PECHINO VAL BENE UNA MESSA di OH NO! ANCORA! 3°pt

(PARTE TERZA) 23 AGOSTO Il volo per Guilin parte in tarda mattinata ed abbiamo solo il tempo per fare un giretto in “centro” ed ultimare gli acquisti, perciò io e Stefano, appena scesi nella gelida hall dell’albergo, ci informiamo sulla presenza di una banca nelle vicinanze, dove poter cambiare qualche soldo. L’esterrefatto concierge ci...
Scritto da: Luciano M.
pechino val bene una messa di oh no! ancora! 3°pt
(PARTE TERZA) 23 AGOSTO Il volo per Guilin parte in tarda mattinata ed abbiamo solo il tempo per fare un giretto in “centro” ed ultimare gli acquisti, perciò io e Stefano, appena scesi nella gelida hall dell’albergo, ci informiamo sulla presenza di una banca nelle vicinanze, dove poter cambiare qualche soldo. L’esterrefatto concierge ci indica un angolo della hall, chiuso da una vetrata, che avevamo già notato il giorno prima, battezzandolo però per un posto telefonico. Le uniche cose presenti al suo interno, sono infatti due monitor attaccati al muro, sotto i quali si trova una mensola con un telefono appoggiato sopra. Due sgabelloni completano l’arredamento.

“Ma dove cavolo è questa banca?” mi fa Stefano, accedendo con una certa diffidenza dalla porta a vetri. Non avendo risposte adeguate, mi metto in disparte ad osservare il comportamento delle persone presenti nella saletta. Sono tutte ordinatamente in fila davanti agli sgabelloni, sui quali si sistemano una volta arrivato il proprio turno. Ed ecco che, improvvisamente, giungiamo alla prima incredibile scoperta. Quelli non sono posti telefonici, ma sportelli bancari! Sui monitor, infatti, appare l’immagine del cassiere con il quale i clienti comunicano tramite il telefono appoggiato sulla mensola. In cinese, naturalmente. Scoperto l’arcano, ci mettiamo in fila con gli altri, anche se abbiamo ancora un grande problema da risolvere. Come faremo ad effettuare la transazione con un cassiere virtuale? Quando arriva il nostro turno, arriviamo con sgomento la seconda incredibile scoperta. Il cassiere non è per nulla virtuale, ma si trova dall’altra parte del muro! Infatti, appena Stefano, al quale ho lasciato volentieri l’incombenza, si siede sullo sgabello, dalla parete appare un cassetto scorrevole sul quale viene invitato a depositare i soldi da cambiare.

Per fortuna l’operazione non richiede particolari conversazioni, quindi viene svolta con regolarità anche in perfetto silenzio. Una volta giunti all’aeroporto, Stefano ed io ne approfittiamo per una visitina al bagno. Il fatto non sarebbe di particolare interesse, se non desse lo spunto ad un argomento di una certa rilevanza in Cina: i bagni pubblici.

Le esperienze nei bagni pubblici sono davvero uniche e sono emblematiche di quella totale mancanza di senso del pudore che avevamo constatato fin dal nostro primo giorno in terra di Cina. I cinesi, anzitutto, non chiudono le porte dei gabinetti, anzi, le lasciano completamente spalancate. E quando capita che i bagni siano tutti occupati, si mettono in fila all’esterno con i pantaloni abbassati in attesa del loro turno.

Per quanto riguarda le donne non ho potuto constatare direttamente, ma, a quanto ci hanno riferito Miriam e Daniela, il comportamento è del tutto simile.

Memori della prima esperienza di volo interno già effettuata, saliamo fiduciosi sull’aereo che ci condurrà a Guilin. Io, che sto guarendo dal raffreddore beccatomi con l’aria condizionata del precedente aereo, mi sono premunito dotandomi di pantaloni lunghi e maglioncino, ma appena varcato il portellone di ingresso, vengo avvolto da una vampata di calore. L’aria condizionata è spenta ed il solo movimento necessario ad inserire i bagagli a mano nell’apposito vano, mi provoca una sudata memorabile. Man mano che passano i minuti il caldo diventa sempre più insopportabile e la partenza dell’aereo viene salutata da urletti di soddisfazione. Ora, finalmente, accenderanno il condizionatore, è l’opinione comune. Neanche a parlarne. Tutte le nostre disperate invocazioni vengono accolte con grandi sorrisi dalle cortesi hostess, ma altrettanto cortesemente ignorate. Come se non bastasse, un gruppo di cinesi decide di stazionare nel corridoio di fianco a me, continuando a fotografare ogni cosa fotografabile. A quanto pare sono al loro primo viaggio aereo e sembra vogliano documentarlo minuto per minuto.

L’aereo è tutto un agitarsi di ventagli più o meno artigianali, che non fanno altro che smuovere un’aria sempre più infuocata, ma gli unici che tentano di protestare siamo noi occidentali. I cinesi, infatti, accettano l’accaduto con la solita muta rassegnazione e gli uomini si limitano ad assumere quella che ormai abbiamo ribattezzato la “tenuta da caldo”: si tirano su i pantaloni oltre le ginocchia e ripiegano la maglia sul petto lasciando scoperta la pancia. Ne abbiamo visti così tanti finora in questo stato, che non ci facciamo più caso.

Per fortuna il volo non dura molto, ma la tanto agognata uscita dall’aereo ci fa passare dalla padella alla brace (mai similitudine fu più azzeccata). La temperatura qui è “leggermente” più alta che a Shanghai.

La nostra destinazione non è la città di Guilin e, mentre l’attraversiamo con il nostro taxi siamo sempre più felici della nostra scelta. Nonostante l’ambiente circostante sia molto suggestivo, Guilin non è altro che una grande e moderna città e, a dire il vero, siamo un po’ stufi di vedere modernità. Vorremmo toccare un pezzetto di Cina tradizionale.

La meta finale soddisferà in pieno i nostri desideri. Dopo un’oretta di strada, infatti, arriviamo a Yangshuo, un’incantevole cittadina immersa in un paesaggio mozzafiato. Il profilo delle montagne, il fiume pigro che l’attraversa, le casette basse e antiche. Sembra di essere in una scenografia creata appositamente per qualche set cinematografico. Ma le sorprese non sono finite, perché l’albergo che avevamo prenotato, quasi alla cieca, su internet (l’Imperial City Hotel), si rivela essere in una posizione magnifica: direttamente sul lungofiume, con grandi vetrate che danno su uno struggente tramonto dietro l’inimitabile “skyline” delle montagne.

Certo, ad una più attenta analisi, non tutto quel che luccica si rivela oro, il posto è molto turisticizzato e le tipiche casette ormai sono diventate tutte ristoranti, locali e negozietti vari, ma in fondo chi se ne frega, il posto è così bello che siamo disposti a passare sopra questi “insignificanti” dettagli. Il turismo, poi, è del tipo alternativo saccopelistico e non è invadente. Si può dire, anzi, che faccia parte integrante del posto, rendendolo ancora più caratteristico.

Beh, un altro difettuccio, a dire il vero, ce l’avrebbe: fa un caldo terrificante! Ma questo lo scopriremo solo il giorno dopo, anche se la serata è così umida da metterci seriamente in allarme.

Il tempo di poggiare i bagagli, fare una indispensabile doccia e ci tuffiamo (è proprio il caso di dire, vista la calca) nella vicinissima Xijie Lu, la stretta via dove si svolge praticamente tutta la vita notturna della cittadina.

Un po’ per il viaggio, un po’ per l’umidità, un po’ per la grande quantità di gente e di cose da vedere, dopo pochi passi sono talmente frastornato che Miriam mi deve prendere al volo mentre mi sto facendo convincere ad acquistare un pigiama in finta seta. In effetti la strada è un concentrato di colori, odori e suoni da far perdere la testa, e man mano che si avvicina l’ora di cena diventa sempre più frequentata. Per non incorrere nel pericolo di rimanere digiuni, quindi, ci mettiamo subito alla ricerca di un posto dove mangiare. La scelta non è facile, data la grande quantità di locali che si susseguono uno dietro l’altro, ma alla fine optiamo per un ristorantino dal nome (e dall’ambiente) intrigante: “Under the Moon”. Ed è proprio sotto la luna, la quale ha ormai fatto capolino sulle nostre teste, che mangiamo il nostro pesce alla birra (non chiedetemi quale pesce, perché non ne ho idea), splendida specialità del luogo. Ovviamente Miriam, che non apprezza molto la cucina cinese, consuma, con aria depressa, il consueto piatto di spaghetti con verdure, ma ormai non ci facciamo più caso.

Dopo cena indugiamo davanti all’ennesima Tsingtao gelata, illuminati dalle mille luci della via, e rimarremmo per ore ad assaporare questa magica serata, se non avessimo una urgente incombenza. Dobbiamo organizzare la gita sul fiume Li per l’indomani mattina.

Lungo la strada ci fermiamo in una delle tante agenzie locali che si occupano di organizzare gite nei dintorni di Yangshuo. In effetti agenzia è una parola grossa, si tratta infatti di un buco di non più di due metri quadri in cui trovano posto un tavolinetto multiuso (da quello che c’è sopra si direbbe che funzioni sia da scrivania che da tavolo da pranzo), qualche cartina appesa al muro, una branda e … una vera e propria colonia di zanzare. Il nostro ingresso provoca il risveglio del titolare, un ometto con baffi ed una zazzera scomposta, il quale sollevandosi dalla brandina, ci accoglie un po’ stordito. Nonostante il nostro uomo parli un discreto inglese, il caldo soffocante e l’invadenza delle zanzare, rendono difficoltosa la conversazione. Comunque, prenotiamo la nostra gita e, tenuto conto che l’orario di partenza è le sei di mattina, decidiamo di comune accordo di andare subito a letto.

Tornando per un attimo al discorso zanzare, c’è da dire che l’argomento ci aveva creato non poche preoccupazione nel pre-partenza. Essendo il posto molto umido, immaginavamo di dover patire un tormento quasi biblico da parte degli odiosi animaletti, tanto che Miriam per i primi giorni ha suscitato l’ilarità di parecchi cinesi, girando con un vistoso e puzzolente cerottone giallo, ultimo ritrovato della scienza anti-zanzare, attaccato ad un braccio, ma fortunatamente (a parte la già menzionata agenzia) il problema non si è rivelato delle dimensioni paventate.

24 AGOSTO La sveglia alle cinque ci consente di godere di uno spettacolo quasi irreale. Le strade di Yangshuo, infatti, appena poche ore prima frenetiche e stracolme di gente, a quest’ora sono assolutamente deserte. Camminiamo nel silenzio più assoluto fino a Xijie Lu, dove abbiamo l’appuntamento per la partenza della gita, cercando disperatamente un qualsiasi locale aperto dove poter fare colazione. Quando stiamo quasi per rassegnarci, scorgiamo del movimento davanti al “Le Votre”. I camerieri stanno ancora lavorando per l’apertura ma, molto gentilmente, acconsentono a prepararci la colazione. Il “Le Votre” è un incredibile locale ricavato in un tempio sconsacrato, che durante la rivoluzione culturale era divenuto sala da biliardo ed ora ospita un bar ristorante francese dove troviamo perfino le brioches calde. Una vera manna per lo stomaco in subbuglio di Miriam.

Mentre terminiamo la nostra colazione, la cittadina comincia ad animarsi. Si vedono gruppi di “trekker” che, zaino in spalla, si avviano verso i numerosi percorsi escursionistici della zona, contadini carichi di merce da portare al mercato ed i negozianti che iniziano ad aprire le saracinesche.

Recuperato il nostro omino, questi ci conduce verso il luogo di raccolta, dove due moderni pulmini ci aspettano a motore acceso. A dire il vero non danno proprio l’idea di aspettare noi, dal momento che sono già colmi di passeggeri. Infatti, dopo un breve conciliabolo, la nostra solerte guida ci comunica che i nostri posti sono inspiegabilmente spariti, ma di non preoccuparci perché provvederà lui a sistemarci in men che non si dica.

Non sappiamo se prenderla come una minaccia, comunque torniamo a seguirlo. Il caldo comincia a farsi sentire implacabile e già sudati arriviamo ad una affollatissima stazione degli autobus. Qui veniamo “ceduti” ad una ragazza dai modi autoritari che sembra essere una specie di controllore di uno sgangherato pullman di linea sul quale siamo invitati a salire senza tanti complimenti. I sedili all’interno sono così piccoli e ravvicinati che non riusciamo ad infilarci le gambe, così siamo costretti a sistemarci su delle casse di legno appoggiate di fianco al guidatore. Nel frattempo l’automezzo si riempie di gente carica di ogni genere di mercanzia la quale, non essendoci altro spazio disponibile, viene scaricata senza tanti complimenti ai nostri piedi. Di aria condizionata non se ne parla neanche e la scarsa aerazione assicurata dai finestrini aperti, una volta partiti, ci viene inopinatamente negata dalla giovane e temibile “capo pullman”. Daniela e Miriam compiono parte del viaggio intente in una interessante conversazione in cinese con una anziana signora che, una volta giunta a destinazione, si carica sulle spalle un sacco che io stesso avrei avuto i miei problemi soltanto a sollevare. Per il restante percorso ci tengono compagnia una coppia di galline le cui teste fanno capolino da una cesta di vimini di fronte a me.

Dopo un’oretta di percorso attraverso splendidi scenari naturali e villaggi dall’aspetto antico, arriviamo a Xingping, nostra destinazione e luogo di partenza dell’escursione sul fiume Li.

Dopo aver tanto anelato un po’ di Cina tradizionale, eccoci calati all’improvviso in pieno medioevo. Gli abitanti del villaggio vivono e svolgono praticamente tutte le loro mansioni lungo l’unica via esistente. Ci imbattiamo perfino in un “dentista di strada”, personaggio che sembra uscito dalla fantasia di qualche scrittore nostalgico. Con un tavolinetto e due sedioline di legno appoggiati in mezzo alla strada polverosa, a mani nude e senza alcun genere di sterilizzazione, opera sui pochi denti rimasti di alcuni sventurati pazienti. Stefano riprende incredulo la scena con la telecamera. Lungo la riva del fiume sono ormeggiati alcuni barconi in attesa dei turisti, ma il nostro nuovo accompagnatore, al quale siamo stati “passati” dalla “capo pullman”, ci conduce fuori dai moli principali, fino ad una imbarcazione, del tutto simile alle altre, ma completamente vuota. Così vuota che non ci sono neanche i sedili. Mentre saliamo, infatti, ci vengono gentilmente porte delle sedie di legno pieghevoli (del tipo di quelle da fiera paesana, tanto per intenderci) che serviranno alla nostra sistemazione.

La furtività con la quale viene condotta tutta la procedura di imbarco, ci fa sospettare in qualche operazione non proprio lecita, ma tant’è, abbiamo una barca tutta per noi e questo basta per mettere a tacere i nostri timori. Piuttosto è l’aspetto tutt’altro che solido della nostra imbarcazione a darci qualche apprensione, ma appena partiti ci accorgiamo che il fiume ha l’acqua così bassa che se non fosse per il fondo piatto la nostra imbarcazione si incaglierebbe ad ogni metro. Tranquillizzati anche su quest’altro punto, ci sistemiamo per goderci la gita e basta girare la prima ansa del fiume per farci rimanere tutti a bocca aperta. Lo spettacolo che ci si para davanti è incredibile. Un panorama a dir poco fiabesco. Una serie infinita di verdi colline, arrotondate e regolari come tanti panettoni, attorniano il corso del fiume Li, sovrastate da vette e picchi più alti che fanno loro da corona. Il tutto leggermente velato da una nebbiolina sottile che appiattisce la profondità e rende l’ambiente misterioso ed affascinante. Se non fossimo certi della sua reale esistenza, potremmo tranquillamente sospettare che si tratti di un fondale di cartapesta messo a bella posta dall’Ente Turismo Cinese. Non credo di aver mai visto una cosa più emozionante in tutta la mia vita. Peccato per l’assordante rumore provocato dal motore della barca, ma non si può avere tutto.

Sulla strada del ritorno incrociamo le navi dei tour organizzati partite da Guilin, affollate fino all’inverosimile di turisti, che, a caro prezzo, vengono scorazzati tutto il giorno su e giù per il fiume. Guardandoli ci sentiamo soddisfatti, e anche un po’ orgogliosi per la nostra felice scelta. Al nostro ritorno a Yangshuo, nel primo pomeriggio, ci concediamo una rilassata passeggiatina alla scoperta della città. Al di fuori della zona prettamente turistica, i quartieri si fanno più fatiscenti, ma sempre nel rispetto di una urbanizzazione discreta e mai invadente. Il caldo a quest’ora è terrificante e per ripararci un po’ dal sole ci addentriamo in un mercatino alimentare che riempie diverse strade interne. L’idea, però, non si rivela delle migliori, in quanto gli odori fortissimi emanati dalle mercanzie più deperibili mettono a dura prova i nostri stomaci. Terminato stoicamente il nostro giro, decidiamo che non è più possibile rimanere all’aperto e ci tuffiamo in un bar del centro per tracannare una birra gelata.

Dopo esserci rinfrescati e riposati, ci alziamo all’unisono e soddisfatti continuiamo il nostro giro, ma non facciamo dieci metri che veniamo raggiunti dal cameriere del locale il quale, con faccia stravolta, ci indica di tornare dentro.

“Che abbiamo fatto stavolta?” chiede preoccupato Stefano.

Una volta rientrati nel bar capiamo: incredibilmente, abbiamo lasciato tutti e quattro gli zainetti attaccati alle sedie! A capo chino per la vergogna riprendiamo le nostre borse e ringraziamo il cameriere che ci guarda con quell’aria di compassione che si ha di solito per i ritardati mentali.

Il caldo è ancora forte e Daniela e Stefano vogliono tornare in albergo per cambiarsi. Miriam, invece, ha adocchiato qualcosa che la sta attirando come il canto di una sirena. Di fronte al bar, infatti, c’è l’ingresso di un locale specializzato in massaggi ai piedi, specialità per la quale Yangshuo sembra godere di una discreta fama. Di solito non sono particolarmente attirato da questo genere di cose, ma una concatenazione di cause, quali il caldo insopportabile, l’effettivo gonfiore ai piedi e, non ultima, la prospettiva di sentire le lamentele di Miriam per tutto il resto della giornata se non ci andiamo, mi fa recedere da ogni tentativo di contestazione. Il locale è abbastanza moderno e pulito e, come al solito, i prezzi che ci prospettano all’entrata sono tendenti al comico. Quindi, rompiamo gli ultimi indugi e seguiamo una gentile signorina in una stanzetta dove ci sono due enormi poltrone affiancate. Accomodatici, veniamo subito raggiunti da altre due giovanissime ragazze che, con estrema cura, dopo averci lavato i piedi in un bagno di essenze naturali, ci sottopongono ad un lungo massaggio che, a parte alcuni passaggi alquanto dolorosi, si rivela decisamente rilassante.

Con i piedi rimessi a nuovo, raggiungiamo i nostri amici in albergo, i quali ci informano di essere stati colti entrambi da improvvisi dolori intestinali. Affrontiamo, quindi, da soli una cena per nulla degna di nota. Il cibo è scadente e la proprietaria del ristorante è così logorroica da rendere insopportabile la nostra permanenza.

25 AGOSTO Dovendo prendere l’aereo nel primo pomeriggio, decidiamo di avvicinarci all’aeroporto, approfittandone per fare una visita veloce a Guilin.

Come avevamo intuito al nostro arrivo, la città non offre nulla di attraente, se non una serie infinita di negozi occidentali, centri commerciali e locali vari. In compenso c’è un bel lungofiume alberato che invita a fare una passeggiata. Ed è qui che tra passanti e donne con i soliti ombrellini colorati in mano (perché le donne di qualsiasi età portino l’ombrello mi risulta tuttora incomprensibile. Ci avevano detto che serve loro per ripararsi dal sole, in quanto l’abbronzatura è considerata poco elegante, ma lo aprono comunque anche quando il sole non c’è, quindi, credo che ormai si tratti di una consuetudine), facciamo un interessante incontro. Con la solita faccia tosta tipica dei cinesi, ci si avvicina un giovane in bicicletta, il quale, senza un motivo apparente, comincia a tempestarci di domande. Parla un buon inglese (sicuramente migliore del mio) e, una volta conosciuta la nostra provenienza, ci snocciola una serie di dati sull’Italia, molti dei quali a noi sconosciuti. Dapprima sospettosi, in breve ci facciamo coinvolgere dai modi gentili e dalla interessante conversazione del tizio. Dice di chiamarsi Li, ma che possiamo anche chiamarlo Michael, perché è un nome occidentale che gli piace. E’ impiegato all’università locale come bibliotecario ed ha imparato l’inglese da solo, leggendo libri e riviste e guardando la televisione. Non è sposato e vive in un minialloggio messogli a disposizione dallo stato. Mangia alla mensa dell’Università e percepisce uno stipendio mensile di 700 yuan (pari a circa 70 euro). Gira in bici perché non può permettersi un’auto e passa il suo tempo libero in cerca di turisti con cui scambiare quattro chiacchiere in inglese. Da lui riusciamo ad avere tutta una serie di informazioni di prima mano sulla vita odierna in Cina, che ci fanno comprendere come il grande sviluppo del suo paese, in realtà ha finora coinvolto solo alcune categorie privilegiate. Ci parla della grande corruzione che si è sviluppata in tutti i settori della pubblica amministrazione, principalmente nella polizia, ma senza astio, anzi, con quella rassegnazione che abbiamo già avuto modo di constatare a più riprese. Si lamenta anche delle disparità di trattamento che ci sono nelle retribuzioni dei dipendenti pubblici, in confronto a coloro che riescono a lavorare per compagnie straniere. Un ingegnere può guadagnare fino a dieci volte di più se ha la fortuna di essere assunto da qualche multinazionale. Ci parla anche della passione per il calcio che ha travolto i cinesi, al punto che i calciatori sono trattati come dei divi e prendono cifre astronomiche anche se il loro valore è (a suo dire) mediocre.

Dopo aver passato con lui la mattinata, lo invitiamo a pranzare con noi. Accetta subito senza fare complimenti perché, dice, un pasto al ristorante non se lo può permettere e una volta ogni tanto gli fa piacere mangiare bene. Ci porta in un ristorante nella città vecchia, una specie di nostra trattoria, dove, a dispetto di un arredamento molto approssimativo, mangiamo piatti gustosi ed abbondanti.

Salutato il nostro amico “Michael”, ci mettiamo alla ricerca di un taxi per l’aeroporto. Il viaggio con una tassista psicopatica aggiunge un po’ di suspence a questa giornata pigra e rilassata. A velocità folle attraverso stradine di campagna ed imboccando spesso e volentieri sensi vietati, giungiamo miracolosamente incolumi all’aeroporto, dove ci imbarchiamo per la nostra prossima meta: Xi’an.

Giungiamo in città a tarda sera e facciamo giusto in tempo per prendere possesso dei nostri alloggiamenti in un gigantesco albergo proprio di fronte alla “Torre della Campana”, che svetta imperiosa in mezzo ad un mare di palazzoni ultramoderni che la circondano irriverenti.

26 AGOSTO La mattina ci alziamo presto, in tempo per assistere allo spettacolo del risveglio della città. Anziani che affollano la grande piazza centrale coreografando un Tai Chi di gruppo, ragazzi inquadrati che eseguono complicate marce militari, giovani commessi radunati davanti ai grandi magazzini per ascoltare le disposizioni dei loro capireparto e una miriade di tassisti abusivi che ti fermano ad ogni passo per offrirti un passaggio al sito archeologico dei “Guerrieri di terracotta”. Sì, perché è proprio questa l’attrazione attorno alla quale ruota tutto il turismo della città. Ovviamente è il motivo per cui anche noi siamo qui. Altri apparenti motivi di interesse in questa anonima città da cinque milioni di abitanti, non sembrano esserci, così ci mettiamo subito alla ricerca di un mezzo affidabile per raggiungere il sito che, per inciso, è piuttosto lontano dalla città. Memori dell’avventura con la tassista di Guilin, decidiamo di affidarci all’agenzia ufficiale che ha sede all’interno del nostro albergo. Il prezzo che ci propongono per il giro guidato è decisamente esagerato e, dopo la solita contrattazione, la spuntiamo per un semplice passaggio al sito dei “Guerrieri” con autista privato. La cifra concordata è sempre alta per gli standard cinesi, ma la barattiamo volentieri con la sicurezza di un mezzo affidabile. Mentre attendiamo nella hall, però, facciamo conoscenza con una guida cinese che parla un perfetto italiano, il quale ci informa che siamo stati fregati, perché lui, alla metà del prezzo, era disposto anche a farci da guida per tutta la giornata.

“E dov’eri tu fino ad ora?” chiede stizzita Miriam. Il nostro autista è un tipo loquace, non parla un grande inglese, ma si fa capire, così veniamo a conoscenza di “importanti” informazioni, quali quella che l’attore Charlie Chan, vero mito qui in Cina, è in visita in città. Fa anche una deviazione per mostrarci l’albergo dove alloggia.

All’arrivo sul sito, veniamo accolti dal solito villaggio di bancarelle multicolori i cui venditori, se è possibile, sembrano ancora più insistenti di tutti quelli che abbiamo affrontato finora. Riusciamo a liberarci a fatica dalla morsa, anche grazie ad un escamotage tipicamente cinese. Poco prima di arrivare all’ingresso del parco archeologico, infatti, è stata disegnata per terra una linea gialla che i venditori non possono assolutamente superare. I pochi che si avventurano oltre vengono ributtati indietro senza mezzi termini da guardie che stazionano nei pressi. L’area del sito è davvero immensa e, come suggerito dalle nostre guide, iniziamo la visita da un filmato a 360 gradi che viene proiettato in una sala vicina all’ingresso.

Il video, che narra la storia della costruzione dell’Esercito e quella del suo ritrovamento, è ben fatto e ci carica al punto giusto per affrontare l’ingresso alla prima fossa, quella che contiene il grosso dell’esercito.

Entriamo in una specie di gigantesco bunker di cemento armato e, dopo aver percorso alcuni corridoi, ci affacciamo su una alta balconata che domina la fossa.

Sarò sincero, ma questo è un parere puramente personale, l’impatto non è dei migliori e lo immaginavo più emozionante. I cinesi, come sempre pragmatici, non hanno molto curato la scenografia e il mostruoso capannone che hanno costruito attorno allo scavo, crea un “effetto hangar” non proprio piacevole. La balconata, poi, è troppo alta e i guerrieri in questo spazio immenso si perdono quasi. Il commento diffuso, infatti, è “ma sono così pochi?”.

Poi, piano piano che si scende lungo il percorso (che porta fino a raggiungere il livello del terreno), ci si rende conto che i guerrieri in realtà sono migliaia e sprigionano un fascino quasi ipnotico. Si cominciano ad apprezzare i dettagli che dall’alto sono sfuggiti e dopo un po’ si ha l’impressione di trovarsi in mezzo ad un vero esercito.

Per visitare tutte le fosse impieghiamo il resto della mattinata e torniamo a Xi’an nel primo pomeriggio. Abbiamo giusto il tempo per una visita all’interessante ed antico quartiere musulmano con la sua bella moschea e ci dobbiamo affrettare verso la stazione ferroviaria. Sì, perché il nostro ultimo trasferimento, quello che ci riporterà a Pechino, lo faremo in treno! Carichi come somari (abbiamo dovuto acquistare altre valigie per contenere tutti gli acquisti fatti), ci comprimiamo dentro il pulmino che l’albergo ci ha gentilmente messo a disposizione … dietro pagamento di una discreta somma. Nel frattempo, giusto per rendere le cose più complicate, comincia a piovere a dirotto e, come se non bastasse, il nostro mezzo non può fermarsi davanti alla stazione a causa di un cantiere e ci lascia in mezzo ad un pantano ad un centinaio di metri dall’ingresso. C’è una folla immensa che si dirige nella nostra stessa direzione e tra spintoni e pestoni vari dobbiamo attraversare il cantiere guadando alcune profonde pozzanghere formate dalla pioggia che continua a cadere copiosa. Stravolti, riusciamo ad entrare nella stazione, colma di gente fino all’inverosimile, senza sapere dove dobbiamo dirigerci. Sono quasi le sette, ora della nostra partenza, e non possiamo permetterci neanche un secondo di ritardo, altrimenti verremmo irrimediabilmente lasciati a terra. Biglietto alla mano, chiediamo informazioni a destra e a manca, fino a quando non ci indicano uno stanzone in fondo alla hall. Ci sono altri occidentali che stanno entrando, così ci rassicuriamo un po’. Per il nostro viaggio, che per inciso dura ben 12 ore, abbiamo infatti preso dei posti nelle “cuccette morbide”, più costose, ma preferite dai turisti occidentali perché maggiormente confortevoli rispetto alle “cuccette dure”. Il sistema degli imbarchi è ingegnoso e non impieghiamo molto per comprenderlo. Non si può stazionare sulle banchine come da noi, ma i passeggeri vengono tutti rinchiusi in grossi stanzoni dove display luminosi segnalano l’arrivo dei vari treni. Solo quando sono fermi in banchina le porte si aprono e si può salire sul proprio vagone. Ben più difficile, però, è riuscire a capire quando il nostro treno arriverà, dal momento che le scritte del display sono solo in cinese. Dopo alcuni falsi allarmi, riusciamo a beccare il treno giusto e sfruttando la fortunata combinazione che almeno i numeri, i cinesi li scrivono come noi, ritroviamo il nostro scompartimento.

Ci tuffiamo sulle cuccette distrutti e quando riusciamo a riprendere conoscenza, sorpresa! Lo scompartimento è bellissimo. Di gran lunga superiore ai nostri. Ci sono perfino quattro schermi al plasma, uno per ogni letto, che trasmettono TV e radio ascoltabili con delle cuffie.

Neanche a dirlo, il treno parte in perfetto orario e quando da un altoparlante ci comunicano che è aperto il vagone ristorante, andiamo a vedere di che si tratta.

Mangiare cinese nel vagone ristorante di un treno è un’esperienza che ancora ci manca, così ci fermiamo a gustare delle splendide zuppe precotte e degli spiedini di non so che, in attesa che il sonno ci travolga.

27 AGOSTO Il viaggio notturno procede senza intoppi e quando la mattina dopo veniamo svegliati dagli altoparlanti, troviamo il corridoio fuori dalla nostra cabina pieno di gente, una di fianco all’altra, che compie esercizi di ginnastica. Fuori dalla stazione di Pechino, la solita ressa per l’accaparramento di un taxi libero. Poiché abbiamo prenotato un hotel nei pressi della stazione, siamo quasi intenzionati a farcela a piedi, quando un taxi superabusivo ci viene in aiuto. E’ una fortuna, perché a dispetto della cartina, l’albergo si rivela essere non proprio a portata di passeggiata.

La nostra meta mattutina è la città vecchia, che avevamo visitato marginalmente al nostro arrivo, riproponendoci di approfondirla al nostro ritorno. Si tratta di uno dei pochi quartieri di “hutong” rimasti intatti, e gravita attorno alle torri del Tamburo e della Campana, nei pressi dei laghi Qianhai e Houhai. Appena arrivati in zona, però, troviamo una sgradita sorpresa. Una intera via del quartiere è stata completamente abbattuta. E quando dico completamente, intendo dire proprio rasa al suolo. Sembra di essere capitati nel bel mezzo di un bombardamento. Ci eravamo passati una decina di giorni prima e vi assicuro che c’era ancora. Incredibile! Sotto la Torre del Tamburo, stazionano i soliti “risciò”, ma questi sono più moderni. Anche i pedalatori sembrano più organizzati, vestono tutti la stessa divisa e quello che ci si avvicina parla anche inglese. Ormai avvezzi a questo mezzo di locomozione, ci lasciamo convincere, anche con la prospettiva di avere qualche delucidazione su quanto visiteremo. Infatti, ci viene proposto un vero e proprio giro guidato attraverso anguste vie, case e mercati. Apprendiamo così il sistema di vita che fino a pochi anni fa aveva scandito le esistenze degli abitanti di Pechino. A metà del giro, il nostro ciclista-interprete, dopo essersi fermato davanti ad una casa, ci fa segno di seguirlo al suo interno. Sotto lo sguardo di una signora, in quel momento intenta a lavare i panni, comincia a spiegare la struttura dei vari ambienti. Poi, con molta indifferenza, ci chiede di pagare una quota pro-capite alla signora in questione. Capiamo allora che siamo stati condotti in una casa privata dove la padrona, per arrotondare un po’ le entrate, fa pagare una specie di biglietto di ingresso ai visitatori che gli vengono portati dai vari guidatori di risciò. La scena è piuttosto imbarazzante, anche perché la signora, dopo averci fatto entrare nel salotto, vuole offrirci a tutti i costi qualcosa da bere e insiste per mostrarci il suo album fotografico di famiglia. Scattata una foto di gruppo, riprendiamo il nostro giro.

E’ il nostro ultimo giorno in Cina e, quindi, terminata la visita degli hutong, ne approfittiamo per dedicarci ad un rilassato giro per le vie del centro e fare gli ultimi acquisti. Eh sì, appare difficile da credere, ma c’è ancora chi deve comprare qualcosa! Dopo aver gentilmente rifiutato degli assaggi di scarabei e scorpioni arrosto nell’ennesimo mercatino di cineserie varie, torniamo in albergo in metropolitana, un’esperienza che ci manca. Naturalmente, nella metropolitana non c’è parvenza di scritte non cinesi (anche il russo ci sarebbe di maggiore aiuto), quindi ci appostiamo nei pressi della biglietteria e cominciamo a spiare coloro che si avvicinano al botteghino. Dopo qualche minuto, giungo alla conclusione che il biglietto costi 4 yuan, quindi raccolgo 16 yuan spicci e li porgo soddisfatto al bigliettaio. Questi guarda schifato le monetine e me le ridà indietro blaterando qualcosa di incomprensibile. Ad un mio ulteriore tentativo, con fare sempre più scocciato, mi indica, stavolta in modo compensibilissimo, di togliermi dalle scatole. Siamo alle solite. E’ l’atteggiamento tipico dei cinesi. Quando vedono qualcuno commettere qualche azione errata, non mettono il minimo impegno nel cercare di correggerla, semplicemente la rifiutano. Rassegnato, porgo al bigliettaio un pezzo da 50 yuan ed attendo il resto.

Per questa ultima cena vorremmo qualcosa di speciale, quindi ci affidiamo alla nostra guida che finora ci ha sempre consigliato bene. E, naturalmente, stavolta ci consiglia molto male. Il locale, infatti, non è niente di speciale, anzi, tutt’altro, ma per quanto riguarda il “qualcosa di speciale”, bisogna dire che non rimaniamo delusi. Per la prima volta, infatti, almeno per quello che siamo riusciti a capire finora dei menù, troviamo il cane nella lista delle portate. La cosa ci toglie il residuo appetito e, delusi, usciamo smaniosi di una migliore conclusione della serata. Ci ricordiamo che, durante il nostro giro mattutino in risciò, siamo approdati sulla riva del lago Houhai, una zona piena di locali che sembrava carina.

Ci facciamo portare lì da un taxi e, sorpresa, scopriamo dove vanno tutti giovani pechinesi a passare le serate. Il posto, con l’oscurità, è davvero suggestivo e i locali, che sfilano ininterrotti uno dietro l’altro, non sfigurerebbero a Milano o New York. E’ un luogo emblematico, e non potrebbe meglio sottolineare quanto abbiamo visto in questi giorni in Cina. Un paese in cui la contraddizione la fa da padrona, ma in ogni caso, votato ad una modernità per ora sfrenata e senza regole. Speriamo che, prima o poi, trovi la via per una crescita meno dissennata che gli impedisca, prima che sia troppo tardi, di perdere l’immenso patrimonio naturalistico e culturale di cui dispone.

FINE



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