Tour Cuba occidentale

Spero che tu possa trovare qualche utile consiglio in questo nostro diario di viaggio: abbiamo organizzato tutto da noi, senza alcuna agenzia, ma solo con un po’ di tempo e pazienza , cercando tutto il necessario su internet. E’ stato il nostro viaggio “di laurea”…e il primo fuori dall’Europa…perciò perdonami se a volte ho messo...
Scritto da: biziocolla
tour cuba occidentale
Partenza il: 28/12/2007
Ritorno il: 12/01/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Spero che tu possa trovare qualche utile consiglio in questo nostro diario di viaggio: abbiamo organizzato tutto da noi, senza alcuna agenzia, ma solo con un po’ di tempo e pazienza , cercando tutto il necessario su internet. E’ stato il nostro viaggio “di laurea”…E il primo fuori dall’Europa…Perciò perdonami se a volte ho messo troppa enfasi nel descrivere…Ma è stato veramente indimenticabile !!! 28 Dicembre Il volo Air Europa Roma-Madrid–Havana (prenotato 4 mesi prima a 870€ a persona A/R) è abbastanza puntuale…Solo 10 minuti di ritardo.

Scendiamo dall’aereo e siamo subito investiti da un vento caldo e umido che al tempo stesso ci rende esaltati e stupiti. Scesi dall’aereo c’è il controllo passaporti. Mi fanno togliere gli occhiali per riconoscermi meglio…Mi viene da ridere ma mi trattengo. Dopo qualche apprensione per i bagagli arrivati dopo mezz’ora sul rullo sbagliato usciamo finalmente dall’aeroporto. Il primo taxi che ci viene offerto costa 25 euro per l’hotel:non abbiamo né voglia né capacità di contrattare perché sfiniti, perciò saliamo. Nella mezz’oretta di strada aeroporto-hotel ridiamo e ci stupiamo per qualsiasi cosa. Sembra tutto così diverso da noi…Il caldo, le auto, la gente! Arriviamo all’hotel Park View al Prado, all’Havana Vieja, carino, a parte il rumore inquietante di una ventola che non si riesce a capire da dove venga. Dopo pochi minuti crolliamo per la stanchezza.

29 Dicembre La vetrata della sala ristorante svetta sui tetti dell’Havana. La città sembra disabitata (sono le 8:30 di sabato) da molti anni. Gli ex-meravigliosi palazzi coloniali ora sono color cenere, le macchie annerite dallo smog e dall’incuria disegnano mille forme sulle facciate ormai tristi. La salsedine ha eroso l’intonaco di tutte le costruzioni e solo poche eccezioni (gli hotel) si stagliano con i loro profili brillanti nel cielo un po’ nuvoloso. Poi all’improvviso sono rapito da curve sinuose che spiccano nel mezzo di quel quadro cubista: una nube di fumo nero si innalza da dietro palazzoni di stampo sovietico; la città dà l’impressione di dormire in ogni sua molecola eppure quel denso sbuffo nero ci indica che qualcosa è in fervente attività. A mezzogiorno prendiamo la nostra macchina a noleggio (prenotata da internet) e partiamo per Varadero. Lungo la strada incontriamo i tanti cartelli inneggianti alla rivoluzione che il regime ancora espone, fiero del suo passato e dei suoi ostinati quanto affascinanti e leali ideali. Poche e vecchissime auto lungo le sconnesse strade, carretti trainati da cavalli che scivolano via lenti mentre li sorpassi, decine di cubani che si spostano da un paesino all’altro sulle proprie gambe, o se va bene, ammassati in luridi e cigolanti camion che emettono nubi tossiche. Improvvisamente appare una valle sterminata di altissime palme e vegetazione selvaggiamente verde. Arriviamo ad una specie di frontiera/casello. Paghiamo 3 pesos per entrare a Varadero. Poco dopo troviamo il nostro villaggio: Villa Tortuga. Il bungalow è pulito e confortevole. Ma l’acqua della doccia è fredda e non si capisce se l’aria condizionata non funzioni o sia a pagamento. Ci affacciamo sulla spiaggia e ci sale un brivido di felicità e soddisfazione!!! Il paradiso caraibico al tramonto è di fronte a noi, fra gli ombrelloni di paglia e le morbide foglie delle palme adagiate sulla spiaggia. Dopo una cena più che discreta si va letto con la voglia che domani arrivi al più presto.

30 Dicembre Abbondante colazione e poi di corsa in spiaggia. Iniziamo a mandare messaggi e foto in Italia per montare un po’ d’invidia a chi è rimasto al freddo!!! Qui è la pace dei sensi!!! L’acqua è cristallina, anche se, a dir la verità, non più di quella della sardegna. Ma c’è tutta la differenza del mondo quando ti metti all’ombra di una palma o semplicemente pensi che sia il 30 dicembre. Ovviamente da buoni turisti italiani mangiamo e beviamo non stop col nostro braccialettino. Giornata dedicata al mare. Nel tardo pomeriggio andiamo a fare un giretto per Varadero: incrociamo dei mercatini di fronte ad una chiesa. Parcheggio in una stradina pressoché disabitata…Ovviamente previa pagamento abusivo di 1 peso!!! 31 Dicembre Anche oggi giornata dedicata al mare. Nel pomeriggio visitiamo la penisola di Varadero. Prima di tornare in hotel passiamo alla Casa del Habano a comprare i miei primi “puri”: non capendoci un benemerito nulla scelgo 3 sigari a caso di cui conoscevo la marca. Il cenone di capodanno è a base di buffet di aragosta (la prima della nostra vita, anzi nel mio caso direi le prime 6!!!) e mille altre prelibatezze. Dopo cena spettacolino simil-balera-romagnola-casadei ma in salsa cubana…Ossia salsa e basta!!! Nell’attesa della mezzanotte gusto il mio primo “puro”. A mezzanotte fuochi e balli ma niente conto alla rovescia (e allora ce lo facciamo noi da soli)!!! Alle 2, quando anche il papero-con-funzione-trombetta-da-festeggiamento smette di cantare, finisce tutto. Va bè andiamo a nanna che domattina partiamo presto!!! Ah, ho notato una cosa insolita: in questo villaggio non ci sono italiani!!! Incredibile!!! 1 Gennaio Partenza per Trinidad con sosta pranzo a Cienfuegos. Lungo la strada, nonostante siano oramai passati 3 giorni, continuo a meravigliarmi dell’immenso divario tra Cuba e l’Italia che salta fuori da qualsiasi piccolo o grande gesto quotidiano: la quiete irreale delle campagne rotta solo dai rari assordanti rombi dei camion o dal crepitio degli zoccoli dei cavalli sull’asfalto; la radio che trova sempre le uniche due stazioni radio permesse, fra cui la mitica Radio Rebelde; i piccoli villaggi in cui anche l’ospedale è un edificio ad un solo piano simile a tutti gli altri; i bambini che ci scrutano e sorridono stupiti ed ingenui al passaggio di un’automobile. Cienfuegos è una cittadina tanto colorata quanto accogliente. La zona pedonale e la piazzetta principale sono bellissime fotografie della cuba coloniale tuttora ancorata alle sue tradizioni. Trinidad sembra non arrivare mai e lungo gli ultimi chilometri sembra di essere finiti in un mondo disabitato. Poi all’improvviso ci appare un piccolo monumento di un giallo acceso e di un rosso vivissimo che ci dà il “Bienvenidos a Trinidad” . Non facciamo in tempo ad arrivare che un tizio in bici ci affianca e si offre di farci da guida per portarci alla casa particular che abbiamo prenotato. Lo seguiamo. Grosso errore. Ci fa arrampicare fra le viuzze acciottolate di Trinidad in cui la buca più piccola può tranquillamente contenere un pallone da basket e la nostra povera macchina è messa a dura prova. Ci porta alla casa particular in cui una giovane cubana ci dà il benvenuto (intanto diamo la mancia al tipo che se ne va), ma prima di entrare controlliamo la via…E sopresa delle sorprese…Non è quella giusta!!! Nel nostro italo-spagnolo scadente riusciamo a farci indirizzare verso la nostra vera casa. La troviamo (in una via molto meno sconnessa), ma essendo occupata ci dirottano in una vicina (dicono che capiti spesso…Mah!!). Per nostra fortuna Narcisa e Nelson sono una coppia straordinaria che ci fa trovare una casa pulita, carina e azzurra (in cui incontriamo i primi 2 italiani che alloggiano in un’altra stanza). Posati i bagagli partiamo subito a visitare Trinidad. Che dire di Trinidad. Dico che prima o poi dovrò tornare. A riprendere il cuore che ho lasciato lì. Le sue casine tutte tassativamente a uno o due piani mostrano tutti i colori dell’arcobaleno. Il rosa dell’alba, il blu della notte, il rosso del pomodoro, il verde dello smeraldo, l’indaco del cielo, il giallo del canarino, il porpora del sangue, l’azzurro del mare. E in mezzo inerpicate viuzze di ciottoli che ti costringono ad abbassare lo sguardo per non cadere, o per non affondare il piede in pozze di acqua sporca o di fango maleodorante. E poi gli improvvisi scorci che abbracciano il tuo sguardo dovunque si posi: o in alto, sulle incombenti montagne, o in basso sulla rigogliosa valle sottostante, o all’orizzonte sullo scintillante mare. Tutto placidamente disteso sotto il tramonto dai mille rossi e blu che come per magia riescono a fondersi l’un l’altro tenendosi per mano fra il giorno e la notte. Ci siamo voluti perdere in quei colori, seguendo la stradina fino ad arrivare all’emozionante plaza de las tres cruz in cui anche i ciottoli finivano e ci trovavamo con i piedi sulla nuda terra. Ma quello che non dimenticherò di Trinidad è la sensazione di vera vita cubana, con i loro ritmi lenti e pigri, con i loro sorrisi a pochi denti in mezzo a nessun benessere, con le corse dei bambini a piedi nudi sui ciottoli, con il giovane padre di famiglia vestito da donna per divertire la propria famiglia e i propri amici. Tutto trasuda “cubanità” e ostenta una semplicissima e banalissima felicità in mezzo a tanta incredibile desolazione. E’ la contrapposizione fra nulla e tutto, fra meraviglia e schifo, fra la povertà materiale e la ricchezza di spirito che mi ha rapito l’anima. Torniamo alla nostra casa, dove ci offrono una vasta scelta per la cena. Optiamo per il pesce!!! Il nostro primo pasto in una casa particular è spettacolare. Dopo una fantastica zuppa di patatos y frijoles come antipasto (tanto abbondante che pensavamo fosse il pasto completo) arriva pesce bianco, riso, insalata e pomodori per finire con la onnipresente papaya. Dopocena facciamo ancora un giretto per le buie stradine di Trinidad. Sembra non ci sia nessuno in giro, ma prima di arrivare in piazza sentiamo in lontananza musica latina: la seguiamo e ci troviamo di fronte ad una scalinata in cui calde note di salsa escono dagli strumenti di un gruppo che somiglia tanto al buena vista social club. E per compiere il quadro perfetto decine di giovani coppie cubane si scatenano dietro a quel ritmo irresistibile. Glò vorrebbe ballare, anch’io in fondo non riesco ad estraniarmi da quella melodia, ma rimaniamo seduti a guardare. Siamo pesci fuor d’acqua: una sinuosa ragazza balla in modo incredibile, non riesco nemmeno a seguire i suoi rapidissimi movimenti, indipendentemente dal suo partner di ballo (che fra l’altro cambia ad ogni canzone). Rimaniamo ancora qualche minuto a bocca aperta. Poi decidiamo di tornare a casa. A dormire.

2 Gennaio Oggi ci aspetta l’escursione a Topes de Collantes, nel mezzo della foresta tropicale. Dopo la colazione (ottima) ci facciamo la foto-ricordo con Narcisa e Nelson: è un peccato che siamo stati solo una notte, ci dicono!!! E’ davvero un peccato!!! La strada per Topes si inerpica con ripidi tornanti. Più saliamo più il cielo si fa minaccioso. Partiamo per l’escursione a piedi con una nebbia pesante, dovuta al fatto che praticamente ci muoviamo in mezzo ad una nuvola. Nonostante il brutto tempo la foresta ci affascina da matti. Fra i sentieri fangosi non ci stanchiamo di ammirare le verdissime piante che ci circondano. Un’oretta di camminata e arriviamo alla piscina naturale del salto del caburnì, uno stagno blu smeraldino in cui si tuffa una piccola cascata e grandi e grossi turisti stranieri. Noi indossiamo jeans, maglietta e k-way. Non mi sembra il caso di tuffarsi. Il percorso di ritorno non presenta nulla di nuovo. Ripartiamo.

Ora siamo a Santa Clara, la mitica città simbolo della resistenza rivoluzionaria in cui un commando guidato dal Che fece deragliare un treno carico di armi e militari dell’esercito di Batista. Il treno deragliato è ancora lì. Ora è un museo. Affascinante ma un po’ scarno. Prima di ripartire tappa obbligata al mausoleo del Che. La grigia e spoglia costruzione è sovrastata dalla gigantesca statua di Ernesto con la mitica frase scolpita nel marmo e nella storia : “hasta la victoria sempre”. Anche questo museo non ci colpisce troppo. Al contrario la piccola cappella con le lapidi dei caduti rivoluzionari è commovente ed emozionante. La lapide del Che si confonde con quelle dei suoi companeros, avanzando umilmente solo di pochi centimetri rispetto alle altre. La fiamma della rivoluzione è perennemente accesa ad illuminare fiocamente quei volti così fieri e così umani. Esco con un brivido.

Ci rimettiamo in viaggio per Playa Larga, dove ci aspetta un’altra famiglia i un’altra casa partuicular. Putroppo le nostre speranze sono tradite. La camera è fatiscente. Il letto sfondato e sporco. Nella doccia un apparecchio primitivo per scaldare l’acqua fa le scintille mentre mi lavo. Nello spezzatino della cena ci sono bocconi duri che non riusciamo ad identificare. Ma il meglio deve ancora venire: la signora accarezza il bellissimo cucciolo pieno di pulci e con le mani luride condisce la nostra insalata. Infine passiamo all’agghiaccio la gelida notte in quanto la nostra camera è priva di vetri alle finestre. 3 Gennaio La mattina un rutto clamoroso del panzuto padrone di casa ci dà il buongiorno. Appena finita la colazione scappiamo via. Di corsa. Siamo a Boca de Guama, dove all’interno dell’immensa palude c’è un allevamento di coccodrilli. Sembra un comune zoo. Un po’ deludente. Ci ravviva solo un tizio che ce ne fa prendere un cucciolo in spalla (con fauci legate ovviamente) e la prelibata carne di coccodrillo (che sa un po’ di pollo un po’ di maiale). Con la pancia piena ripartiamo. Dobbiamo fare parecchia strada per arrivare a Pinar del Rio. Sono le tredici e ci siamo ufficialmente persi. O meglio, siamo sulla strada che ci ha indicato la cartina, ma “strada” è una parola grossa per questo sentiero in cui ci troviamo imprigionati. Non possiamo andare a più di 10 km all’ora, visto che di asfalto c’è solo qualche macchia qua e là ed il resto è tutto un sali-scendi fra buche-crateri e dossi-colline. Siamo disperati, questa strada continua così per ancora 50km sulla cartina…A questa velocità non arriveremo mai. E’ stata dura ma ce l’abbiamo fatta!!!Dopo quasi 2 ore di safari fuori strada il nostro bolide miracolosamente illeso ci riporta su una carreggiata decentemente asfaltata. Ora siamo addirttura in autostrada. La loro autostrada è un’altra cosa incredibile. Due corsie per carreggiata, anche con lo spartitraffico in terra, quasi come da noi. Con la piccola differenza che se guidi in Italia devi al massimo zigzagare fra auto o camion per i sorpassi, mentre se guidi a Cuba devi fare lo slalom fra persone, cavalli, mucche, carretti, cani e bestie varie che ti affiancano, ti attraversano, ti mandano a quel paese se non carichi l’autostoppista di turno e così via. Arriviamo a Pinar. La casa particular è molto molto carina. La signora più anziana ha proprio l’aria di una mamma o una nonna affettuosa. Sua figlia è la tuttofare di casa. Pinar del rio è un medio capoluogo con il solito ritmo cubano, blando e sornione. La via principale è un susseguirsi di piccole botteghe di varia natura. Tra i due lunghi portici scorre caotico ma rado il traffico maleodorante. La cena è la migliore finora. Intanto le due donne ci danno tante utili informazioni su cosa visitare lì intorno. Seguiremo i loro preziosi consigli. Prima di andare a nanna ci fanno parcheggiare l’auto nel garage del vicino. I suoi dobermann le faranno da guardia. 4 Gennaio Il tempo è un po’ migliorato ma ancora il sole continua a giocare a nascondino. Partiamo di buon ora per visitare la piantagione di Tabacco Robaina, la più antica della regione di Pinar del Rio. Qui la nostra guida, che parla un perfetto inglese (anche perché dall’aspetto sembra americano) ci spiega tutto il processo produttivo, dalla semina alla filatura. Un vecchietto con la pelle segnata dal sole e dall’età ruota rapidamente le sue nove dita e mezzo (l’indice della mano sinistra è mozzato) per arrotolare le profumate e morbide foglie. Alla fine del tour non posso esimermi dal comperare altri 4 sigari, Robaina ovviamente.. Alle 11 partiamo per la valle di Vinales. Qui il paesaggio è pazzesco: all’interno della vasta e piatta valle spuntano gli enormi mogotes, formazioni calcaree a forma di pandoro, ma cavi e pieni di grotte interne e rivestiti completamente da fitta vegetazione. E’ come se qualcuno avesse fatto cadere a caso dei giganteschi igloo di terra e piante in mezzo alla pianura padana. La prima grotta che visitiamo è praticamente un traforo nella montagna. 6 pesos buttati (5 + 1 per l’immancabile parcheggiatore abusivo). La cueva del indio invece è più suggestiva, soprattutto nel punto in cui il tragitto finisce in un corso d’acqua sotterraneo. Qui saliamo su un barcone che, rispettoso del fragile ecosistema della grotta, sputa fuori un fumo nero ed irrespirabile. Vacillando un po’ con il bordo della carretta a pelo d’acqua usciamo alla luce del sole. Annotazione d’obbligo per lo straordinario paesaggio che incontriamo al ritorno. La piatta valle all’improvviso termina lasciando spazio a colline di uno smeraldo lussureggiante. Qui la vegetazione è più ricca e rigogliosa che mai e le poche casupole sparse lungo la strada raccontano di una Cuba completamente rurale. Qui non solo i bimbi, ma anche gli adulti che ci vedono passare in macchina sorridono stupiti e meravigliati. Due bufali tirano un aratro. Una vecchietta si dondola sulla sedia sotto la veranda di legno della sua casetta, anch’essa in legno. Siamo alla fabbrica della “Guayabita”, il famoso liquore simile al rum caratteristico della zona di Pinar. Un panciuto signore all’ingresso ci dice che il tour non è possibile causa ristrutturazioni in atto. In compenso ci fa assaggiare 2 bicchierini che in reltà tanto ini non sono. Un sorso toglie il fiato. La cena in casa migliora di sera in sera. Stasera platani fritti deliziosi. Dopocena rimaniamo due ore a chiacchierare con la nostra ragazza tuttofare (di cui non abbiamo ancora capito il nome). Ci racconta tante cose sul loro modo di vivere. Noi ascoltiamo rapiti. Ci scambiamo stupiti le nostre tante diversità. Lei si lamenta di come tutt’oggi Fidel , attraverso la rigidità del suo regime, continui a proibire al suo popolo tante piccole o grandi cose. I cubani non possono viaggiare all’estero se non invitati da qualcuno tramite richiesta ufficiale allo stato (che non sempre la accetta). Non potendo comprare un’auto sono costretti a usare ancora le scassate cadillac anni ’50 restaurate e riparate innumerevoli volte (lei le descrive benissimo con l’espressione “vecchie truccate”). Non possono possedere un semplice cellulare (lei si arrabbia quando le dicono che è un lusso, perché per lei poter chiamare qualcuno in aiuto se la cadillac si ferma in mezzo alla strada non è un lusso, è una necessità…E come darle torto!!!). Non possono mangiare nè cucinarci un’aragosta, o addirittura carne di vitello, pena diversi anni di prigione!!! I proprietari delle case particulares sono costretti a versare allo stato 135 pesos al mese, indipendentemente dal numero di notti che hanno affittato (e in cui guadagnano 25 pesos a camera per notte). E sono quelli che guadagnano meglio fra i cubani. Lo stipendio medio è di poco più di 25 pesos al mese, ossia 20 euro al mese, indipendentemente dal lavoro che svolgi, sia tu ingegnere o operaio. Per questo molti scelgono di non lavorare afferro e di vivere con la sola diaria per la porzione di cibo gratis ma razionata. Per questo mi sento un po’ a disagio quando le spieghiamo il benessere in cui noi viviamo, quando le raccontiamo dei nostri precedenti viaggi per l’Europa (quando lei non ha mai visto l’Havana che dista 150km), quando le elenchiamo i nostri superflui bisogni. E allora inizio a riflettere e a dubitare: è un bene non essere liberi ma essere sicuri di non dover mai morire di fame, anche senza lavorare? E’ meglio avere disuguaglianze sociali incolmabili ma poter decidere di qualsiasi particolare del proprio futuro o sopravvivere dignitosamente senza libero arbitrio? E’ curioso come noi, che abbiamo il valore unico della libertà, critichiamo la società di eccessi in cui viviamo: potremmo agire ogni istante per migliorarla, eppure rimaniamo qui intontiti a non far niente. Come è frustrante invece per loro, imprigionati in regole rigide e a volte incomprensibili, aspirare ad un briciolo di buonsenso e di soddisfazione dei propri desideri, ma non poterlo neanche richiedere sottovoce, ingoiando bocconi amari senza una smorfia, facendo finta che tutto vada bene. Ma lo vedi, lo puoi sentire, che nella loro civilissima dignità bramano un soffio di ciò che gli è proibito, uno spiffero d’aria che odora di libertà. 5 Gennaio Stamattina mi sono svegliato con lo stomaco sottosopra. Per colazione bevo solo succo di Guayava che mi ha preparato la signora. Dice che si dà ai bimbi piccoli (los chiquitos) quando hanno mal di pancia. Glò si mangia anche la mia parte…Beata lei!!! Dopo un paio di ore di guida arriviamo nella penisola di Maria La Gorda…Le piccole onde del trasparente oceano si infrangono lente sui bianchi ciottoli. La sosta per le foto è obbligata. Lo spettacolare blu silenzioso che ci troviamo di fronte mi guarisce da tutti i dolori. Ripartiamo per raggiungere la Playa all’estremo della punta ovest di Cuba La playa è di un candore accecante: le ampie palme disegnano ombre multiformi sulla sabbia immacolata. In teoria stasera dovremmo partire per Soroa e dormire là, ma l’accoglienza di quella che ormai consideriamo la nostra casa ci convincono a fermarci una notte in più a Pinar. Partiremo per Soroa domattina.

6 Gennaio Miracolosamente stamattina mi sveglio forte e sano come un leone. Prima di colazione la signora mi fa ingurgitare un cucchiaio di sciroppo magico che si usa per los chiquitos con il mal di pancia. Dopo un po’ di dialogo incomprensibile capisco che stamattina è andata in farmacia e me ne ha comprata una confezione da portar via.. Se penso che loro sono costretti a vivere con il giusto indispensabile, senza potersi concedere il minimo lusso, tanta generosità è commovente. Non esitano a spendere un po’ dei loro pochi guadagni per comprare medicine ad uno sconosciuto. E’ una lezione di vita. Non me la sento di accettare e di portarlo via, anche se lei insiste continuamente. Ci baciamo e scattiamo la foto ricordo prima di partire, tutti in fila e sorridenti. Ma in realtà siamo tristi, ci sentiamo un po’ come se dovessimo lasciare la nostra casa e la nostra famiglia. E’ incredibile come in pochi giorni, senza far nulla in particolare, ma con semplici gesti quotidiani, siano riusciti a farci sentire due di loro. Soroa è un piccolo villaggio arroccato sulle montagne a metà strada fra Pinar del Rio e L’havana. La visita alle cascate è piacevole, ma niente di entusiasmante. Ripartiamo verso l’Havana per la riconsegna della nostra cara macchina. Arriviamo all’aeroporto con il taxi dopo aver contrattato il prezzo ed esserci accordati a 20 pesos (circa 15 euro, 10 in meno della prima sera…Per la stessa identica tratta!). Ci aspetta un volo interno per Cayo Largo. Ho letto che la flotta delle compagnie aeree cubane sono composte ancora da velivoli sovietici ereditati dagli alleati comunisti alla fine della guerra fredda. Speriamo bene! Il volo è pieno di italiani. Incredibilmente si parte in orario. Come previsto l’aereo è un vecchio biplano ad elica sovietico! La carlinga è coloratissima: 3 belle palme verdi sottolineano il logo della Aerocarribean, che è un sole giallo con sopra un aereo blu. Dentro è tutto più grigio, sporco e datato. Di aria condizionata neanche a parlarne e le mosche nell’abitacolo ci faranno da compagne di viaggio. Il decollo è perfetto, anche se la leggerezza del mezzo si fa sentire ad ogni piccolo vuoto d’aria. Dopo una mezz’oretta appaiono sotto di noi i primi Cayos: piccole isole coralline, adagiate all’ombra delle rade e morbide nuvole e illuminate dal caldo tramonto. Anche l’atterraggio è perfetto. L’aeroporto di Cayo Largo è composto fondamentalmente da un’unica pista e da una casetta che funge da zona imbarco-sbarco-sala d’attesa-duty free-sala d’accoglienza. Più che un aeroporto sembra un bocciodromo. Fuori ci aspetta la navetta per portarci al villaggio Barcelò. La reception è maestosa, con giganteschi murales tribali che svettano sopra la nostra testa. Appena arrivati ci troviamo però nel mezzo della nube tossica di insetticida anti-mosquitos sparsa da un simpatico trattorino per tutto il villaggio. Glò ora sta facendo i salti di gioia. E’ appena entrata nella nostra lussuosissima camera. Tutto fantastico e lussuoso, ma la vera Cuba vista fino a quel momento sembra lontana anni luce.

7 Gennaio Se la cena mi era apparsa abbondante la colazione è praticamente un pranzo di matrimonio. L’oceano stamattina fa le bizze: i cavalloni continuano a schiantarsi sulla bianchissima spiaggia. Ci posizioniamo nel breve tratto di sabbia finissima con alle spalle la ripida scogliera. Nonostante sia mosso il mare è di un azzurro cielo. Nella passeggiata incontriamo un albatros che si crogiola al sole. La leggera brezza rende più sopportabile la calura tropicale. Pomeriggio ancora d’ozio stravaccati sulla sdraio. E nuova abbuffata per cena. Dopo l’ insipido spettacolino pro-turisti e un paio di mojitos andiamo a nanna.

8 Gennaio Alle 10:30 siamo sul trenino cabrio per playa Sirena. Dopo aver fatto il giro dei villaggi dell’isola per caricare tutti i turisti ci facciamo una bella mangiata di sabbia e polvere. Per un paio di volte il trenino si blocca insabbiandosi sotto il peso dei pesanti culoni dei villegianti. Ma il disagio di una mezz’oretta è ampiamente ripagato dalla bellezza da sogno di Playa Sirena. L’interminabile spiaggia brilla talmente tanto che non riesco a tenere gli occhi aperti senza indossare gli occhiali da sole. La sabbia sembra farina, sia per lo spudorato candore che per la soffice gentilezza al tatto; le nostre orme risaltano solitarie su questa tela immacolata come quelle lasciate da Armstrong sul terreno lunare. Il mare racchiude in pochi metri tutte le sfumature dell’azzurro. Non si distingue l’orizzonte tale è la somiglianza delle toaniltà di cielo e mare. La spiaggia continua deserta per centinaia di metri, diventando sempre più sottile all’estremità. La lingua terminale forma una piccola laguna riparata dalle onde e dalla conformazione insolita: tratti di battigia bassissima e limpidissima si gettano di schianto, nel raggio di mezzo metro, nel blue di acque decisamente profonde. Così per tutta la circonferenza della laguna, ma in alcuni tratti la battigia termina in poco spazio, in altri continua per metri e metri. Anche questa sera, come in tutte le altre, alle 18 in punto quasi tutti si rinchiudono in camera: è a quest’ora infatti che passa il trattorino disinfestante e da quest’ora, fino alle 20 circa, l’aria si riempie dei temibili e terribili mosquitos. Appena esci fuori sei assalito.

Stasera abbiamo un po’ di malinconia: è la nostra ultima sera in questo paradiso terrestre. Domani si riparte per l’Havana.

9 Gennaio Playa Paraiso, dove siamo oggi, è la continuazione naturale di Playa Sirena. Perciò la straordinaria bellezza del posto non si discosta molto da quella dell’altro. Alle 17 siamo nel villaggio a prendere i bagagli per tornare all’aeroporto.

Il volo di ritorno inizia malissimo: 3 ore di ritardo!!! Una volta in volo il viaggio prosegue a peggiorare: ci troviamo di fianco all’elica che fa un rumore infernale (non riusciamo neanche a sentire le nostre voci) e qua dentro fa un caldo boia. In più dovremo far scalo su Varadeo, allungando l’agonia del viaggio. Siamo finalmente salvi!!! L’atterraggio all’Havana è stato terrificante: al primo tentativo di discesa l’aereo è subito risalito facendo un girotondo; all’inizio del secondo tentativo ha fatto una terribile picchiata di qualche secondo in cui tutti ci siamo guardati sconvolti, con il cuore che batteva a mille e il respiro bloccato. Ma per fortuna ora siamo con i piedi a terra. Lo scalessatissimo taxi per la casa particular costa ancora 5 pesos in meno (sempre per lo stesso identico tratto…I miracoli dei trasporti abusivi!), anche se nell’abitacolo posteriore fa una puzza di smog che sembra di stare a Porta San Donato a Bologna all’ora di punta. La casa è molto spaziosa e piena di piante da interno. La proprietaria, una signora bianca sulla quarantina, molto cortesemente ci mostra tutti i servizi del suo appartamento. La vista della nostra camera è da urlo: a sinistra vediamo tutta l’Havana vecchia illuminata dalle calienti luci arancio: di fronte a noi, in fondo al Prado spicca, di bianco illuminato, il maestoso Campidoglio. A destra invece, verso Vedado e Miramar, la città appare buia, malandata e paurosa. E proprio quest’anima cattiva e impura dell’Havana mi dà un’emozione incredibile. E’ da quando sono arrivato che me ne sono accorto. Perché la puoi sentire dal primo momento in cui metti piede qui. E’ il suo senso di sporcizia, di disordine, di un caos abbandonato a se stesso che la rende così fascinosa. Dovunque volgi lo sguardo provi la sensazione che tutto, case, persone, animali, oggetti, emanino una sorta di indolente trascuratezza. Lo senti anche dagli odori che ti circondano: l’acre fumo che compare all’improvviso al passaggio di qualche vecchia cadillac e che ti brucia la gola, gli aromi di spezie e di carni grigliate che scappano dalle botteghe di alimentari o da qualche malandato ristorante, l’odioso puzzo di piscio che sale dagli angoli anneriti degli sconnessi vicoli, la frizzante salsedine portata da raffiche di vento che ti ricorda dell’oceano intorno a te. Ma in tutto ciò che senti, in tutto ciò che vedi puoi trovare un senso di perfetto e estasiante equilibrio. Perché senza quel fetore in quel contesto, senza quel profumo in quell’immagine, mancherebbe qualcosa. Tutto contribuisce a darti un senso di partecipazione alla recente ma intensissima storia di questo paese, al suo modo di andare avanti di fronte alle continue ed esasperanti difficoltà, e nonostante tutto di vivere con gioia e tranquillità, con poche essenziali cose, con il minimo indispensabile. In poco spazio riesci a capire tutta la loro cultura, le loro abitudini, così lontane eppure così simili al nostro modo di fare latino. Se non ci fossero questi palazzi in rovina, se tutto fosse pulito e restaurato, se tutto funzionasse alla perfezione credo che questa città e questa nazione perderebbero il 90% del loro fascino. Mentre continuo ad annegare nei miei pensieri i miei occhi pian piano si chiudono, e l’ultima immagine che impressiona la mia retina è la lunga fila di lampioni del Malecòn che ordinatamente si gettano del nero orizzonte dell’oceano e del cielo.

10 Gennaio Il sole risplende forte sui tetti grigi stamattina. A colazione incontriamo una coppia canadese che alloggia in un’altra camera della nostra stessa casa. Nel mio arrugginito ma efficace inglese gli racconto ciò che abbiamo visto finora. Loro sono appena arrivati e hanno intenzione di noleggiare una macchina. Gli diamo qualche dritta e li salutiamo. L’Havana vecchia sembra un’altra città. La pavimentazione è perfetta, non trovi una cartaccia o un rifiuto a terra, le facciate dei palazzi sono perfettamente intatte, le chiese pulite e restaurate, le piazzette profumate dai mille vasi di fiori. Ma anche in mezzo a tanto ordine emerge evidente il sudicio fascino dei venditori abusivi di sigari, degli abbindolatori che tentano di portarti dovunque, dei mendicanti insistenti, dei ristoranti creoli illegali. E allora ritrovi e riconosci tutta la latinità cubana. Plaza de la Cathedràl è un piccolo gioiellino. La facciata dell’antico duomo si specchia sul bollente pavè; la piazza è piccola ma molto accogliente. Da un lato un gruppo di anziani suonano salsa. In un angolo tre donne con gli sgargianti abiti tradizionali mi scuciono 2 pesos per una foto in mezzo a loro. Visitiamo l’hotel in cui alloggiava Emingway: la sua camera-museo non ha però nulla di speciale. In Plaza de Armas incontriamo una scolaresca di allegri bambini nella loro bellissima divisa bordeaux e bianca. Giocano allegri all’ombra delle palme e fra le bancarelle che vendono libri usati. Una visita d’obbligo a Plaza di San Francisco de Asìs e poi decidiamo di fermarci a mangiare qualcosa nella piazza più antica dell’Havana: Plaza Vieja. Anche questa emana grande vivacità grazie alle sgargianti tinte coloniali e i palazzi che la delimitano trasudano lo splendore del passato, in cui si svolgevano gli spettacoli cittadini. Sono le sedici e vaghiamo nel mercato ambulante in cerca di souvenir: ma non fai in tempo ad adocchiare un oggetto che l’ambulante di turno cerca di vendertelo insieme ad altre cento cianfrusaglie. Finalmente a casa dopo lunghe ore di cammino: da qui continuo a godermi lo splendido panorama dalla nostra camera: l’esplosione arancio del cielo al tramonto rende ancora più seducenti le diroccate costruzioni: le macchie di salsedine ed umidità dipingono sinuose forme sui muri: tutta la città appare riposarsi dopo l’afosa giornata. Guardando lontano, noto all’orizzonte l’obelisco di Plaza de la Revoluciòn che si staglia nero e maestoso contro il sole. Dopocena l’Havana vecchia è un po’ morta, risuona solo un po’ di musica dai vari ristorantini. Per il resto strade semivuote. Un po’ per la stanchezza un po’ per la mancanza di movida decidiamo di andare a nanna. 11 Gennaio Alle 9 siamo già al museo de la Revoluciòn, che appare poco adornato ma molto celebrativo: le spoglie bacheche sono compensate da grandi cartelloni in cui è scritta passo passo tutta la bella e complicata storia di questo popolo. La forza e l’integrità degli ideali rivoluzionari sono stati unici, e proprio per questo ancora così toccanti ed emozionanti. Credo che nessuno possa dire di non provare un brivido o una semplice suggestione leggendo e vedendo tali gesta e tali eventi, e ciò indipendentemente dal proprio credo politico. Non si può restare indifferenti di fronte a tanta caparbietà, tanto coraggio e tanto valore di quegli uomini che hanno lottato a scapito della propria vita, della propria salute o dei loro cari per combattere per un ideale, per raggiungere un sogno, per ottenere la libertà. E’ per certi versi simile a ciò che si prova di fronte ai racconti delle gesta dei nostri partigiani. Oggi purtroppo la meschinità e l’egoismo si sono annidati come una pianta velenosa all’interno della nostra società: se ogni uomo avesse ancora un po’ di quel’audacia, di quell’orgoglio e di quei valori oggi senz’altro si eviterebbero tante brutture e tante atrocità. E, ribadisco, indipendentemente dal fatto di essere di destra o di sinistra, bianco o nero, cristiano o ateo, musulmano o ebreo. Sono convinto sia solo una questione di integrità morale. Dopo ste riflessioni un po’ troppo filosofiche ci sfoghiamo in una lunghissima e caldissima passeggiata lungo il Malecòn e arriviamo a piedi fino all’Università. Da lì decidiamo di farci ancora del male camminando sotto il bollente sole delle tredici e fra il micidiale traffico avvelenato. Arriviamo fino a Plaza de la Revoluciòn , che è una immensa distesa di cemento racchiusa da una parte da un palazzo con la gigantografia del Che e la sua frase storica e dall’altra da un altissimo obelisco dedicato a Josè Martì (che liberò i Cubani dalla schiavitù e che, abbiamo notato, è ricordato anche con più statue e monumenti rispetto al Che). Torniamo all’Havana vecchia a bordo di uno dei mitici Coco-Taxi: praticamente sono degli ape Piaggio pitturati di giallo e con, al posto del cassone posteriore, una cupola con due seggiolini per scarrozzare i turisti. Con sette pesos (dopo un’eterna contrattazione) riusciamo a salire e a rischiare la vita ad ogni curva fino a destinazione. Siamo a pranzo a “La bodeguita de medio”, il ristorante più celebre dell’Havana, in cui anche Hemingway veniva a gustare le prelibatezze creole. Le pareti azzurre sono tappezzate dalle mille parole scritte a pennarello dai turisti…Ovviamente anche noi lasciamo il nostro segno! Il pranzo non è niente male così come pure il mio ultimo puro Robaina. Sono le diciotto e dopo aver girato in lungo e in largo per tutta la città ci prende una gran malinconia; realizziamo che sono le nostre ultime ore qui, perciò continuiamo a mirare ogni cosa per portarci a casa dentro la testa altre belle immagini. Il nostro aereo delle ventidue partirà all’una…Bene!! Siamo sull’aereo, siamo esausti, non so neanche che ora sia. Notte! 12 Gennaio Il volo di ritorno è…Volato!!! Abbiamo praticamente sempre dormito tranne un intermezzo per lo spuntino!!! Ritocchiamo il suolo natio!!! Altre tre ore di macchina e poi sarò nel mio lettino!!! Come sembri già lontana cara Cuba!!! Ci manchi già!!! A presto!!



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