Ode a Cuba!

Brevi impressioni, fotografie di Cuba in parole.
Scritto da: Gianluca Rix
ode a cuba!
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
Cuba non sembra vera; sembra un enorme set cinematografico dove tutto è ricostruito fedelmente. Ogni luogo per un film diverso e un’epoca diversa. E i cubani sembrano bravissimi attori impegnati nelle parti più strane, sorprendenti, comiche o strazianti, da strapparti quasi un applauso.

Mastodontiche Buick, Chevrolet, Studebaker e Desoto di improbabili colori fuori moda, arrancano miracolosamente per le strade sconnesse, ed eccomi catapultato nella provincia americana di “Gioventù bruciata” e “American graffiti”. Ma anche Fiat 126, tutte con la grata del motore aperto per far passare meglio l’aria fresca, o Lada e Moscovich portate dai sovietici; e sei alternativamente negli anni Sessanta in Italia o nella Russia della guerra fredda.

Cuba è un paradiso.

Cuba è una sorpresa continua.

Cuba è un viaggio nel cuore selvaggio della vita. (parafrasando Joyce)

Cuba è un viaggio nel tempo, dove il tempo non esiste.

Cuba è non vedere mai, ma proprio mai, qualcuno che corre per la strada, qualcuno che va veramente di fretta.

Cuba è darsi un appuntamento per una cert’ora ma dover ogni volta stare ad aspettare parecchio tempo.

Cuba è la quarta dimensione, dove spazio e tempo si mescolano senza logica in un meraviglioso caos.

Cuba è la frase che ti viene ripetuta ogni giorno da tutti fino alla noia: ”No es facil!”. Che però poi alla fine si risolve tutto, tutto si riesce a riparare e ai problemi si trova sempre una soluzione.

Cuba è un odore che ti rimarrà sempre nella memoria: quello del particolare profumo usato senza dubbio dalla stragrande maggioranza delle ragazze.

Cuba è il mare verde pastello chiaro, appena appena increspato dal vento.

Cuba è pesci coloratissimi a pochi metri dalla spiaggia che sembrano librarsi senza gravità in un cielo cristallino.

Cuba è il sorriso della baia di S. Maria, e la sua spiaggia bianca e deserta abbellita qua e là da palme ricurve che continuano a battersi instancabili contro il vento.

Cuba è carrozze, calessi e carrettini che si muovono cigolanti, annunciati dai festosi campanelli dei cavalli e degli asini.

Cuba è il vecchio West di Sergio Leone: case di legno, trascurate per decenni, mostrano assi ruvide e scheggiate senza più una traccia di vernice; e le sue ampie verande ombreggiate, dall’alto di due o tre scalini, accolgono panche e sedie a dondolo sempre pigramente occupate.

Cuba è quartieri dell’Avana pieni di palazzi demoliti o sventrati come in un immediato dopoguerra.

Cuba è la telenovela dopo cena, quando le strade si svuotano e tutti, bianchi, neri, vecchi, bambini, uomini, donne, si fiondano davanti al televisore.

Cuba è l’enorme volta celeste piena zeppa di stelle, molto più lucenti e vicine che qui da noi, con l’Orsa Maggiore voltata all’incontrario e la stella polare vicino all’orizzonte.

Cuba è la pigrizia incorreggibile di gran parte dei cubani.

Cuba è una moltitudine di lucciole che vagano tra le casette lungo la spiaggia.

Cuba è una matura coppia di cubani abbracciati sul bagnasciuga, solo con un bicchiere, una bottiglia di rum e una di Tropicola, per un buon “Cuba Libre”.

Cuba è cercare di farsi insegnare a ballare la salsa.

Cuba è sentire Fidel Castro che in televisione proclama ad alta voce: socialismo o muerte! Patria o muerte! Venceremos!

Cuba è il filone di pane lungo un metro che vendono sempre completamente secco.

Cuba è di notte a piedi lungo la strada completamente al buio, con biciclette nere cinesi senza luci, guidate da neri in abiti scuri che corrono veloci come pazzi facendoti rischiare grosso.

Cuba è la presenza continua di auras tignosas (grossi avvoltoi) che ti girano sulla testa.

Cuba è la grande scritta sul parabrezza di un camion: “Por que amor con amor se paga”.

Cuba è il cartone animato di Mototopo e Autogatto in televisione.

Cuba è il commentatore della televisione cubana che in occasione della festa del primo maggio sfoggia una splendida maglietta con l’immagine rossa del “Che” Guevara.

Cuba è scoprire che nel mondo, anche a diecimila chilometri dalla tua città, e nonostante tutte le differenze culturali, in fondo vogliamo e cerchiamo più o meno le stesse cose e le stesse risposte.

Cuba è la fetta della torta di compleanno che ti viene offerta in una scatoletta di cartone.

Cuba è vedere bambini che giocano tenendo fra le dita pistilli ricurvi, facendo a gara, uncinandosi, per cercare di rompere quello dell’avversario; e subito dopo trovarli concentratissimi davanti ad un videogioco televisivo.

Cuba è la tromba che, tutte le sere al tramonto, sparpaglia le sue note lungo la spiaggia vuota, grazie all’abilità di un ragazzo che si allena davanti al suo mare.

Cuba è farsi curare una carie e cambiare un’otturazione senza pagare nulla, mentre la dentista dice: “Aiihaiii! Aqui todo esta roto”.

Cuba è il clacson di una vecchia Ford che intona le prime note della “cucaracha”.

Cuba è una splendida mulatta che porta degli attillatissimi hot pants con stampata sopra la bandiera americana, e di sopra una magliettina di parecchie taglie in meno della sua, che le scopre l’ombelico.

Cuba è la linea telefonica ed elettrica penzolante dai pali, tra le case e lungo le strade, che si interrompe sempre con un forte temporale.

Cuba è un paio di bambini che corrono avanti e indietro per la strada, in mutande sotto l’acquazzone, gridando: “Agua pura! Agua pura!”.

Cuba è la vendita porta a porta di ogni genere di alimenti da parte di donne, ragazzini o anziani.

Cuba è chiamarsi, anche tra sconosciuti, “compagnero” e “compagnera”.

Cuba è Fidel che arriva a sorpresa dopo il telegiornale, a parlare per mezz’ora.

Cuba è farsi una doccia fredda a lume di candela per la solita luce che è andata via.

Cuba è un ragazzo e una ragazza che camminano abbracciati sulla spiaggia, con una bottiglia di rum in mano.

Cuba è poter comprare un sassofono del 1914 per centoventimila lire.

Cuba è la gente, bagnata fradicia sotto un forte temporale, che continua tranquillamente a pedalare o passeggiare.

Cuba è trovare, scritte nella sabbia, parole d’amore del tipo: “Yo te quiero solo para mi”. E nomi di uomini e donne circondati da cuori di ogni dimensione.

Cuba è un telefono ogni cinque o sei famiglie, così che ogni tanto si sente chiamare da una casa all’altra: “Juanitaaa, telefonooo!”, “Raul! Te buscan al telefono!”.

Cuba è un tassista di settant’anni, Marcos, che lungo la strada ti mostra l’enorme baionetta di uno Springfield con il quale ha combattuto durante la rivoluzione insieme all’amico Fidel Castro, e ti racconta le sue avventure.

Cuba è un gallo sotto la tua finestra che canta a più non posso nel cuore della notte.

Cuba è un caccia dell’aviazione cubana che fa un perfetto tonneau a bassissima quota sulla spiaggia.

Cuba è trovare sempre nel frigorifero formiche e grossi scarafaggi che girano indisturbati.

Cuba è la maglietta tirata su fino al petto di cubani che esibiscono senza vergogna grassi e rotondi pancioni.

Cuba è la musica che esce a tutto volume dalle case: dal mambo e la salsa fino a Zucchero e Peppino Di Capri.

Cuba è una vecchietta piccola e magrolina che si fuma tutta contenta un enorme sigaro.

Cuba è andare in moto indossando solo un costume da bagno.

Cuba è il furgoncino con la scritta E.N.E.L. Sulle fiancate, che ti passa davanti.

Cuba è andare a giocare all’accademia di scacchi con bambine di otto anni che invariabilmente ti battono sempre.

Cuba è il videoclip in televisione di un certo Garibaldi, cantante latino-americano.

Cuba è la polizia e la patrulla (pattuglia) sopra vecchie Lada bianche o smarmittate moto Guzzi 1000 GS.

Cuba è farsi fare la barba come nei film western americani.

Cuba è l’acqua e la luce che se ne vanno sul più bello, per tutta la sera.

Cuba è cantare in macchina con due cubani: “Cuba, que linda es Cuba, quien la defiende la quiere mas…”.

Cuba è il bambino che appena finito il temporale va a bere l’acqua che scende giù dalla grondaia.

Cuba è andare al cinema a vedere “El pequeno grande hombre”.

Cuba è il baseball, giocato sempre, ovunque, con ogni tipo di mazze e palle, da bambini e ragazzi di ogni età.

Cuba è il mio vicino di casa che ancora tiene, sotto il letto, il mitra russo usato nella guerra di rivoluzione in Angola e mai restituito; “Non si sa mai” mi dice.

Cuba è l’autista dell’autobus pieno zeppo che si ferma davanti ad un chioschetto, scende e si va a comprare una birra e un panino.

Cuba è una vecchia ruota di bicicletta senza raggi usata dai bambini per giocare al cerchio.

Cuba è nuotare davanti alla spiaggia mentre due piccolissimi pesciolini, invece di scappare, ti seguono attaccati dovunque vai.

Cuba è una contraddizione, anche nei nomi: una bimba dalla pelle nera con occhi e capelli neri che si chiama Ariana.

Cuba è la paura dell’acqua alta per molti cubani al mare, forse perché in tanti non sanno neanche nuotare.

Cuba è trovarsi in casa una volta un grosso topo, un’altra volta un enorme scorpione.

Cuba è un vecchio, grosso e scassatissimo biplano giallo che fa il pelo alle palme della costa.

Cuba è la ragazza che, mentre passi, ti fa: “Pssssst”.

Cuba è un continuo via vai di due ruote: biciclette, moto e motorini sfruttati in ogni loro centimetro. Ecco un rumorosissimo Java russo con famiglia al completo: padre, madre e due marmocchi, tutti con i capelli al vento, con le orecchie svolazzanti di un cane che fanno capolino tra un bimbo e l’altro.

Cuba è il simpatico meteorologo Armando Lima che tutte le sere si congeda dai telespettatori con: “Y como siempre le deseo lo mejor”.

Cuba è l’abitudine femminile, anche di donne parecchio avanti negli anni o piuttosto grasse, di portare pantacollant e hot pants molto attillati, di quel tipo di gialli, verdi e rosa propri degli evidenziatori e dei Post-it.

Cuba è una signora che ascolta dal giradischi “Non son degno di te” di Gianni Morandi.

Cuba è la gente che non si fa problemi a chiamarti e bussarti alla porta, quando sono le tre e mezzo di notte.

Cuba è quando ti chiami Gianluca, ma tutti ti chiamano Lucas.

Cuba è usare, come bottiglie d’acqua da tenere in frigo, tanichette trasparenti da un litro d’olio lubrificante prodotto in Cecoslovacchia.

Cuba è incontrare una ragazza mulatta con gli occhi a mandorla.

Cuba è metterci più di tre ore per fare con i mezzi pubblici i trenta chilometri che mi separano dall’Avana, fra rotture del motore e autobus pieni dove, alla mia fermata, possono salire solo tre persone.

Cuba è un borsellino con dentro, oltre ai pesos, altri tre tipi di monete equiparate ai centesimi statunitensi.

Cuba è giocare il campionato nazionale di calcio sui campi da baseball, con zone e tratti quasi privi d’erba.

Cuba è una ragazza di vent’anni, lasciata dal marito, che non può divorziare perché non ha abbastanza soldi per le pratiche (circa settemila lire italiane).

Cuba è un gruppo di grossi granchi neri che scappano nel bosco mentre passi con l’automobile.

Cuba è il volume audio di radio e televisioni, tenuto sempre a livelli altissimi.

Cuba è perdersi il finale del film al cinema perché va via la luce elettrica.

Cuba è considerare normale che le ragazze si radano i peli delle gambe solo fino a metà coscia.

Cuba è la signora Imelda colpita forte in testa da un pesce surgelato, tiratogli dai vicini, da finestra a finestra, per regalarglielo e farglielo cucinare.

Cuba è l’hoola-hoop, ritornato di moda tra le bambine cubane.

Cuba è passare 17 ore sullo stesso treno per percorrere una distanza come da Roma a Bologna.

Cuba è il maiale che viene portato in giro legato ad un guinzaglio, come se fosse un cane.

Cuba è la giuria di un concorso di bellezza che chiede alle concorrenti quale è il loro impegno in sostegno alla Rivoluzione (e la risposta rientra nel giudizio complessivo).

Cuba è un ghiacciolo alla fragola, fatto in casa, offerto dentro la metà di una lattina di Coca-cola.

Cuba è leggersi un libro di Hemingway seduti sopra una panchina all’ombra ristoratrice di un grosso albero.

Cuba è vedere che c’è chi usa ancora il pennino e l’inchiostro per scrivere.

Cuba è usare alle feste dei bambini, come palloncini, sempre i preservativi, molto più economici.

Cuba è un ragazzo che cattura, con uno spago trovato per terra, un’enorme tarantola nera, ci gioca cinque minuti e dopo la lascia andare via libera.

Cuba è la fiammella alimentata dal petrolio che penzola dal retro di alcune carrozze trainate da cavalli, come luce di segnalazione.

Cuba è scambiarsi di posto con il proprietario di un bicitaxi e pedalare, sudando sette camicie, fino al mausoleo di Ernesto “Che” Guevara.

Cuba è il vecchio che come borsellino usa l’orecchio, tenendoci incastrate tre monete da un peso.

Cuba è fare la fila di un’ora ad un telefono pubblico, per una telefonata ad un’altra provincia.

Cuba è il gigantesco, bellissimo, vecchio teatro che dà sulla strada principale della città, perennemente chiuso per restauro.

Cuba è il tirassegno con un fucile ad aria compressa, dove un gruppo di uomini si sfidano a far cadere una sigaretta lontana sei metri.

Cuba è il pettine che spunta fuori da pantaloni maschili, pronto per essere usato molto spesso.

Cuba è sentirsi dire di frequente: “Aqui tiene su casa”.

Cuba è la maglietta che dopo cinque minuti passati a camminare sotto il sole è già bagnata fradicia di sudore.

Cuba è ballare ore ed ore al ritmo salsa di un’orchestra dal vivo durante il carnevale del paese, e ubriacarsi di “Cuba libre” tanto da dover vomitare per dieci minuti nei bagni del PCC (partito comunista cubano).

Cuba è l’iguana di due metri che ti attraversa la strada poco più avanti.

Cuba è contrattare il prezzo del biglietto all’entrata della fabbrica di tabacco di Pinar del Rio.

Cuba è trovare all’aeroporto un autobus per l’Avana, in pesos, a 90 lire, contro i 14 dollari dei taxi.

Cuba è trovarsi tra italiani per la solita, immancabile spaghettata.

Cuba è dondolarsi sopra un’amaca legata tra due palme, al sole della spiaggia di Maria la gorda.

Cuba è il treno che si ferma per tre ore in mezzo alla campagna, di notte, mentre insetti di ogni tipo, ma soprattutto zanzaroni, attirati dalla luce delle carrozze, attaccano senza sosta i sudatissimi passeggeri.

Cuba è vedere, fra i nuvoloni neri di un temporale che si sta avvicinando, uno straordinario lampo perfettamente orizzontale.

Cuba è il gioco del lotto che viene giocato in semi clandestinità.

Cuba è svegliarsi alle cinque di mattina per andare a vedere il combattimento dei galli, proibito per legge ma tollerato. E accorgersi, alla sera, di aver perso la voce a furia di urlare, e anche parecchi pesos nelle scommesse.

Cuba è la festa del CDR, con la gente che accende dei fuochi sulla propria strada, per grossi pentoloni dove cucinare, secondo tradizione, la cosiddetta cardosa.

Cuba è passare la mattina in uno scalcinato studio odontotecnico dove, fra una chiacchiera e l’altra, si usano gli apparecchi tecnici per, in ordine temporale, accendersi le sigarette, farsi un caffè, smacchiarsi un vestito e limare il dado truccato di un giovanotto di colore. Mentre nell’altra stanza c’è chi se la dorme beato sopra una comodissima poltrona da dentista.

Cuba è un uomo in bicicletta che si fa trainare da un cavallo, tenendogli con una mano la criniera.

Cuba è la rana grossa e viscida che ti salta improvvisamente, nel mezzo della notte, sulla coscia nuda, facendoti svegliare di soprassalto.

Cuba è vedere nelle case fili elettrici scoperti dovunque.

Cuba è ballare insieme ad una marea di gente il ritmo incessante della conga, dietro ai musicisti neri che suonano camminando per le strade quasi buie del paese.

Cuba è il tuo amico che, assetato, si prende dai campi una canna da zucchero, la spezza, la sbuccia, e masticandola succhia lo sciroppo che ne esce.

Cuba è, dopo tutto quello che vedi, non poter non voler bene, amare il popolo cubano.



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