Da New York al Canada e ritorno

Tre giorni nella Grande Mela e poi un tour "On the road" attraverso New England, Nuova Scozia, Quebec e Ontario per fare poi ritorno passando dalle Cascate del Niagara e dalla Pennsylvania
Scritto da: LucaGiramondo
da new york al canada e ritorno
Partenza il: 11/08/2018
Ritorno il: 02/09/2018
Viaggiatori: 5
Spesa: 3000 €
Da New York al Canada e ritorno

(by Luca, Sabrina, Federico, Leonardo e Valentina)

Sabato 11 Agosto:

Finalmente! … Dopo varie vicissitudini, compreso un incidente stradale che ha seriamente rischiato di compromettere il tutto, siamo in partenza per questo viaggio a lungo desiderato, in quanto annullato esattamente nove anni fa. Allora dovevamo essere in tre a consumare l’evento, questa volta invece saremo in cinque, con in più il piccolo Leo e Valentina, ragazza di Federico e novità assoluta per la famiglia.

Andremo negli States per la quarta volta e più precisamente a New York, da dove poi partiremo per un lungo tour attraverso dodici stati, che ci porterà fino in Canada, per poi far ritorno nella Grande Mela dopo tre settimane.

La sveglia suona alle 4:30 di una calda notte estiva e dopo meno di un’ora, alle 5:25, prendiamo il via da casa.

A Faenza entriamo in autostrada e alle 6:00 in punto siamo a Bologna, mentre il traffico è scorrevole, cosa che non si può certo dire in direzione opposta, dove sono già fermi in coda … d’altronde la giornata prevista è di quelle da bollino nero.

Poco dopo le 7:00 scavalchiamo l’alveo del fiume Po’ e, consumata una breve sosta in Autogrill, alle 8:00 procediamo spediti sulla Tangenziale Ovest di Milano per giungere, mezzora più tardi, al Ciao Parking di Malpensa a lasciare in deposito l’auto per l’intera durata della vacanza.

Con la navetta dell’area sosta raggiungiamo il Terminal 1 e appena entrati troviamo il nostro banco per il check-in, che però è ancora chiuso, visto che siamo in netto anticipo.

Appena possibile imbarchiamo le valigie e poi, affrontati i controlli di sicurezza, ci mettiamo in attesa del nostro volo (IG 0901) alla porta B58.

All’ora prevista saliamo così a bordo dell’Airbus A330 della compagnia Air Italy (ex Meridiana) che, con tutti a bordo … non parte, perché pare manchino alcuni bagagli.

Dobbiamo pazientare per oltre un’ora, poi finalmente prendiamo quota alle 14:15, virando subito verso ovest.

Il volo, seppur lungo, passa tranquillo e dopo la trasvolata atlantica cominciamo la discesa sul mare di nuvole che sovrasta New York, dove, come da previsioni, non ci attende purtroppo bel tempo.

Sistemate anche le lancette dell’orologio indietro di sei ore atterriamo così nell’aeroporto internazionale JFK alle 16:50 e appena sbarcati ci ritroviamo imbottigliati in una smisurata fila al controllo passaporti, accumulando ulteriore ritardo sui tempi previsti, oltre a quello dell’aereo … Ma è dopo il beneamato timbro che viene il bello, perché al ritiro bagagli recuperiamo solo una delle nostre cinque valigie. Le altre quattro pare siano rimaste a Milano! (E la ritardata partenza ora ci appare molto più chiara!).

Impieghiamo così altro tempo per fare la denuncia e poi, alla faccia della distensiva vacanza, incameriamo una buona dose di stress al pensiero che i bagagli arrivino prima di mercoledì mattina, quando lasceremo New York.

Scuri in volto seguiamo così le indicazioni per l’Air Train, che ci accompagna al di fuori dell’area aeroportuale, poi acquistiamo la Metro Card con l’abbonamento settimanale che ci permetterà di scorrazzare per tutte le linee dei trasporti urbani, e ci avviamo verso Manhattan.

Ritardo su ritardo arriviamo sfiniti all’Hotel Pennsylvania, che ci ospiterà per quattro notti, almeno allietati dalla vista del vicino e leggendario Madison Square Garden, storico tempio del basket newyorkese, ma soprattutto della sagoma illuminata dell’inconfondibile Empire State Building, alla cui antenna ci immaginiamo subito aggrappato il mitico King Kong … Ma non è ancora finita, perché dobbiamo affrontare una lunga coda alla reception e quando, finalmente, ci consegnano la stanza (piuttosto indegna) sono già passate le 21:00.

Appoggiamo i nostri miseri bagagli e subito usciamo a cercare qualcosa per cena, così, seguendo i consigli di qualche predecessore arriviamo al più vicino Whole Foods Market, dove troviamo un ricco buffet nel quale servirci e anche il necessario per il pranzo al sacco di domani.

Rientriamo quindi, con le energie completamente azzerate, all’hotel per andare a coricarci ad ormai ventiquattrore dalla sveglia per la partenza … ma almeno facciamo presto ad indossare i pigiami, perché, a parte il piccolo Leo, proprio non li abbiamo.

Domenica 12 Agosto:

Ci prepariamo, dopo una scarna colazione offerta dall’Hotel Pennsylvania, alla prima giornata di visite a New York, capitale dell’omonimo stato, nonché principale metropoli degli Stati Uniti d’America, con i suoi 8,5 milioni di abitanti (che diventano più del doppio come agglomerato urbano e quasi il triplo se si considera l’area metropolitana, che sconfina nei vicini stati del New Jersey e del Connecticut) … Il morale però non è certo alle stelle, vuoi per le valigie perse, vuoi per il meteo, che non promette nulla di buono.

Quando partiamo a piedi dall’hotel, infatti, è nuvoloso, ma almeno non piove. Così, prima in metropolitana e poi in autobus, raggiungiamo il lato est di Central Park, il più grande e storico parco (aperto nel 1856) della Grande Mela, vero e proprio polmone verde di Manhattan, il principale distretto cittadino, che si sviluppa sull’omonima isola alla foce dell’Hudson River.

Scendiamo dai mezzi pubblici in corrispondenza del Temple Emanu-El, la più grande sinagoga del mondo, fondata nel 1845 e nostra prima meta di un certo interesse, ma è ancora chiusa, nonché in restauro e tutta coperta di impalcature.

Preso atto della situazione ci avventuriamo così dentro a Central Park e subito incontriamo la statua dedicata a Balto, epico cane protagonista di una storia vera fra i ghiacci dell’Alaska che è diventata anche un film d’animazione.

Fra decine, anzi centinaia di podisti della domenica mattina andiamo quindi alla scoperta delle altre curiosità del parco. Passiamo così dalla Dairy, caratteristica costruzione gotica in legno che nell’Ottocento ospitava una latteria, quindi, osservato lo Sheep Meadow, immenso prato nel quale i newyorkesi fanno pic-nic e prendono la tintarella (non oggi), andiamo lungo il viale chiamato The Mall, fiancheggiato da monumentali olmi americani, e arriviamo presso la Bethesda Terrace, un ampio spazio, con al centro una bella fontana, considerato un po’ il cuore di Central Park.

Da qui costeggiamo poi le sponde di The Lake, uno dei principali bacini lacustri della grande area verde, e giungiamo fino al Bow Bridge, un pittoresco ponte in ghisa ad arco ribassato che scavalca le verdi acque del lago.

Proseguendo arriviamo, subito dopo, al cosiddetto Strawberry Field, un giardino dedicato alla memoria del compianto componente dei Beatles John Lennon, il cui toponimo si rifà proprio ad una canzone del noto complesso ed è sistemato anche grazie ai contributi elargiti dalla compagna Yoko Ono. Qui, fra i vialetti pedonali, si trova un mosaico che ricorda il famoso personaggio, facendo riferimento ad “Imagine”, uno dei più celebri brani da lui interpretati. John Lennon viveva a poche decine di metri da qui, nel complesso dei Dakota Apartments, sul lato ovest di Central Park, quando fu assassinato da uno squilibrato la sera dell’8 dicembre 1980.

Rientrati nel parco, dopo aver osservato il palazzo nel quale abitava John Lennon, ci rechiamo a Hernshead, un piccolo promontorio roccioso su The Lake dal quale si può assaporare un bello scorcio sui grattacieli circostanti … peccato solo il cielo e la giornata grigia, che almeno continua a non essere bagnata.

Da Hernshead andiamo poi verso un altro famoso punto panoramico che si chiama Belvedere Castle, una costruzione ottocentesca che si affaccia sull’omonimo lago, ma la troviamo non accessibile in quanto in restauro. Allora accontentiamo Leonardo, che non sta più nella pelle, e andiamo, poco fuori il parco, al vicino Natural History Museum, che ha da poco aperto i battenti.

Il Museo di Storia Naturale di New York, fondato nel 1869, è sicuramente uno dei più importanti al mondo nel suo genere, per l’incredibile quantità e qualità dei reperti in esso contenuti, che spaziano a campo libero dalla formazione dell’universo all’evoluzione della vita sulla Terra.

Appena varcato il portone d’ingresso ci troviamo così davanti a due enormi scheletri: uno di Barosauro e l’altro di Allosauro, che occupano in pratica l’intero androne … ed è solo il prologo di quanto segue!

Scendiamo subito di un piano per andare a vedere la sezione riguardante la geologia del nostro beneamato pianeta, poi attraversiamo le sale dedicate ai mammiferi (ricche di esaurienti ricostruzioni), quindi la parte inerente gli antichi popoli nordamericani, con tanti totem e la gigantesca canoa Haida (lunga quasi 19 metri). Giungiamo poi nell’interessante area espositiva riguardante l’evoluzione umana, con antichissimi scheletri, fra i quali quello famoso di Lucy, piccolo ominide di sesso femminile vissuto 3,18 milioni di anni fa.

Dopo aver visto anche incredibili meteoriti completiamo la visita del piano attraversando le sale delle foreste nordamericane, nelle quali spicca la sezione di una colossale sequoia, quindi facciamo un giro nel grande salone a doppio volume dedicato alla vita degli oceani, con appesa al soffitto la ricostruzione a grandezza naturale di una balenottera azzurra, e risaliamo di un piano.

Qui facciamo una veloce carrellata dei mammiferi africani e di quelli asiatici, con la sensazione, a tratti, di trovarci dentro ad una scena del film “Una notte al museo”, girato proprio fra queste sale, quindi saliamo all’ultimo piano per visitare la sezione più importante, quella dedicata ai fossili dei grandi animali preistorici.

La Dinosaur Exhibit è davvero impressionante, perché non esiste al mondo una collezione simile, che conta ben 120 enormi scheletri e tanti bellissimi fossili, disseminati in cinque indimenticabili stanze … Una esperienza che da sola vale il prezzo del biglietto.

Per finire torniamo poi al piano inferiore, così da assistere alla proiezione di un film in 3D ambientato nella foresta amazzonica, che risulta interessante, ma non eccezionale … Tutto questo prima di tornare all’aria aperta dove nel frattempo, udite, udite, è arrivato a deliziarci anche il sole!

Pranziamo con i nostri panini a Central Park, ma non ci fermiamo troppo ad oziare e ben presto ci ritroviamo sull’autobus con il quale attraversiamo il parco per poi scendere sul lato opposto.

A piedi passiamo così davanti alla monumentale facciata del Metropolitan Museum, la cui vastissima collezione sarà forse oggetto di un prossimo viaggio nella Grande Mela, e in breve giungiamo di fronte all’originale architettura del Guggenheim Museum, la cui forma a spirale è opera del famoso architetto Frank Lloyd Wright, che lo realizzò negli anni cinquanta del Novecento.

Scattate le dovute foto in autobus torniamo all’estremità meridionale di Central Park e scendiamo, nella famosa 5th Avenue, proprio di fronte all’altrettanto noto Plaza Hotel, dove soggiornava il piccolo Kevin nel film “Mamma ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York”.

Da questo punto in avanti, verso sud, la 5th Avenue è un susseguirsi di celebri scorci della metropoli americana e si sviluppa fra due ali di splendidi grattacieli, fra i quali il Sony Building e la Trump Tower, voluta dal miliardario e attuale presidente degli Stati Uniti Donad Trump, che risiede negli ultimi tre piani dell’edificio. Ma altri personaggi famosi, nel tempo, hanno lì preso dimora, come Michael Jackson, Steven Spielberg, Elton John e Madonna, ma anche il sultano del Brunei ed il re saudita … Ora, stabilmente, davanti all’ingresso manifestano oppositori e sostenitori dell’eccentrico presidente.

Lungo la via si affacciano poi tutti i più noti negozi del lusso, a partire dalla storica vetrina di Tiffany, fiancheggiata dai principali marchi della moda mondiale.

Ad un certo punto però lasciamo la 5th Avenue e svoltiamo a destra sulla 53rd Street per andare a visitare il Museum of Modern Art, meglio conosciuto come MoMA e considerato fra i principali luoghi espositivi al mondo in tema di arte moderna … Non essendo però patiti in materia andiamo direttamente al quinto piano, dove sono conservate le opere più significative. Ci lasciamo così incantare dalla “Notte stellata” e “Gli olivi” di Vincent Van Gogh, ma anche “Les demoiselles d’Avignon”, “Il bagnante” e tanti altri capolavori di Pablo Picasso e poi stupende tele di Salvador Dalì, Claude Monet e gli italiani Modigliani e De Chirico … un caleidoscopio di colori a tratti inebriante.

Dopo un’oretta intensa a spasso per il MoMA torniamo sulla 5th Avenue e proseguiamo verso sud. In questo modo passiamo davanti alla bella St. Patrick’s Cathedral, splendido esempio di gotico francese in contrasto con gli altissimi grattacieli circostanti, e arriviamo al celeberrimo Rockefeller Center: un intero isolato fatto costruire negli anni trenta dal magnate del petrolio John D. Rockefeller.

Nel complesso di palazzi andiamo a vedere prima di tutto la famosa Plaza, dove nei mesi invernali si trova una pista di pattinaggio sul ghiaccio, sovrastata dal tradizionale albero di Natale, che viene qui allestito da oltre ottant’anni, poi ci mettiamo in fila per salire al Top of the Rock, spettacolare terrazza panoramica situata al settantesimo piano del più alto edificio, dalla quale di gode una vista mozzafiato a 360 gradi sull’intera Manhattan e la selva di grattacieli circostante.

Tornati con i piedi a terra attraversiamo la 5th Avenue e andiamo a visitare gli interessanti interni della St. Patrick’s Cathedral, quindi ci inoltriamo negli isolati ad est di quest’ultima per vedere velocemente la Villard House, edificio ottocentesco sopravvissuto al dilagare dei grattacieli, ma anche il Waldorf Astoria, storico hotel newyorkese ora in restauro, e la St. Bartholemew’s Church, piccola chiesa episcopale sovrastata dell’imponente sagoma del General Electric Building.

Poco più avanti osserviamo anche l’originale architettura della Central Synagogue, la più vecchia sinagoga ancora in uso a New York e, nelle vicinanze il Citycorp Building, grattacielo dal tetto inclinato a 45 gradi e dalla struttura priva di pilastri angolari. Infine il bizzarro Lipstick Building, dalle forme tondeggianti che ricordano, appunto, un rossetto.

Qui termina, in pratica, il primo intensissimo giorno di visite a New York e in metropolitana rientriamo alla base, poi ci procuriamo una buona ed economica cena al Whole Foods Market, che consumiamo sui tavolini di pubblico dominio collocati proprio di fronte all’Hotel Pennsylvania, ancora con splendida vista sull’Empire State Building.

In conclusione poi, sfiniti, ci ritiriamo in camera, mentre, a giudicare dalle email ricevute, le nostre valigie pare siano arrivate al JFK e in questo modo ci corichiamo, confidando in una loro veloce riconsegna.

Lunedì 13 Agosto:

Andiamo ad iniziare il secondo giorno nella Grande Mela con il cielo grigio ed una pioggerellina davvero poco entusiasmante …

Facciamo colazione e in metropolitana ci rechiamo verso il sud di Manhattan e più precisamente in direzione del quartiere di Chinatown, considerata la più vasta comunità cinese al di fuori del continente asiatico.

Appena usciti in strada veniamo però sorpresi da una pioggia più fitta. Così, in un negozio di cianfrusaglie, acquistiamo un ombrello da aggiungere a quello che già abbiamo (gli altri sono nelle valigie disperse) e poi, con determinazione, diamo il via alle visite.

In questo modo arriviamo a Canal Street, considerata un po’ il cuore di Chinatown, e lì andiamo a vedere il Mahayana Buddhist Temple che, eretto negli anni sessanta del secolo scorso, è il più grande tempio del genere a New York e custodisce la statua di un Buddha alta cinque metri.

Ci affacciamo poi su Mott Street, forse la più caratteristica via del quartiere, ma non la percorriamo perché la pioggia è aumentata ulteriormente, anzi, più avanti, all’imbocco di Mulberry Street e di Little Italy, ci fermiamo sotto ad una tettoia perché inizia a diluviare.

Restiamo fermi lì per oltre un’ora, poi finalmente rallenta e possiamo ripatire, allora, senza troppo entusiasmo, attraversiamo Little Italy, un tempo autentico quartiere italico d’oltreoceano ed ora solo l’ombra di se stesso, sempre più stritolato dalla crescita di Chinatown, ma comunque tempestato di tradizionali locali, più che altro a tema gastronomico.

Subito dopo ci inoltriamo nel cosiddetto Cast Iron District, che comprende quasi l’intero quartiere di Soho, dove resistono al dilagare dei moderni palazzi tanti storici edifici realizzati in ghisa fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, fra i quali l’Haughwout Building, risalente al 1856 e considerato un po’ il “Parthenon of cast-iron”, ed il Singer Building, che fu sede della celebre società produttrice di macchine da cucire.

Da lì, in metropolitana, ci spostiamo poi più a nord, lungo Broadway, fino a raggiungere il Cooper Foundation Building, edificio che nell’Ottocento fu sede di un noto istituto che offriva istruzione senza preclusioni razziali od economiche, e lì ci fermiamo nuovamente, perché ricomincia a piovere forte, ma questa volta ne approfittiamo per pranzare, in una zona riparata, con i nostri panini.

Dopo una disperata telefonata alla ricerca delle valigie e dopo essere stati rassicurati circa il loro recapito in serata (ma sarà vero?) riprendiamo l’itinerario, con la pioggia che sembra essersi placata. In questo modo arriviamo nella bella Washington Square, caratterizzata dal monumentale Washington Arch, eretto per commemorare il centenario dell’elezione dello storico presidente, e dalla presenza di una singolare statua di Garibaldi.

Nei paraggi passiamo quindi dalla Basketball Court, mitico campetto racchiuso fra alte reti metalliche, chiamato anche “La gabbia” e diventato famoso per una pubblicità della Nike, nel quale si esibiscono abitualmente i piccoli campioni di strada, ma che oggi, causa le condizioni meteo, risulta completamente deserto.

Subito dopo approdiamo nello storico quartiere chiamato Greenwich Village, considerato da sempre il più alternativo e anticonformista di New York, l’unico che non segue neppure la rigorosa griglia delle vie nord-sud ed est-ovest di Manhattan.

Qui si trovano ordinate file di basse costruzioni residenziali in mattoni rossi, risalenti al XIX secolo, lontane anni luce dagli enormi grattacieli e dalla modernità della metropoli, e sempre qui, al numero 10 della silente Luke’s Place, vediamo la mitica casa della fortunata serie televisiva “I Robinson”, che spopolò sul finire degli anni ottanta (Bill Cosby è oggi coinvolto in una brutta storia di presunte violenze sessuali, ma allora era una vera e propria star del piccolo schermo).

Al numero 75 di Bedford Street notiamo anche la più stretta casa di New York (solo tre metri), quindi usciamo dal quartiere in corrispondenza della 7th Avenue e li prendiamo la metropolitana che ci porta nei pressi di Union Square.

Appena emersi dal sottosuolo notiamo i palazzi tutto intorno caratterizzati dalla presenza sui tetti delle classiche cisterne d’acqua, che portano alla mente pellicole e fumetti del secolo scorso, quindi ci rechiamo presso il cosiddetto Block Beautiful, un gruppetto di case risalenti al XIX secolo, che mantiene ancora intatta l’atmosfera di quei tempi.

Raggiunto il vicino Madison Square Park, ampia area verde nella quale un tempo sorgeva il vecchio Madison Square Garden, osserviamo le splendide costruzioni limitrofe, a cominciare dal curioso Flatiron Building, che con i suoi 95 metri, quando fu eretto, nel 1902, risultava l’edificio più alto del mondo, ma che più che altro impressiona per la sua forma triangolare (a ferro da stiro, come indica il nome), offrendo una delle più note prospettive della Grande Mela.

Nelle vicinanze si trovano anche la Metropolitan Life Tower, costruita nel 1909 in stile rinascimentale italiano e alta 213 metri, il palazzo dell’Appellate Division of Supreme Court, caratterizzato da un sontuoso portico in stile corinzio, ed il New York Insurance Company Building, elegante grattacielo sovrastato da un luccicante tetto piramidale, che però non riusciamo a distinguere chiaramente fra il grigiore del cielo e la selva degli edifici circostanti.

A questo punto, in autobus, risaliamo Madison Avenue, tralasciando la visita al celebre Empire State Building, avvolto dalle nubi, e arriviamo all’incrocio con la 42nd Street, dove scendiamo per andare a vedere, sulla 5th Avenue, la monumentale facciata della New York Public Library e poco più in là la Grand Central Station, storica stazione dei treni e set di note pellicole cinematografiche, dove spicca il grande atrio a volta, dipinto con le costellazioni dello zodiaco (rappresentate al contrario per un errore dei progettisti!).

La Grand Central Station, a sua volta, è sovrastata dalla imponenti sagome del Metropolitan Life Building e del Chrysler Building, vero e proprio capolavoro dell’Art déco, che si staglia con i suoi 319 metri nel cielo (oggi fin troppo cupo) di New York e del quale andiamo a vedere anche l’elegante atrio.

A questo punto della giornata, visto che continua a piovigginare, andiamo in autobus fin sulle rive dell’East River per osservare, fra una goccia e l’altra, la sagoma del grande palazzo delle Nazioni Unite e nelle vicinanze i curiosi edifici di Tudor City, un intero quartiere dai piani elevati, costruito tutto in stile gotico-tudor negli anni venti del Novecento.

Ripreso l’autobus ci rechiamo poi a Times Square, definita anche “Crossroad of the world”, crocevia del mondo. In effetti questo luogo incredibile è il cuore pulsante di Manhattan e qui, fra milioni di lampadine, vaghiamo un po’ nei suoi dintorni per vedere i più famosi teatri di Broadway, come l’Amsterdam, dove in programma c’è lo spettacolo di “Aladdin”, o il Minskoff, dove viene rappresentato “The Lion King” e, ancora, il Majestic, nel quale dal 1998 va in scena “The Phantom of the Opera”, che ad oggi conta circa dodicimila repliche.

Passiamo poi accanto alla sede del New York Times e dopo ci fermiamo un po’ a contemplare gli psichedelici palazzi di Times Square, prima di far rientro alla base per cenare ed appurare, con grande dispiacere, che le valigie non sono ancora arrivate.

Più tardi, col sopraggiungere dell’oscurità, torniamo a Times Square, così da vederla al massimo della sua inebriante esplosione di luci e del suo brulicare di vita (del resto è qui che si può vivere, forse, il più famoso capodanno al mondo).

Lo spettacolo è incredibile, quasi irreale, ma non possiamo godercelo a lungo perché, purtroppo, comincia a piovere. Allora facciamo ritorno all’Hotel Pennsylvania e lì abbiamo la più gradita sorpresa di giornata, perché finalmente possiamo riabbracciare le nostre valigie, che subito portiamo festanti in camera, con la convinzione che così, da domani, potranno iniziare le vere e proprie vacanze!

Martedì 14 Agosto:

Indossando, grazie a Dio, una t-shirt diversa da quella della partenza e con un bel sole ad illuminare la scena prendiamo il via dall’Hotel Pennsylvania per il terzo ed ultimo giorno di visite a New York.

Facendo uso della metropolitana usciamo temporaneamente da Manhattan e raggiungiamo il quartiere di Brooklyn, così da rientrare a piedi verso il centro della Grande Mela attraversando l’omonimo e famosissimo ponte, che quando fu inaugurato, nel 1883, risultava essere la prima struttura sospesa d’acciaio al mondo, nonché quella con la campata più lunga (485 metri).

Saliti nella parte superiore del Brooklyn Bridge, dove si trova la passerella ciclo-pedonale, ci avviamo attraverso l’ordinato intreccio di cavi e l’elegante parte sommitale dei possenti piloni, con la splendida vista sullo skyline di Manhattan, anche se, inizialmente, alcune nuvole nascondono le vette più alte dei grattacieli … poi si dissolvono e lo spettacolo si fa sublime!

Scavalcato così l’East River arriviamo al cosiddetto Civic Center, un insieme di isolati nei quali sono concentrati alcuni dei più importanti edifici pubblici della città, come l’imponente Municipal Building, che ospita i più svariati uffici ed oltre duemila dipendenti comunali, affiancato dai monumentali edifici della United States Courthouse e della New York County Courthouse, rispettivamente corte di giustizia federale e della contea di New York … Il tutto crea un bel quadro d’insieme, impreziosito anche dalla vicina City Hall: elegante struttura che è sede dell’amministrazione municipale fin dal 1812.

Guadagnata Broadway cominciamo poi a seguirla verso l’estremo sud di Manhattan. In questo modo passiamo di fronte al Woolworth Building, maestoso edificio in stile gotico completato nel 1913, che per sedici anni risultò il più alto del mondo, con i suoi sessanta piani e 241 metri, quindi nei pressi della St. Paul’s Chapel, piccola chiesa coloniale attorniata da vertiginosi grattacieli, svoltiamo sulla destra per raggiungere il nuovo World Trade Center, completamente ridisegnato dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001.

Prima di tutto notiamo, ovviamente, la Freedom Tower, la primaria torre del nuovo complesso, che con i suoi 541 metri risulta, ad oggi, il più alto edificio degli Stati Uniti ed il sesto del pianeta. Subito a fianco si distingue invece la modernissima sagoma del Transportation Hub, stravagante e colossale opera dell’architetto Santiago Calatrava, inaugurata nel 2016, che è il centro di smistamento dei trasporti urbani e vale la pena di essere vista anche all’interno per la sua grande sala, nella quale ogni 11 settembre alle 10:28 (ora del crollo della seconda torre) risplende il sole attraverso un’apertura del soffitto.

Subito dopo arriviamo nel cuore del World Trade Center, ai piedi della Freedom Tower e al cospetto delle due grandi impronte, che ricordano la posizione originale delle Torri Gemelle, sui cui bordi si trovano scritti i nomi delle 2.974 vittime del vile attentato terroristico.

Al centro dell’area si trova il 9/11 Memorial Museum, che visitiamo per raggiungere quelli che erano, in parte, i sotterranei delle vecchie torri, dove sono conservati cimeli e resti della tragedia che, a distanza di quasi diciassette anni, ci appaiono ancora agghiaccianti.

Tornati all’aria aperta ci rechiamo infine nel vicino Liberty Park al cui centro è stata collocata The Sphere, moderna scultura dell’artista bavarese Fritz Koenig, che un tempo si trovava fra le Twin Towers e che è sopravvissuta agli eventi, seppur leggermente provata, ed ora fa bella mostra di sé sullo sfondo della Freedom Tower.

Ormai in tarda mattinata lasciamo il World Trade Center e, attraversata Broadway, ci avventuriamo nel Financial District, dove subito incontriamo l’austero palazzo della Federal Reserve, nel cui caveau, a 25 metri di profondità, sono stipate ben diecimila tonnellate di riserve auree.

Poco più lontano, in Wall Street, non possiamo fare a meno di notare il New York Stock Exchange, la borsa valori per eccellenza a stelle e strisce, uno dei luoghi più caldi e determinanti della finanza mondiale.

Sull’angolo opposto del crocevia spicca invece la Federal Hall, edificio ricostruito nell’Ottocento in stile greco revival, nel quale il 30 aprile 1789 giurò George Washington come primo presidente degli Stati Uniti d’America.

Da qui torniamo su Broadway e sbuchiamo proprio di fronte a Trinity Church, una delle più antiche chiese di New York, la cui prima versione, completamente in legno, risale al 1697, e quella attuale al XIX secolo, ma è chiusa per restauri, allora ci accontentiamo di esplorare brevemente il suo cimitero, disseminato di vecchie lapidi, alcune delle quali di importanti personaggi cittadini, e poi riprendiamo il nostro itinerario.

Percorriamo il tratto di Broadway noto anche come “Canyon of Heroes”, dove si svolgono e si sono svolte le più famose parate di New York, a cominciare da quelle militari, ma anche sportive o spaziali. Qui infatti sfilarono gli astronauti dopo lo sbarco sulla luna nel 1969.

Subito dopo giungiamo a Bowling Green, il più piccolo e vecchio dei parchi metropolitani, nel quale spicca la grande scultura bronzea dell’italiano Arturo Di Modica chiamata Charging Bull, vera e propria icona della borsa newyorchese, letteralmente assediata dai turisti … e da lì, in breve, arriviamo a Battery Park, vasta area verde che si sviluppa sulle rive dell’Hudson River, all’estremità meridionale di Manhattan, dove consumiamo il nostro classico pranzo al sacco.

Rifocillati a dovere ci rechiamo poi al vicino Castle Clinton, antica fortezza ottocentesca ospitante la biglietteria del traghetto che porta alla Statua della Libertà e all’adiacente Ellis Island. E lì affrontiamo una lunga coda (di quasi un’ora) al termine della quale prendiamo finalmente il largo, potendo assaporare la sublime prospettiva dello skyline di New York dalle acque del fiume.

Poco più tardi giungiamo così al cospetto di quello che è uno dei più famosi monumenti al mondo, donato dalla Francia agli Stati Uniti nel 1886 e opera del transalpino Frederic Auguste Bartholdi, con la collaborazione di Gustave Eiffel (quello della torre), che con i suoi 93 metri svetta all’entrata del più importante porto americano, e riusciamo a fotografarlo, dal ponte dell’imbarcazione, proprio prima che il sole se ne vada dietro a minacciosi nuvoloni.

Sbarchiamo su Liberty Island e a mala pena riusciamo ad immortalare la statua dalla sua base, prima che si scateni un violento temporale, che ci costringe a rifugiarci nell’attiguo gift shop, dove attendiamo, ben stipati, che si plachino le ire del meteo.

Quando finalmente smette di piovere riprendiamo il battello e raggiungiamo Ellis Island, dove ritroviamo pure qualche raggio di sole.

Qui esploriamo doverosamente quello che fu, fino al 1954 e per oltre sessant’anni, il principale centro americano per lo smistamento degli immigranti, dal quale transitarono oltre dodici milioni di persone, in gran parte anche italiani.

Al termine della visita rientriamo a Manhattan, mentre riprende a piovigginare, e da Battery Park prendiamo subito la metropolitana che ci porta nei pressi dell’Empire State Building, uno dei più famosi grattacieli esistenti che, inaugurato nel 1931, con i suoi 443 metri (compresa l’antenna) fu per oltre quarant’anni l’edificio più alto del mondo.

Questo è ormai l’unico luogo di un certo interesse della Grande Mela che manca al nostro appello, anche perché la sua vetta ieri era persa fra le nubi e ne avevamo rimandato la visita. Pure oggi le condizioni non sono ottimali, ma di certo migliori, allora, essendo il sito compreso nel nostro New York Pass e non avendo alternative in termini di tempo, decidiamo di dargli la scalata e in ascensore raggiungiamo la terrazza panoramica dell’ottantaseiesimo piano, da dove assaporiamo lo spettacolo ormai nella semioscurità … però torneremo, più tardi, per godercelo anche in versione notturna.

A piedi rientriamo al nostro hotel, che si trova poco distante, e dopo cena facciamo il percorso inverso per risalire sull’Empire State Building e osservare dall’alto l’incredibile mare di luci di New York …un’esperienza davvero indimenticabile.

Con gli occhi ancora pieni di meraviglia ci trasciniamo poi, stanchissimi, all’Hotel Pennsylvania, concludendo in questo modo il miglior capitolo della nostra tre giorni newyorkese.

Mercoledì 15 Agosto:

Il nostro Ferragosto a stelle e strisce è un giorno molto particolare perché lasceremo New York e partiremo per il previsto viaggio itinerante fra gli Stati Uniti ed il Canada e per far questo dovremo trasferirci dal centro di Manhattan al JFK, così da ritirare l’auto a noleggio prenotata fin da casa.

Svegliati alla solita ora consumiamo l’ultima (triste) colazione all’Hotel Pennsylvania e poi, in metropolitana, affrontiamo il lungo tragitto che ci conduce, nei pressi dell’aeroporto, alla zona degli autonoleggi. Lì ci rechiamo alla Avis, dove ci consegnano una Dodge Grand Caravan bianca (targata Florida GVV I46), con la quale partiamo per la nostra nuova avventura “on the road”.

Uscire dall’aera urbana della Grande Mela non è però così semplice, perché dobbiamo affrontare alcune stressanti code, che poi si dissolvono man mano che si procede verso la periferia … e il traffico si normalizza quando abbandoniamo lo stato di New York per entrare in quello del Connecticut, il terzo più piccolo della federazione americana e quello più meridionale dei sei che formano il cosiddetto New England.

Poco più tardi, intorno alle 13:00 e un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, arriviamo nell’autorevole cittadina di New Haven, prima tappa odierna e luogo di nascita dell’ex presidente George Walker Bush, ma soprattutto sede della prestigiosa Yale University.

Parcheggiamo l’auto e subito ci rechiamo a visitare il campus, che occupa gran parte del centro e ne caratterizza l’architettura, con il suo stile principalmente neo-gotico.

Passeggiamo nell’Old Campus, il nucleo originario di questa gloriosa università che, fondata nel 1701, ha avuto l’onore di formare ben quattro presidenti americani, quindi, negli isolati limitrofi, andiamo a vedere il complesso gotico del Memorial Quadrangle, nel quale spicca la bella Harkness Tower, e la Sterling Memorial Library, altro splendido edificio che ospita circa quattro milioni di preziosi volumi.

Percorriamo poi le vie circostanti, tutte fiancheggiate da tipiche costruzioni che danno l’impressione di camminare per le strade di Oxford e non certo per quelle di una cittadina americana.

In questo modo giungiamo anche all’Historic New Haven Garden, un vasto quadrilatero verde attraversato da Temple Street, dove si affacciano tre interessanti chiese ottocentesche: a nord la United Church, a sud la Trinity Church e al centro la First Church of Christ, considerata un capolavoro dello stile georgiano.

Pranziamo velocemente nel parco e poi, riconquistata l’auto, riprendiamo strada seguendo la costa del Long Island Sound verso nord-est.

Così facendo lasciamo il Connecticut per entrare nel Rhode Island, il più piccolo degli stati americani, e attraversando uno scenografico ponte arriviamo nella località di Newport, storica cittadina (sede per lungo tempo delle regate dell’America’s Cup) che nell’Ottocento accolse alcune delle più sontuose dimore dell’alta società a stelle e strisce.

Vista l’ora ormai tarda ci rechiamo subito a vedere la più importante delle residenze, chiamata The Breakers: un sontuoso edificio di oltre settanta stanze appartenuto al magnate delle ferrovie Cornelius Vanderblit II, i cui sfavillanti interni, degni di una reggia, sono l’innegabile testimonianza della potenza economica della casata.

Nei paraggi possiamo poi apprezzare altre importanti dimore, come Marble House, anch’essa della famiglia Vanderblit, oppure Rose Cliff, ispirata al Grand Trianon di Versailles, e lo Château sur Mer, in stile Secondo Impero. Ma tante altre sono disseminate un po’ ovunque nel promontorio a sud dell’abitato.

Passiamo infine a dare un’occhiata agli edifici più rappresentativi del centro di Newport, come la settecentesca Trinity Church o la Old Colony House, caratteristico edificio dalla cui balconata fu letta la dichiarazione d’indipendenza dello stato, ma anche la Touro Synagogue, la più antica sinagoga d’America, qui eretta nel 1763, poi partiamo con sollecitudine verso l’hotel che ci ospiterà per questa notte, perché si sta facendo tardi.

Con le ombre lunghe della sera e dopo aver varcato anche il confine fra gli stati del Rhode Island e del Massachusetts arriviamo così alla periferia della cittadina di Brockton, dove prendiamo alloggio in un motel della catena Super 8.

Lasciamo i bagagli in camera e andiamo subito a cena nella vicina Texas Steak House, concludendo una prima discreta giornata a spasso per il New England.

Giovedì 16 Agosto:

Sveglia accompagnata da un bel sole splendente … un particolare non certo trascurabile in prospettiva dell’odierna visita alla città di Boston.

Ancora però non siamo nella capitale del Massachusetts e per raggiungerla dobbiamo percorrere circa cinquanta chilometri di strade piuttosto trafficate. Così, in leggero ritardo rispetto alle previsioni, giungiamo alla periferia di questo agglomerato (la cui area metropolitana conta circa 4,5 milioni di abitanti), nel sobborgo di Alewife, dove si trova un capolinea della metropolitana ed un grande parcheggio multipiano nel quale lasciare in deposito la nostra auto.

Acquistato il 1-day pass, con i mezzi pubblici, guadagniamo il centro di Boston, che è uno dei più antichi insediamenti del nuovo mondo, fondato nel 1630, e che fu teatro di numerosi eventi legati alla rivoluzione americana.

Possiamo così iniziare la nostra esplorazione dalla Hancock Tower, che con i suoi 226 metri è il più alto edificio cittadino e di tutto il New England, ai cui piedi si trova la pregevole Trinity Church, armoniosa chiesa ottocentesca considerata fra le più belle d’America, ma per visitare gli interni si paga e vi rinunciamo per principio (se non si paga per entrare a San Pietro non vedo perché lo si debba fare qui!).

Ci spostiamo allora, con la metropolitana, al quartiere di Beacon Hill, il più esclusivo di Boston, disseminato di storici edifici in stile inglese, con facciate in mattoni rossi, che raggiungono la loro massima espressione nella silente Louisburg Square.

Seguendo le vie principali della zona giungiamo così di fronte alla State House, possente edificio neoclassico sovrastato da una cupola dorata, che è sede del governo dello stato, e da lì cominciamo a seguire il Freedom Trail, un percorso turistico segnato da una linea rossa che attraversa il centro storico, passando dai luoghi di maggiore interesse.

In questa maniera arriviamo alla vicina Park Street Church, caratteristica chiesa terminata attorno al 1810 il cui campanile, alto 66 metri, fu il più alto edificio d’America per quasi un ventennio.

Proprio di fianco si trova invece l’Old Granary Burial Ground, storico cimitero gremito di vecchie lapidi su di un verdissimo prato, fra le quali spiccano quelle di alcuni eroi della rivoluzione americana, come Paul Revere, Samuel Adams e John Hancock.

Continuando l’itinerario visitiamo la georgiana King’s Chapel e poi passiamo di fronte alla Old City Hall, sul cui marciapiede si trova la placca che indica l’originaria posizione della First Public School House, ovvero la Boston Public School, la più antica scuola pubblica d’America, risalente al 1634.

In fondo alla strada c’è poi una piazzetta sulla quale prospettano gli edifici storici dell’Old Corner Bookstore e dell’Old Meeting House, chiesa dove si tennero numerose e infuocate riunioni, che sfociarono successivamente nei moti rivoluzionari.

Poco più avanti arriviamo di fronte alla costruzione simbolo della città: la Old State House, che è l’edificio pubblico più antico di Boston, risalente al 1713, quando era sede dei governatori britannici.

Dalla sua balconata, il 18 luglio 1876, venne proclamata la dichiarazione d’indipendenza, mentre nella spazio antistante sei anni prima si era consumato il Boston Massacre, uno degli episodi cardine della rivoluzione, ricordato oggi da un cerchio in pietra sul selciato.

Camminando lungo Congress Street giungiamo poi al cospetto dell’intrigante palazzo di Faneuil Hall, vera e propria anima di Boston, che fu (ed è tutt’ora) luogo di importanti riunioni, durante le quali tanti candidati alla presidenza degli Stati Uniti hanno tenuto i loro discorsi. Il settecentesco edificio si trova proprio di fronte al Quincy Market, da sempre centro di distribuzione delle più svariate merci al dettaglio.

Da qui una bella camminata sulle tracce del Freedom Trail ci porta nel cuore del quartiere italiano di Boston (disseminato di locali tricolori molto più della Little Italy newyorkese), dove si trova, fra l’altro, la casa del patriota Paul Revere, oltre alla Old North Church, la più antica chiesa di Boston, dal cui campanile, il 18 aprile 1775, partirono i segnali che diedero inizio alla rivoluzione americana.

Giunti così sulle rive del Charles River, il più importante fiume della città, lo attraversiamo sul Charlestown Bridge e arriviamo sul molo che ospita la USS Constitution: la più antica nave da guerra americana, varata nel 1797 e mai sconfitta.

Esploriamo (gratuitamente) il glorioso bastimento e poi, dopo aver pranzato in una vicina area verde, saliamo sul pubblico traghetto che da qui ci conduce, attraverso il porto di Boston, alla downtown della capitale del Massachusetts.

Una volta sbarcati andiamo alla ricerca della più vicina stazione della metropolitana, dalla quale, dopo un paio di cambi di linea, prendiamo la via di Alewife per tornare al punto di partenza. Ma non arriviamo al capolinea, perché prima ci fermiamo nel sobborgo di Cambridge per andare a vedere la rinomata università di Harvard, il più antico ateneo degli Stati Uniti, fondato nel lontano 1636, e quello che ha formato più premi Nobel e più presidenti di qualunque altro al mondo.

Entriamo nel mitico campus, contornato da notevoli edifici, fra i quali spicca la statua di John Harvard, emerito finanziatore al quale l’università è stata intitolata, dove tanti giovani fanno la fila per fotografarsi toccando, chissà per quale motivo, i piedi del noto personaggio.

Nei paraggi si trovano anche la Widener Library, una delle più vaste biblioteche al mondo, e la Memorial Church, costruita per commemorare gli studenti scomparsi nelle guerre mondiali, ma anche, poco fuori il campus, il monumentale palazzo della Memorial Hall, eretto (in stile gotico vittoriano) a servizio dell’università e in memoria degli studenti caduti nella guerra di secessione.

Completata anche l’esplorazione di Harvard riguadagniamo la metro e poco più tardi la nostra auto, con la quale partiamo subito per lasciarci Boston alle spalle, impiegando però fin troppo tempo per farlo, causa l’intenso traffico.

Più tardi abbandoniamo anche il Massachusetts per entrare nello stato del New Hampshire, ma non per molto, perché poi varchiamo anche il confine del Maine, il territorio collocato più a nord-est della federazione americana.

Appena oltrepassata la linea di frontiera usciamo poi dalla Highway numero 95 per andare a Cape Neddick, un promontorio proteso sull’Oceano Atlantico, che ospita, su di un isolotto prospiciente, il Nubble Lighthouse, uno dei più scenografici e fotogenici fari dello stato.

Dedicato al luogo il minimo del tempo sindacabile percorriamo quindi il tratto di costa limitrofo, molto turistico e disseminato di splendide case realizzate nella tipica architettura del New England, e a breve distanza giungiamo nella località di Perkins Cove, delizioso paesino di pescatori ubicato in una stretta baia e caratterizzato dalla presenza di un bianco ponte pedonale e levatoio, l’unico del genere negl’interi Stati Uniti.

Terminata l’esplorazione del villaggio ci rendiamo conto che, anche causa le lunghe code fatte per uscire da Boston, si sta facendo decisamente tardi, così dobbiamo saltare lo stop presso il faro di Portland Head, che probabilmente avrebbe meritato un po’ di attenzione, e superata anche Portland, capitale del Maine, giungiamo quasi col buio nella cittadina di Brunswick, dove prendiamo alloggio al Traveler Inn.

Poco più tardi, poi, davanti ad una buona pizza, mettiamo fine ad un’ottima ed intensa giornata, durante la quale abbiamo colto la sensazione di cominciare ad entrare in contatto con la prorompente natura del grande nord americano.

Venerdì 17 Agosto:

Proseguiamo oggi nell’esplorazione del Maine e lo facciamo partendo verso nord sulla strada numero 1 (proprio la stessa strada che arriva fino a Key West, in Florida!).

Dopo una quarantina di chilometri svoltiamo però sulla destra, verso un frastagliatissimo tratto di costa per andare a Pemaquid Point, che è un gradevole promontorio roccioso sovrastato da uno storico faro, commissionato nel 1827 dal presidente Adams in persona. Qui scattiamo qualche foto e visitiamo il piccolo museo dei pescatori, poi riprendiamo con sollecitudine il nostro itinerario, perché ci attendono quasi duecento chilometri di asfalto prima di giungere alla prossima meta.

Riconquistata la numero 1 la percorriamo verso nord fiancheggiando la Penobscot Bay, disseminata di graziosi paesini, e così facendo arriviamo nella cittadina di Ellsworth, alla quale dovremo tornare per la notte. Da qui infatti seguiamo le indicazioni per Mount Desert Island e per l’Acadia National Park, da dove poi dovremo tornare indietro.

Dopo una manciata di chilometri attraversiamo il ponte che ci conduce sull’isola e poco più tardi, nella località di Bar Harbour, acquistiamo il pass e varchiamo il gate di questo parco nazionale che, istituito nel 1919 su di un terreno acquistato da John D. Rockefeller ed altri mecenati per salvarlo dalle mire dei commercianti di legname, è l’unico del New England ed il più visitato degli Stati Uniti dopo il mitico Yellowstone.

Ci avventuriamo così lungo le sue strade, mentre dall’oceano stanno risalendo alcune poco simpatiche nuvole, e prima di tutto saliamo verso Cadillac Mountain, l’altura che domina l’intero parco.

A poca distanza dalla vetta facciamo sosta al Blue Hill Overlook, un bel punto panoramico la cui vista, che spazia verso le lande occidentali ed il sottostante Eagle Lake, è però disturbata da un po’ troppa foschia.

Giunti infine alla sommità ne approfittiamo per rifocillarci e subito dopo andiamo a gustarci la veduta su Bar Harbour e la costa orientale dell’isola, anche se le nuvole si sono fatte fin troppo invadenti e guastano decisamente la festa.

Scendiamo, non completamente soddisfatti, da Cadillac Mountain e proseguendo nell’esplorazione del parco andiamo verso sud ed il suo cuore più montuoso, fino al parcheggio dal quale parte il Bubble Divide Trail, che siamo intenzionati a percorrere, almeno in parte.

Brighiamo un po’ a parcheggiare, perché l’area di sosta è al completo, poi riusciamo, così possiamo avviarci lungo il sentiero, che si presenta subito in salita, ma non particolarmente difficoltoso. Allora in breve diamo scalata alla collina di fronte a noi e giungiamo alla strabiliante Bubble Rock, la principale attrazione del trail.

È un grosso masso erratico di granito, di origine glaciale che pare arrivi, per le sue caratteristiche, da oltre sessanta chilometri di distanza, rimasto miracolosamente in bilico sul fianco della montagna. Fa davvero impressione e ci divertiamo ad immortalarlo da ogni angolazione, pure nell’intento scherzoso di farlo rotolare definitivamente a valle, poi riprendiamo il cammino e conquistiamo anche la balconata naturale che offre un bello scorcio sul sottostante lago di Jordan Pond e, più in lontananza, sulle coste oceaniche.

Riguadagnata l’auto torniamo quindi un po’ sui nostri passi fin quasi all’ingresso del parco per imboccare la Park Loop Road, strada a senso unico che segue il profilo costiero di Mount Desert Island in senso orario. Passiamo così da Sand Beach, un’ampia e scenografica spiaggia che però non risalta a dovere causa l’assenza del sole, e da Thunder Hole, un accidentato tratto di costa nel quale le onde si infrangono spesso con violenza … non oggi però, visto il mare particolarmente tranquillo.

Esplorata brevemente la zona riprendiamo poi strada per doppiare il promontorio roccioso di Otter Point, quindi usciamo momentaneamente dal parco verso ovest, per andare in direzione della punta più meridionale dell’isola, dove si trova il Bass Harbour Head Lighthouse.

Questo piccolo faro, costruito nel 1858, sovrasta alcune esilaranti scogliere ed offre un bello spettacolo, soprattutto al tramonto. Uno spettacolo per noi, però, in parte rovinato da alcune nuvole che stanno arrivando, minacciose, da ovest e che, con ogni probabilità, ci renderanno non troppo piacevole anche la giornata di domani.

Consumata quest’ultima esperienza, ormai nella semioscurità, ci avviamo con sollecitudine verso il termine della tappa e all’uscita di Mount Desert Island ci fermiamo a cenare al Trenton Bridge Lobster Pond, un locale, che fra l’altro mi era capitato di vedere in un programma televisivo (Man fire food), famoso nella zona per servire le squisite aragoste del Maine ad un prezzo onesto. Così, adeguatamente sazi, poco più tardi giungiamo all’Eagles Lodge Motel di Ellsworth per trascorrervi la notte.

Sabato 18 Agosto:

All’inizio della seconda settimana di vacanza ci alziamo, come da previsioni, sotto ad un cielo cupo, ma almeno non piove. La sveglia poi suona prima del solito, perché ci attende la tappa più lunga del viaggio (circa 760 chilometri).

Ricomposti bagagli ed equipaggio ci avviamo così verso l’interno, lungo le strade del Maine, e subito ci imbattiamo in nuvole basse che rendono il tutto simile alla cara Pianura Padana nei mesi invernali, perché non si vede oltre i duecento metri e non è proprio possibile godersi il panorama.

Dopo circa due ore dalla partenza giungiamo al confine con il Canada, dove ci fanno una bella serie di domande di routine (a volte anche piuttosto stupide), ma non ci sono problemi, così possiamo mettere piede in questo smisurato stato, che è il più grande del continente americano ed il secondo al mondo, dopo la Federazione Russa.

La nostra porta d’ingresso è la provincia del New Brunswick e prima di tutto spostiamo le lancette dell’orologio avanti di un’ora, sul fuso locale, poi, abbandonate le miglia e tornati al sistema metrico, percorriamo ancora un discreto tratto di strada, passando fra l’altro anche dal capoluogo Saint John, e, mentre comincia a piovigginare, arriviamo a Kings County, una contea che va famosa per i suoi ponti coperti.

Appena usciti dalla superstrada andiamo a vedere il French Village Covered Bridge … ma, con grande sorpresa non lo troviamo, perché al suo posto c’è una moderna struttura. Allora torniamo indietro e ci rechiamo al vicino Darling Island Covered Bridge, costruito nel 1914 e lungo 42 metri. Questo c’è e possiamo fotografarlo, anche se chiuso al traffico.

Successivamente arriviamo anche allo Smithtown Covered Bridge, risalente al 1914 e lungo 57 metri, che si può pure percorrere in auto, così come l’ultimo, il Bloomfield Covered Bridge, della stessa lunghezza ma costruito tre anni più tardi.

Tutti belli e caratteristici i ponti di Kings County, seppur grezzi e non colorati come quelli americani visti a Madison County e resi famosi dall’omonimo film, tanto che, seppur incupiti dalla giornata uggiosa, hanno sicuramente meritato il tempo a loro dedicato.

Ripresa la superstrada andiamo spediti verso nord-est e la prossima meta, mentre si scatena un vero e proprio nubifragio, che si protrae anche nel tempo e rallenta un po’ la tabella di marcia prevista.

Passiamo attraverso il Fundy National Park, che avrebbe potuto offrire qualche occasione per vedere la fauna selvatica, ma non ci fermiamo, un po’ per il fatto che piove forte, ma anche perché abbiamo fretta di conquistare il successivo parco, quello di Hopewell Rocks, prima che il sopraggiungere dell’alta marea ce ne possa impedire la visita (le maree nella Baia di Fundy, dove ci troviamo, sono le più alte del mondo!).

Arriviamo così nel vasto parcheggio di Hopewell Rocks, mentre continua inesorabilmente a diluviare …

Pranziamo in auto e poi attendiamo il limite ultimo delle 15:00, quando finalmente rallenta un po’ lasciandoci, forse, un’ora di tempo per visitare questo incredibile tratto di costa, camminando sul fondo del mare, prima che l’acqua lo invada nuovamente.

Indossiamo scarponi e mantelle impermeabili, poi corriamo verso la biglietteria e un quarto d’ora più tardi scendiamo la scala che ci porta a camminare in riva all’oceano fra stupefacenti conformazioni: un delizioso caos di pinnacoli e archi modellati dall’erosione nel corso dei millenni … Tutto molto bello! … certo che se ci fosse stato il sole …

Vaghiamo per quanto possibile fra le scogliere di arenaria rossastra di Hopewell Rocks, fin quando, poco prima delle 16:00, gli addetti del parco ci fanno risalire alla sommità delle falesie, mettendo fine alla nostra bagnata ma indimenticabile avventura.

Tornati sui nostri passi ci rifugiamo nell’auto ad asciugarci e poi riprendiamo strada. In questo modo arriviamo nella città di Moncton, alla cui periferia andiamo a provare l’esperienza dell’enigmatica Magnetic Hill, la principale attrazione turistica della zona da oltre un secolo … Qui, lungo un tratto rettilineo di asfalto la sensazione si fa davvero strana perché, sarà sicuramente una illusione ottica, ma il nostro veicolo, lasciato in folle, dà proprio l’impressione di andare in salita!

Terminata questa veloce esperienza sono quasi le 18:00 e dobbiamo percorrere ancora circa 250 chilometri per giungere alla meta. Per fortuna però sono tutti di scorrevole superstrada, così, dopo aver lasciato il New Brunswick ed essere entrati nella provincia della Nova Scotia, poco dopo le 20:00 arriviamo a Darthmouth, praticamente un sobborgo del capoluogo Halifax, e lì prendiamo alloggio al Coastal Inn.

Vista l’ora per cena dobbiamo accontentarci di una pizza da asporto e in questo modo, non certo glorioso, concludiamo una lunghissima e fin troppo umida giornata … ma da domani dovrebbe migliorare.

Domenica 19 Agosto:

Non piove quando ci svegliamo, ma il cielo è ancora tutto maledettamente grigio.

Facciamo colazione e, attraversato il grande Macdonald Bridge, andiamo verso il centro di Halifax per vedere i suoi pochi luoghi di un certo interesse. In effetti non ha molto da offrire questa città, che oltre ad essere luogo di sepoltura di parecchie delle vittime del Titanic, affondato nel 1912, seicento miglia al largo di queste coste, ospita solo qualche interessante edificio, a cominciare dall’Historic Propertis, un isolato di vecchie case ora trasformato in una zona commerciale, oppure, nelle vie centrali, la Province House, edificio georgiano che è sede dell’assemblea legislativa della Nova Scotia, fiancheggiato dal curioso tempietto greco che contiene la principale sala biliardi della città.

Passeggiando arriviamo poi al Grand Parade, uno spazio verde sul quale prospettano l’ottocentesca e monumentale City Hall e la bianca St. Paul’s Church, che è la più antica costruzione di Halifax, eretta nel 1750.

Infine saliamo sulla collina che domina l’abitato, dove si trova l’Old Town Clock, vecchio orologio a torre che è un po’ il simbolo della città (ma è in restauro e completamente nascosto dalle impalcature), oltre alla cittadella, massiccia opera difensiva di fine XVIII secolo, chiamata anche Fort George, per accedere alla quale si deve acquistare un biglietto che non siamo proprio disposti a pagare. Allora, visto che siamo in Scozia, seppur Nuova, ci accontentiamo di fotografare la guardia in kilt che staziona davanti all’ingresso e poi facciamo ritorno alla nostra auto per intraprendere l’odierna tappa on the road.

Andiamo lungo la costa a sud di Halifax e così facendo, dopo meno di un’ora, giungiamo in riva all’oceano nel paesino di Peggy’s Cove, una delle località più pittoresche e fotografate della Nova Scotia.

Il villaggio, fondato nel 1811 come semplice insediamento di pescatori, è oggi un minuscolo centro amato da artisti e fotografi di tutto il mondo, per la sua idilliaca posizione in fondo ad una tranquilla baia contornata da granitiche scogliere. Il tutto, ovviamente, è dominato dal più classico dei fari atlantici, autentico ruba-scatti al quale non riusciamo proprio a sottrarci, grazie anche a qualche timido raggio di sole.

Osserviamo poi le semplici ma colorite casupole che, affacciandosi sul porticciolo, danno vita a scorci davvero tipici della regione, poi, con calma, lasciamo anche Peggy’s Cove, che fra l’altro va anche famoso per una tragedia aerea (volo Swissair 111) qui consumatasi nel 1998 e ricordata da un memoriale che però non ci fermiamo a contemplare.

Seguendo così il profilo costiero verso sud-ovest transitiamo nel caratteristico villaggio di Mahone Bay e giungiamo, poco dopo mezzogiorno, nella località di Lunenburg, inclusa fin dal 1995 nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco per la sua architettura, ritenuta un perfetto esempio di insediamento coloniale britannico in Nord America.

Parcheggiamo nei pressi del centro e, dopo aver consumato il nostro classico pranzo a base di sandwich, partiamo a piedi per esplorare la cittadina, sempre, però, nel grigiore di questa giornata “scozzese”.

Prima di tutto ci rechiamo al porto, dove tuttavia non c’è ormeggiata, come spesso accade, la nave Bluenose II, perfetta copia dell’omonimo veliero simbolo del Canada, riprodotto sulle monete da dieci cent e sulle targhe automobilistiche della Nova Scotia.

Risaliamo poi lungo la scenografica King Street, fiancheggiata dagli edifici più prestigiosi e nei dintorni andiamo a vedere, anche internamente, la Knaut Ruhlan House, una delle più importanti e storiche dimore di Lunenburg.

Passeggiamo quindi senza meta per le vie della città, disseminate di interessanti e tipiche costruzioni in legno, ma anche di tante auto, che stonano decisamente e che potrebbero essere parcheggiate, vista l’importanza del luogo, più in periferia.

In questo modo arriviamo di fronte alla bella St. John Anglican Church e poco più in là alla Zion Evangelical Lutheran Church, edifici religiosi molto rappresentativi dell’epoca d’oro di Lunenburg, e passo dopo passo concludiamo il nostro giro turistico davanti al palazzo della Lunenburg Academy, importante edificio vittoriano, completamente realizzato in legno sul finire del XIX secolo, che funzionò come scuola fino al 2012.

Riguadagnata l’auto, prima di lasciare Lunenburg, andiamo a fotografare il porto dalla parte opposta della baia, quindi partiamo per la seconda e impegnativa frazione di giornata, che prevede un trasferimento di quasi cinquecento chilometri.

La via è sì molto lunga ma anche scorrevole, così, ben prima delle 20:00 conquistiamo la località di North Sydney e l’Highland Motel, da dove domani prenderemo il via per esplorare il Cape Breton Highlands National Park, confidando nella clemenza delle condizioni meteo, oggi non troppo favorevoli e anche dispettose, visto che nel pomeriggio e a visite ultimate è anche uscito fuori un bel sole.

Lunedì 20 Agosto:

Splende un bellissimo sole … cosa rara, secondo le recensioni, per il Cape Breton Highlands National Park, il primo parco delle province atlantiche canadesi, istituito nel 1936 per preservare un vasto e selvaggio territorio affacciato sull’oceano, e forti di questo onore partiamo per esplorarlo. Ci sono però da percorrere circa novanta chilometri prima di giungere al suo ingresso … chilometri che addirittura aumentano, perché il traghetto che avremmo dovuto prendere non è operativo e la strada in alternativa è abbastanza più lunga.

Comunque sia cominciamo a seguire il Cabot Trail, una delle più note strade panoramiche canadesi, che intorno alle 10:00 ci permette di entrare nel parco, non prima però di avere acquistato il necessario permesso al centro visitatori.

Due curve dopo l’ingresso, fra lo stupore generale, ci attraversa la strada una bella volpe … e speriamo sia di buon auspicio per il proseguo della vacanza e che la sorte ci regali tanti altri avvistamenti.

Subito dopo giriamo per la strada che porta prima alla vasta Igonish Beach e poi al Keltic Lodge, storico resort in stile tudor, risalente al 1940, collocato in bella posizione panoramica su questo tratto di costa.

Scattiamo qualche foto e poi riprendiamo il Cabot Trail fino a Green Cove, una piccola penisola rocciosa protesa nell’oceano sulla quale facciamo una breve passeggiata.

Più avanti la principale strada del parco devia verso l’interno, mentre noi ne seguiamo una secondaria che prosegue verso nord lungo la costa (lo Scenic Loop) e arriva a White Point. Lì, dove termina il nastro d’asfalto, parcheggiamo l’auto e a piedi andiamo a vedere il panorama sul selvaggio promontorio.

Rientrati nuovamente nel Cabot Trail lo seguiamo per sbucare sul mare a Pleasant Bay, ormai rivolti a occidente, e da lì iniziamo il tratto di strada più spettacolare del parco, che sale subito di quota fra grandiosi panorami.

Abbandonato poi, momentaneamente, il profilo costiero facciamo sosta per affrontare il breve Bog Trail, che si sviluppa in una torbiera su delle passerelle in legno … un’occasione durante la quale speravamo di intravvedere almeno un alce, ma niente! … solo un serpentello all’imbocco del sentiero.

Più avanti, lungo il principale tracciato del parco, ci fermiamo presso l’ampio parcheggio dal quale prende il via lo Skyline Trekking, la più famosa escursione di Cape Breton Island, fin troppo nota vista la quantità di gente presente, che spegne un po’ in noi la speranza di avvistare qualche animale.

Pranziamo e poi ci avviamo lungo il sentiero, che si sviluppa fra interessanti scenari naturali, ma di fauna selvatica, con un pizzico di delusione, neanche l’ombra …

La passeggiata, dopo oltre tre chilometri, porta ad un superlativo punto panoramico sulla costa, che ci godiamo prima di rifare in tragitto inverso fino all’auto.

A questo punto della giornata sono le 15:30 e dobbiamo percorrere ancora circa 350 chilometri di strada, in gran parte anche contorta, per giungere al termine della tappa, quindi conveniamo di partire subito, senza perdere altro tempo.

Ma quanto è lunga la Nova Scotia? … Maciniamo inenarrabili quantità di asfalto e lungo il tragitto facciamo un’unica piccola deviazione, alla località di Pictou, sul cui molo è ancorata una copia della nave Hector, che nel 1773 sbarcò proprio qui i primi coloni scozzesi, poi arriviamo nella città di Truro, dove prendiamo alloggio per la notte al Willow Bend Motel, concludendo una bella ma, per certi versi, non indimenticabile giornata.

Martedì 21 Agosto

In questa frazione di lunghissimo trasferimento (circa 750 chilometri) lasceremo la Nova Scotia per giungere in Québec.

Prima di entrare nella regione francofona per eccellenza del Canada, però, dobbiamo ripassare per il New Brunswich e qui facciamo qualche sosta, seppur di limitato interesse, per spezzare un po’ la monotonia del viaggio.

Prima di tutto ci fermiamo nel paese di Sackville per fare una breve passeggiata lungo le passerelle del suo Waterfowl Park, un’area paludosa nella quale c’è occasione di osservare qualche esemplare dell’avifauna locale, poi facciamo un altro po’ di strada fino alla località di Boutouche, che offre qualche altra opportunità di sosta.

Qui andiamo a visitare Le Pays de la Sagouine, la ricostruzione, su di un’isoletta collegata alla terraferma mediante un lungo pontile in legno, di un villaggio di pescatori, ispirato ad un romanzo della scrittrice acadiana Antonine Maillet … ma, seppur carino, risulta tutto fin troppo falso … e poi non conosciamo l’autrice, quindi non la si può certo definire una pagina esaltante del viaggio.

Ci spostiamo quindi alla Duna di Boutouche: un tratto di costa, visitabile anch’esso tramite una passerella in legno, che è, per le sue caratteristiche naturali, zona protetta, ma scenograficamente nulla di speciale.

Da qui affrontiamo poi quasi trecento chilometri di strada abbastanza monotona, al termine della quale entriamo in Québec, guadagnando anche un’ora di fuso orario.

Appena oltrepassato il confine ci fermiamo a fotografare, solo per curiosità, il bizzarro Château Bahia, un hotel (abbastanza squallido) costruito, tutto in legno, sulle forme di un castello medioevale, quindi proseguiamo per un breve tratto lungo la costa fino al Parc National de Miguasha, istituito nel 1985 e dal 1999 inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco con l’intento di proteggere la più importante zona di ritrovamento, al mondo, di fossili del periodo Devoniano (circa 370 milioni di anni fa).

Osserviamo così gli straordinari reperti del museo, che sono soprattutto piante e pesci di epoca preistorica e poi scendiamo alla spiaggia per vedere le scogliere dalle quali si estraggono la maggior parte dei preziosi fossili esposti, completando un’esperienza, sotto certi aspetti, eccitante.

A questo punto della giornata vorremmo anche salire, nei pressi della vicina località di Carleton, sulla vetta del Mont St. Joseph, dove si trova un santuario e dal quale si dovrebbe godere di una vasta veduta sulla regione. Giunti però in cima ci troviamo di fronte ad una sbarra e una biglietteria … 8 dollari a testa ci sono sembrati decisamente troppi per una foto panoramica (neanche fosse il Grand Canyon!), così torniamo sui nostri passi riguadagnando in breve la quota mare.

Impostiamo poi il navigatore sulla cittadina di Percé, odierna sede di tappa alla quale mancano ancora circa duecento chilometri, e ci mettiamo in movimento.

Così facendo arriviamo a destinazione intorno alle 19:30 e ci accasiamo presso il Motel Panorama, dal quale domani mattina partiremo per esplorare la selvaggia regione della Gaspésie, che ci impegnerà per almeno due giorni.

Mercoledì 22 Agosto:

Ci svegliamo a Percé, in quella che è una delle più note località turistiche del Québec, posta quasi all’ingresso del grande estuario del fiume San Lorenzo, e lo facciamo con sollecitudine perché prima di tutto dobbiamo recarci ad acquistare i biglietti per l’imbarcazione che ci porterà alla dirimpettaia Île-Bonaventure.

In cielo c’è qualche nuvola di troppo, ma anche diversi sprazzi di sereno, che speriamo reggano il più possibile, visto che in previsione c’è un peggioramento.

Comperiamo i biglietti per la barca delle 9:00 e poi ci rechiamo nel promontorio ad est dell’abitato per vedere da vicino la famosa Rocher Percé, che è un’enorme formazione rocciosa situata a poca distanza dalla costa e alta 88 metri, caratterizzata da un grande arco (alto 15 metri) nella sua parte più al largo. (Un tempo gli archi erano due, ma il secondo crollò nel 1845, lasciando solo un poderoso faraglione come ricordo).

La roccia con la bassa marea, che c’è proprio questa mattina, è raggiungibile anche a piedi, ma il sentiero che vi dà accesso non è breve e dobbiamo rinunciarvi per motivi di tempo.

Dobbiamo infatti correre al molo di Percé, dove troviamo già una bella fila di persone in attesa dell’imbarcazione. Nonostante tutto riusciamo a salire sul primo battello di giornata, che ci condurrà sull’Île-Bonaventure, un fazzoletto di terra di circa quattro chilometri quadrati che assieme alla Rocher forma, per le sue bellezze naturali, un piccolo parco nazionale fin dal 1985.

Prendiamo il largo mentre splende un bellissimo sole, che ci permette di osservare nelle migliori condizioni possibili la Rocher Percé dal mare, con il suo splendido arco che si staglia sull’azzurro del cielo, poi la barca arriva nei pressi dell’Île-Bonaventure e si appresta ad effettuarne il periplo in senso orario.

Fiancheggiamo così le alte e spettacolari scogliere che ne caratterizzano la costa orientale, alla cui base notiamo numerosi esemplari di foca, e proseguendo nella navigazione giungiamo anche alle falesie che ospitano le vastissime colonie di sule per le quali l’isola va famosa.

Intorno alle 9:30 sbarchiamo poi nell’Anse à Butler, sul lato occidentale di Bonaventure e dopo un breve briefing dei guardia-parco ci avviamo lungo il Sentier des Colonies, che attraversa l’isola, mentre le tanto temute nuvole pare siano già arrivate.

Dall’altra parte, dove si trovano le colonie di sula bassana, che sono il principale motivo per cui siamo venuti sul posto, splende invece ancora il sole, così possiamo osservare lo straordinario spettacolo di questi grandi uccelli marini, che possono raggiungere un’apertura alare di 180 centimetri e che si ammassano a migliaia (oltre centomila!) sulle scogliere tutto intorno, facendo un baccano impressionante … e anche una discreta puzza.

Ci godiamo lo scenario anche da in cima ad un’apposita altana e poi facciamo ritorno al porticciolo di Bonaventure per un altro sentiero, chiudendo un anello di circa sette chilometri, e arriviamo in tempo per salire sulla barca delle 12:00.

A Percé è tutto nuvoloso, ma fino ad ora la giornata è trascorsa divinamente.

Facciamo spesa e poi ci mettiamo in moto verso nord. Così facendo possiamo pranzare in riva al mare lungo la strada e nel primo pomeriggio arriviamo al Parc National de Forillon, il primo parco nazionale del Québec, creato nel 1970 sull’estrema punta orientale della Gaspésie.

Purtroppo il grigiore domina, ma almeno non piove, allora ci fermiamo prima di tutto per fare la breve scarpinata del Sentier des Chutes, che porta alla base di una piccola cascata, non certo spettacolare, ma meritevole di un’occhiata, poi riprendiamo strada seguendo le indicazioni per il Cap-Bon-Ami.

Paghiamo il biglietto d’ingresso al parco e giunti al termine del nastro d’asfalto ci avviamo a piedi per il Sentier du Mont-Saint-Alban.

È una salita, piuttosto impegnativa, di quasi due chilometri che porta ad una torre di osservazione, dalla quale il panorama è superbo … peccato solo per le avverse condizioni meteo.

Riguadagnata l’auto partiamo verso nord lasciandoci il parco alle spalle e subito all’uscita vediamo il faro di Cap-des-Rosiers che, ultimato nel 1858, con i suoi 34 metri è il più alto di tutto il Canada.

Da qui cominciamo poi ad andare più marcatamente verso ovest lungo un profilo costiero che forse si può già definire parte della foce del San Lorenzo. In tale maniera, dopo una manciata di chilometri, facciamo anche la breve deviazione su sterrato che porta al rosso faro di Pointe-à-la-Renommée, dal quale nel 1904, grazie a Guglielmo Marconi, partirono le prime onde radio del Nord America.

Ripresa quindi la strada principale arriviamo nel paese di Grande Vallée, dove ne approfittiamo per transitare sul tipico Pont Galipeault, un bel ponte coperto risalente al 1923 e, a breve distanza, ormai nella semioscurità, vediamo il faro di Cap-de-la-Madeleine, che, attivo fin dal 1871, è riconosciuto come edificio storico federale e gode dello statuto di faro del patrimonio.

Dopo corriamo spediti vero il termine della tappa e la località di Sainte-Anne-des-Mont, dove arriviamo già passate le 20:00 al Bed and Breakfast Gité la P’tite Falaise. Lì però siamo vittime di un piccolo disguido perché, nonostante la prenotazione, non hanno posti letto per tutti, così ci dirottano in una vicina abitazione, dalla quale dovremo fare poi ritorno al B & B domattina per colazione … Tutto è bene ciò che finisce bene, in particolare la splendida giornata odierna: sicuramente la migliore dopo la partenza da New York.

Giovedì 23 Agosto:

Quando ci svegliamo ci sono ancora parecchie nuvole, ma il cielo non è completamente coperto, allora partiamo fiduciosi in direzione del Parc National de la Gaspésie, una ampia area protetta che dista una ventina di chilometri nell’interno della regione.

Man mano che saliamo verso le montagne però il meteo s’incupisce ulteriormente e comincia anche a scendere una leggera pioggerellina.

Cerchiamo comunque di non perderci d’animo e, percorso anche un agevole sterrato, ci avviamo lungo la breve passeggiata del Lac aux Americains, con la speranza di avvistare almeno un alce, al quale tiene tanto il piccolo Leo, oppure uno dei caribù che rendono famoso il parco … ma le aspettative vengono presto vanificate perché a parte qualche altro escursionista non incontriamo altre forme di vita animale lungo il percorso e, nel grigiore assoluto, non possiamo neanche goderci la vista del lago, in teoria, circondato da una bella quinta di selvagge vette.

Rientrati all’auto ci spostiamo pure all’area di sosta dalla quale parte il trekking del Mont Ernest-Laforce, da dove si dovrebbe gustare un bel panorama sulle lande circostanti … cosa impossibile viste le condizioni meteo, ma anche questa volta andiamo, con l’idea di quel benedetto alce in testa!

Non siamo però affatto fortunati, così giungiamo in cima fra le intemperie e poi facciamo un mesto ritorno senza avvistamenti (solo qualche orma), per annoverare il Parc National de la Gaspésie fra i più evidenti fallimenti del viaggio.

Con gli abiti fin troppo umidi scendiamo allora dalle alture a Sainte-Anne-des-Mont, dove non piove, ma è tutto grigio e soffia un forte vento, e da lì vi avviamo verso ovest lungo il San Lorenzo. Così facendo pian piano il tempo migliora e nel paese di Rimouski, dove ci dobbiamo imbarcare per l’altra sponda del fiume, splende finalmente un bel sole.

Durante l’attraversata, che dura circa un’ora, intravvediamo in lontananza qualche sbuffo di balena, che speriamo sia il degno preludio al whale watching previsto per domani, e poco più tardi sbarchiamo nella località di Forestville, da dove ci avviamo lungo il fiume verso ovest per giungere, intorno alle 18:00, nei pressi della nota cittadina turistica di Tadoussac.

Qui corriamo a vedere il Les Dunes Parc, che è un tratto di costa posto ad oriente dell’abitato e caratterizzato da un’enorme duna … sicuramente un intrigante paesaggio, che però è ormai nell’ombra del tardo pomeriggio, così ci orientiamo subito verso il paese di Sacré-Coeur, a 15 chilometri di distanza, dove prendiamo alloggio all’Auberge Chez Caro.

Lasciamo le valigie in camera e, su suggerimento della ragazza alla reception, ci precipitiamo a vedere il tramonto sul Saguenay, che è considerato il fiordo più meridionale dell’emisfero boreale … Lo spettacolo è sicuramente meritevole, ma contavamo di avvistare anche qualche cetaceo che invece non si è presentato, così le aspettative non sono state soddisfatte appieno.

Ci rechiamo allora a cena in un bel ristorantino di Sacré-Coeur concludendo una giornata che, a causa del meteo avverso, si è quasi trasformata in una tappa di solo trasferimento … quindi non ci resta che sperare, domani, in una sorte più favorevole, anche perché ci attende un’importante escursione.

Venerdì 24 Agosto:

Oggi, giorno di caccia (fotografica) alle balene, non è prevista pioggia, però il cielo velato e completamente bianco lascia trasparire una luce non proprio entusiasmante che, detta schiettamente, si può tradurre in un: poteva anche andare meglio!

Facciamo colazione, in compagnia di una nostra concittadina incontrata qua casualmente (a volte il mondo è davvero piccolo!), e poi ci spostiamo in auto nella vicina località di Tadoussac, ma non partiamo subito per il whale watching perché prima passiamo a vedere l’Hotel Tadoussac, costruzione simbolo del luogo, edificata (nell’attuale aspetto) nel 1942, che domina con la sua imponente sagoma bianco-rossa l’intera vista sul minuscolo porticciolo ed è affiancata dalla graziosa Petit Chapel, considerata la più antica chiesa in legno d’America, oltre che dal Poste de Traite Chauvin, che è la fedele ricostruzione della prima postazione per il commercio delle pellicce in Canada, risalente al 1600 circa.

Subito dopo andiamo negli uffici della Croisieres AML a ritirare i biglietti per l’escursione che avevamo prenotato fin da casa e ci dirigiamo verso il punto d’imbarco.

In questo modo alle 9:45 salpiamo a bordo di un battello di grandi dimensioni (forse troppo per lo scopo) e dopo una sosta per recuperare altri turisti nel vicino paese di Baie-Sainte-Catherine prendiamo il largo sul fiume San Lorenzo.

Dopo pochi minuti di navigazione notiamo in lontananza la bianca sagoma di alcuni beluga, poi qualche foca e infine l’inconfondibile dorso delle balene, accompagnato dal classico sbuffo … Così durante le tre ore a scorrazzare nel gelido vento del San Lorenzo vediamo tante altre balene, ma forse un po’ troppo distanti, senza salti e che solo in un paio di occasioni hanno mostrato la coda … Certo, sempre un’esperienza emozionante, ma forse ci aspettavamo qualcosa di più.

Rientrati a Tadoussac verso le 13:00 facciamo una breve passeggiata lungo il Sentier de la Pointe, che si avventura con interessanti vedute sul piccolo promontorio roccioso posto all’imbocco del fiordo di Saguenay, poi, tornati all’auto, pranziamo prima di riprendere il nostro itinerario.

Attraversiamo il fiordo in traghetto e poi ci avviamo verso ovest fiancheggiando la riva sinistra del San Lorenzo. Così facendo, dopo circa duecento chilometri, giungiamo alla deviazione sulla destra che porta al Canyon de Sainte-Anne e da lì ci precipitiamo subito all’ingresso dell’omonimo parco, visto che sono quasi le 17:00 e alle 18:00 chiude i battenti.

Ci avventuriamo immediatamente lungo il sentiero che fa il giro di questo spettacolare canyon, formato dal fiume che porta il suo stesso nome ed accessibile al pubblico fin dal 1973. In tale maniera possiamo osservare dai vari punti panoramici la fragorosa cascata, alta 75 metri, che ne caratterizza ogni veduta, quindi attraversiamo il baratro su vertiginosi (e ondeggianti) ponti sospesi, concludendo l’emozionante esperienza pochi minuti prima della chiusura.

Da qui riprendiamo strada e quasi subito ci fermiamo lungo il percorso a vedere anche la grande basilica di Sainte-Anne-de-Beaupré, costruita negli anni venti del secolo scorso, che per i suoi presunti miracoli è uno dei più noti luoghi di pellegrinaggio di tutto il Canada. Ne sono testimonianza gli oggetti delle più svariate disabilità ammassati presso due pilastri, vicino all’ingresso.

Scattiamo qualche foto e poi ci avviamo verso il termine della tappa. Infatti poco dopo arriviamo nella periferia della città di Québec, dove per la notte prendiamo dimora all’Hotel Motel le Gîte, quindi ci rechiamo a cena senza troppo successo da Tim Hortons, un simil McDonald’s di infima qualità e scortesia, concludendo comunque una giornata ampiamente positiva.

Sabato 25 Agosto:

Da ora in avanti ci aspetta qualche giorno dedicato alla visita delle città più importanti del Québec e del Canada, non prima, però, di aver visto un’altra bellezza naturale.

Appena lasciato l’hotel ci rechiamo infatti alla periferia di Québec City e parcheggiata l’auto ci dedichiamo all’esplorazione delle Montmorency Falls, imponenti cascate formate dall’omonimo fiume, che affrontano un balzo di ben 83 metri (trenta in più delle cascate del Niagara) prima di gettarsi nelle acque del San Lorenzo.

A piedi partiamo dalla loro sommità. Le scavalchiamo su di un ponte pedonale e poi scendiamo da un dirupo per mezzo di un’irta scalinata. In questo modo guadagniamo la base del grande salto, dove ci bagnamo anche un po’ causa gli schizzi, poi, raggiunta con una breve passeggiata la sponda opposta, risaliamo al punto di partenza con una comoda funivia, chiudendo un piacevole anello intorno alle splendide Montmorency Falls.

Tornati all’auto andiamo quindi verso il centro di Québec, città ricca di storia che fu anche capitale del Canada fra il 1857 ed il 1865 e che, fondata nel 1608, risulta essere uno dei più antichi insediamenti dell’intero continente, il cui nucleo, fortificato dalle uniche mura a nord del Messico, è Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco fin dal 1985.

Lasciamo il nostro mezzo in un parcheggio sotterraneo e cominciamo la visita dall’imponente Palazzo, in stile Secondo Impero, dell’Assemblea Nazionale, la cui antistante piazza è però completamente transennata e in fase di ristrutturazione, quindi entriamo nella città vecchia da Porte Saint-Louis, una delle scenografiche e monumentali porte, ricostruite sul finire dell’Ottocento.

Da qui percorrendo Rue Saint-Louis, fiancheggiata da caratteristici edifici, giungiamo poi nel cuore del nucleo abitato.

Passiamo a vedere la chiesa di Holy Trinity, la prima cattedrale anglicana costruita al di fuori delle isole britanniche, e poi scendiamo, lungo la Côte de la Montagne, alla città bassa, per raggiungere la scenografica Place Royale, preceduta da un enorme murales, dipinto sul fianco di un’abitazione … In questa piazza, circondata da edifici risalenti al XVII e XVIII secolo, fra i quali Notre-Dame des Victoires, la più antica chiesa in pietra di Stati Uniti e Canada, eretta nel 1688, pare proprio di essere nel centro di uno storico villaggio transalpino e non certo oltreoceano.

Nei paraggi passeggiamo poi nella tipica e angusta Rue du Petit-Champlain, disseminata di negozietti, prima di risalire con la Funiculaire du Vieux-Québec alla città alta.

Così facendo sbarchiamo sulla Terrasse Dufferin, un vasto belvedere sul corso del San Lorenzo, dove prospetta anche il sontuoso Château Frontenac, costruzione simbolo della città, anche se, in effetti, è un hotel … l’hotel, si dice, più fotografato al mondo.

Fu costruito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo dall’architetto Bruce Price, che si ispirò ad elementi architettonici medioevali e rinascimentali per creare questo insolito castello, che anche oggi fa bella mostra di sé, nonostante una antiestetica impalcatura collocata nella sua parte centrale.

Pranziamo sulla Terrasse Dufferin, così da riempire oltre allo stomaco anche gli occhi di tanta meraviglia e poi riprendiamo in nostro itinerario nel centro storico.

Vediamo così la bella cattedrale di Notre-Dame de Québec, ricostruita nell’Ottocento, che è la più antica parrocchia del Nord America, e subito a fianco il bianchissimo Séminaire du Québec, che conserva uno splendido cortile interno, poi facciamo quattro passi nel cosiddetto Quartiere Latino e giungiamo a Porte de Sainte-Jean. Da quest’altra monumentale porta seguiamo infine il cammino di ronda fino a Porte Kent, dove scattiamo le ultime foto di Québec, prima di fare ritorno al vicino parcheggio sotterraneo per recuperare la nostra auto.

Lasciamo la città verso ovest lungo la highway numero 40 e quasi subito ne usciamo per guadagnare, in riva al San Lorenzo, il Chemin du Roy, ovvero l’antico tracciato, risalente al XVIII secolo, che collegava Québec a Montréal, allora i due principali centri abitati della regione.

Ci fermiamo prima di tutto nella minuscola località di Cap-Santé, dove si trova una bella chiesa risalente al 1752, quindi, percorrendo anche il Vieux Chemin, giungiamo nello storico paesino Deschambault, il più caratteristico della zona, che presenta un bel quadretto comprendente l’ottocentesca chiesa di Sainte-Charles-Borromée, con l’attiguo cimitero, il presbiterio (simile ad una casetta bretone) ed il municipio in stile Louisiana.

Ripresa la superstrada, più avanti, facciamo sosta anche nella cittadina di Trois-Riviéres per ammirare il moderno santuario di Notre-Dame du Cap, costruito nel 1964 e meta di importanti pellegrinaggi, che però non ci fa impazzire.

Da lì, subito dopo, ci muoviamo ancora verso ovest, parallelamente alle rive del grande fiume, e arriviamo nella località di Berthierville, dove prima di tutto ci rechiamo a vedere il ponticello coperto di Grandchamp, che non è però il principale motivo che ci ha spinto a far tappa in questo luogo. Berthierville è, infatti, la città natale del compianto pilota di Formula 1 Gilles Villeneuve, al quale, da buon ferrarista, voglio rendere omaggio. A lui è intitolata la principale via cittadina e poi c’è un museo (già chiuso a quest’ora), con davanti una statua a grandezza naturale del piccolo campione (detto anche il canadese volante). Così ci scattiamo con lui qualche foto ricordo e poi andiamo verso il termine della frazione odierna.

Più tardi giungiamo così nella periferia di Montréal (che visiteremo domani) e prendiamo alloggio al Days Inn Montréal East, mettendo la parola fine ad una discreta giornata, caratterizzata soprattutto dalla visita a Québec, che si può proprio definire una bella cittadina, dal sapore innegabilmente europeo.

Domenica 26 Agosto:

Oggi, nel giorno dedicato alla grande città di Montréal, è prevista un po’ di pioggia, allora partiamo armati di ombrelli, anche se l’evento non sembra imminente.

In auto andiamo fino al parcheggio della stazione della metropolitana di Radisson, nella periferia della città, e acquistato l’abbonamento giornaliero (Occasionelle Card) prendiamo il primo convoglio in direzione del centro.

Prima di arrivarci facciamo però una sosta intermedia per vedere il grandioso Stadio Olimpico, dove si tennero i giochi del 1976, caratterizzato dalla torre inclinata più alta del mondo, che svetta con i suoi 175 metri sopra all’impianto sportivo.

Ripresa la metropolitana arriviamo poi a downtown e quando emergiamo dal sottosuolo ci rechiamo prima di tutto davanti alla bella Christ Church, edificio neo-gotico risalente al 1859 che ospita il tempio della comunità anglicana, completamente circondato da alti e moderni palazzi, ma non possiamo vederne gli interni perché, essendo domenica, è in corso la funzione religiosa.

Proseguiamo allora nel nostro itinerario e, passando accanto al Place Ville Marie, il più noto grattacielo della città, costruito con la pianta a forma di croce nel 1962 e alto 188 metri, arriviamo al cospetto della grande chiesa di Marie-Reine-du-Monde, edificata sul finire dell’Ottocento ispirandosi alla basilica di San Pietro a Roma … ma anche qui c’è la messa e dobbiamo rinunciare ad esplorarne gli interni.

Proviamo quindi a percorrere un tratto della RÉSO, che è a tutti gli effetti la Montréal sotterranea. In pratica uno smisurato centro commerciale che si sviluppa sotto ai principali palazzi e fra le stazioni della metropolitana. Un luogo molto frequentato soprattutto durante la rigida stagione invernale. Ma ben presto perdiamo la bussola fra le innumerevoli scale e gli infiniti corridoi, così, guadagnati i più vicini binari, saliamo sul primo treno utile per andare verso la Vieux-Montréal, ovvero il più storico dei quartieri cittadini, che si trova sulle rive del San Lorenzo.

Causa una gara di triathlon, che si sta svolgendo lungo le vie del centro, dobbiamo allungare la nostra passeggiata, ma alla fine giungiamo di fronte alla cappella di Notre-Dame-de-Bon-Secours, qui eretta fin dal 1655 e considerata la più antica chiesa in pietra di Montréal. Tutto intorno si trovano storici edifici dall’aspetto tipicamente transalpino, ma anche il grande palazzo del Marché Bonsecours, con la sua neoclassica facciata sovrastata da un argenteo cupolone, che fotografiamo mentre, come previsto, comincia a piovere.

Ombrello alla mano arriviamo così in Place Jaques-Cartier (la più importante piazza della città), proprio davanti allo scenografico Hôtel de Ville, il municipio di Montréal, costruito nel 1872 in stile Secondo Impero.

Proseguendo poi sotto l’acqua e allungando ancora il tragitto causa la gara sportiva approdiamo dinanzi alla sontuosa basilica di Notre-Dame, edificio religioso eretto in stile gotico nel corso dell’Ottocento, che è un po’ il vanto architettonico dell’intera comunità e che meriterebbe una visita approfondita, ma è ancora domenica mattina e le funzioni, nel pieno del loro svolgimento, ce ne impediscono l’accesso.

Nei dintorni osserviamo comunque il Vieux Séminaire, che ha fama di essere la costruzione più antica della città e, sull’antistante Place d’Armes, l’elegante colonnato della Bank of Montréal, dopo di che, dalla più vicina stazione della metropolitana, andiamo a recuperare la nostra auto, quando è da poco passato il mezzogiorno.

Nel frattempo è smesso di piovere, ma il cielo resta profondamente cupo. Ciò nonostante decidiamo di andare a Mont-Royal, ovvero la collina che domina la città. Lì pranziamo e poi ci rechiamo a guardare il panorama dal belvedere di Kondiaronk, non certo bellissimo, visto il meteo avverso, ma in ogni modo accettabile.

Poco dopo lasciamo Montréal andando verso ovest lungo la highway numero 50 e percorsi circa 120 chilometri ne usciamo nei pressi della località di Montebello, per andare ad esplorare il Parc Omega, un’area nella quale si possono ammirare gran parte degli animali selvatici canadesi in semilibertà ed un luogo che il piccolo Leo attendeva con trepidazione.

Ci fermiamo al centro visitatori ad acquistare un sacchetto di carote da offrire agli animali, quindi ci avviamo lungo le strade bianche del parco e subito ci vengono incontro alcuni cervi in cerca di cibo, che si dà loro abbassando il finestrino.

Mentre torna anche a splendere il sole affrontiamo così i circa dieci chilometri di percorso sterrato che attraversa il parco, incontrando tantissimi animali, soprattutto cervidi, ma anche cinghiali, bisonti e procioni, in libertà, poi, in appositi recinti a fianco della carreggiata, anche lupi, orsi e volpi … ma niente alci! … Chissà perché?

In alcuni punti si può anche scendere dall’auto e lì ci sono docili cerbiatti che si lasciano toccare e vengono a mangiare direttamente dalle mani. In questo modo passiamo due ore abbondanti dentro al Parc Omega e ne usciamo tutto sommato soddisfatti (Leonardo estasiato).

Da Montebello percorriamo poi i 75 chilometri lungo il corso del fiume Ottawa che ci dividono dall’abitato di Gatineau, dove prendiamo alloggio all’Hotel Adam.

Andiamo subito a cena e poi corriamo, al di là del fiume, nel centro della città di Ottawa, capitale del Canada che visiteremo domani, per andare a vedere lo spettacolo di suoni e luci, che va in scena, come tutte le sere, alle 21:30, sulla monumentale facciata del Palazzo del Parlamento.

Brighiamo un po’ a parcheggiare, ma alla fine arriviamo in tempo, così, in una tiepida e stellata serata, possiamo davvero goderci un bello spettacolo, imperniato sulla storia del Canada, prima di far ritorno all’hotel, concludendo una giornata iniziata non troppo bene, ma finita decisamente meglio.

Lunedì 27 Agosto:

Il risveglio nei pressi della capitale è all’insegna del bel tempo, che però sembra destinato ad un rapido peggioramento.

Consumata la colazione e stipati i bagagli nel baule dell’auto andiamo verso il centro di Ottawa, entrando fra l’altro nella provincia dell’Ontario. In questo modo passiamo di fronte alla residenza ufficiale del Primo Ministro canadese e, posteggiato il nostro mezzo nei paraggi, andiamo a vedere anche la vicina Rideau Hall, ottocentesca costruzione che è la residenza ufficiale del monarca, ovvero la regina Elisabetta II, essendo il Canada membro del Commonwealth, e del suo rappresentante, il Governatore Generale del Canada. Tutto molto interessante, peccato solo per l’assenza, chissà per quale motivo, delle guardie dalla classica giubba rossa e l’enorme colbacco nero.

Riguadagnata l’auto giriamo poi su Union Street e attraversando un’area verde passiamo sopra a tre deliziosi ponticelli in ferro, quindi andiamo a parcheggiare nel sotterraneo dove avevamo trovato posto anche ieri sera e da lì cominciamo l’esplorazione del centro storico di Ottawa, non prima, però, di aver affrontato una lunga coda per ritirare i biglietti gratuiti che ci daranno accesso al Parlamento. Intanto, come da previsioni, parecchie nuvole sono già arrivate.

Con in mano i biglietti per la visita guidata delle 11:40 ci avviamo verso Parliament Hill, la vasta area nella quale si trovano i principali palazzi governativi, fra i quali spicca, naturalmente, la grandiosa sagoma del palazzo del Parlamento (o Center Block), realizzato in stile gotico nel 1867, al quale, in seguito al rifacimento dovuto ad un incendio, fu aggiunta nel Novecento anche la bella torre dell’orologio, chiamata Peace Tower.

Gli altri palazzi parlamentari, della stessa epoca, sono l’East Block, contenete gli uffici dei senatori, ed il West Block, dove si trovano gli uffici dei ministri. Dietro a quest’ultimo si trova poi il massiccio Confederation Building.

Il tutto crea un quadro architettonico di grande impatto e suggestione, al cui centro si dovrebbe svolgere, come tutti i giorni alle 10:00, il colorito cambio della guardia, ma con grande delusione apprendiamo che non ci sarà … Chissà perché! … Sapevamo che si teneva qui a partire da giugno fino a tutto il mese di agosto …

Ci rechiamo allora al vicino Château Laurier, un grande hotel di lusso simile ad un castello, edificato nel 1912 in stile gotico francese, sul cui fianco corrono le chiuse del Rideau Canal, ancora tutte ad azionamento manuale, che vediamo anche in funzione. Il canale del resto, inaugurato nel 1832, è il più antico ininterrottamente in funzione del Nord America e dal 2007 è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco.

Dopo camminiamo fino alla cattedrale di Notre-Dame, il luogo di culto più significativo della capitale, eretto nell’Ottocento in uno stile a metà strada fra il neo-gotico ed il neo-classico, i cui interni risultano riccamente decorati e di grande effetto.

Usciti dalla chiesa torniamo però a Parliament Hill perché si è quasi fatta l’ora della prevista visita guidata. Entriamo così dopo una serie infinita di controlli nel sontuoso Palazzo del Parlamento e passo dopo passo andiamo a scoprirne i luoghi più significativi, a cominciare dall’ottagonale e scenografica Confereration Hall, posta al centro del complesso, per arrivare quindi, attraverso la Hall of Honor, alla monumentale biblioteca, strutturata come una sala capitolare.

Subito dopo ci rechiamo poi a vedere la Camera del Senato, disposta sulla falsa riga della House of Lords londinese, con anche il trono per il monarca, ma non la Camera dei Comuni, dove si riunisce il Parlamento, perché impegnata nella sua funzione.

L’intera visita è però commentata in lingua francese e capiamo poco o nulla, ma soprattutto si protrae molto più del previsto e ne veniamo fuori che sono quasi le 13:00, così, pesantemente condizionati dall’orario, pranziamo in strada con un hot dog e poi partiamo velocemente verso la prossima meta.

Lasciamo Ottawa affrontando anche una coda dovuta ad un incidente lungo la superstrada, poi ci lanciamo nella corsa verso la cittadina di Kingston, che dista quasi duecento chilometri.

In questo modo riconquistiamo le rive del San Lorenzo e giungiamo, nella periferia della città, a Fort Henry, una massiccia costruzione militare eretta nel 1812 per difendere l’ingresso al Lago Ontario, e lo facciamo pochi minuti dopo le 15:00, quando è già iniziata la Garrison Parade, una parata con divise d’epoca che eravamo intenzionati a vedere.

Entriamo ugualmente ed assistiamo a quasi venti minuti dell’esibizione, che culmina con la rumorosa sparatoria (a salve) di un plotone. Quindi esploriamo il forte, mentre cade anche qualche goccia di pioggia, osservandone gli interessanti ambienti, resi ancora più intriganti dalla presenza, qua e là, di figuranti in costume.

Usciamo da Fort Henry intorno alle 16:30 e ci dirigiamo subito verso il centro di Kingston, storica città che fu la prima capitale del Canada (dal 1841 al 1844), per vederne gli edifici più rappresentativi, che qui hanno cambiato stile architettonico rispetto al Québec ed hanno un sapore decisamente più anglosassone.

Notiamo così la cattedrale di St. George, edificata nel 1825 e preceduta da un bel portico dorico, quindi la City Hall, considerata uno dei più prestigiosi edifici storici del paese, esempio di architettura rinascimentale britannica nel nuovo mondo.

Più in periferia osserviamo infine anche la severa Murney Tower, che apparteneva alle prime fortificazioni della città, e la neoclassica Courthouse, poi, con sollecitudine, ripartiamo perché ci attendono ancora oltre duecento chilometri di strada, neanche troppo scorrevole, per arrivare al termine della tappa.

Sotto ad un cielo plumbeo andiamo così a nord attraversando lande tipicamente canadesi, fra boschi e laghi, laghi e boschi. Poi le nuvole si aprono e fanno passare qualche raggio di sole, allorché giungiamo in vista di Barry’s Bay, remota località nella quale passeremo la notte al Mountain View Motel.

Qui ceniamo con un’onesta pizza e poi ci ritiriamo nei nostri appartamenti, mettendo fine ad un capitolo del viaggio tutto sommato interessante.

Martedì 28 Agosto:

La giornata odierna sarà completamente dedicata alla visita dell’Algonquin Provincial Park, una vastissima area protetta che risulta essere il più antico parco provinciale del Canada, fondato nel 1893. È anche l’ultimo parco naturale in programma per questo viaggio e quindi l’estrema occasione per osservare fauna selvatica.

Quando ci alziamo il cielo è tutto coperto di nuvole, ma almeno non piove, allora partiamo verso ovest e dopo circa sessanta chilometri varchiamo il gate orientale del parco, acquistando, al centro visitatori, il relativo pass giornaliero.

Subito dopo svoltiamo a destra e facciamo sosta per seguire il sentiero dell’Algonquin Logging Museum, che si sviluppa nella zona dove un tempo operavano i taglialegna e che, grazie ad alcuni vecchi macchinari, fra i quali un arrugginito rimorchiatore anfibio, e a qualche ricostruzione, cerca di spiegare tutti gli aspetti di questo duro mestiere, mentre esce qualche timido raggio di sole.

Alla ripartenza ci spostiamo poi di soli nove chilometri, lungo la strada principale del parco, fino al parcheggio dal quale prende il via il Beaver Pond Trail … letteralmente la passeggiata allo stagno dei castori, ma i castori proprio non li vediamo e dobbiamo accontentarci solo di qualche segno della loro presenza. In compenso comincia a piovere forte, ma lo fa per poco tempo, poi si apre un bello squarcio di cielo sereno, che ci fa ben sperare per il proseguo della giornata.

Al successivo sentiero, distante solo tre chilometri, splende infatti un bel sole, così possiamo avventurarci, nelle migliori condizioni, lungo lo Spruce Bog Boardwalk, un percorso che si sviluppa su delle passerelle sopra ad una torbiera e in uno splendido paesaggio … Animali avvistati, però, zero …

Dopo altri tre chilometri giungiamo poi all’area di sosta del Lookout Trail. Questa è una passeggiata un po’ più impegnativa, che dopo alcuni tratti abbastanza ripidi porta ad un magnifico punto panoramico, che possiamo goderci anche grazie alle ottime condizioni meteo, con un fantastico cielo terso che si estende sopra ad un mare infinito di alberi a perdita d’occhio … Tutto molto bello! … Meno bella è però la storta che mi procuro maldestramente sulla via del ritorno.

Dopo ci fermiamo a fare pic-nic in un’area attrezzata sulle rive di un lago, quindi percorriamo un buon tratto di strada e ci fermiamo per affrontare l’Hardwood Lookout Trail, una breve scarpinata che conduce ad un altro punto panoramico, con la vista che spazia, fra gli alberi, su di un vicino bacino lacustre.

Infine ci concediamo un’altra passeggiata, che non era prevista, il Whiskey Rapid Trail, che si sviluppa su di un tracciato, a tratti fangoso, lungo la riva di un fiume, sempre con la speranza (ormai ridotta al lumicino) di scorgere qualche animale selvatico, ma niente da fare! … Nessun alce all’attivo e questo al Canada proprio non lo perdoniamo, perché le aspettative erano ben altre! … In compenso con la caviglia dolorante ho fatto una fatica immane a completare l’ultimo di una serie di trekking che, seppur brevi, sommati insieme vanno a formare una distanza di tutto rispetto.

Ormai a metà pomeriggio puntiamo così il navigatore sulla città di Toronto, che guadagniamo in serata, prendendo dimora all’Howard Inn & Suites … Macché suites: un motel di infimo livello, forse il peggiore dell’intero viaggio, ma una notte passerà …

Poco più tardi ceniamo da Pizza Hut e poi ci ritiriamo in camera con ancora negli occhi la foto più bella di giornata, ovvero la spettacolare vista dal Lookout Trail dell’Algonquin Provincial Park.

Mercoledì 29 Agosto:

Toronto, la metropoli del Canada, con i suoi oltre tre milioni di abitanti, che raddoppiano se si considerano le aree limitrofe, ci aspetta, mentre splende un bel sole, che però non sembra avere lunga vita.

Dopo un decina di chilometri dal nostro motel andiamo a parcheggiare nei sotterranei di un quartiere periferico e, acquistato il Day Pass, dalla stazione della metropolitana di Sheppard-Yonge ci avviamo verso downtown.

Emergiamo così a Dundas Square, una delle principali piazze, che è un po’ la Times Square canadese, tutta circondata com’è da cartelloni luminosi e grattacieli, mentre le tanto temute nuvole sono già arrivate ed il grigiore è dominante.

Da lì a piedi raggiungiamo poi la moderna City Hall, edificata del 1965 e formata da due torri quasi gemelle, dalla facciata principale a forma concava, fronteggiate da una grande vasca a sua volta scavalcata da scenografici archi in cemento armato, che danno vita ad una delle vedute più rappresentative della città, nel nostro caso arricchita da un provvidenziale squarcio di cielo sereno.

Il complesso è, a sua volta, fiancheggiato dalla Old City Hall: monumentale edificio in stile neo-romanico che fu il municipio di Toronto nella prima parte del Novecento, la cui facciata si trova proprio di fronte all’imbocco di Bay Street, centralissima via fiancheggiata dai più alti grattacieli di downtown, fra i quali la ex-Toronto Trump Tower.

Successivamente abbandoniamo questa strada per raggiungere il quartiere di St. Lawrence, dove si trovano gli edifici più vecchi della città, come il Gooderham Building (noto anche come Flatiron Building, vista la somiglianza con quello più famoso di New York), completato nel 1829, tutto in mattoni rossi e con struttura portante in ferro.

Passiamo poi attraverso l’ottocentesco St. Lawrence Market e un passo dopo l’altro torniamo fra la selva di grattacieli, dove notiamo la lunga colonnata di Union Station, fronteggiata dallo storico e lussuoso Royal York Hotel, che quando fu costruito, nel 1929, era l’edificio più alto del Canada, con i suoi 124 metri.

Più in lontananza risalta invece l’imponente sagoma della CN Tower, vero e proprio simbolo della città, eretto nel 1976 con funzioni di trasmettitore di segnali radiotelevisivi, che con i suoi 553 metri fu per lungo tempo (fino al 2007) la struttura più alta del mondo.

Poco più tardi, scavalcando i binari della Union Station, giungiamo anche ai suoi piedi, così da goderci la prospettiva più impressionante, purtroppo sullo sfondo di un cielo di nuovo completamente grigio.

Proprio di fianco alla CN Tower si trova invece lo Sky Dome, enorme impianto polivalente dal tetto retrattile dove si giocano partite di ogni genere, dal basket dei Toronto Raptors al baseball o al football americano, mentre di fronte c’è l’interessante Toronto Railway Museum, che espone all’aperto una bella serie di vecchie locomotive.

Da questa zona della città c’incamminiamo poi verso le rive del Lago Ontario e più precisamente ad Harbourfront, quartiere nel quale spicca lo York Quay Centre, un vasto spazio pubblico che offre una piacevole passeggiata lungo i moli ed una stupefacente veduta dello skyline cittadino, avvalorato dalla presenza del sole e di un bel cielo azzurro, che si apre all’improvviso per poi tornare al grigio poco più tardi quando, dopo pranzo, riprendiamo le visite.

Ancora a piedi torniamo a Union Station e da lì prendiamo la metropolitana per raggiungere, appena fuori downtown, il monumentale Ontario Parliament Building, grandioso edificio in stile Revival risalente al 1892, che ospita gli uffici legislativi dello stato, e, a poca distanza, l’interessante complesso di palazzi che formano la storica Toronto University, disseminati attorno alla vasta distesa erbosa di Kings College Circle, che sono, ad oggi, il più grande e prestigioso ateneo di tutto il Canada.

Con un’altra scarpinata arriviamo quindi di fronte all’Ontario Museum, che osserviamo solo per la sua strana architettura, che fonde gli originari edifici in stile neo-romanico con modernissime strutture in acciaio e vetro, poi ci spostiamo in metropolitana di qualche isolato, fino alla base della collina in cima alla quale si trovano le interessanti dimore di Spadina House, eretta nel 1866, e, soprattutto, Casa Loma, eccentrica costruzione neo-gotica, simile ad un castello, risalente al primo Novecento, il cui aspetto è davvero sorprendente e meriterebbe anche una visita degli interni, ma per farlo occorre investire una piccola fortuna, così rinunciamo, anche perché si sta facendo tardi.

Dopo un lungo viaggio in metropolitana torniamo allora al punto di partenza per recuperare la nostra auto e con quella riprendiamo strada, anche se quasi subito ci ritroviamo fermi in coda. In effetti uscire da una metropoli come Toronto in pieno pomeriggio non è cosa facile.

Riusciamo comunque a districarci e, intorno alle 19:00, ormai nelle vicinanze delle universalmente note Niagara Falls, ci fermiamo a vedere una grossa nave che sta attraversando una chiusa del Welland Canal, colossale opera idraulica che collega il Lago Ontario all’Erie, evitando ovviamente le cascate. Poi, poco più tardi, giungiamo proprio nei pressi della cittadina di Welland, dove prendiamo alloggio al Best Values Inn.

Lasciamo i bagagli in camera e corriamo subito verso Niagara Falls, che distano una ventina di chilometri.

Ci fermiamo per strada a cenare (ancora da Pizza Hut) e dopo arriviamo al cospetto delle strepitose cascate, già illuminate da giochi di luce, in tempo per lo spettacolo dei fuochi d’artificio, che si tiene alle 22:00 in punto, come avviene tutte le sere in questo periodo dell’anno.

Così facendo concludiamo una splendida giornata, tirando anche a tardi e ben oltre il nostro normale orario.

Giovedì 30 Agosto:

Prende il via oggi l’ultimo capitolo di questo viaggio in territorio canadese e in teoria dovrebbe essere uno dei migliori, da consumarsi attorno alle celebri Cascate del Niagara, situate sul confine con gli Stati Uniti, il sui salto non è tanto alto (solo 52 metri), ma è caratterizzato da un fronte d’acqua davvero impressionante, dovuto ad una portata media di circa 110.000 metri cubi al secondo. Di certo sono però le cascate più grandi del Nord America e fra le più ampie al mondo, nonché, probabilmente, le più conosciute.

Pare non debba piovere, anche se le previsioni danno una giornata prevalentemente nuvolosa, infatti il cielo è grigio, ma qua e là c’è qualche sprazzo di sereno.

Partiamo dopo colazione e andiamo, come ieri sera verso il centro di Niagara Falls (che è anche una città). Parcheggiamo più o meno nella stessa posizione e a piedi raggiungiamo la passeggiata pedonale che fiancheggia le cascate, mentre, per fortuna, le zone di cielo azzurro sono decisamente aumentate e, a tratti, il sole inonda di luce lo spettacolare scenario di fronte a noi, con a sinistra il salto delle American Falls e a destra le stupefacenti Horseshoe Falls.

Scattate le dovute raffiche di foto ci rechiamo poi a prendere la barca che conduce fin sotto le cascate, universalmente nota come Maid of the Mist, anche se l’imbarcazione con questo nome parte dal lato statunitense. Da quello canadese il servizio è offerto dalla Hornblower Niagara Cruises, che comunque segue l’identico tragitto.

Salpiamo e transitiamo prima sotto alle American Falls, per giungere poi al cospetto delle Horseshoe Falls … Ci si bagna un po’, ma è un’emozione indescrivibile sentire l’impeto di quello smisurato getto d’acqua!

Rientrati al punto di partenza e alla sommità della riva canadese percorriamo tutta la passeggiata pedonale, con le sue strepitose viste, fino al Table Rock Point, magnifica terrazza panoramica sulle Horseshoe Falls, proprio nel punto in cui l’acqua comincia la sua caduta … e da lì proviamo anche l’esperienza chiamata Journey Behind the Falls.

Con un ascensore scendiamo di 38 metri e poi, per mezzo di una galleria, andiamo ad osservare la potenza delle cascate dal retro, quindi contempliamo le Horseshoe Falls da un punto privilegiato alla loro base, prima di risalire a Table Rock.

A questo punto della giornata, abbandonata l’idea di salire al punto di osservazione della Skylon Tower per le non eccelse condizioni meteo, ma anche per l’ora ormai tarda, ci dirigiamo alla nostra auto e subito partiamo con l’intento di attraversare il Rainbow Bridge e tornare negli Stati Uniti.

Il tutto si rivela molto più semplice del previsto e senza intoppi ci ritroviamo ben presto in territorio a stelle e strisce, così ci dirigiamo vesto Goat Island, che è l’isola che forma il fiume Niagara prima di gettarsi nei due principali salti.

Lì pranziamo e poi, a piedi, ci rechiamo a Terrapin Point, un bel punto panoramico sulle Horseshoe Falls diametralmente opposto a Table Rock, quindi vogliamo provare anche le emozioni offerte dall’attrazione denominata Cave of the Winds.

Anche in questo caso, dopo un filmato sulla storia delle cascate, un ascensore porta giù, ma questa volta alla base delle American Falls e lì facciamo una bagnatissima passeggiata fra scale e passerelle che si dipanano a pochi centimetri dal roboante getto d’acqua.

Questo è l’ultimo atto della visita alle Cascate del Niagara, che ci hanno impegnato quasi per un’intera giornata, ma la parte più difficile deve ancora arrivare, perché siamo in ritardo e dobbiamo percorrere ancora oltre cinquecento chilometri per giungere al termine della tappa.

Dallo stato di New York, al quale eravamo approdati attraversando il Rainbow Bridge, entriamo in quello della Pennsylvania e col buio arriviamo, alle 20:40, nella cittadina di Lititz al Lititz Inn & Suites per la notte.

Per cena andiamo poi nel vicino ristorante italiano Capriccio. Lì mangiamo buona pasta e facciamo una lunga chiacchierata con Giuseppe, il gestore e proprietario di origini napoletane, in America da 42 anni. Ci racconta un po’ della sua vita e ci tratta molto bene, così al termine della serata lo salutiamo e ringraziamo cordialmente, mettendo la parola fine ad una indimenticabile giornata.

Venerdì 31 Agosto:

Mentre la vacanza volge ormai al termine ci svegliamo a Lititz, nella contea di Lancaster, terra degli Amish per eccellenza. Una stranissima comunità religiosa resa famosa al mondo dal film “Witness – Il testimone” (del 1985), nata nella Svizzera tedesca agli inizi del XVI secolo che, per le successive persecuzioni, finì per proliferare nel nuovo mondo. Il loro credo rinnega completamente la tecnologia e le modernità, per cui vivono senza elettricità e senza automobili, coltivando i campi e facendo delle cose semplici una vera e propria filosofia dello spirito. Naturalmente solo una parte della popolazione di questa contea ricca di storia è Amish e noi, per quanto possibile, ne andremo alla scoperta.

Il cielo oggi è purtroppo cupo e prendiamo il via mentre sta già cominciando a piovigginare. In questo modo passiamo per il centro di Lititz, notando qualche tipico edificio, oltre alla scuola femminile più antica degli Stati Uniti (datata 1746), quindi ci inoltriamo nella campagna notando subito, qua e là, la presenza degli Amish.

La regione va anche famosa per i ponti coperti per cui passiamo a vedere prima l’Erb’s Mill Covered Bridge, del 1849, quindi il Keller’s Mill Covered Bridge, risalente al 1891, ma di recente ricostruito, e così facendo arriviamo nella località di Ephrata.

Qui passiamo a dare un’occhiata all’Ephrata Cloister, un centro con alcuni edifici che hanno ospitato una delle comunità religiose più antiche del paese, quindi, risalendo Main Street, fiancheggiata da interessanti dimore, ci rechiamo nella periferia settentrionale dell’abitato al Green Dragon Market and Auction, un colorito mercato che si tiene ogni venerdì, e oggi è proprio quel giorno della settimana.

Anche in questo luogo notiamo la presenza di molti Amish, che gestiscono i più svariati banchi di prodotti agricoli e alimentari, offrendoci la possibilità di vivere una bella esperienza, all’interno di un mercato vero, tutt’altro che turistico.

Dopo lasciamo Ephrata e nei dintorni passiamo a rimirare ben quattro ponti coperti: il Bitzer’s Mills, che, costruito nel 1846, è il più antico della contea ancora in uso, poi lo Zook’s Mill, del 1849, il Pinetown, risalente al 1867 ma distrutto dall’uragano Agnes nel 1972 e ricostruito dagli Amish un anno più tardi, ed infine l’Hunsecker’s, che con i suoi 55 metri risulta il più lungo dell’intera regione.

Percorrendo quindi strade secondarie, che ci permettono di osservare anche gli Amish al lavoro nei campi, arriviamo a Lancaster, storica cittadina capoluogo dell’omonima contea.

Parcheggiamo in prossimità del centro e … dobbiamo restare in auto perché si scatena un piccolo acquazzone, ma non dura molto e quando la pioggia si placa facciamo una breve passeggiata osservando il Fulton Opera, che è uno dei più annosi teatri del paese, poi, camminando lungo King Street, guadagniamo Penn Square, la piazza principale, sulla quale si affaccia anche il Central Market, scenografica costruzione in mattoni rossi che ospita il più antico mercato a gestione comunale degli Stati Uniti.

Da qui torniamo poi sui nostri passi e ripreso l’itinerario lungo strade di campagna arriviamo all’Amish Village, un’originale fattoria del 1840, aperta al pubblico, nella quale ci si può rendere conto dello stile di vita di questa gente, ma non entriamo subito, perché prima pranziamo con i nostri panini.

Dopo ci dedichiamo all’esplorazione del luogo, dal quale, onestamente, mi aspettavo qualcosa di più. Comunque vediamo la tradizionale casa Amish, gli attrezzi, le nere carrozze con le quali si muovono ancora oggi e qualche animale domestico, mentre ricomincia a scendere la pioggia, che si fa più insistente e continuativa.

Dall’Amish Village ci spostiamo poi al vicino paese di Strasburg, disseminato di caratteristici edifici, ma soprattutto alla sua periferia, dove si trova il Railroad Museum, uno dei più importanti musei ferroviari al mondo. Così passiamo oltre un’ora a spasso fra una collezione di oltre cento locomotive utilizzate dalle gloriose compagnie americane nel periodo storico compreso fra la metà del XIX a tutto il XX secolo.

All’uscita dal museo piove fortissimo, così dobbiamo attendere un po’ che rallenti e quando ripartiamo, fra le intemperie, passiamo a dare un’occhiata al curioso Red Caboose Motel, le cui camere sono tutte ubicate all’interno di vecchie carrozze ferroviarie, quindi scoviamo altri due ponti coperti: l’Heer’s Mill, del 1844 e uno dei pochi a doppia campata, ma non più percorribile, e l’Eshleman’s Mill, risalente al 1845, ma ricostruito quasi quarant’anni più tardi.

Strada facendo incontriamo poi varie carrozze di Amish prima di giungere nel villaggio di Intercourse, dove è stato girato gran parte del film “Witness – Il testimone”, ultimo luogo di un certo interesse nella contea di Lancaster.

Da Intercourse puntiamo così il navigatore verso il termine della tappa, distante poco più di cento chilometri … ma un po’ per la pioggia, un po’ per il traffico intorno alla grande città di Philadelphia (che visiteremo domani) impieghiamo quasi due ore a percorrerli e arriviamo ben dopo le 19:30 al Days Inn & Suites di Cherry Hill, nello stato del New Jersey.

Per cena finiamo in un altro ristorante gestito da napoletani, dove scambiamo qualche battuta, prima di rientrare in camera a sistemare le valigie in vista della partenza verso casa di domani sera.

Sabato 1 Settembre:

Prende il via anche l’ultimo dei giorni da trascorrere negli Stati Uniti, ma il nostro volo è previsto in partenza solo in serata, così oggi ci dedicheremo alla visita di Philadelphia che, fondata nel 1682, risulta essere una delle più antiche città degli States, nonché sua capitale per dieci anni, dal 1790 al 1800.

Appena partiti dal Days Inn si scatena un acquazzone poco simpatico, soprattutto perché inaspettato, ma non ci perdiamo d’animo confidando nelle previsioni e infatti quando arriviamo al parcheggio della stazione della metro di Collingswood è già smesso di piovere.

Acquistiamo il biglietto della linea Patco del New Jersey e ci avviamo verso il centro di Philadelphia. Così facendo attraversiamo il Delaware River e torniamo in Pennsylvania.

Ci procuriamo quindi il Day Pass delle linee Septa e poco dopo emergiamo dal sottosuolo nel pieno della Old City, la zona più storica della città e non solo, forse anche degli interi Stati Uniti.

Subito ci rechiamo al vicino Visitor Center a ritirare i biglietti per la visita gratuita della Indipendence Hall, poi, visto che c’è tempo, passiamo a vedere, nell’adiacente padiglione, la Liberty Bell, vecchia e malconcia campana che è uno dei principali simboli della rivoluzione americana, collocata a suo tempo sulla torre della State House (successivamente ribattezzata Indipendence Hall), che suonò nel giorno della lettura della Dichiarazione di Indipendenza e lì rimase fino al 1876.

Al di là della strada notiamo quindi la Congress Hall, palazzotto in mattoni rossi che fu sede del Congresso degli Stati Uniti all’epoca in cui Philadelphia era la capitale.

Alla sinistra di quest’ultimo si trova invece l’edificio in stile georgiano della Indipendence Hall, nel quale il 4 luglio 1776 fu ratificata la Dichiarazione di Indipendenza che sancì la nascita degli Stati Uniti d’America. In questo stesso luogo il 17 settembre 1787 fu completata la stesura della Costituzione.

Arriviamo sul posto in perfetto orario per la visita guidata delle 9:40, così possiamo entrare ed assaporare la vista dei principali ambienti al piano terra, che trasudano storia da tutti i pori.

Tornati all’aria aperta passiamo davanti alla Old City Hall, palazzotto gemello della Congress Hall, in posizione diametralmente opposta rispetto alla Indipendence Hall, che prima di essere il municipio di Philadelphia fu anche sede della Corte Suprema degli Stati Uniti, quindi sfiliamo uno dopo l’altro una serie di edifici storici come la Second Bank of the Unites States, edificata nel 1824 in stile greco revival e ispirata al Partenone, che ospitava, come dice il nome, il secondo istituto di credito autorizzato dell’unione, la Carpenter House, sede della Compagnia dei Carpentieri, la più antica corporazione di arti e mestieri degli Stati Uniti, e la First Bank of the United States, il primo istituto di credito, anch’esso in stile greco revival, datato 1795.

Da lì ci spostiamo poi di un isolato, alla Franklin Court, nel luogo in cui risiedeva Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti e quindi un importante politico e statista, nonché giornalista e scrittore, ma anche scienziato ed inventore (a lui si deve il parafulmine) e a breve distanza, al Christ Church Burial Ground, dove si trova la sua tomba, tutta cosparsa di monetine.

Subito dopo passiamo di fronte alla Meeting House, dove nel XIX secolo si riunivano gli appartenenti alla setta religiosa dei Quaccheri, e alla Betsy Ross House, piccola e semplice abitazione tutta tappezzata di drappi e vessilli a stelle e strisce, nella quale, si dice, la sarta Betsy Griscom Ross cucì la prima bandiera degli Stati Uniti d’America.

Continuando la nostra camminata attraverso la Old City arriviamo anche a Elfreth’s Alley, una caratteristica viuzza fiancheggiata da semplici dimore del XVIII – XIX secolo, che risulta essere la strada abitata ininterrottamente da più tempo di tutti gli States, lungo la quale passeggiamo brevemente prima di giungere anche alla graziosa Fireman’s Hall, che ospita un piccolo museo dedicato ai Vigili del Fuoco di Philadelphia.

Tornando un po’ sui nostri passi ci muoviamo poi lungo l’angusta Cuthbert Street, disseminata di vecchi e storici edifici, e approdati di fronte a Christ Church, la più antica chiesa della città, risalente al 1727, prendiamo la metropolitana, che ci conduce al di fuori della Old City.

In questo modo riaffioriamo nei pressi dell’imponente City Hall, il municipio di Philadelphia che, edificato sul finire dell’Ottocento in stile Secondo Impero, fu per qualche tempo la più alta costruzione abitabile del pianeta. Di sicuro, tutt’ora, la statua di William Penn, fondatore della città, con i suoi undici metri, è la più alta del mondo collocata in cima ad un edificio.

Prospiciente il lato nord della City Hall si trova anche il monumentale Masonic Temple, che assomiglia ad una chiesa e invece è il tempio massonico più grande che ci sia, ma non riusciamo a visitarlo per motivi di tempo.

Da lì, successivamente, ci avviamo lungo la Benjamin Franklin Parkway, lasciandoci sulla sinistra la zona dei grattacieli di Philadelphia, e dopo un po’ arriviamo di fronte alla Saints Peter and Paul Cathedral, la più importante chiesa cattolica della Pennsylvania, ma il nostro obiettivo è il Museum of Art, che si vede già in fondo al viale.

Notiamo però qualcosa di strano: tutte le vie laterali sono sbarrate dalle forze dell’ordine e lungo il tratto sciama tanta gente, soprattutto giovani. Giunti poi più vicini capiamo che l’intera zona verso cui siamo diretti è off-limits causa un evento musicale.

Continuiamo a camminare per le strade limitrofe verso il museo, ma invano, perché la sua scalinata, resa famosa dal film “Rocky”, oggi non è proprio accessibile … ed è una vera delusione!

Torniamo indietro, un po’ abbacchiati, fino alla City Hall e da lì andiamo, con i mezzi pubblici, spediti verso la nostra auto, perché si sta facendo tardi … Così, dopo un pranzo leggermente posticipato, intorno alle 14:30, partiamo verso New York e l’epilogo del nostro itinerario.

Il traffico è intenso ma scorre, almeno fino al colossale Ponte di Verrazzano (uno dei più grandi sulla faccia della Terra), dal quale possiamo osservare, in lontananza, ancora una volta lo skyline di Manhattan.

Dopo procediamo lentamente per giungere, intorno alle 17:00, alla Avis, così da riconsegnare la nostra fedelissima Dodge Grand Caravan, con la quale, fra Stati Uniti e Canada, abbiamo percorso la bellezza di 7474 chilometri.

Da lì, con l’Air Train, guadagniamo poi il Terminal 1 del JFK Airport e subito ci mettiamo in fila per imbarcare i bagagli … Una fila snervante, che scorre molto lentamente, ma alla fine ne usciamo, così possiamo affrontare anche i rigidi controlli di sicurezza americani che ci conducono, finalmente, di fronte al Gate numero 4, dal quale c’imbarcheremo.

L’attesa questa volta è breve e ben presto ci ritroviamo sull’Airbus A330 di Air Italy, che poco più tardi si stacca da terra, identificato come volo IG 0902.

Sono le 20:54 e ci apprestiamo ad affrontare la trasvolata atlantica, ormai nella più completa oscurità. Così, appena saliti di quota sposto le lancette dell’orologio avanti di sei ore sul fuso italiano e in men che non si dica è già …

… Domenica 2 Settembre:

Correndo incontro alla rotazione terrestre la notte è davvero breve e le prime luci dell’alba sono dietro l’angolo. Malgrado questo riusciamo anche a dormire un po’ prima di sorvolare le Alpi e cominciare la discesa verso l’aeroporto di Milano Malpensa, dove atterriamo alle 10:27 locali.

Questa volta recuperiamo tutti i cinque bagagli e dopo un’oretta dall’atterraggio anche la nostra auto al Ciao Parking. Quindi partiamo immediatamente verso casa.

A mezzogiorno percorriamo così la Tangenziale Ovest di Milano e, imboccata la A1, un’ora più tardi siamo a Parma, accompagnati dalla pioggia, che fa apparire il clima più simile a quello canadese piuttosto che all’estate italica.

Alle 13:40 siamo a Bologna sulla A14, dalla quale ne usciamo a Faenza che sono le 14:05. In questo modo alle 14:19 concludiamo felicemente il viaggio di fronte al cancello di casa, dove ci sono ad attenderci anche i genitori di Valentina.

Come ogni altra volta che siamo andati in Nord America anche questo è stato un epico viaggio, ma un gradino al di sotto di quelli consumati ad ovest. Ciò nonostante possiamo dire di aver visto luoghi naturali di straordinaria bellezza, grandi metropoli e città ricche di storia … solo l’alce è mancato all’appello!

□ Dall’11 Agosto al 2 Settembre 2018

□ Da New York a New York km. 7474

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Lunenburg

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Cascate del Niagara

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Île-Bonaventure

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Cascate del Niagara

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Ephrata - Green Dragon Market and Auction

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Boutouche - Le Pays de la Sagouine

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Cape Breton Highlands National Park

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Île-Bonaventure

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Rocher Percé

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Boston - Hancock Tower

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Peggy’s Cove

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Cape Breton Highlands National Park

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Lunenburg

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Toronto - York Quay Centre

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Toronto - Flatiron Building

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Ottawa - Château Laurier e Rideau Canal

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Contea di Lancaster - Hunsecker Mill Coverd Bridge

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Contea di Lancaster - Amish

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Ottawa - Palazzo del Parlamento

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New York

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Philadelphia - Indipendence Hall

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Philadelphia - Elfreth’s Alley

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Philadelphia - Fireman’s Hall

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Philadelphia - Betsy Ross House

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Newport - The Breakers

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New Haven - Harkness Tower

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New York dall'Empire State Building

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New York - Ellis Island

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New York - Statua della Libertà

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New York - Ponte di Brooklyn

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New York - Freedom Tower e The Sphere

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New York - Freedom Tower e Transportation Hub

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Parc Omega

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Parc Omega

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Montréal - Hôtel de Ville

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Deschambault - Sainte-Charles-Borromée

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Algonquin Provincial Park - Spruce Bog Boardwalk

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Kingston - Garrison Parade a Fort Henry

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Boston - Faneuil Hall

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Hopewell Rocks

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Québec - Château Frontenac

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Philadelphia - Benjamin Franklin Parkway

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Peggy’s Cove

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Peggy’s Cove

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Cascate del Niagara

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Perkins Cove

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Pemaquid Point

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Boston - USS Constitution

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Nubble Lighthouse

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Québec - Place Royale

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Hopewell Rocks

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Acadia National Park - Bubble Rock

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Kings County - Smithtown Covered Bridge

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Algonquin Provincial Park - Hardwood Lookout Trail

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Toronto - City Hall

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Algonquin Provincial Park - Lookout Trail

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Philadelphia - Indipendence Hall

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Contea di Lancaster - Keller’s Mill Covered Bridge

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Philadelphia - First Bank of the Unites States

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Québec - Port Kent

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New York - Ponte di Brooklyn

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New York - Citycorp Building

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New York - Top of the Rock

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New York - Times Square

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New York - Little Italy

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New York - Guggenheim Museum

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New York - Top of the Rock

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New York - Natural History Museum

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Québec - Porte de Sainte-Jean

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Toronto - Bay Street

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Ephrata - Green Dragon Market and Auction

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Ephrata - Green Dragon Market and Auction

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Île-Bonaventure

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Île-Bonaventure

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Pointe-à-la-Renommée

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Tadoussac - Whale Watching

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Cascate di Montmorency



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