La magia delle Cinque Terre!

Il delicato e fondamentale rapporto tra turismo, agricoltura e natura in uno dei luoghi più incantevoli d’Italia
Patrizio Roversi, 03 Mag 2016
la magia delle cinque terre!
La costa ligure tra le Cinque Terre e Porto Venere è un paesaggio di grande valore ambientale e culturale che rappresenta l’armoniosa interazione tra uomo e ambiente, fino a creare un paesaggio di eccezionale qualità paesaggistica che illustra un modo di vivere tradizionale che ha vita da centinaia di anni e che continua a giocare un importante ruolo socioeconomico nella vita della comunità”. La formula con cui le Cinque Terre – cioè il pezzo di costa subito dopo il Golfo di La Spezia, che comprende i paesi di Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso al Mare – nel 1997 sono state inserite nella lista dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO recitava proprio così. Ed effettivamente, la prima cosa che ti colpisce alle Cinque Terre è il paesaggio: la montagna che si butta in mare, i paesini arroccati sulle coste rocciose, i muretti a secco, i santuari, i boschi. Ma è un paesaggio che bisogna cercare anche di leggere e di interpretare. è stato definito un paesaggio “organico- evolutivo”, o meglio un paesaggio “vivente”. Con buona pace dei naturalisti- puristi, è un paesaggio in società tra natura e uomo. La natura ha fatto la sua parte, ma poi l’uomo l’ha plasmato, l’ha conservato. E, senza l’uomo, le Cinque Terre non solo non sarebbero le Cinque Terre, ma crollerebbero letteralmente nel giro di qualche lustro. In parte stanno già crollando, o meglio scivolando e franando, proprio laddove l’uomo le ha abbandonate. Come ha dimostrato l’alluvione disastrosa del 2011.

IL PARCO NAZIONALE

Nel 1999 è stato istituito il Parco nazionale delle Cinque Terre. E’ stato considerato uno dei più avanzati d’Europa. Per un certo periodo il Parco ha interpretato il territorio nella sua totalità: il Parco si occupava di quasi tutto. Non solo tutela del territorio, ma anche della gestione delle stazioncine del treno in cui i bigliettai sono dipendenti del parco, in quanto curatori della prima accoglienza ai turisti; degli asili e della assistenza agli anziani, fino alla commercializzazione dei prodotti tipici, alla trasformazione delle essenze locali a scopi cosmetici, alla creazione e finanziamento di Cooperative per la manutenzione del territorio e la trasformazione dei prodotti locali. Etc etc. Poi questo modello è inciampato in un’indagine della magistratura, con arresti e condanne in primo grado. Dopo un periodo molto difficile, il Parco è ripartito, selezionando alcune priorità. E adesso è tornato ad essere un Parco tra i più significativi e importanti, che soprattutto pone con forza e chiarezza il tema del rapporto importantissimo fra natura/agricoltura/turismo. Una relazione che deve far riflettere bene noi turisti perché abbiamo le nostre belle responsabilità… Il Parco delle Cinque Terre è piccolo (circa 4 mila ettari), densamente abitato (4.500 persone) ma soprattutto “visitato” (qualcuno potrebbe dire “invaso”) da due milioni e mezzo di turisti all’anno. Turisti (furbi) che ci arrivano in treno, turisti (meno furbi) che provano ad arrivarci in macchina, turisti scaricati dalle Crociere. Turisti che perlopiù – dopo aver ammirato il paesaggio che in quanto tale si pone all’attenzione di tutti – si aggirano passeggiando un po’ annoiati per i paesi, mangiando un gelato o una focaccia. Turisti che comunque rappresentano una risorsa economica straordinaria, a cui giustamente attingono le attività locali. Ma come? Certamente aprire una pizzeria al taglio è la cosa più semplice e probabilmente la più redditizia. Per i ristoranti è più semplice approvvigionarsi di materie prime presso la grande distribuzione piuttosto che andare a selezionare i prodotti tipici locali o l’ortofrutta a chilometro zero. Per cui – calcolando che qui la terra è davvero scomoda e difficilissima – il dato più importante è che l’agricoltura è stata viavia abbandonata a favore delle attività turistiche (in realtà l’abbandono è precedente, risale agli anni 60, col boom economico). Tutti problemi grossi, e scelte comprensibili, ma il risultato è piuttosto preoccupante. Se è vero che il paesaggio di queste parti dipende dall’uomo, è anche vero che venendo a mancare l’agricoltura, che tra le altre cose preserva il territorio, il territorio stesso – letteralmente – viene giù. E se viene giù il territorio (a parte i disastri ambientali) ne risente il paesaggio, e viene meno l’attrattiva turistica. Insomma, senza un’interazione positiva fra agricoltura e turismo, frana TUTTO.

PARCO AGRICOLO

L’Italia è piena di contadini incazzati coi Parchi, perché imporrebbero loro delle limitazioni di varia natura. Il discorso in generale è complicato, ma certamente alle Cinque Terre l’atteggiamento del Parco, nelle intenzioni, non è certo quello di mettersi di traverso alle attività agricole, anzi: il Parco continua a promuovere l’agricoltura, cioè la manutenzione della terra. Fornisce le pietre per rimettere in sesto i muretti e le porta in elicottero in cima alle montagne, fornisce le piantine per fare nuovi filari di vite o nuovi impianti d’ulivo. E magari fornisce anche i recinti elettrificati per tenere i cinghiali in alto, nei boschi. I cinghiali rappresentano davvero una minaccia gravissima: mangiano l’uva, le viti e rovinano i muretti. Il problema è che nelle terre più alte e boscate, dove c’è la castagna di cui si cibano, la cinipide (una malattia del castagno) ha quasi azzerato la produzione e i cinghiali, affamati, tendono a scendere verso le parti basse. Sui cinghiali, in generale in Italia, la confusione regna sovrana: non ci sono dei dati certi sul loro numero, in moltissime zone sono una calamità, in altre addirittura si incentiva ancora il ripopolamento. Quella della razza di cinghiali dei Carpazi che hanno invaso l’Italia sembra sia un’ipotesi ormai superata: adesso pare ci sia un’unica razza, diventata di fatto autoctona, un misto di quelli “locali” e di quelli “immigrati”, che comunque hanno rinforzato la specie, se è vero che una scrofa può fare anche 20 figli all’anno. Il competitor dei cinghiali è il lupo (ogni esemplare adulto ne può mangiare anche 200 all’anno), ma poi il lupo a sua volta preferisce mangiare capretti e vitelli degli allevamenti…

la nuova vita di mARINA, MAURIZIO e GUIDO

Marina e Maurizio sono un esempio tipico di “nuovi contadini” (o meglio allevatori). Hanno lavorato per diversi anni in città, a La Spezia, ma adesso sono tornati sulla terra del suocero/babbo in val di Vara, ai confini del Parco, e allevano capre e bovini da carne. Col latte di capra fanno la robiola. Soffrono le conseguenze delle incursioni sia dei lupi (tutte le sere devono rimettere gli animali in stalla), sia dei cinghiali. Con i recinti elettrificati (forniti dal parco) hanno meno problemi. Ma tutti invocano a gran voce abbattimenti mirati. Guido invece ha fatto di tutto nella vita, soprattutto il commerciante e il barista, ma adesso si è “convertito e riconvertito”. Ha un terreno di meno di due ettari sopra Corniglia, ha deciso di coltivarlo ad orto e va ad offrire ai ristoranti i suoi prodotti a filiera cortissima. Si è convertito nel senso che ha capito che il commercio, i ristoranti e i negozi delle Cinque Terre devono garantire un mercato ai contadini del territorio. E si è riconvertito cambiando appunto mestiere. Dice che lo fa per dimostrare che se i negozi offrissero i prodotti locali ai turisti e se i ristoranti servissero materie prime a chilometro zero, non solo aumenterebbe la qualità del servizio, ma ci sarebbe reddito per moltissimi agricoltori, che tornando alla terra ne curerebbero la manutenzione. Lamenta che adesso i ristoranti arrivano persino a servire olio e vino che non viene dalle Cinque Terre, e stigmatizza il fatto che le materie prime in commercio arrivano addirittura da Portogallo, Olanda e Argentina. Persino i limoni, che qui troverebbero il loro clima ideale.

IL VINO

A proposito di clima: le Cinque Terre da questo punto di vista sono speciali. I monti che le circondano preservano dai venti freddi, il mare che sta davanti garantisce temperature miti e molta umidità. I terreni poi sono rocciosi e permeabili, non trattengono l’acqua e quindi non c’è pericolo di malattie, funghi e marciume. Morale: un paradiso per i prodotti, con le fave che vengono a marzo e i piselli a Natale. Certo, in cambio c’è un territorio difficilissimo, tutto in salita (o in discesa). Tutto questo non spaventa Samuele, depositario della tradizione vitivinicola locale. Racconta che qui i primi a coltivare la vigna sono stati addirittura i Greci. Poi fino all’anno Mille gli abitanti erano troppo impegnati a combattere contro le invasioni dei Mori, ma con l’avvento delle Repubbliche Marinare che li hanno combattuti, hanno cominciato a fare i muretti e le vigne. Poi i Genovesi hanno cominciato a commerciare un po’ dappertutto il vino delle Cinque Terre, che ha avuto un gran successo fin dal Medio Evo, perché è davvero speciale: per le caratteristiche climatiche di cui sopra, qui matura un’uva (vitigni Bosco e Albarola) e poi si fa un vino con molti zuccheri, quindi molto alcol, che invecchia bene e soprattutto era trasportabile senza subire danni. Risultato, tra gli altri, il famoso Sciacchetrà, che pare derivi dal latino “ex-acquare”, cioè tirar fuori l’acqua. In effetti, è fatto con uva passita (ma non è un passito!), con gli acini schiacciati a mano uno per uno…

I MURI che uniscono

Salire su una teleferica monorotaia è un’esperienza… all’inizio uno è un po’ terrorizzato, poi ragiona sul fatto che sono tarate per trasportare casse di uva che pesano persino più di me, e soprattutto il paesaggio a strapiombo sul ma re è talmente emozionante che passa la paura. Io mi sono arrampicato in monorotaia fino all’Anfiteatro dei Giganti, dove stanno ricostruendo i muretti. E si capisce il perché: siamo sopra l’abitato di Manarola, e se non si provvede tutto frana sulle case. Ma, oltre al perché, è interessante anche capire il “percome”. Qui hanno fatto una Fondazione, la Manarola- Cinqueterre onlus, che ha riunito abitanti del paese e proprietari di vari appezzamenti abbandonati, che li hanno messi a disposizione. Il Parco è intervenuto per sostenere un progetto in cui sono state coinvolte anche la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) e la Caritas. Gli uni hanno messo la terra, gli altri la competenza e la passione di saper rifare i muretti a regola d’arte, gli altri ci hanno organizzato sopra un corso professionale per immigrati richiedenti asilo, che in questo modo si integrano e imparano un (difficile ) mestiere. In questo caso i muri non dividono ma uniscono, e rimettendo a posto le pietre si ricostruisce anche un tessuto sociale.

IL CUORE DI GIANPIETRO

Gianpietro fa il bancario di Bergamo, ma con mille sacrifici si è comperato un terreno sopra Riomaggiore. Sono 15 anni che in pratica fa il pendolare: tutti i fine settimana e tutti i momenti liberi arriva da Bergamo a Riomaggiore, fa 450 metri a piedi in salita per arrivare alla sua terra e al suo rudere restaurato. La cosa strana è che in banca soffriva di cuore e adesso sta molto meglio. Domenica dopo domenica ha ripristinato 15 mila metri quadri e piantato a oggi 1.000 piante di olivo monocultivar Frantoio. Adesso il suo olio è l’unico nel Parco ad avere il marchio DOP. Ha anche 25 arnie e fa il miele. Vorrebbe chiedere il part-time in banca per dedicarsi di più alla sua azienda. Non utilizza pesticidi, prima di tutto perché andrebbe contro i suoi metodi di coltivazione biologica e poi perché “è lui il primo consumatore” dei suoi prodotti. Perché fa tutto questo? Naturalmente perché si è innamorato del posto, che ha sentito suo fin da quando è venuto qui la prima volta da turista. E poi perché – nonostante difficoltà e diffidenze da superare – lui, “straniero”, vuol dimostrare che questo territorio è di tutti e vorrebbe dare un esempio di recupero agricolo. Patrizio Scarpellini e Luca Natale (direttore e portavoce del Parco) alla fine mi confermano che lo scopo è proprio questo: ricostruire un tessuto di relazioni, una rete che “tenga botta” e che – letteralmente – tenga assieme natura, agricoltura, economia.

IL TURISTA RESPONSABILE

Ma – dalla barca che naviga lungo una costa unica nel suo genere – mi dicono anche che la loro “missione” oggi è anche convincere il turista a considerare le Cinque Terre non solo dal punto di vista del mare, ma anche e soprattutto dell’interno. Lo so, l’ho presa larga e forse l’esperienza con Linea Verde ha un po’ deformato il mio punto di vista, che peraltro da sempre ha privilegiato il territorio e i prodotti (il mio motto è “assaggiando s’impara), ma vorrei arrivare al dunque: che turismo fare alle Cinque Terre? Della bellezza delle cinque località turistiche avevamo già parlato anni fa su questa rivista, della Via dell’Amore (in parte crollata) avevamo già detto, e poi basta consultare una guida per sapere tutto. Io – collegandomi all’appello dei responsabili del Parco – vorrei concludere con un modesto consiglio, forse scontato: alle Cinque Terre va benissimo il mare, ma bisogna andarci “dentro”, o meglio “sopra”. Il Parco è attrezzato per fornire itinerari e guide (cartacee ma soprattutto umane). Sarà anche faticoso, ma poi… son soddisfazioni uniche! E quando vi sedete al ristorante, incazzatevi pure (si fa per dire) se l’olio non è locale, se le acciughe non sono di Monterosso, se il vino non viene dai muretti sopra le vostre teste, se i limoni vengono dall’Argentina e il miele da chissà dove. Se vi trattano da rompiballe potete obiettare che siete turisti “responsabili”, dichiarate orgogliosamente che voi siete il volano virtuoso non solo di queste Cinque, ma di tutte le Terre turistiche di questa Italia che, in fondo, non ha altro di meglio da offrire…

Patrizio