Puerto viejo de talamanca

Percorrendo il Costa Rica sul versante atlantico, in direzione del confine con Panamà, a un’ora di strada dal porto bananiero di Lemon, puoi incontrare un paradiso che si chiama Puerto Viejo de Talamanca. La regione ospita alcune riserve indigene oltre ai parchi La Amistad e Chirripò. Le popolazioni ancestrali che lì ancora sopravvivono,...
Scritto da: Giovanni P.
puerto viejo de talamanca
Partenza il: 01/01/1999
Ritorno il: 02/02/1999
Viaggiatori: in coppia
Percorrendo il Costa Rica sul versante atlantico, in direzione del confine con Panamà, a un’ora di strada dal porto bananiero di Lemon, puoi incontrare un paradiso che si chiama Puerto Viejo de Talamanca. La regione ospita alcune riserve indigene oltre ai parchi La Amistad e Chirripò. Le popolazioni ancestrali che lì ancora sopravvivono, conducendo una vita molto simile a quella dei propri antenati, appartengono all’autentica cultura india. E’ facile accorgersene se si entra in contatto con le comunità afro-giamaicane,presenti ovunque e dedite alla coltivazione del cacao e del cocco. Ma la vera attrazione del luogo è un’altra. Provenienti da tutte le parti del continente americano -dopo aver attraversato con le loro jeep e i loro furgoni attrezzati la vasta regione di piantagioni di banane e di ananassi di proprietà delle multinazionali Del Monte,Chiquita e Dole – lì, in inverno, si danno convegno quei tenaci surfers che non conoscono tregua,né stagioni. Infatti proprio davanti al piccolo villaggio di casupole di legno cosparso di palme e praticato da polli del tutto simili a quelli da combattimento,nei mesi invernali s’infrange la più irriducibile onda di tutto il Caribe: la “Salsa Brava”. L’ambientazione e quella da “Mercoledì da Leoni”: Scapole da capogiro, abbronzate, fisici bestiali temprati in tubi d’acqua di venti o trenta metri, all’interno dei quali quei ragazzi scivolano via, comparendo e scomparendo per lunghi tratti allo sguardo di quanti li stanno ad osservare dalla spiaggia. Schiene asciutte e ben levigate da nuotatore, polpacci d’acciaio che ad ogni contatto sembrano mandare in frantumi le onde, piedi incollati come ventose sulle tavole colorate. Ad attenderli sotto i palmizi bruciati dalla salsedine e dal vento, ragazze bionde alla Bo Derk, – forse un pò slavate ed eppure troppo curate, che ricordano le donne degli hippyes di woodstock,ma non per questo meno affascinanti. Alcune hanno treccine rasta, altre si nascondono dietro chiome incolte:tutte sulla spiaggia si godono lo spettacolo -sempre lo stesso- offerto dai loro uomini che sfidano il mare. Se le onde si calmano -nessuno sa mai quando e perché- quei ragazzi cavalcano le loro tavole e aspettano. Ma quando le onde arrivano in serie di sei o di sette, fino a nascondere l’orizzonte, iniziano a remare con le braccia verso il largo e a tratti scompaiono, come inghiottiti dalle onde, per poi riapparire sulla cresta di una di loro. Solo allora inizia lo show.

Qualcuno sale in piedi sulle Jeep piantate sulla sabbia, altri si portano la mano sulla fronte per ripararsi dai riflessi del sole. E se i tubi si fanno più grandi, fino a diventare tunnel d’acqua che si rompono dopo essersi srotolati per momenti interminabili sulla superficie piatta del mare,quei ragazzi li percorrono fin che possono. Se tutto va bene e se il giorno è propizio, da lontano un’onda più scura e più alta delle altre si viene formando, come un muro d’acqua di sette,otto metri che incombe fluido e minaccioso. Allora vuol dire che l’attesa è stata premiata. Solo i più bravi riescono a cavalcarla senza conseguenze, la Salsa Brava, e solo i più bravi tra i bravi non vengono scaraventati sulla barriera poco distante o risucchiati dalla impressionate risacca che l’onda,svuotando il mare e lasciando a tratti apparire la sabbia, forma al suo passaggio. Surfs alti come palme da cocco sembrano giganteschi ossi di seppia che volano da tutte le parti; jeans strappati, rattoppati, maltrattati, scoloriti; t-shirt ai limiti della sopportazione, cani che fissano sprezzanti la linea dell’orizzonte, binocoli che si alzano e poi passano di mano e bambini indifferenti che raccolgono conchiglie davanti a quello spettacolo unico al mondo, al cospetto del quale sono stati svezzati. E’ così che fino ad una cert’ora si sente solo il rumore dell’oceano, che si schianta sulla spiaggia e poi si ritira. Che borbotta e poi tace. Ma la sera, quando la guagua della costa ha terminato di scaricare le nere presenze dei sonadores provenienti dalle piantagioni,comincia la fiesta. Le luci colorate del villaggio s’accendono e decine di giovani,dopo aver messo ad asciugare i costumi scoloriti dal sale, popolano gli improbabili ritrovi sonori. Il rum scorre a fiumi, così la birra. Ai ritmi caraibici delle congas,delle maraquas e dei tres, si alternano canzoni che ricordano Bob Marley. Infatti la presenza di giamaicani è molto forte da quelle parti, a causa della richiesta di manod’opera proveniente dalle piantagioni. Sono gli stessi giamaicani con i quali, dopo il terzo bicchiere è meglio non scherzare, ed anche quelli che nelle capanne nascoste dalla giungla tropicale compiono riti religiosi le cui origini africane affondano nel tempo dei tempi. E’ così che al cospetto di bermuda Queek Silver ed occhi smarriti per la droga o per il troppo alcol, vengono rievocate le divinità perdute, deportate con i primi schiavi dalle sterminate e misteriose foreste africane, che nella regione di Talamanca sembrano meno lontane, come se l’atlantico fosse stato ridotto ad un fiume facile da guadare. Questo è Puerto Viejo, dove nelle notti rese insonni dai troppi ponce-planter ho ascoltato suoni lontani di tamburi, senza comprendere da quale direzione provenissero, dove ho assistito filtrare attraverso le finestre socchiuse della lodge la luce vellutata dell’alba – dove la stessa luce, stampandosi su un pavimento di mogano, scuro come il volto della santeria, mi ha ispirato questo racconto di viaggio, non meno di quanto me lo abbia ispirato l’odore acre dei corpi sudati nell’inferno danzante de la Pulperìa Mas o Menos, che ancora oggi non sono riuscito a spiccicarmi dalle narici. E fu proprio a Puerto Viejo de Talamanca , in un raro quanto salvifico momento di sobrietà, che presi la sofferta decisione di non addentrarmi per la strada che conduce a Panama attraverso il confine di Sixaola, lungo la quale qualche giorno prima due turiste tedesche erano state sgozzate senza troppe spiegazioni dai trafficanti colombiani di cocaina, interessati ad un cambio d’auto.



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