In giro per Cuba sulla scia dei ricordi dell’adolescenza

Giro in macchina di 2.200 chilometri per Cuba alla ricerca della sua vera anima e lontani dalle luci dei resort di lusso
Scritto da: Ortociccio
in giro per cuba sulla scia dei ricordi dell'adolescenza
Partenza il: 03/08/2016
Ritorno il: 16/08/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €

13-08-2016

Caro Filippo, sono seduto in una bella sedia a dondolo in ferro battuto nel patio ombreggiato della casa privata in cui attualmente risiedo a Remedios, piccola cittadina della zona centrale di Cuba, sto sorseggiando del buon rum, anzi ron con ghiaccio, e sto fumando un sigaro non di marca, dei loro, un “puro”, come li chiamano qui.

Indice dei contenuti

Sono al decimo e terzultimo giorno di viaggio e il pomeriggio molle e libero da impegni mi induce ad impiegare il tempo per mettere ordine nei ricordi ancora freschi, nelle sensazioni, nelle emozioni che il viaggio mi, ci ha suscitato.

Ti chiederai perché scrivo proprio a te; è presto detto: per chi, come noi, ha attraversato l’adolescenza con il mito del Che, di questo disinteressato medico argentino che per il solo amore della giustizia si è messo al servizio della causa rivoluzionaria, le cui gesta venivano celebrate nei tazebao appesi sulla ringhiera del liceo, il viaggio a Cuba non è soltanto un viaggio nello spazio, ma soprattutto nel tempo e tu, che hai condiviso anche se da posizione diversa quell’epoca, non puoi che essere il destinatario privilegiato di queste considerazioni.

Proprio perché volevo farmi un’idea la più indipendente possibile del posto, non mi sono affidato ad alcuna agenzia per l’organizzazione del viaggio; ho soltanto prenotato gli aerei e quindi ho stilato un programma che comprendesse, oltre le note destinazioni turistiche quali La Habana e Trinidad, anche città fuori dai circuiti, come Vinales, Cienfuegos e Remedios.

Abbiamo quindi deciso di non alloggiare in alberghi, ma soltanto in case private e di non mangiare in ristoranti, ma soltanto in paladares. Per la loro selezione abbiamo attinto informazioni in un sito cubano, AmorCuba, gestito da un tal Alejandro che ha fatto da intermediario per le diverse prenotazioni. L’unico lusso che ci siamo concessi è stato il noleggio di un’auto moderna che abbiamo preferito a quelle “classiche” ed ai mezzi pubblici, sia per avere maggiore libertà di movimenti che per disporre dell’aria condizionata, una comodità alla quale non ero disposto a rinunziare in nome di una maggiore aderenza alla realtà.

Prima di partire ho anche letto qualcosa, per cercare di capire meglio, anche se, inevitabilmente, la soggettività delle fonti (la Lonely Planet e qualche sito in rete) potrebbe aver inficiato la veridicità delle informazioni.

Ciò che comunque mi è saltato subito agli occhi è che la storia ci presenta un popolo da sempre “colonizzato” da qualcuno: prima gli spagnoli, poi gli americani e quindi i Castro, il cui fratello minore sta cambiando in maniera alquanto significativa le sorti del suo popolo.

Ed eccoci quindi al resoconto, alle impressioni che sia io che Antonella abbiamo tratto da questo breve, ma intenso soggiorno.

Sull’isola come territorio non c’è niente da dire, se non che si tratta di una splendida isola caraibica con la natura in forma smagliante in tutte le sue forme. Non ricordo, ad esempio, di avere mangiato frutta tropicale così buona, succosa, pronta ad un consumo immediato, a chilometro zero, come vuole il nostro lessico finto verde, oserei dire verdastro.

Nel frattempo, mentre scrivo, già il secondo uccellino impertinente ha gioiosamente deposto il suo sterco rivoluzionario sulla mia seconda maglietta pulita, ma, d’altronde, come definirlo se non un doveroso contrappasso considerando che trattavasi di maglietta con il logo della Washington University regalatami da mia figlia di rientro dal suo stage “imperialista”?

Ma torniamo a noi, alla nostra ricerca del romanticismo che abbiamo pervicacemente associato alla rivoluzione cubana, un romanticismo che, mi duole confessare, non abbiamo ravvisato in nulla di ciò che abbiamo visto né, tanto meno, nei commenti dei locali, incattiviti nei confronti dei Castro come neanche noi nei confronti dei peggiori politici nostrani.

Abbiamo visto di tutto e temo non tutto. Qui la gente si muove a piedi o su carri tirati da cavalli con una dilatazione dei tempi degna del medioevo; alcuni di questi carri, che nella foggia ricordano le diligenze da far west che hanno accompagnato il nostro immaginario infantile, sono sormontati dalla velleitaria insegna di taxi e gli assi e le ruote sono stati ricavati da quelle auto che non sono più riusciti a riparare e dalle quali hanno cannibalizzato quanto possibile, un tetto, una mascherina, qualche specchietto retrovisore o, appunto, le ruote.

Su questi carri, oltre alle persone con o senza animali al seguito vivi o morti, abbiamo visto trasportare di tutto, in uno addirittura delle torte, stile “marriage” esposte al vento, alla polvere, al fumo dei motori, tutti rigorosamente euro -6, un fumo denso, scuro, pestilenziale, mortifero.

Nessuna allegria in questo, nessun compiacimento, ma soltanto rassegnazione, nei confronti di una sorte che non vede nella natura la sua origine, ma soltanto nella volontà degli uomini, di due uomini, forse di uno, del quale, ironicamente, oggi si festeggia il novantesimo compleanno con fuochi di artificio; quanto sono longevi i dittatori!

Sempre nella Lonely Planet (quindi riporto con il beneficio di inventario) ho letto che il “progresso” favorito da Raoul ha portato al riconoscimento di ben 178 attività libero professionali autorizzate dallo stato, attività che ciascun cubano può esercitare liberamente; tra queste mi ha colpito il “caricatore di accendini”. Immagina quale reddito possa accumulare un tal professionista, immagina quale rischio corruttivo possa rappresentare per la gloriosa economia marxista dell’isola! Se non temessi di offendere la memoria del Che direi che si tratta di “fuffa”, ma mi rendo conto che non lo è, è sostanza e che probabilmente c’è più di un cubano che sopravvive caricando accendini.

Come sai noi ci confrontiamo quotidianamente con i parcheggiatori abusivi, categoria che detesto con tutto me stesso, ma qui mi sono trovato ad elargire mance ad una moltitudine di persone che a casa avrei definito molestatori, e che qui, invece, mi appaiono per ciò che in realtà sono, disperati. Proprio stamattina, mentre aspettavo per fare benzina in un self service, si è avvicinato un signore, più o meno mio coetaneo, senza gambe e su una sedia a rotelle. Dopo un iniziale cenno di fastidio, ho lasciato che mi aiutasse, apprezzando come mi abbia evitato un errore, come si sia preoccupato di mantenere lontano il tubo della pompa dalla carrozzeria dell’auto, nel caso potesse rigarsi, o come abbia prontamente chiamato l’addetta alla cassa per segnalarle un malfunzionamento, costringendola a uscire dal suo gabbiotto per verificare l’accaduto.

L’ho premiato con 1 cuc, pari ad un euro, un quarantesimo dello stipendio mensile di un medico, ed ho visto nei suoi occhi la sorpresa e la riconoscenza, che hanno rappresentato il mio premio, la gratificazione narcisistica del capitalista.

Pensi che il Che si sarebbe spinto ad immaginare tutto ciò? Pensi che avrebbe mai immaginato che l’offerta della sua vita (anche se in una nazione diversa) avrebbe avuto questo esito?

Proprio ieri, a Santa Clara, la città la cui conquista per mano del Che avrebbe portato alla deposizione di Batista, siamo stati oggetto di una truffa in stile Totó e Peppino, una ruota sgonfiata fraudolentemente (sotto gli occhi di un militare di guardia al mausoleo del Che) fatta passare per bucata da cui è partita una manfrina che ha visto impegnati per circa un’ora ben quattro piccoli delinquenti nel tentativo di estorcerci 180 cuc, cioè 180 euro, e conclusasi, vista la nostra “esperienza”, in un esborso transattivo di soli 28 cuc, una miseria per noi, ma che per loro, avrà avuto il sapore della conquista.

Si dice che i cubani amino socializzare in piazza; la verità è che pur di non stare dentro le loro case dalle temperature inarrivabili preferiscono stare fuori la sera fin quando la stanchezza non li sopraffà. Ho visto stanze con un fuoco incrociato di cinque ventilatori accesi contemporaneamente nel tentativo di muovere un aria ferma e carica di umidità, consapevoli che il rumore avrebbe impedito di dormire, incredibili resse nei “supermercati” per accaparrarsi un sacco, si, un sacco e non un pacco, di biscotti per il latte dei bambini (ritengo ottenuti con una tessera), ho visto i fianchi delle strade tempestati di improbabili automobili ferme col motore fumante, o con le gomme bucate (e come potrebbero non bucarsi con lo stato dell’asfalto), l’acqua “corrente” che esce “a filino”, per caduta, così che la più insoddisfacente delle docce appaia una chimera, camerieri sudati come delle bestie intenti a portarti il più esotico dei daiquiri, le code chilometriche agli uffici di cambio, per trasformare gli inutili (per loro) cuc in moneta national, i bici-taxi che a guisa di risciò trasportano persone per pochi centesimi; ho visto cubane amoreggiare con convinzione in spiaggia con sordidi occidentali nella speranza, quasi sempre vana, di essere sottratte al loro triste destino, il pane venduto la mattina presto dagli ambulanti che ti svegliano al grido di “el pan”, la riconoscenza infinita nello sguardo dei “titolari” di bancarelle quando ti fermi per comprare la loro misera mercanzia, la puzza di merda diffusa, soprattutto nelle zone portuali, come da noi non si sente più da quanto hanno bonificato la “cala”, e poi le persone ferme a capannelli sotto i cavalcavia dell’autostrada (se così vogliamo definirla) che, a sprezzo della vita, si gettano al centro della corsia e cercano di fermarti per convincerti a dare passaggio a qualcuno.

In compenso quasi tutti, soprattutto i giovani, hanno il cellulare, e non quello basico che avevamo noi negli anni ’90, ma gli smartphone, anche se non c’è internet. Già, nelle case non c’è connessione, devi andare in qualche piazza, pochissime in verità, dove c’è il wifi “concesso” a caro prezzo dalla compagnia telefonica di stato, 2 cuc l’ora, una enormità. Puoi connetterti, ma per navigare devi pagare, come nel più bieco dei paesi imperialisti.

Ma parliamo delle case private, le case particular, come si chiamano qui. Esistono dal 1997, anche se si sono diffuse capillarmente dal 2011, grazie alle riforme di Raoul. Pensa che a Trinidad, cittadina minuscola, ce ne sono 500, praticamente tutte le case del paese. Alcune sono dei veri e propri B&B, organizzati all’europea, con i climatizzatori con split, i bagni nuovi, il servizio di mezza pensione; altre, la maggior parte, sono le loro case, di cui cedono una o più stanze, ma che restano pur sempre le loro case, con tendine al posto delle porte, ventilatori dell’anteguerra o condizionatori come il Delchi a vetro che avevo nella mia stanza quando studiavamo. E così abbiamo conosciuto Anita, che non trovo modo migliore di definire se non una maîtresse, titolare di una casa di cui affittava tre stanze. Tutte, rigorosamente senza finestre, affacciavano su uno stretto corridoio parzialmente coperto e per il resto esposto al cielo. La nostra era l’unica stanza munita di climatizzatore con split, mentre le altre due avevano i “Delchi” con il doppio effetto di pompare aria caldissima nel corridoio e fare un rumore infernale, degno di un Sukoi al decollo. Come se non bastasse c’era un motorino dell’acqua tutt’altro che rivoluzionario perennemente in funzione. Risultato: notte in bianco nonostante tappi per le orecchie professionali.

E che dire di Katalina e della sua casa “basica” con la tavoletta del cesso rivestita di similpelle nera e la colazione servita in “terrazza”, cioè il tetto della casa, da raggiungere attraverso una scala in tondini di ferro; a proteggerci dal sole, già feroce alle 8 del mattino, l’ombra del romantico serbatoio dell’acqua. Eppure da Katalina abbiamo pagato quanto in altri posti dallo standard europeo, perché questo è il comunismo.

Cosa c’è di rivoluzionario in tutto ciò? Dimmi, cosa c’è?

Più volte mi sono chiesto cosa distinguesse queste persone, il loro comportamento, il loro atteggiamento, da quello di altri popoli caraibici e non che pure ho conosciuto, e che fondamentalmente sono altrettanto poveri e sono arrivato alla conclusione che è la mancanza di speranza, la rassegnazione. Mi sembrano degli zombi, che la mattina si alzano non sapendo come raggiungeranno la sera. Nulla di rivoluzionario in tutto ciò, soltanto una infinita tristezza.

Ho letto che il tenente Sarrìa, incaricato da Batista di stanare Fidel nella selva Maestra e ucciderlo, lo abbia risparmiato affermando che non si uccidono le idee, e che questo gli sia costato la carriera. Ho letto anche che l’arringa di autodifesa di Fidel al processo che lo vide imputato, arringa definita magistrale e che lo premiò con una mite condanna a 15 anni di carcere salvandolo da morte certa, venne trascritta col titolo: “La Storia mi assolverà”. Ho letto infine che Fidel, uscito dal carcere dopo l’amnistia proclamata da Batista, abbia ringraziato Sarrìa con un importante incarico nell’esercito rivoluzionario.

Non intendo certo sostituirmi alla Storia, ma non ti sembra che lo stesso Fidel si sia reso responsabile di qualcosa di più grave dell’uccisione delle idee? Come definire l’uccisione della speranza se non un crimine contro l’umanità? Come si può costringere un intero popolo a seppellire le proprie ambizioni, le proprie aspirazioni, la propria voglia di migliorarsi?

Abbiamo chiesto in giro cosa stia accadendo con Raoul e cosa pensano accadrà quando entrambi i fratelli saranno morti. Invariabilmente ci hanno risposto che la situazione certamente migliorerà, anche se temo sia una vana speranza, perché un popolo abituato alla sottomissione, alla mortificazione del corpo e dello spirito, ben difficilmente potrà dotarsi di una democrazia matura, e in fondo noi, nel nostro piccolo, ne siamo un esempio.

Comunque, al termine di questo viaggio, nello spazio e nel tempo, non posso che riconoscere che si è trattato di una esperienza formativa, della conferma che, purtroppo, senza soldi non si canta messa, ed in fondo è ciò che il tuo “amico” Tsipras ha provato sulla sua pelle.

La realtà è che la “produzione” è il motore del mondo, almeno l’attuale, e che “creare posti di lavoro”, come insiste nel dire l’altro tuo grande amico Landini, non equivale a crearne di finti. Abbiamo visto uomini il cui lavoro consisteva nel mietere l’erba con il macete sotto il sole cocente ai bordi dell’autostrada. Noi possiamo anche definirli lavoratori e dare loro un compenso misero per questo servizio che potrebbe essere svolto incomparabilmente meglio e più velocemente da una macchina da quattro soldi, ma ciò che conta, purtroppo, è il valore aggiunto che un uomo dovrebbe rappresentare e non c’è niente di aggiunto nella mietitura dell’erba.

E’ vero, si tratta di scelte “politiche”, come si è trattato di una scelta “politica” creare la inutile guardia medica in Italia per far finta di far lavorare le migliaia di medici che si era deciso di lasciar laureare ai miei tempi. Sai che qua c’è un medico ogni 149 abitanti? Ma che cazzo se ne fanno di tutti questi medici? E come dovrebbero sopravvivere? Sempre secondo la Lonely Planet la maggior parte dei medici, fuori dall’orario di servizio, porta in giro i turisti e non ho difficoltà a crederlo. D’altronde la nostra guida all’hotel National, dotato di trincee armate contro l’invasione degli americani durante la guerra fredda, è stata una professoressa universitaria di storia, che con le mance dei turisti probabilmente andava a fare la spesa. Sai che qua la benzina costa poco meno che in Italia e il rum (il rum!) più che da noi? Cosa c’è di rivoluzionario in ciò? Come dovrebbero permettersi non dico il rum e la benzina, ma l’acqua che costa un euro a bottiglietta (mezzo litro)? E non mi parlino di doppia economia perché il cambio cuc/cup è fisso, 1/25, quindi puoi esprimere i prezzi come preferisci, ma non cambia nulla.

La verità, almeno quella che ci hanno raccontato i locali, è che qui non aspettano altro che la morte dei Castro e che il Che, venerato da tutti, forse deve la sua fortuna al fatto che, come tutti i miti, è morto giovane. C’è una grande umanità qui, una umanità che meriterebbe una realtà migliore, anche soltanto immaginarla, mentre invece è la rassegnazione a prevalere. Qualcuno ci faceva notare come il classismo, buttato fuori dalla porta dal primo Castro, sia rientrato dalla finestra per mano dell’altro Castro. Sai chi sono i nuovi ricchi? Coloro che in qualche maniera offrono servizi ai turisti, pagati profumatamente in cuc. Il padrone della casa dove risiediamo in questi giorni riceve da noi, per la mezza pensione, circa 70 cuc (euro) in totale al giorno, e considera che ha tre camere, quando un medico ne prende 40 al mese. Abbiamo visto delle farmacie che non riesco a descriverti adeguatamente, neanche il banchetto del musso e carcagnolo al Capo.

Come definire tutto ciò? Il conto non torna, caro Filippo. Tra l’altro non abbiamo trovato traccia della proverbiale allegria che tanti turisti riconoscono ai cubani e che temo sia dovuta al fatto che la maggior parte di essi va nei resort a cercare pelo. Ti posso garantire che per le strade non c’è nessuna allegria, e pochissima musica. Spesso ho avuto voglia di fotografare persone in situazioni…come dire…inusuali, imbarazzanti, ma mi sono trattenuto per non offenderle e quando l’ho fatto mi sono affidato ad un potente teleobiettivo: vecchi stravaccati in improbabili sdraio all’interno degli “ospedali”, venditori di polli arrosto appesi ad un bastone sul ciglio dell’autostrada, un vecchio con occhialini stile Dustin Hoffman in Papillon che ogni mattina mi fa trovare l’intera macchina lavata a specchio sperando nel mio cuc di mancia, una anziana dentro al bagno de “L’Autogrill” che, avendo inavvertitamente Antonella aperto la porta, impossibile da chiudere, immaginandolo vuoto, l’ha invitata ad accomodarsi e attendere che finisse “condividendo” la profumata esperienza, tutte cose per noi inimmaginabili.

Ma a proposito di autostrada, che dire di carri tirati da asini in controsenso in corsia di emergenza o pullman della compagnia statale che per raggiungere il distributore sull’altro lato attraversano serenamente entrambe le corsie, per non parlare delle inversioni a U basta che si decida di cambiare destinazione (confesso di averla fatta anche io) e potrei continuare a lungo, purtroppo. Come ricorderai abbiamo avuto un ricco scambio a proposito di un deragliamento di un treno giapponese, ma cosa rappresenta UN deragliamento di UN treno rispetto al deragliamento prolungato di una nazione? Questo sistema semplicemente non può stare in piedi se non con finanziamenti statali senza fine, finanziamenti che per lungo tempo sono arrivati dall’Unione Sovietica e ultimamente, mi pare di aver capito, dal Venezuele. Ma adesso che quest’ultimo, nonostante il suo petrolio, è anch’esso sulla soglia del baratro, non c’è più alcuna rete di protezione e il si salvi chi può, il liberalizzare almeno un po’, sarà gioco forza, come d’altronde è accaduto in Cina e in Russia. Ma Fidel, approfittando della malattia, non ha avuto la faccia di rinnegare se stesso ed ha preferito abdicare e lasciare che fosse suo fratello a tradire la causa rivoluzionaria.

Eppure, considerando le condizioni diffuse della popolazione, credo che anche se le cose cambiassero oggi stesso e drasticamente ci vorrebbero un paio di generazioni per portarli in condizioni accettabili. La verità è che il comunismo è fallito miseramente ovunque sia stato applicato mentre il capitalismo sta mostrando il fianco sotto forma di disparità inaccettabili. Sarebbe l’ora della famosa terza via di cui da tanto tempo si parla ma che nessuno è riuscito a codificare in una forma adeguata. Nel frattempo noi invecchiamo ed in fondo non possiamo che riconoscere che c’è finita bene, almeno meglio di come non stia andando ai nostri figli.

14-08-2016

Penultimo giorno in terra cubana prima del rientro. Abbiamo fatto un lungo trasferimento in macchina da Remedios a La Habana. Ho preferito evitare “l’autostrada” e fare una strada normale, che attraversasse i paesini. Inoltre, con questo itinerario, abbiamo avuto anche l’opportunità di passare anche da Varadero, la destinazione turistica per eccellenza di Cuba, ed avevo la curiosità di vedere se è proprio da questa anomalia che nasce la leggenda del popolo allegro.

Devo dire che il posto è proprio brutto (almeno fuori dai resort per ricchi) e non è riuscito neanche ad eguagliare l’impressione avuta da Cancun (altra anomalia) che, almeno, è più elegante ed il cui mare è più bello. Diciamo che Varadero sta a Cuba come Cancun sta al Chiapas, che è poi il vero Messico. Per non dire della strada che unisce Varadero a La Habana, una vera autostrada per niente simile alle carrettere su cui ho percorso ben 2.200 chilometri.

Insomma, uno specchietto per le allodole che svolge egregiamente il suo ruolo di propaganda, pieno di negozi di paccottiglia cinese e locali in stile occidentale di pessima qualità. Probabilmente l’atmosfera all’interno dei resort di lusso sarà di ben altro livello, ma il frequentarli è ben altra cosa rispetto all’avere visitato Cuba.

15-08-2016

Oggi, disponendo ancora di qualche ora prima di dare inizio alla lunga procedura di rientro, ho convinto Antonella ad andare a visitare il museo della rivoluzione. Prima di parlarti del concetto cubano di museo, ti descriverò quello in questione, beffardamente ricavato all’interno del palazzo che fu la sede presidenziale di Batista. L’edificio è letteralmente cadente, sporco, con numerose aree inaccessibili, con le persiane, le tipiche persianine in legno molto fitte tanto diffuse nel sud America, distrutte, e, naturalmente, senza aria condizionata.

La “collezione” consta quasi esclusivamente di fotografie, ritagli di giornali e pochi cimeli quali uniformi sforacchiate e sporche di sangue, qualche proiettile, qualche scheggia di bomba. Lo potremmo definire una presa per il culo propagandistica, se non si pagasse un biglietto d’ingresso di 8 euro a persona, il che automaticamente ne limita la fruizione ai turisti, sporchi capitalisti imperialisti da spremere.

Per quanto riguarda il concetto di museo cubano ti prego di credermi se ti dico che con i libri, le foto e l’oggettistica presenti a casa mia riuscirei ad aprirne almeno un paio oltre una mezza dozzina di biblioteche. Ho capito perché si dice che la cultura a Cuba è diffusa capillarmente perché è lo stesso concetto di cultura che è travisato. Solo a La Habana ci sono un centinaio di musei, ma credo che con il contenuto di tutti non si allestirebbe una stanza del Louvre o della Tate Modern e la cosa mi inquieta perché se il concetto di museo lo applichiamo anche a quello di istruzione e sanità, altri due “fiori all’occhiello” di Cuba, beh, la presa per il culo diventerebbe palese.

Ma torniamo al discorso di quello che taglia l’erba ai lati dell’autostrada col macete; al museo della rivoluziona c’è esposta una frase di Fidel che, parlando del periodo di Batista, fa riferimento a 600.000 disoccupati che gridano vendetta; ma se a quei 600.000 derelitti la rivoluzione ha portato lavori come il suddetto o il caricatore di accendini……allora ditelo.

Non so come stessero i cubani con Batista, ma credo oggettivamente difficile riuscire a stare peggio di come stanno oggi.

La Habana, la capitale non dimentichiamolo, sembra una città dopo un bombardamento a tappeto: palazzi distrutti, strade distrutte, sporcizia dappertutto ed in quantità tali da stupire anche noi dallo stomaco forte; la gente riesce appena a mangiare ed a vestirsi in maniera basica con la complicità del caldo. Le case sono qualcosa di non paragonabile neanche ai bassi napoletani o palermitani, non esiste praticamente alcun negozio a parte quelli di souvenir per i turisti e delle misere botteghe, definite mercato, sui cui banchi trovi qualche uovo, qualche busta di latte e pochissimo altro. L’unica occasione in cui ho visto il cubano prevalere sull’occidentale è stata nel vedere i proprietari di auto classiche (cioè vecchissime) portare in giro i turisti con la consapevolezza di essere i furbi che spennano i polli. Ma le auto classiche sono una sparuta minoranza rispetto a quelle semplicemente decrepite, su cui non salirebbe nessuno, spesso di provenienza sovietica come le Uaz, cecoslovacca o cinese. Se escludiamo il pittoresco della Avana vecchia, che affonda però nell’indicibile decadenza le radici della sua bellezza, l’unica cosa veramente bella de La Habana è il Malecon, questo splendido lungomare che si estende per tutta la città e nel quale, nel tardo pomeriggio, le persone amano riversarsi a passeggiare e molti uomini pescano nella speranza di guadagnarsi una cena.

Ti prometto che studierò di più per cercare di capire meglio, ma l’impressione che abbiamo ricavata è stata che l’esperimento rivoluzionario sia miseramente fallito e che le condizioni del popolo cubano, al netto di una invadente propaganda, siano lungi dall’essere accettabili.

Un abbraccio.

Guarda la gallery
cuba-country-hg57k

In giro per Cuba sulla scia dei ricordi dell'adolescenza



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche

    Video Itinerari