Cina: Pechino e Shanghai

Sole spendido, cielo blu e gelo implacabile!
Scritto da: Chiara Z.
cina: pechino e shanghai
Partenza il: 31/12/2010
Ritorno il: 11/01/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Un viaggio nel lontano Oriente nel mese più freddo dell’inverno è l’idea che ci stuzzica durante l’anno. Ci siamo convinti alla vista di un volo con un ottimo prezzo con arrivo a Beijing e ritorno da Shanghai. Alcune settimane prima della partenza, richiediamo il visto d’ingresso per la Cina tramite agenzia. Partiamo da Venezia venerdì 31 dicembre 2010 con un volo Lufthansa (Euro 950 in due A/R). Quando è mezzanotte in Italia, addentiamo il pandoro portato da casa e brindiamo col vino bianco, per festeggiare idealmente con gli amici. Atterriamo a Beijing la mattina del primo gennaio e seguendo le indicazioni prendiamo il treno per il centro (5,8 € in due). Intravediamo subito i famosi colori del magazzino Ikea. Non che avessimo grandi speranze di incontrare una Beijing antica ma, candidamente, pensavamo che la Cina fosse immune dallo sbarco delle grandi catene. Alla vista del primo negozio di Zara in centro, non abbiamo più avuto dubbi. La relazione con le persone, la cucina, alcuni resti dei fasti imperiali si fisseranno nei nostri ricordi come esperienze autentiche e vere gratificazioni di questo viaggio.

Usciamo dalla stazione capolinea del treno con un sole abbacinante; ci lanciamo in strada e al terzo tentativo troviamo un taxi che ci accompagna in ostello. In questo viaggio abbiamo usato frequentemente i taxi, dopo aver capito alcune regole “di sopravvivenza”. I taxi non hanno piazzole dove fermarsi ma è necessario individuare i luoghi dove possono accostarsi al marciapiede in sicurezza: in prossimità dei semafori o degli incroci e in strade secondarie che immettono nelle grandi arterie del traffico. I tassisti non parlano inglese, perciò abbiamo utilizzato un foglio consegnatoci dai ragazzi dell’ostello su cui erano indicate tutte le attrazioni principali di Beijing in ideogrammi. Il taxi non costa molto (tariffa fissa 1,20 €). Noi spendevamo circa 1,50–2,00 € per i nostri spostamenti (la spesa massima è stata raggiungere il Palazzo d’Estate circa 10 € A/R).

L’ostello scelto si chiama Sitting on the city walls e si trova a qualche centinaio di metri dall’ingresso nord della Città Proibita, all’interno di un hutong, l’intrico di vicoli dove ancora si vedono le tradizionali case con cortile e gli immancabili bagni pubblici. L’alloggio si è rivelato ben posizionato, semplice e pulito (38 € a notte la doppia con bagno). In strada c’è un parco dove gli anziani della zona si ritrovano per giocare, soprattutto a ping pong. Ci salutano sempre e fanno ampi gesti per farci entrare nel loro piccolo perimetro di svago. Depositati gli zaini, i ragazzi dell’ostello ci confermano che passeggiare di giorno e di notte nei dintorni è sicuro. E allora via! veniamo subito attratti dalla curiosità di osservare le mura della Città Proibita e Piazza Tiananmen. E’ una camminata di qualche chilometro ma non ci sentiamo stanchi e presto sbuchiamo nella piazza tanto nominata, avvolta da un cielo verniciato d’azzurro e gremita di gente a passeggio. Proseguiamo con questa prima scoperta “a pelle” di Beijing verso Wangfujing Dajie. Cerchiamo tra i numerosi negozi un posticino dove rinfrancarci con un the caldo ma notiamo subito che non ci sono locali e facciamo difficoltà a trovare pure dove cambiare i nostri euro (una certezza, gli uffici della Bank of China). Capiamo che la gente si riversa all’interno dei centri commerciali dove, solitamente al piano interrato, sono offerte innumerevoli soluzioni dove sfamarsi o bere qualcosa di caldo. In una traversa di Wangfujing Dajie, si possono fotografare e provare varie tipologie di animaletti e insetti cucinati in spiedini. La scelta gastronomica si allarga tra le bancarelle di Donghuamen. La sera, a piedi, ci dirigiamo di buona lena al famoso ristorante Manfulou dove ci approcciamo alla cena con marmitta (hot pot) come se fossimo in un film comico. Nessun occidentale a cui chiedere lumi, né cinesi parlanti inglese ma quanta dedizione ci hanno messo tutti per spiegarci che il cibo arriva crudo e noi dobbiamo immergerlo in una marmitta piena di presunto brodo caldo. I miei squisiti raviolini sono così viscidi che con le bacchette m’ingegno a creare un fondino con gli spinaci per fare più presa, bloccare il raviolo e condurlo verso la mia bocca.

Noteremo nei giorni successivi che nei ristoranti da noi frequentati nessuno parla inglese. I menu, comunque, sono ricchi di fotografie e il nostro intuito ci guida senza indugio nei meandri di questa complessa cucina, schivando interiora e pesci strani. Nonostante le differenze regionali, c’è una costante: tazza per l’acqua calda o il the (sempre gratuiti), piattino, ciotola e bacchette (non ci sono mai le posate, ma di questo siamo compiaciuti … non cerchiamo trattamenti “di favore”)

Il secondo giorno ci svegliamo tardi a causa del fuso ma siamo a pochi passi dalla nostra meta odierna per cui non ci diamo peso … d’altronde, siamo in vacanza! Entriamo dall’ingresso nord della Città Proibita (18 €in due comprese le audioguide in italiano – decisamente utili poiché si attivano automaticamente a seconda del luogo del palazzo in cui ci si trova). La Città Proibita è enorme e ci si può rendere conto della sua estensione, della disposizione dei cortili e dei padiglioni solo vedendola dall’alto o tracciata in una piantina. Il sole splende ed esalta i colori: il rosso dei muri, il giallo dei tetti, il verde ed il blu delle travi. Mi torna in mente il rigido protocollo della vita in questa speciale residenza e le prime sequenze del film L’ultimo imperatore e penso, in fin dei conti, che non sono trascorsi tanti decenni dalla caduta della dinastia … ma quanta acqua sotto i ponti è passata per arrivare alla Cina del nuovo millennio! All’interno dei prestigiosi cortili e poi in piazza vengo fermata più volte da persone che mimando la macchina fotografica vogliono farsi immortalare con me. La più simpatica è una vecchina in visita a Beijing con i nipoti, che mi agguanta e mi stringe calorosamente. Terminata la visita usciamo in Piazza Tiananmen e ci dirigiamo nella via commerciale Qianmen Dajie, completamente ristrutturata. In una laterale scoviamo un posto semplice ed affollato dove mangiare e bere qualcosa di caldo. Gironzoliamo nella vicina zona di Dashilar, prima di farci riportare in taxi in ostello per una doccia caldissima. Per cena ci incamminiamo nella zona Houhai, verso nord. Il lago è ghiacciato e nel buio sfrecciano bambini e adulti con i pattini, le loro figure mobili si riconoscono tra le luci dei locali che si affacciano sulla sponda del lago. Musica melodica nell’aria. Troviamo un ristorante che ci ispira e ci accomodiamo per una cena infinita, a causa degli errori di ordinazione … arriva una marea di cibo! E dopo decine di ravioli mi ritrovo zoppicante verso la via di casa. Comincia a farmi male il ginocchio (una “sorpresa” non prevista) e nei giorni successivi cerchiamo di alternare le camminate agli spostamenti in taxi proprio per non peggiorare il mio povero arto.

La mattina successiva ci attende la piacevole visita alla Torre del Tamburo e alla Torre della Campana. Nella prima assistiamo ad una breve esibizione di tamburi, che si svolge ad orari prestabiliti. Scesi ci incamminiamo nei vicoli dell’hutong per scattare qualche fotografia e un signore ci propone (in cinese, ovviamente!) un giro nel suo rickshaw. Che fare? Dilemma morale. Il mio ginocchio chiede pietà e, considerando che l’uomo sembra vivere di questa attività, saltiamo su. Forniti di copertina giriamo nell’hutong fino a giungere a Nanlougu Xiang, un vicolo ristrutturato con negozietti e localini, molto piacevole per concludere a piedi il giro e scolarci l’ennesimo the bollente. Non serve zucchero, il the verde è buono così. Ormai siamo abili nel fermare i taxi e mostrando un foglietto con scritto in ideogrammi “Tempio dei Lama”, giungiamo veloci a destinazione. Il Tempio ha l’ingresso a pagamento e superati i tornelli si può camminare tra gli edifici colmi di statue e di gente che offre bastoncini d’incenso. Attraversata la strada si entra all’interno del Tempio di Confucio ma questo complesso è un susseguirsi di edifici vuoti e grandi spazi, intervallati da antichissimi cipressi. Ci dirigiamo all’adiacente Collegio Imperiale, dove l’imperatore teneva incontri con migliaia di studenti. Non c’è nessuno e fatte un po’ di fotografie usciamo. Con un taxi andiamo verso sud a vedere se troviamo la stradina degli antiquari di Liulichang, che ieri non eravamo riusciti ad individuare. Entriamo nei vicoli ed acquistiamo una stampa. Camminando non ci rendiamo conto che improvvisamente si fa buio e noi stiamo ancora vagando nell’hutong, tra persone indaffarate ad acquistare carne cruda, cibo fritto e verdura presso alcuni banchi posizionati proprio in strada. Ci siamo persi e il mio infallibile senso dell’orientamento è andato in tilt. Marciamo veloci tra la gente con il cane, uomini di ritorno dal lavoro, anziane massaie e bambini ma c’è poca illuminazione. Ad un incrocio, un ragazzo con rickshaw ci fa un cenno …saliamo e ci lasciamo condurre nei pressi di Qianmen così ne approfittiamo per cenare, vista l’ora. Cerchiamo il famoso ed esageratamente costoso Roast Duck Restaurant e gustiamo l’anatra laccata con tipiche sfoglie che ci servono in accompagnamento. Poi, in assonanza con la temperatura, ci concediamo un gelato in un locale occidentale. Vaghiamo ai bordi di Piazza Tiananmen finché non troviamo un taxi che ci conduce in ostello per il meritato riposo.

Sveglia traumatica alle 7! Alla mezza si parte con un furgoncino prenotato in ostello per la Grande Muraglia (65 € in due – dalle 7.30 alle 15). Destinazione scelta: Mutianyu. Siamo una bella combriccola di otto persone da ogni parte del mondo. La giornata limpida esalta il sole spettacolare e il cielo blu. Si sale in seggiovia coprendo il volto dall’aria frizzantina. Andiamo dalla torre 6 alla torre 1. E poi dalla torre 6 alla 14 e ritorno. C’è poca gente e le foto di Alberto sono magnifiche. Si scende con un seggiolino posto su un binario. Situazione al limite del ridicolo quando, non rispettando le distanze, ci tamponiamo a vicenda creando un sandwich umano. Concludiamo l’escursione con un ottimo pranzo collettivo, mangiando dai piatti ordinati in comune e confrontandoci su questa Cina contemporanea. Tornati a Beijing città ripercorriamo Wangfujing Daje allo scopo di cambiare i soldi e poi si va a cena in un ristorante tipico della regione del Sichuan.

Alla mattina, affidiamo i nostri vestiti alla lavanderia dell’ostello e ci rechiamo in strada alla ricerca di un taxi che ci porti al Palazzo d’Estate (l’ingresso 11,5 € in due). Il cielo è, se si può, ancora più blu e il luminosissimo sole ammanta di una luce magica il lago ghiacciato. La temperatura è in picchiata a causa di un vento gelido. Non ci scoraggiamo e cominciamo a camminare in questo vasto complesso: entrando dalla porta est ci dirigiamo prima sull’Isola del Lago Meridionale da cui ammiriamo il lago in tutte le direzioni. Percorriamo poi l’elegante Corridoio Lungo alla base della collina della Longevità e il crinale della stessa al ritorno, visitando i vari edifici. E’ curioso pensare a questi imperatori, individui intoccabili che passavano la loro vita tra le splendide stanze della Città Proibita, gli agi e gli scenari del Palazzo d’Estate mentre il resto della popolazione conduceva una semplice vita di stampo medioevale. E meditiamo sull’abilità degli artigiani che lavoravano per l’impero, capaci di creare queste strutture immanenti che a noi paiono così leggiadre, armoniose e integrate nell’ambiente circostante. All’uscita del Palazzo d’Estate pranziamo dignitosamente con pochi spiccioli. Troviamo un altro tassista che ci conduce dal passato imperiale al presente olimpico. Visitiamo il Bird’s Nest, lo stadio a nido d’uccello e guardiamo da fuori il Water Cube. All’interno dello Stadio troviamo un parco giochi invernale per bambini con tanto di cannoni spara neve e gatto delle nevi. Io ho una camminata-strisciata a causa del ginocchio e rientro in ostello a farmi una doccia bollente e riposare. Alberto, poiché è l’ora del tramonto, sale sulla collina del Parco Jingshan e riesce a fotografare i tetti gialli della Città Proibita illuminati dagli ultimi fiammeggianti raggi, negli attimi prima del crepuscolo. Andiamo a cena all’Otto’ Restaurant, nominato sia dalla nostra guida che dai ragazzi dell’ostello (che lo chiamano con un altro nome). Il locale è semplice ma affollatissimo.

Ultimo giorno a Beijing. Non suona la sveglia che avevamo impostato allo scopo di recarci all’alba al parco del Tempio del Cielo per vedere la gente che pratica il tai-chi. Ci andiamo verso le nove e troviamo comunque una folla di gente intenta a fare ginnastica, ballare in gruppo, cantare, giocare a carte, esercitarsi con il volano o in coreografie di ventagli e di spade. Fantastico! Un vecchietto mi intercetta e mi coinvolge in una lezione con una racchetta e una palla che devo tenere in equilibrio. Il signore ride, sorride ma in realtà mi “bacchetta” quando sbaglio o non mi applico perché mi vien da ridere! Il vento gelido soffia implacabile anche oggi e quindi saliamo al Tempio del Cielo in cerca del sole … ma questi raggi luminosi non ci portano nessun tepore. Brr! Usciamo dal parco e attraversata la strada troviamo il caotico Pearl Market, un edificio a più piani con abbigliamento e oggetti vari dove acquistiamo alcuni pensierini per la famiglia. Poi con un taxi ci rechiamo al Silk market, un po’ delocalizzato ma nella sostanza è come il precedente. In ostello, a metà pomeriggio, ci facciamo preparare una dose di ravioloni e poi andiamo a preparare gli zaini. Compiuta la triste incombenza facciamo le ultime foto in notturna all’Opera di Pechino, che pare un’astronave, e a Piazza Tiananmen. Fa così freddo che faccio pressione ad Alberto per darsi una mossa con gli ultimi scatti e andare all’Otto restaurant per ingozzarci con un po’ di pietanze adocchiate la sera precedente. Il tassista stavolta non azzecca la destinazione e gesticolando con la piantina in mano e molta pazienza dobbiamo ri-indirizzarlo.

Il giorno successivo andiamo in strada alle 5 del mattino e troviamo immediatamente un taxi che ci conduce in aeroporto (10,5 €). Sono un po’ agitata perché ho acquistato il volo per Shanghai sul sito c-trip (100 € in due) e non è mai giunto il biglietto elettronico ma solo una mail con un codice da presentare al banco del check-in. Non ricordo neppure la compagnia aerea scelta, ma confrontando l’orario troviamo subito il desk della China Easter Airlines. L’hostess sorridente non fa una piega quando consegno il mio misero foglietto stropicciato e mi da immediatamente i biglietti. Evviva! Con fare baldanzoso, andiamo a bere un caffè e poi ci imbarchiamo in un aeromobile nuovo che in due orette ci conduce a Shanghai. Scesi prendiamo il famoso Maglev e alla stazione capolinea troviamo subito una piazzola dedicata ai taxi. Ci carica un tassista che parla inglese (unico caso) ma non facciamo in tempo a rallegrarci che Alberto si accorge che il losco figuro ha un tassametro taroccato: paghiamo 18 € per un percorso che ne richiede un terzo. Giunti all’ostello The Phoenix (27 € a notte la doppia con bagno) siamo presi da due sentimenti contrastanti: la felicità per l’ottima posizione e la camera ampia e pulita e la malinconia di aver perso quell’atmosfera familiare che ci trasmetteva Beijing. La capitale sembra che si sviluppi orizzontalmente, almeno dove risiedevamo noi, con le sue casette basse e gli abitanti placidi, sorridenti mentre Shanghai è risucchiata verso l’alto, ricca di gente frenetica e ben vestita. Dal nostro quinto piano scendiamo giù e ci rendiamo conto che Yunnan Road è una strada di ristoranti tipici (soprattutto marmitte) un po’ sozzoni, con tranci di carne macellati sul marciapiede e appoggiati alla bell’e meglio dove capita e pesci in vaschette posate sull’asfalto. Si vede anche qualche ratto metropolitano che osserva la mercanzia con più interesse di noi. Fotografiamo un po’ tra i richiami e le battute dei ragazzi dei ristoranti e poi andiamo al vicino Museo (ingresso gratuito). La visita testimonia il passato millenario di questa civiltà e merita decisamente qualche ora del proprio tempo. Gironzoliamo poi in Piazza del Popolo, chiedendoci quanti centri commerciali nascondono i palazzi intorno. Troviamo un’entrata e scendiamo al piano inferiore (zona ristoro) allo scopo di bere qualcosa di caldo. Non è certamente freddo come a Beijing ma la temperatura è comunque pochi gradi sopra lo zero. Ceniamo in un ristorante vicino all’ostello (quello che ci sembra meno sporco) e tutto si rivela buono e abbondante, come il solito.

La mattina ci svegliamo pimpanti e andiamo a fare colazione in una delle pasticcerie in fondo alla strada. Con un taxi raggiungiamo i Giardini del Mandarino Yu, mostrando una piantina. Il sole splende anche oggi e terminata la visita agli incantevoli giardini e al piccolo Tempio adiacente, ci incamminiamo nell’intrico del bazar. Di fronte la famosa Casa da tè, segnaliamo un posticino dove acquistare i ravioli, preparati al momento da una schiera di donne affaccendate. Si riconosce dalla coda di gente al suo esterno. Si nota che è sabato perché in poche ore si riunisce una folla di cinesi vocianti. Proseguiamo verso il Bund che dà il massimo con questa giornata: vedute nitide, brillanti di grattacieli svettanti contro il cielo blu. Qui troviamo una buona rappresentanza di occidentali a passeggio. Prendiamo il trenino sotterraneo (12 € in due A/R) per raggiungere il quartiere di Pudong, di là del fiume. Scegliamo la Jinmao Tower per salire verso il cielo a 300 metri. L’ingresso agli ascensori turistici è al piano inferiore e lì si trova anche la biglietteria. Usciti facciamo uno spuntino al solito piano interrato di un centro commerciale quasi spaventoso per la sua grandezza. Sento montare una personale allergia per questi agglomerati ciclopici. Riattraversiamo il fiume e continuiamo a passeggiare in Nanjing Road, fino ad arrivare in ostello. Dopo la doccia, ci vestiamo dignitosamente e torniamo in taxi lungo il Bund precisamente al civico 5. Saliamo al settimo piano al ristorante M on the Bund e per la prima volta nel nostro soggiorno cinese rivediamo le posate. Infatti, il ristorante ha un menu occidentale con influenze mediterranee, turche e anche un po’ venete (uahuahuah vediamo la polenta!). Il cibo e il servzio sono molto curati e accompagniamo le entrate anche con un piacevole Shiraz australiano. Il conto finale è superiore alla somma di tutte le nostre cene in Cina (125 € in due) e per non farci mancare niente andiamo in terrazza ad osservare lo scintillante quartiere di Pudong. Non pago, Alberto torna lungo il fiume e comincia a fotografare i grattacieli da un lato e gli edifici classici del Bund alle proprie spalle. Andiamo a nanna soddisfatti dell’intensa giornata.

La sveglia suona implacabile e ci ricorda che oggi si va a Zhouzhuang con un gruppo di cinesi in gita. L’escursione, acquistata tramite l’ostello, comprende il trasporto e l’ingresso alla cittadina (32 € in due). La guida non parla inglese e neppure i nostri compagni di viaggio. Alle nove ci scaricano all’ingresso di una specie di tempio dove sostiamo un’ora, sferzati da un’aria gelida di campagna. Siamo un po’ perplessi perché non sappiamo dove siamo e nessuno si cura di noi. Alberto sostiene che siamo saliti sul pullman sbagliato e a me viene un po’ da ridere. Ripartiamo con i nostri amici che si rimpinzano di patate dolci acquistate per strada. A Zhouhuang si arriva sulle dieci e mezza. Seguiamo la guida, anche all’interno di una pregevole casa storica. I nostri compagni si muovono in massa come i gruppi di pesciolini tropicali ma sono molto attenti e intuisco che la ragazza cattura il loro interesse grazie alle minuziose spiegazioni. Andiamo tutti insieme a pranzo e Alberto si mangia uno stinco gigante con le bacchette schizzando sugo ovunque. La guida nel frattempo ci porta una piantina della città e ci indica il punto di ritrovo e l’ora. Liberi di girare ovunque raccogliamo istantanee di una città antica come i volti di alcuni abitanti, avvolti in giacche floreali imbottite e calde babbucce. La lonely planet nomina appena questo paese perché reputato troppo turistico. In realtà, nei primi giorni di gennaio non c’è nessuno. Al rientro scopriamo l’inghippo insito nella gita organizzata. La visita ad un immenso laboratorio di giada. I nostri compagni vengono intruppati e chiusi in una stanza dove assisteranno alla lavorazione della giada ma noi veniamo intercettati da un venditore parlante inglese che comincia la tiritera. Alberto, mosso da slancio amoroso, acquista per me un anello e degli orecchini molto belli, effettivamente. Tentiamo di corrompere un giovane usciere per farci spiegare dove siamo e rientrare per conto nostro ma Shanghai è immensa e ci conviene attendere gli altri e risalire in bus. Veniamo scaricati in Piazza del Popolo, a pochi passi dall’ostello.

L’ultimo giorno è dedicato alle commissioni. A piedi cerchiamo prima un internet point (locale rarissimo) per stampare il check in on line ma rinunciamo all’impresa e ci dirigiamo quindi all’ufficio postale per imbucare le cartoline. Acquistiamo gli ultimi ricordini e andiamo a vedere la zona Xintiandi, con i suoi edifici ristrutturati. Da lì ci incamminiamo in Huaihai Road, ricca di negozi e gente chic. Ci concediamo un pranzo abbondante e una lauta cena per imprimere i sapori orientali sulle nostre papille gustative. Ovviamente, durante il viaggio in aereo, mi pentirò d’aver mangiato così tanto … L’ultima incombenza sono gli zaini da richiudere. Si va in aeroporto con il pulmino dell’ostello (23 € in due). E’ sera e Shanghai ci saluta con il suo tripudio di luci.

Questo viaggio in Cina sarà ricordato per le splendide giornate di sole e per i gelidi venti del Nord. Beijing, soprattutto, ci ha lasciato dei ricordi importanti ricavati tra la vita degli hutong e le poche grandi vestigia rimaste a testimonianza di un arcano, immenso passato imperiale.



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