All’Avana prima che cambi tutto

Si conclude la full immersion cubana di Syusy e Zoe, a cavallo di un periodo storico che, con ogni probabilità, cambierà per sempre il volto romantico e rivoluzionario de la Isla
Syusy Blady, 12 Gen 2016
all’avana prima che cambi tutto

Ritornare a Cuba vuol dire aggiungere tasselli alle impressioni avute vent’anni fa e che ho approfondito la seconda volta, più di due lustri dopo. Ma la si può visitare anche cento volte senza per questo riuscire a comprenderla a pieno.

Cuba è complessa, specie adesso che è a una svolta della propria storia, con l’uscita di scena di Fidel e il cambio epocale dell’incontro tra Raul e Obama.

 

Quello che si può e si deve fare però è ricordare la sua storia, deducendola da particolari architettonici e dalla natura – ancora per lo più intatta – che la caratterizzano. Questa è l’isola abitata dagli Indios Taino provenienti dal centro America, eredi dei Maya e degli Atzechi: colonizzata da Colombo per conto della corona spagnola e poi sfruttata (ma anche sviluppata) dagli europei. E poi c’è un rapporto particolare con l’Italia, perché ha rappresentato, per almeno due generazioni, il simbolo della rivoluzione anti-imperialista. Di contro noi, però, l’abbiamo influenzata (incredibile ma vero) attraverso la TV o i nostri artisti: gente della mia età e anche più giovane qui ti canta le canzoncine dello Zecchino d’Oro, conoscono bene Zucchero o Lorenzo, che qui si sono esibiti diverse volte. Dunque ritorniamo a Cuba, sperando comunque in futuro di ritornarci ancora!

ARCHITETTURE ALL’AVANA

In questo viaggio ho cercato di capire come si è sviluppata l’architettura della città, che ha il pregio di essere quasi esente dalle brutture moderniste, a parte certi palazzi che ci rimandano al razionalismo sovietico. L’Avana fa parte dalle sette – e dico sette: un numero magico – città fondate dal conquistatore spagnolo Velasquez e parecchie di loro hanno il pregio di essere ancora come allora, ma L’Avana fa storia a sé. I cubani dicono, scherzando: “L’Avana è L’Avana, tutto il resto è campo!”. Il patrimonio architettonico della città è incredibile e l’impresa, iniziata 20 anni fa, di ristrutturare il centro storico è ancora in atto, ma ultimamente ha fatto passi da gigante. Il Malecon (il lungomare) è per lo più a posto, mentre le piazze più antiche sono perfettamente ristrutturate. Camminare per le strade principali dell’Avana-vecchia, dopo più di 10 anni dalla mia ultima visita, significa non riconoscerla più: negozi di artigianato, showroom di grandi marche e ristoranti di lusso. Chi però, come me, avesse nostalgia anche della vecchia Avana decadente ma viva, e di gente vera, può semplicemente uscire dalle strade perfettamente ripulite per avventurarsi nei quartieri che le stanno attorno.

PORTO… TURISTICO

Da non perdere piazze e cattedrali: appartengono al periodo spagnolo, quello caratterizzato dall’arrivo dei grandi ordini religiosi, come Piazza San Francisco de Asis con la statua dedicata al celebre frate raffigurato nell’atto di proteggere un indio. Per vedere la città dalla prospettiva giusta e andare avanti con ordine nella storia de L’Avana, bisogna però recarsi al Porto, alla fortezza del Morro, un fiordo assai profondo che offrendo protezione alle navi le metteva al riparo da eventuali attacchi. Come Istanbul-Costantinopoli, anche al porto dell’Avana venivano tese delle grosse catene che impedivano alle navi di penetrarvi senza permesso. Ora il porto commerciale verrà spostato una ventina di chilometri più il là e si chiamerà Mariel. Qui arriveranno container con ogni genere di prodotti e credo che l’arrivo delle merci cambierà radicalmente il volto l’isola: per ora con i primi container sono arrivati materiale da costruzione e pannelli fotovoltaici, ma anche detersivi e carta igienica per gli alberghi: insomma questa nuova infrastruttura si prepara a essere molto importante per l’economia del Paese. Il progetto prevede che il porto storico venga convertito in turistico: m’immagino già le barche da crociera e da diporto sfilare davanti al Malecon e arrivare praticamente nel cuore de L’Avana vecchia. Il turismo nautico è nei progetti di Cuba, quindi non è escluso che anche Adriatica ci possa arrivare, offrendo l’opportunità di vedere Cuba via mare ai turisti/velistipercaso che lo desidereranno. Magari! Ci stiamo lavorando…

IL CIMITERO MONUMENTALE

Ma veniamo all’architettura del Novecento, col suo eclettismo e la moda borghese di imitare l’Occidente. Questo stile si può ammirare dappertutto ma noi, io e Zoe, siamo andate in un posto molto particolare: archi a volta acuta, ferro battuto, marmi, vetrate colorate spiccano soprattutto nel Cimitero Monumentale dell’Avana, uno dei più grandi al mondo. Da visitare. Noi lo abbiamo fatto anche per sfuggire al simpatico ma incessante rumore della città. Ma andiamo avanti: ecco l’Avana Decò! Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’aumento del prezzo dello zucchero fece la fortuna dei grandi latifondisti che costruirono palazzi sempre più lussuosi. Il Museo dell’arte decorativa era una di queste case signorili, tutte per lo più di ispirazione francese. È del 1925 il progetto urbanistico che mette mano alla città, mentre l’architetto Forestier attua un piano regolatore che vuole trasformare la città caraibica in una Parigi tropicale. Il Decò impazza e, a mio parere, è l’anima architettonica più originale della città. Ancora oggi si trovano statue e decorazioni di finestre, oltre al ferro battuto delle inferriate, di una bellezza straordinaria! Nell’albergo dove eravamo ospitate, l’Hotel San Miguel, c’erano lampade e decorazioni originali: un lusso che è frutto di ricerca ma soprattutto di recupero. Con il colpo di stato di Batista del 1952, invece, arriva la moda americana. Gli ultimi giorni li abbiamo trascorsi in una casa particular in stile anni Cinquanta che affacciava su l’Avenida dei Presidenti, il viale dove ora si trovano per lo più ambasciate mentre una volta c’erano le ville dei ricchi. Da lì potevo ammirare tutta L’Avana rendendomi conto del suo impianto urbanistico. L’Avenida va al mare, la strada che passa trasversalmente è la via principale che porta all’Avana Libre (già Hilton Hotel) e poi al Campidoglio e la zona vecchia. Questa è L’Avana degli anni 50, quella delle macchine d’epoca, le Chevrolet decapottabili colorate di verde, azzurro e rosa: le auto più fotografate al mondo! Possederne una vuol dire fare parecchi soldi con il turismo: chi rinuncia a farci un giretto? Noi, però, ci siamo accontentate di prendere al volo le macchine americane anni 60/70 che girano avanti e indietro: sono vintage e improbabili, ma spendi pochissimo perché si tratta di auto collettive. Le prendono i cubani, soprattutto, per spostarsi lungo la strada principale, così è possibile incontrare altra gente.

VERSO PINAR DEL RIO E VA LLE DI VINALES

Va bene L’Avana, ma c’è tutta Cuba da vedere! Andando a Ovest in auto verso Pinar del Rio, si può arrivare alla Valle di Vinales, famosa per il suo magnifico paesaggio e per i giri in bicicletta o a cavallo che si possono fare attorno a quelle strane montagne che sono geologicamente antichissime e che si chiamano Mogotes. Ma prima ci si può fermare lungo la strada, alla comunità agricola de Las Terrazas, un esempio di uso del territorio virtuoso. Infatti la storia di questo posto è molto interessante ed emblematica: qui intere colline erano state dissennatamente disboscate, finché nel 1967, dopo la rivoluzione, si decise di correre ai ripari. Con la collaborazione attiva degli abitanti iniziò un progetto di rimboschimento che ha portato questo luogo, coi suoi 1.500 Km di terrazzamenti e i suoi 8 milioni di alberi piantati ex novo, a diventare nel 1995 Riserva della Biosfera. Qualche tempo fa il sito fu aperto all’eco-turismo e ora ha raggiunto i 92 mila di visitatori l’anno. Ai cubani piacciono i numeri e i dati, ma questi dati, che sembrano freddi, per una volta ci parlano di un progetto virtuoso che deve servire come esempio. Quindi passateci l’iperbole: il paesaggio è stratosferico! Ci si può buttare con una imbragatura nella valle e raggiungere il bosco (non l’ho fatto ma l’ho visto fare) e poi il caffè che producono e ti offrono è ottimo.

 

CAYO LEVISA

Lo si raggiunge con un traghettino in 30 minuti e mantiene tutte le sue promesse: una striscia di sabbia bianca con palme e vegetazione fatta di fiori viola meravigliosi. Sul Cayo ci sono tutti i comfort e bungalow con un terrazzino che si affaccia sulla spiaggia. Si sta ultimando un ristorante fatto in legno e paglia e – nota da non sottovalutare – la cuoca è una signora milanese innamorata di Cuba, che rimpiange la neve ma non tornerebbe più a vivere in Italia: è troppo innamorata de L’Avana ed è ben inserita; per inciso, anche noi l’abbiamo amata moltissimo quando ci ha cucinato un bel piatto di spaghetti! A parte l’animazione, la musica è garantita da due musicisti che da soli valgono un’orchestra. Ma soprattutto, qui si va con maschera e pinne a vedere la barriera corallina poco distante e può capitare di incocciare i lamantini. Chi sono costoro? Si tratta di mammiferi che superano i due metri di lunghezza, pesano parecchi quintali, somigliano ai trichechi e purtroppo sono in via d’estinzione. Qui, a Cayo Levisa, i lamantini si possono vedere in laguna, quando s’affacciano per respirare sulla superficie del mare. Onestamente mi è andata buca anche stavolta, perché il mare era un po’ agitato ma non desisto, spero di vederli in un’altra occasione, perché se verrà realizzato il parco marino anche qua, come è stato realizzato all’Isla de la Reina, c’è speranza di goderseli ancora per tanto tempo.

IL GIOIELLO TRINIDAD

Strade acciottolate, edifici bassi con larghe finestre munite d’inferriate, piazze colorate e la sua aria di città benestante e vacanziera, con notti piene di musica alla Casa della Trova. Trinidad è unica: ha una storia che racconta di grandi ricchezze ma anche di proprietari, schiavi e latifondi dove si coltivava il tabacco, sempre sotto la minaccia di corsari e pirati. Io mi sono introdotta anche in una casa-museo, il Museo Romantico, che dà un’ottima idea di quale potesse essere la vita al tempo delle colonie spagnole. Trinidad fino al 1920 si raggiungeva solo percorrendo strade sterrate adatte ai cavalli, oppure via mare. Questo l’ha conservata per quello che era, un gioiello! E soprattutto un porto scelto dagli spagnoli dal 1580 per la sua posizione e l’ottima terra che favorisce la coltivazione del tabacco. Furono le continue incursioni dei pirati a creare difficoltà alla città ma Trinidad fece di difficoltà virtù: praticamente gli stessi abitanti nel tempo divennero corsari, e nel 1720 le famiglie più ricche cominciarono a costruire le abitazioni signorili che vediamo ora, piene di oggetti di gran pregio che provenivano dall’Europa. Tutta questa ricchezza veniva dalla coltivazione della canna da zucchero, favorita dal lavoro gratuito degli schiavi. Poi va da sé che con le vicende dell’indipendenza e della liberazione degli schiavi, la città subì un periodo di decadenza e (fortunatamente) venne dimenticata. Ora è Patrimonio dell’Umanità e meta turistica per eccellenza. E viene voglia di abitarci in quelle ampie case con finestroni enormi, magnifici cortili interni e una continua alternanza di sole e ombra che ti invita a sederti su una sedia a dondolo, con a farti compagnia un bel sigaro fumante. Io mi sono rilassata alla Casa della Trova nel pomeriggio, ascoltando un gruppo di musica salsa che provava. E con Zoe e Dahiana (la nostra simpatica guida del tour) ci siamo anche messe a ballare! Comunque è consigliabile perdersi per le strade di Trinidad, fermandosi a vedere l’artigianato fatto da donne che ricamano e cuciono nelle loro botteghe sulla strada. Da non perdere quella di Chichi Santander, che fa ancora vasi e decori in ceramica alla ”vecchia maniera”, come facevano gli Indios Tainos lavorando l’argilla al tornio. Io ho provato ed è venuto fuori un vasetto niente male!

UNA CUBA DIVERSA

Poi si torna all’Avana, dove ci concediamo un ultimo giro nei locali classici dell’Avana di Hemingway, come la Floridita e la Bodeguita. Lo scrittore riuscì a imbastire un filo narrativo tra la Florida e Cuba, cioè tra due concetti diversi del mondo: la grande potenza e il piccolo Paese che resiste. Insomma un conflitto insanabile che il mondo osservava, prendendo parte, per scommettere chi mai potesse vincere. Adesso col senno di poi e la vita che ci è passata davanti, noto che qui nessuno parla più di contrasti e di guerre al capitalismo. Ma è rimasto lo spirito di resistenza nazionale, quello sì: qualcosa che ha a che fare con l’appartenenza all’isola, ma i cartelli che inneggiano alla rivoluzione e le foto di Fidel e forse persino del Che appartengono al passato. Cuba si apre a quel mondo che per più di mezzo secolo ha fieramente avversato e ora tutti attendono l’arrivo (anzi il ritorno) degli yankee. Non lo so, non sono una storica né un’economista, sono solo una turista che c’è stata tre volte. Ogni volta era diversa e io con lei. Ma alla fine cosa mi porto da Cuba, questa volta? Vedendo come va il mondo oggi, credo che ci sia bisogno di una nuova idea di sviluppo e che qualcuno debba dare l’esempio. Mi auguro che “questo qualcuno” siano proprio i cubani. Penso che tutti dobbiamo difendere la nostra umanità senza svenderla al dio denaro. Che “tanto” parlare, “tanto” lottare e “tanto” provare a inventarsi un altro modello di vita alla fine, non possa essere svenduto per qualcosa che altrove ha già perso e mostrato la sua fine imminente. Dai Cuba, ce la puoi fare!