Eritrea: la macchina del tempo.

Un viaggio a ritroso nel tempo in un paese che ha conservato e valorizzato l'architettura coloniale italiana, passando per luoghi della nostra storia patria e con una vacanza alle Dhalak
Scritto da: dani & lori
eritrea: la macchina del tempo.
Partenza il: 19/12/2019
Ritorno il: 20/12/2020
Viaggiatori: 8
Spesa: 3000 €
Da tanti anni volevamo andare in Eritrea e la recente pace con l’Etiopia ci ha dato la “spinta” finale, vista anche la possibilità di visitare zone da tempo non frequentate da turisti. In otto amici, Gino, Emanuela, Daniela, Dario, Bruno, Mario, Loredana e Daniele, siamo quindi partiti il 19 dicembre 2019 da Milano MXP con la Turkish via Istanbul per la capitale Asmara, chiamata una volta la Roma d’Africa.

La città ha mantenuto pressoché intatti l’impianto urbanistico e gli edifici frutto della colonizzazione italiana, che è iniziata formalmente nel 1890. Palazzi, negozi, cinematografi ed uffici, costruiti cento anni fa ed oltre, secondo i canoni del “moresco”, del neoclassicismo, del neorinascimentale e del razionalismo, non solo sono stati mantenuti, ma rimangono per gran parte ancora in uso: i Cinema Roma ed Impero, l’arditissima stazione di servizio FIAT Tagliero, le Poste, la Casa degli Italiani, l’Albergo Italia (dove abbiamo soggiornato nelle nostre permanenze nella capitale), i larghi viali alberati, il Comune, il Teatro dell’Opera, la Cattedrale cattolica. Non a caso, Asmara è dal 2017 sito Unesco proprio per la conservazione architettonica modernista. Utilissimo per tali aspetti è il libro “Architettura italiana in Eritrea-Italian architecture in Eritrea” dell’Arch. Anna Godio, Editore La Rosa, 2008. Siamo anche riusciti a percorrere una decina di chilometri a bordo di un’antica carrozza ferroviaria, trainata da una vecchia locomotiva a vapore “Ansaldo”, sull’arditissima strada ferrata che gli italiani costruirono per congiungere il porto di Massaua ed Asmara e che proseguiva verso Cheren ed il bassopiano occidentale. La linea è considerata un capolavoro dell’ingegneria italiana: centodiciassette chilometri di rotaie si snodano tra gole, strapiombi e montagne scoscese, con 29 gallerie, 13 stazioni, 5 serbatoi d’acqua e 45 tra ponti e viadotti. Quando venne inaugurata nel novembre 1912, la stampa internazionale parlò di “una stupefacente prodezza”. Ora appassionati macchinisti conducono con perizia il “mostro” fumante lungo le audaci linee tracciate dai binari. Si tratta, è vero, di una corsa riservata ai turisti, ma ha anche un alto valore storico. Si passa vicinissimo a case, dalle quali le persone guardano sorridendo lo sfrecciare del convoglio ed i bambini talvolta lo rincorrono fin dentro le gallerie. Lungo la massicciata abbiamo persino visto una coppia di sposi, con lei in abito bianco, che si faceva fotografare sullo sfondo del treno che passava.

Emozionante la visita di Cheren, luogo di una delle più aspre battaglie della seconda guerra mondiale: gli Inglesi, forti delle loro divisioni indiane e di soldati provenienti da altri paesi del Commonwealth, attaccarono, all’inizio del 1941, l’Eritrea dal Sudan ed i Nostri, insieme a moltissimi Ascari, resistettero, in grande inferiorità di mezzi, per diverse settimane su monti dai nomi un tempo tristemente famosi ed ora dimenticati (Cima Forcuta, Dologorodoc, Zeban…). Con la caduta di Cheren si frantumò di colpo l’Impero italiano. Abbiamo visitato il frequentatissimo e bellissimo locale mercato del bestiame (dromedari, bovini, ovini, equini) ed il cimitero italiano di guerra, dove una targa fatta apporre qualche anno fa dall’ormai anziano “Comandante Diavolo” (il nostro Amedeo Guillet), così recita: “GLI ERITREI FURONO SPLENDIDI TUTTO QUELLO CHE POTREMO FARE PER L’ERITREA NON SARÀ MAI QUANTO L’ERITREA HA FATTO PER NOI”. Doverosa anche la visita alla miracolosa Madonna del Baobab, inserita nel maestoso albero. Abbiamo quindi proseguito alla volta di Barentù, passando la gola di Dongolass, dove gli Italiani fecero crollare una parte della montagna per bloccare i soldati del Commonwealth, e recandoci sul luogo, ricordato da una croce, dove il Generale Lorenzini cadde. La strada transita poi sopra il ponte di ferro denominato “Mussolini”, che scavalca il fiume Barca. Barentù, interclusa da anni ai turisti, non ha che modestissime strutture ricettive, ma non ci sono alternativa, essendo impensabile di andarci e tornare in giornata ad Asmara. Più avanti, in prossimità del confine con l’Etiopia, vivono i Cunama, i cui villaggi e mercati abbiamo veduto. La notte di Natale l’abbiamo trascorsa nella missione cattolica di Ibarò, con una messa celebrata solo per noi otto in uno stentato, ma graditissimo italiano, grazie anche ad un messale scritto nella nostra lingua e recuperato all’ultimo minuto. Buona parte degli Eritrei sono copti e mussulmani, ma vivono tutti tra loro in buona armonia. Ripassati per Asmara, ci 2 siamo diretti a Massaua, percorrendo la strada costruita dagli Italiani, la quale, in un centinaio di km, porta dai 2400 metri della capitale al mare. Per via non è mancata la visita al sacrario di Dogali, che onora i 500 soldati italiani della Colonna De Cristoforis, uccisi nel 1887 dagli Abissini, guidati da Ras Alula. Forse pochi lo sanno, ma “Piazza dei 500”, a Roma, di fronte alla stazione Termini, è intitolata proprio a loro, come il monumento che ivi si trova, peraltro ormai spostato in un angolo ed in stato di semiabbandono.

Famoso anche il ponte dedicato al Generale Menabrea con la scritta “CA CUSTA LON CA CUSTA” (COSTI QUEL CHE COSTI). Massaua, caldissimo “forno” del Mar Rosso, è l’isola sulla quale sono pacificamente sbarcati i Nostri nel 1885, di fatto sostituendo Turchi, Egiziani ed Inglesi nel controllo della regione. Insieme all’altra isola, Taulud, unite fra loro ed alla terraferma da antiche strade rialzate, Massaua costituisce oggi un museo d’architettura coloniale en plein air, però con diversi edifici, come il palazzo del Governatore, danneggiati dai bombardamenti degli aerei etiopici poco prima della proclamazione dell’indipendenza eritrea, un conflitto che si è protratto poi per 30 anni “a bassa intensità”, fino alla formalizzazione della pace del 2019. Massaua è anche il punto di partenza per le Dahlak, centinaia di isole, molte delle quali con barriere coralline, ma senza alcuna struttura ricettiva. Abbiamo alloggiato e mangiato per 3 notti in tende, sistemazioni peraltro molto confortevoli, addirittura con brandine, messe a disposizione dall’agenzia. Anche i pasti, costituiti da molto pesce freschissimo, sono stati ottimamente cucinati al campo da una cuoca eritrea e serviti sotto un’ampia struttura tendata, che ci ha molto bene difesi sia dal vento che dalla pioggia caduta alla sera. Tutto si è svolto a pieno contatto con l’ambiente, un paradiso per lo snorkeling e la pesca. Su alcune isole rimangono cannoni e resti militari italiani. Nel 1952, una nostra spedizione scientifica subacquea condusse una lunga esplorazione dell’arcipelago. Ne faceva parte anche un giovane Folco Quilici, che ne trasse un libro ed un lungometraggio denominati “Sesto Continente”. Da non perdere, non tanto per la qualità, ma per la curiosità, il film “Africa sotto i mari”, girato da queste parti nel 1953 con una giovanissima Sofia Loren.

Tornati a Massaua, siamo andati verso sud, al sito archeologico di Adulis, antico centro di commercio sulla via che da Axum portava al Mar Rosso e che consentiva i traffici di merci e schiavi fra l’Africa orientale, l’India, la penisola arabica e l’Egitto. Dopo limitati scavi, lontani fra loro nel tempo, ora una missione universitaria italo-eritrea, attivata anche grazie ai noti fratelli Castiglioni di Varese (quelli che hanno riscoperto Berenice Pancrisia) sta studiando il sito dal 2011, con campagne di un paio di mesi all’anno. Sono state per ora riportate alla luce, insieme a qualche edificio abitativo, alcune chiese paleocristiane e bizantine. Bisogna aiutarsi molto con l’immaginazione, ma il sito è molto affascinante, posto com’è all’inizio della Dancalia eritrea. A Massaua è sepolto anche l’esploratore Barone Raimondo Franchetti, che per primo attraversò la Dancalia da est ad ovest e viceversa a cavallo fra il 1928 ed il 1929, ritrovando i resti di Giuseppe Maria Giulietti, ucciso dai Dancali nel 1881. Ci siamo successivamente dedicati alla parte sud est dell’Eritrea, passando da Decamerè, cittadina anch’essa interessantissima dal punto di vista dell’architettura coloniale, e dalla valle dei sicomori centenari, fino a Senafè, dove ci sono pitture rupestri e siti axumiti, in un fantastico scenario di massi di granito. L’ultimo giorno abbiamo percorso la strada che da Asmara va verso sud ovest, fino all’ossario di Daàro Khonat, eretto nel 1932 per ricordare la sanguinosa battaglia di Adua del 1° marzo 1896. Sotto un alto obelisco, una grande cripta custodisce i resti di 3.025 caduti italiani e di 618 Ascari, recuperati nella zona circostante, che fu teatro dei sanguinosi combattimenti. Il panorama dalla terrazza verso l’Etiopia è mozzafiato. Siamo rientrati a Milano MXP, sempre via Istanbul il 3 gennaio. Quindici giorni sono stati sufficienti per potere vedere tutto o quasi quello che avevamo programmato. Ancora oggi è stata utilissima la “Guida all’Africa Orientale Italiana” del 1938, edita dalla Consociazione Turistica Italiana. Ottima è stata l’agenzia Afronine di Milano, che ha costruito l’itinerario secondo i nostri desideri ed ha ottenuto i vari permessi per le visite, indispensabili e non sempre agevoli da avere. Formidabile la guida, il geom. Pietro, che ha studiato e si è diplomato in scuole italiane in Eritrea, lì lavorando poi per molti anni con enti pubblici ed imprese e costruendo decine di 3 dighe. È coltissimo, parla diverse lingue europee e locali e conosce persino il latino. Sa tutto del Paese e del ruolo dell’Italia nella regione.

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Villaggio cunama

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Ponte mussolini

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Massawa

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In tenda

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Framacia centrale, eritrea

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Cinema impero, eritrea

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Eritrea

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Eritrea

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Dal treno, eritrea

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Eritrea



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