Lungo i Golfi della Campania il piacere si fa in tre

Tre come i Golfi di Napoli, Salerno e Policastro: gustosa cucina di mare e, a sorpresa, anche di terra!
Martino_Ragusa, 23 Lug 2010
lungo i golfi della campania il piacere si fa in tre
Un golfo non è solamente un’espressione geografica. Lo sa bene chi ci vive. Il golfo è un territorio-sistema, un mondo a sé stante dove varie località condividono non solo il paesaggio, ma anche il microclima, la parlata, le tradizioni e naturalmente il cibo. Perciò chi se ne allontana ne subisce la nostalgia. Perciò chi ci arriva ha l’impressione di entrare in un territorio speciale, come se sbarcasse su un’isola. Sulla costa campana si inseguono tre splendidi golfi, di Napoli, di Salerno e di Policastro, ciascuno con una sua forte personalità. Visitarli e coglierne le differenze è un’esperienza unica al mondo, per la bellezza delle spiagge, delle isole, delle costiere. E la gastronomia? Una sorpresa golosa dietro l’altra.

Il golfo di Napoli

La grande sorpresa delle Isole del Golfo di Napoli è la cucina di terra. E’ stata la legittima voglia di pesce fresco di turisti e villeggianti a richiedere una cucina di mare e i ristoratori si sono adeguati. Questo non significa che nel Golfo manchi la cucina di pesce, anzi! Ischia, come Procida e a Capri siano sempre state isole di pescatori oltre che di contadini, ma in passato il pesce finiva quasi tutto nel mercato ittico di Napoli. Il guadagno veniva poi utilizzato per acquistare i più economici prodotti della terra. Per se stessi gli isolani riservavano i pesci poveri, quelli che non conveniva nemmeno portare al mercato perché sarebbero stati venduti a prezzi troppo bassi. Ed è con questi che sono stati creati i piatti tradizionali più ricchi di storia e intimamente legati al territorio.

Perciò consiglio di rivolgersi proprio ad alici, cefali, luvari, musdee, aguglie, lampughe, pesci castagna e totani tralasciando spigole, orate, scampi e gamberoni. Ne guadagnerà il gusto e il portafoglio. Il piatto più amato dagli ischitani è il coniglio alla cacciatora (chiamato “coniglio all’ischitana” fuori Ischia), cotto nel tegame di coccio con vino bianco, aglio intero incamiciato, pomodorini del pendolo, peperoncino e piperna (timo). Il piatto diventa eccellente se si tratta di un “coniglio di fosso”, allevato in modo specialissimo. Da qualche anno ha ripreso a prosperare nell’isola un’antichissima tecnica di allevamento: si scavano buche di circa due metri di profondità all’interno delle quali vengono immessi coppie di conigli. Seguendo una loro spiccata attitudine, questi scavano a loro volta cunicoli laterali creando delle colonie semiselvatiche che si nutrono di radici e erbe, con grande vantaggio della qualità della vita degli animali e del valore gastronomico delle carni.

Altri piatti di terra da non perdere sono i fagioli zampognari, piccoli, neri e gustosissimi; il lacierto (girello) alla pizzaiola, la scarola imbottita. Fra i pesci ricordatevi di assaggiare le alici in tortiera, i castaurielli (auguglie) fritti, la pasta con la lampuga, la musdea all’acqua pazza, i cefali alla brace con salmoriglio di menta, i luvari lessati con olio e limone. Al coniglio di Ischia Capri risponde con un piatto anch’esso di terra: i ravioli ripieni di caciotta al pomodoro e basilico. Ancora una preparazione di terra, così come l’insalata caprese, l’altro piatto che orami condivide il ruolo di simbolo dell’isola. Si dice che sia stata inventata negli anni cinquanta da un cuoco caprese in onore di re Farouk d’Egitto, ma in realtà è già menzionata negli anni ’20 nel menu di una cena organizzata dal gruppo futurista di Marinetti al Quisisana. L’effetto tricolore formato da pomodori, mozzarella e basilico era irresistibile per un movimento a forte impronta nazionalista e fu così che la caprese cominciò la sua gloriosa carriera.

Non vi sono dubbi, invece, sulle origini della torta caprese di cioccolato e mandorle, tanto somigliante alla sacher-torte e creata da due sorelle austriache eredi del pittore August Weber immigrato a Capri. Altri piatti tradizionali da prendere in considerazione sono i perciatielli alla chiummenzana (con pomodorini, basilico, origano), il pollo al mattone, i totani con patate, i totani imbottiti, le alici marinate, la pezzogna all’acqua pazza. Quanto ai vini, ricordate che siete in una terra a forte vocazione vinicola con i magnifici bianchi uve Biancolella e Forastera.

A Procida provate la tradizionale insalata di limoni procidani con aglio, olio, peperoncino, sale e menta. Sono poco aspri, grandi e con l’albedo (la parte bianca compresa tra la buccia e la polpa) molto sviluppata. Altro piatto tipico è la pescatora povera, pasta con friggitelli (peperoncini dolci verdi) e alici. Per il resto la cucina è quella napoletana con particolare predilezione per ortaggi e pesce povero.

Sorrento ha un proprio golfo interno a quello di Napoli, un habitat ideale per i celeberrimi limoni in perenne concorrenza con quelli di Amalfi. La cultivar sorrentina è il “Femminello” o “Ovale di Sorrento”, un limone piccolo e con la buccia sottile, unico per l’equilibrio tra acidi e zuccheri e dalla buccia molto profumata ideale per produrre il limoncello. Tra le specialità vi ricordo gli gnocchi di patate alla sorrentina con pomodoro basilico e mozzarella, gli spaghetti con le noci, le seppioline ripiene di mozzarella, i cannoli alla sorrentina.

Il golfo di Salerno

Veri e propri architetti ambientali, i coltivatori di limoni della Costiera amalfitana tengono in vita un paesaggio dichiarato nel 1997 dall’Unesco Patrimonio dell’umanità. Gli agrumeti sorgono su terrazzamenti a picco sul mare e vengono coltivati completamente a mano. Sono collegati tra loro da stretti sentieri e scale rudimentali ed è per questi percorsi impervi che si arrampicano gli agricoltori con le spalle gravate dalle gerle cariche di limoni. Il “Limone Costa d’AmalfiIGP è chiamato comunemente sfusato per la forma affusolata del frutto. Caratteristico è anche l’umbone (il culetto del limone) allungato. Il colore è giallo chiaro e le dimensioni sono grandi, un frutto pesa almeno 100 grammi. La polpa è moderatamente acida e semidolce, succosa e con pochi di semi. Il limone è stato introdotto dagli Arabi in Spagna e Sicilia e da qui approdò in Campania. Ma la diffusione del limone nell’area di Amalfi avvenne soprattutto in seguito alla scoperta della sua grande utilità nella lotta allo scorbuto dovuta all’alto contenuto di vitamina C. Già nell’XI secolo, la Repubblica Amalfitana decretò che a bordo delle navi ci fossero sempre provviste abbondanti di limoni. Oltre alle linguine al limone, di recente creazione per onorare la frutto più prestigioso della costiera, provate le più tradizionali linguine con il sugo di totani.

Ancora più tipici sono gli scialatielli, fettuccine spesse e corte, di circa 10 cm di lunghezza, impastate con farina, latte, olio, formaggio di capra grattugiato, pepe. Tutto questo solo nell’impasto, poi gli scialatielli vengono conditi con un sugo di frutti di mare.

Imperdibili ad Amalfi i dolci dei quali vi presento una veloce, golosissima rassegna: scorzette di limoni, cedri e arance candite e immerse per metà nel cioccolato fondente; delizie al limone (pandispagna leggero ripieno di crema di limone e rivestito da uno strato sottilissimo di chantilly al limone); roccocò (biscotti di mandorle e scorza d’arancia candita); sucamelli (come i roccocò con aggiunta di miele) e santarosa (pasticcini ripieni di ricotta, crema e canditi, guarniti con crema pasticcera e amarene).

Il nome di Cetara, borgo marinaro della Costiera Amalfitana ai piedi del monte Falerio, è legato una specialità unica al mondo: la Colatura di Alici, l’unico erede legittimo dell’antico Garum dei romani preparato ancora oggi con lo stesso metodo di duemila anni fa. Le acciughe freschissime, appena pescate, vengono scapezzate a mano, eviscerate e sistemate in un barile di rovere che si chiama Terzigno (il terzo di una botte) alternate a strati di sale. Il barile viene coperto con un coperchio e su questo sono sistemati dei pesi. Man mano che i pesci si disidratano per effetto del sale e del peso, in superficie affiora un liquido che nella normale salatura delle alici viene scartato. Qui invece è recuperato e fatto concentrare al sole. Quando le alici sotto sale sono mature, il liquido viene versato nuovamente nel Terzigno e fatto insaporire con il lento passaggio attraverso gli strati di acciughe, infine fuoriesce a un foro alla base del barile. La colatura di alici è pronta per essere gustata con le linguine oppure usata per insaporire verdure e pesci.

Il Golfo di Policastro

Il terzo golfo, più meridionale, è il meno battuto dal turismo di massa e forse il più sorprendente dal punto di vista gastronomico. Chi di voi deciderà di passarvi una vacanza di fare solo una visita godrà dell’incontro ravvicinato con la cucina cilentana, saporita, popolare e austera, lontana dai barocchismi napoletani. A Marina di Pisciotta troverete le alici di menaica pescate e conservate con un’antichissima tecnica di pesca-lavorazione, un tempo diffusa su tutte le coste del Mediterraneo, ma che ora sopravvive soltanto in questa località marinara grazie a cinque o sei barche. Le acciughe si pescano in tarda primavera-estate all’imbrunire e solo quando il mare è perfettamente calmo. Le barche si spingono al largo dove stendono le reti sbarrando il percorso ai branchi di acciughe. Le reti hanno maglie larghe per favorire la fuga dei pesci più piccoli. Le acciughe catturate vengono estratte una a una dalle maglie della rete, immediatamente decapitate, eviscerate e sistemano in cassette di legno. Non vengono utilizzati né il ghiaccio né altri refrigeranti durante il trasporto fino a terra. Una volta giunti al porto, sono lavorate immediatamente. Prima vengono lavate con una salamoia e poi messe sotto sale in terzigni di terracotta dove stagioneranno. Si comprano direttamente dai pescatori.

Le specialità della cucina del golfo sono tante e tutte rustiche. Troverete la pizza cilentana con formaggio di capra, salsa di pomodoro, aglio e olio; le alici arreganate, cotte al forno con olio extravergine di oliva, aceto, origano, aglio, prezzemolo e sale; la minestra sfritta, un umido ristretto di cicorie, bietoline, finocchio selvatico, patate e cardi prima saltati in padella con aglio olio e peperoncino e poi fatti stufare a fuoco lento. Procedura simile ma ingredienti diversi per la ciambotta che accoglie peperoni, melanzane e patate. Di pomodorini, aglio, basilico. Ottime le Mozzarelle di bufala del Parco del Cilento e del Vallo di Diano. Specialità unica è la Mozzarella co’ a murtedda, una mozzarella conservata fra piccoli rami di mortedda o mortella e impregnata della fragranza di questo profumatissimo cespuglio odoroso protagonista del paesaggio del golfo.

Appunti di viaggio

Il Limoncello

Ecco la ricetta del limoncello dalla viva voce di un agrumicoltore: “Raccogliamo i limoni al mattino presto li sciacquiamo in acqua corrente iusto per togliere la sola polvere. Non li sottoponiamo a particolari lavaggi perché sono biologici. Con un semplice pelapatate togliamo la parte superficiale della buccia scartando il bianco. Poi mettiamo le bucce in infusione in alcol di vinacce a 96 gradi per tre giorni. Le dosi sono: 1 litro di alcol per 1 chilo di limoni. Quindi si pesano i limoni prima di pelarli. Nel frattempo facciamo uno sciroppo con un litro e due di acqua e settecento grammi di zucchero di prima qualità. Queste dosi si riferiscono sempre a un chilo di limoni. Comunque lo sciroppo si può fare più o meno dolce a seconda del gusto variando la quantità di zucchero. Il terzo giorno scoliamo l’alcol dalle bucce e misceliamo l’infuso e lo sciroppo. Dopo avere mescolato bene, lo filtriamo con un filtropressa a fogli di carta.”

Il Provolone del Monaco

Il Provolone del Monaco è un formaggio di latte vaccino a pasta filata. La pasta è di colore bianco-crema con qualche fessura che produce delle tipiche “lacrime” di condensa grassa al momento del taglio. Dopo una stagionatura di quattro mesi in grotte assume un sapore semi-piccante. A nove mesi il gusto diventa decisamente piccante e la forza aumenta con la stagionatura che può protrarsi fino a due anni. Ha la forma di un fiasco e il nome forse deriva dalla somiglianza con le bisacce usate dai monaci per la questua. È l’unico esempio di provolone artigianale rimasto nell’area originaria ed è prodotto da gennaio a marzo nel comune di Vico Equense. Questo formaggio è un simbolo dell’emigrazione che ha caratterizzato nell’ultimo secolo l’area della penisola Sorrentina e dei Monti Lattari. Le sue gustose lacrime consolavano le amare “lacrime napulitane” di nostalgia che scorrevano copiose nella lontana America.

Tutti gli indirizzi utili

Ristorante Il Ghiottone Via Nazionale 42 84067 Policastro Bussentino (SA) Tel. 0974984186 email: ilghiottone@email.com

Pasticceria Pansa Piazza Duomo, 40 Amalfi (SA) Tel. 089 871065

Trattoria “Da Maria” Via Lorenzo d’Amalfi Amalfi (SA) Tel. 089 871880

Per il Provolone del Monaco: Caseificio La Verde Fattoria del Monte Comune via Sala, 24, Frazione Molano 80069 Vico Equense (NA)

Per la Colatura di Alici: Pescheria Battista Delfino via Umberto I, 58 Tel. 089 261069

Ristorante Acquapazza Corso Garibaldi, 36 84010 – Cetara (SA)

Per la Mozzarella di bufala: Azienda Biologica Vannulo Capaccio-Paestum (Sa), Località Rettifilo, Via G. Galilei, 10 Tel. 0828.724765

Per la Muzzarella co’ a murtedda: Caseificio Chirico Ascea Marina (Sa), Via Mulino Vecchio, 2 Tel. 0974.971584

Caseificio La Vallesina Vallo delle Lucania (Sa) Via Cammarota, 55 Tel. 0974.2158



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