarci alla massa di gente che si è radunata nei pressi della giostra per assistere alla messa in funzione di una enorme catapulta. Il processo lungo ed estenuante del caricamento del dardo viene illustrato passo per passo da un attore che intrattiene il pubblico con gag e battute di gran successo a giudicare dal numero di risate riscosse, peccato siano in danese. Per evitare l’affollamento al banco del bar ci stacchiamo dal plotone e consumiamo il nostro pranzo in tutta calma, prima che la calata dei barbari prenda d’assedio i pochi posti a sedere. Terminata la visita scopriamo esservi un bellissimo ristorante medievale all’interno del complesso, un duro colpo se ripensiamo al mesto børnemenu, il menù per i bambini con cui abbiamo pranzato. Affoghiamo tuttavia il dispiacere nei giochi di stampo medievale per bambini posti nella piazzola antistante il bar, nella fattispecie una giostra cavalleresca e diverse attività in cui bisogna mettere all’opera ingegno e forza (sconfitta su tutti i fronti per il sottoscritto). Abbandonata l’isola di Falster tagliamo a metà l’assolata Møn fino a giungere ad Elmelunde, un piccolo villaggio sulla cui strada maestra si trova l’Elmelunde Kirke, una bellissima chiesa in pietra dalla classica tinta bianca le cui volte interne sono istoriate di affreschi raffiguranti temi biblici, opera del maestro di Elmelunde, un artista del quindicesimo secolo. Firmiamo il libro dei visitatori ed uscendo dalla chiesa osserviamo alquanto perplessi una coppia di ragazzine che in cima ad una verde collinetta nel perimetro del cimitero parlano e si rilassano al sole di questa bella giornata. Ripartiamo e dopo pochi chilometri ci addentriamo nella Klinteskoven, la foresta che precede le fantomatiche Møns Klint. Al termine della strada che si snoda attraverso il fitto bosco scopriamo di dover posteggiare forzatamente la vettura a pagamento, la civiltà difatti è arrivata anche qua, un grande edificio ospitante un museo tematico vi è sorto dirimpetto, mentre altre piccole attività vi fanno da contorno. Ignorando queste strutture cominciamo la lunga e piacevole discesa usufruendo di una scalinata in legno che di tanto in tanto offre attraverso la vegetazione dei punti panoramici che offrono una meravigliosa vista sul mare tinto di azzurro. Il dislivello di circa centotrenta metri non è uno scherzo, le persone impegnate a guadagnare la cima che incrociamo ansimano in maniera allarmante, ma per nostra fortuna la risalita sarà più comoda di quanto potessimo immaginare. Giunti al livello zero ci addentriamo in un paesaggio da sogno, alle spalle le bellissime scogliere di gesso e frontalmente un mare dai numerosi toni d’azzurro, che in riva assume una tinta bianco latte. Passeggiamo lungo il litorale, raccogliamo qualche sasso come ricordo essendo la sabbia per la collezione di Sara praticamente inesistente ed alla fine ci immergiamo con i piedi nelle gradevoli acque dal fondale disseminato di dolorose e viscide pietre. E’ giunto il momento di salutare questo fantastico spettacolo, la risalita è faticosa, ma affrontandola con calma evitiamo le lingue lunghe incrociate all’andata. Pagato il parcheggio percorriamo a ritroso il piacevolissimo tratto di strada attraverso la foresta che filtra dolcemente i raggi del sole, finché tornati nella strada principale scorgiamo una cabina telefonica con la quale stabiliamo di chiamare gli ostelli a Køge e Roskilde, due valide basi nelle quali alloggiare per la nostra ultima notte danese. Dobbiamo pazientare tuttavia che un interlocutore concluda la sua interminabile telefonata, augurandoci per lui che si trattasse di qualcosa di vitale per averci fatto perdere inutilmente una ventina di minuti a contemplarlo. Sara telefona all’ostello di Køge che risulta al completo, a ruota proviamo in quello di Roskilde nel quale troviamo disponibilità. Inizialmente amareggiato per non aver trovato posto a Køge, descritta dalla guida come una piacevolissima cittadina, non mi dispiace l’idea di terminare queste vacanze in quella che in passato fu la capitale danese. Sara mi spiega che dobbiamo necessariamente essere all’ostello per le ore diciannove, quindi osserva l’orologio e constata che abbiamo a nostra disposizione per giungere a destinazione meno di un’ora e mezza. Sebbene la distanza da percorrere non sia eccessiva, sono abbastanza preoccupato ed incito la mia compagna a salire in macchina per non perdere istanti preziosi, ma lei alla maniera di Homer Simpson mi porge le spalle e si fionda al prospiciente chiosco di hot-dog per acquistare uno di quegli orrendi wurstel da trenta centimetri che i danesi usano conficcare in un misero panino atto ad avvolgerli per un terzo. Vengo inevitabilmente sopraffatto dallo sconforto e quando finalmente torna ghermendo il suo scettro le scateno contro tutta la mia ira, che viene prontamente sedata quando osservo il display del pannello di guida: Sara si è infatti sbagliata a leggere l’orologio ed in realtà abbiamo a nostra disposizione un’ora in più di quello che pensavamo. Il mio cruccio si ridimensiona e raggiungere Roskilde si rivela alquanto facile, sebbene i numerosi sensi unici in prossimità del centro ci obblighino a guadagnare l’ostello operando uno zig-zag degno del miglior slalomista. Il Danhostel Roskilde è localizzato una decina di minuti fuori dal centro in prossimità del Roskilde Fjord. Espletiamo le pratiche alla reception e non senza qualche difficoltà troviamo l’appartamento assegnatoci. Di nuova foggia, la camera per una notte ci viene a costare ben seicento corone, un bel patrimonio confrontato a quanto speso negli ostelli le sere prima, ma la stanza è spaziosa e nel complesso molto gradevole. Sistemate le nostre cose, prima di recarci in centro per cenare facciamo pochi passi fino alla zona del Museumsø, dove sono ormeggiate alcune riproduzioni di navi vichinghe. Attiguo al sito scopriamo esservi in svolgimento una serata organizzata dal Roskilde Country & Western Club e ci dimentichiamo delle imbarcazioni; è divertente osservare questo folto gruppo di individui dedicarsi ad un ballo apparentemente lontano anni luce dalla propria cultura. Sara è affascinata e quando la gente che assiste viene invitata a partecipare cede alle lusinghe e si aggrega alla squadriglia agli ordini di un capogruppo che si prodiga a spiegare ai suoi discepoli i passi da eseguire per la canzone che sono prossimi ad ascoltare. Nonostante le spiegazioni siano esclusivamente in danese, la gestualità dell’insegnante è sufficiente a Sara per risultare la migliore tra i novizi, permettendogli di divertirsi non poco tra improbabili individui vestiti alla texana. La serata prosegue, ma dobbiamo evitare di incappare nel cronico problema della cucina chiusa, motivo per cui ci affrettiamo. Camminando osserviamo le condizioni da città fantasma di questa ex capitale: pochissime persone animano la grande arteria principale riservata ai soli pedoni, al di fuori di questo contesto il silenzio viene spezzato solo dallo sporadico passaggio di qualche motore di grossa cilindrata tanto che l’unico evento degno di nota è la presenza di un ridotto gruppo di giovanissimi che si apprestano a consumare il contenuto di un’intera cassa di birra. Il tramonto rende ancora più malinconica la città, ma considerando che la nostra permanenza è limitata ad una sola notte, poco importa. Nei pressi della stazione ferroviaria ci accomodiamo in uno dei tavoli all’aperto del ristorante messicano Gringo’s e dopo una breve consultazione procediamo all’ordinazione. Pur non conoscendo la vera cucina messicana, se non quella che viene proposta in Italia, né io né Sara siamo soddisfatti delle portate, che tra l’altro non sono certamente economiche. Per tornare all’ostello ripassiamo dal centro, nulla si muove e le uniche voci che captiamo sono quelle della combriccola che a quanto pare ha annientato inesorabilmente il plotone di birre. Imboccata Fredriksborgvej, illuminata fiocamente dai lampioni, arriviamo all’ostello dove ci abbandoniamo al sonno nella nostra anonima, ma comoda cameretta.

14/08/2007 Roskilde – København – Bologna Il viaggio è giunto ineluttabilmente alla conclusione e l’amarezza per non aver potuto vedere Skagen ed altri luoghi fantasticati in fase di progettazione della vacanza è forte. Salutata Roskilde, come in un brutto sogno il traffico compare d’improvviso, ci muoviamo a rilento per diversi chilometri e quando ci immettiamo in autostrada la situazione non migliora, fin quando come per incanto l’ingorgo si dipana permettendoci così di procedere verso København in tutta tranquillità. Arrivati in perfetto orario all’aeroporto di Kastrup Sara mi richiama alla mente che dobbiamo consegnare la vettura con il serbatoio pieno; troviamo un distributore negli immediati paraggi presso il quale facendo molta attenzione alle poche finanze rimasteci svolgiamo questo ultimo compito, rimanendo con poco meno di dieci corone in tasca. Per completare l’opera ci rechiamo al parcheggio soprelevato al cui interno si trova l’ufficio di noleggio della Europcar; essendo le istruzioni per il ritiro della cedola d’accesso unicamente in danese, commetto l’errore di inserire e ritirare la carta di credito senza ricevere il talloncino per il pagamento del parcheggio, questo perché la sbarra si alza molto prima di quanto venga erogato il ticket per la sosta. Al secondo piano siamo in trappola, senza tessera non possiamo accedere al piano dove si trova la Europcar ed il tempo per la consegna stringe. Senza perderci d’animo saliamo a piedi al piano superiore dove non v’è traccia della suddetta compagnia di noleggio, sennonché avvistiamo un dipendente intento a smistare delle vetture. Il ragazzo alla pari del sottoscritto ha qualche problema con la lingua inglese, ma grazie a Sara riusciamo a comprendere che l’ufficio della Europcar si trova all’interno dell’aeroporto e che la procedura prevede si debbano consegnare a loro le chiavi della vettura. Il ragazzo ci invita a recarci alla reception della compagnia e di spiegar loro la nostra situazione, per la macchina ci avrebbe pensato lui. Troviamo facilmente lo sportello della ditta, presso il quale una ragazza molto gentile risolve la questione, quindi ci informa che la ditta provvederà a farci pervenire la differenza del prezzo erroneamente addebitatoci per il noleggio dell’auto. Sollevati, convertiamo all’ufficio di cambio le corone svedesi rimasteci nelle equivalenti danesi e con queste acquistiamo la colazione e le ultime cartoline che scriviamo al tavolo del bar. Prima però di far colazione procediamo con la collaborazione di un impiegato ad effettuare il check-in elettronico, col risultato che la macchina ci consegna solo un biglietto prima di andare in tilt. Decisamente oggi non è giornata con i dispositivi elettronici. Il dipendente aeroportuale ci invita a completare la procedura negli abituali sportelli, noi decidiamo che non c’è fretta, dunque come detto mangiamo le nostre paste e scriviamo le cartoline. Dopo averle imbucate ci rechiamo al banco del check-in ed effettuiamo l’imbarco dei bagagli spiegando i problemi avuti alla macchinetta elettronica, la donna al banco non smentisce l’acredine della quasi totalità dei dipendenti danesi, ma alla fine sbrogliamo la matassa. Superato il controllo del bagaglio a mano e in parte le tentazioni offerte dal duty-free, ci rechiamo ad attendere il momento dell’imbarco che si svolge molto agevolmente. Dall’aereo semivuoto alzato in volo saluto l’Øresundsbroen e gli imponenti generatori eolici che lentamente scompaiono dalla mia vista, il primo e l’ultimo ricordo di questa vacanza. Quando a Bologna i genitori di Sara ci vengono a prendere in aeroporto si torna alla vita di tutto i giorni, strombazzate di clacson come fosse carnevale, traffico selvaggio, aria malata, neanche fossimo atterrati a Lomé: Rudy e Sara, bentornati in Italia!



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