Il sorriso addosso: Cambogia

Tutto ruota attorno alla mia voglia di vedere il Preah Vihear Prasat, il controverso sito archeologico Khmer, al confine tra Thailandia e Cambogia che già due anni fa avevamo tentato di visitare al rientro dal Laos
Scritto da: Mixer
il sorriso addosso: cambogia
Partenza il: 27/11/2015
Ritorno il: 21/12/2015
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
Cambogia, di nuovo, 11 anni dopo.

Tutto ruota attorno alla mia voglia di vedere il Preah Vihear Prasat, il controverso sito archeologico Khmer, al confine tra Thailandia e Cambogia che già due anni fa avevamo tentato di visitare al rientro dal Laos.

In quell’occasione e proprio in quei giorni di novembre, la corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite dell’Aia, aveva definitivamente assegnato la sovranità del sito alla Cambogia, e quindi…nisba…dalla parte tailandese non si poteva più entrare…!

Eccoci quindi a Siem Reap. Nessun luogo, o punto cardinale o lungofiume, è simile a quanto visitammo nel 2004. Allora anche l’asfalto era un lusso. Oggi, pur rimanendo caotica, secondo me, è ancora una tra le località del sudest asiatico dove è possibile trascorrere alcuni giorni senza annoiarsi e lasciarsi avvolgere dalla calda (anzi, considerati i 32°… caldissima), profumata, appiccicosa e polverosa vita cittadina.

La moltitudine di turisti rimane il tempo necessario di 2 o 3 giorni, quasi esclusivamente per visitare il famoso sito di Angkor.

Dopo esserci sistemati alla Popular Boutique Guesthouse (www.popularboutiquehotel.com – 32 euro con colazione), girovaghiamo lungo il fiume, anima e punto nevralgico di tutta la vita di Siem Reap. Siamo molto stanchi e quindi ci fermiamo abbastanza in fretta per cenare al “Father’s” ottimo ristorantino gestito da una famiglia cambogiana.

29 novembre

Torniamo a visitare il Wat Bo. Strano ed antico luogo, deserto, sporco ma affascinante. Oggi è chiuso ma l’atmosfera è pacifica e l’albero di frangipane dove sostiamo per tentare di non farci sopraffare dal caldo è profumatissimo. Microgatti, monaci in malarnese ed una gigantesca scrofa crogiolano al sole e ci fanno compagnia lasciandosi fotografare ben volentieri.

Alle 13.30, puntualissimo, arriva direttamente al nostro Hotel il minivan della Mekong Express (9 usd pp, acquistato dal sito www.camboticket.com) con il quale alle 17,15 arriviamo a Battambang; ci siamo separati dalla nostra compagna di viaggio poiché lei si dedicherà alle visite dei siti archeologici che noi abbiamo già visitato nel 2004.

L’hotel Classy (www.classyhotelspa.com – 69 euro per 2 notti con colazione) è bellissimo; la nostra stanza è enorme e con vista sul fiume. Battambang ci appare da subito molto ampia ed ariosa e soprattutto meno trafficata rispetto a Siem Reap. Gli abitanti hanno un atteggiamento più rilassato e disinteressato a noi, turisti bianchicci che si aggirano sudati, molto sudati, per le ordinate e regolari vie della loro città che ovunque ricordano la dominazione francese, attraverso i grandi viali e le belle e decadenti case coloniali.

Ceniamo al White Rose dove ad un certo punto si mette a piovere a dirotto…nel senso che nel giro di pochi minuti cade dal cielo una quantità di acqua spaventosa, da non far più vedere i confini tra il ristorante e la strada. I commensali vengono immediatamente spostati all’interno del locale e il barbecue sulla strada dove le cuoche stavano grigliando pesci, polli, frattaglie, etc… viene coperto con ombrelli e teloni, nella calma più assoluta e nel divertimento dei locali che sono abituati a scene come queste, ovvero a noi turisti che guardiamo stupefatti il cielo e fotografiamo come deficienti l’acqua che cade ed inonda le strade. Si continua la cena un po’ più inumiditi, ma neanche tanto, considerata la scarsa differenza tra umidità climatica e quella procurata dall’acqua piovana!

30 novembre

Dopo un po’ di incertezze dovute al poco dormire procurato dal jet lag, ma soprattutto dal caldo esagerato che ci impedisce di passeggiare tranquillamente, decidiamo di cedere alle lusinghe del Sig. Takei. Ha un grazioso “car-tuk” (chissà se si chiama così…), ovvero un veicolo metà automobile e metà tuk tuk con il quale patteggiamo l’intera giornata per 25 usd.

Fa veramente caldo, anche i cambogiani dicono che è atipico (…e te pareva…tutto il Mondo è paese).

Prima tappa i Norry, il bambù train.

Praticamente la ferrovia costruita durante la guerra civile degli anni 80. I contadini la utilizzavano per andare da Phnom Phen a Battambang e viceversa. Ancora oggi qualcuno ne fa uso ma ai turisti è concesso di percorrere un piccolo tratto di circa 7 Km, previo pagamento di 5 usd.

È un’esperienza ovviamente turistica, ma l’ho comunque trovata molto piacevole, in quanto il percorso si snoda nella campagna cambogiana: ogni tanto si può gustare l’attraversamento di ponticelli, terreni coltivati e sbirciare la vita contadina seduti sui cuscini della tua piattaforma in ferro e bambù. Poiché il binario è unico, ogni “vagone” che arriva nella direzione opposta, è occasione per smontare il mezzo per poi rimontarlo una volta che il primo ha transitato! Insomma mi sono divertita moltissimo!

Il piccolo villaggio, al termine dei 7 km dove scendiamo, è assolutamente ad uso e consumo dei turisti, ma volendo si può cogliere l’occasione per sgattaiolare lungo i binari e trovare subito casette e persone molto cordiali che vogliono scambiare con noi solo sorrisi e le rituali frasi inglesi di benvenuto! Tanti i bambini che vendono per “only 1 dollar” i braccialetti in tessuto variopinto.

Seconda tappa è la vecchia casa in teak di Mrs. Bun (http://mrsbunshouse.com), costruita nel 1920 ed ora aperta come museo dalla pronipote degli primi abitanti.

La casa è bellissima e anche se i “cimeli” antichi, citati dai depliant turistici, non sono propriamente imperdibili, al contrario è molto interessante ascoltare la ragazza che ci racconta della vita che hanno fatto i suoi nonni ed i suoi genitori e di quel che è accaduto poi con l’avvento dei Khmer Rossi e di come tutti i loro sogni siano stati spazzati via dai massacri di Pol Pot.

Terza tappa del nostro tour il Wat Phnom Banan (entrata 3 usd).

Sono le ore 14. Fa un caldo infernale e dove si trova il tempio? Ma naturalmente in cima ad una scalinata di 350 gradini (se consulterete internet noterete che il numero è altamente variabile … secondo me a seconda del caldo che i viaggiatori trovano!). Facciamo buon viso a cattivo gioco e ci accingiamo, anche se piuttosto provati, a salire. Ormai ne abbiamo fatto una regola, una nostra tradizione di viaggio nel toppare gli orari per certe attività.

Siamo noi e altri 2 turisti. L’unica fortuna è che la scalinata è parzialmente in ombra quindi dopo ogni 4,5 gradini (anzi gradoni…) ci possiamo fermare a riprendere fiato.

Arriviamo in cima zuppi e accaldati da far paura.

I templi sono in cattivo stato, quasi tutti ruderi, ma la pace è assoluta. Un guardiano e la moglie stanno facendo un pranzetto e sorridendo ci invitano a sedere con loro. Il piatto di riso è talmente piccolo che, ringraziando, gli facciamo intendere di aver già mangiato e ci allontaniamo per girellare tra i ruderi.

Durante la discesa ci fanno compagnia le scimmie; sarà che siamo solo noi due, sarà che hanno caldo pure loro, ma nessuna ci molesta come tanto declamato dalle guide o da altri viaggiatori. Troveremo alla base della scalinata due bambini che giocano. Uno si accorge che lo sto guardando e allora compie un gesto che sulle prime avevo pensato fosse un gioco, ma poi mi accorgo che quella che si sta togliendo non è una scarpa…ma una protesi inserita sul moncherino. Lui sorride ed io con un groppo alla gola gli accarezzo una spalla.

Pranziamo ottimamente in uno dei banchetti presenti, mentre Mr. Takei riposa sopra un’amaca montata diagonalmente sul suo mezzo di locomozione!

La strada “più corta” per arrivare al Phnom Sampeau, attraversa tanti campi di mango. (http://www.tourismcambodia.com/travelguides/provinces/battambang/what-to-see/29_sampeou-mountain.htm; entrata 3 usd pp). E’ un effetto “Camel Trophy” molto divertente e “very jumping” come il nostro autista dichiara, e che mette a dura prova la macchinetta che ci ospita.

Arriviamo con le vertebre sacrali ormai ridotte di numero e densità, oltretutto dall’auto saliamo direttamente in sella a due mototaxi (5 usd per entrambi), senza neanche porci l’interrogativo se impegnarci con i circa 1000 gradini che portano alla sommità della collina o appunto, a cavallo di una moto.

Il “mio” motociclista ci parla di questo luogo, che è piuttosto recente; è stato costruito negli anni ’60. E’ un complesso di templi costruiti su terrazzamenti. La leggenda narra che la collina dove siamo noi e le altre che vediamo dalla cime, non sono altro che il corpo di un coccodrillo che ebbe la sfortuna di innamorarsi della principessa Romsay Sok.

All’epoca qui c’era un bel lago, dove la principessa e il suo fidanzato, vennero a fare una gita romantica, su una barchetta. Ma il rettile spasimante se ne accorse e preso da una feroce gelosia, affondò con un colpo di coda la barca dove erano gli innamorati, pensando, erroneamente che la principessa sarebbe sopravvissuta…!

Così fu che la gente del posto, per ritrovare il corpo dell’amata principessa, svuotò il lago da tutta l’acqua ed il cocco innamorato fu fregato dalla sua stessa strategia, morendo anche lui! Ma le spoglie del suo corpo si trasformarono, a ricordare l’amor perduto, nella serie di colline che abbondano in questa zona.

Ci avviamo verso la caverna dove negli anni dal 1975 al 1979, Pol Pot e affiliati si sono adoperati a massacrare, torturare ed uccidere almeno 10.000 cambogiani, quasi tutte persone anziane e colte. I corpi furono scoperti a causa del forte miasma dai contadini che, prima di allora, avevano pensato che la caverna fosse utilizzata unicamente come prigione.

All’inizio del sentiero che porta all’imboccatura della caverna ci sono diversi operai, stanno finendo di scolpire e dipingere un monumento alla memoria. La storia infame di quel luogo, come già avevamo visto descritto sui muri di un edificio ai Killing Fields di Siem Reap.

Questo comprende varie statue a grandezza naturale, torturati e torturatori, questi ultimi dotati degli arnesi più impensabili. Il tutto dipinto con colori sgargianti, che in un certo senso smorzano o accentuano, a seconda del particolare che stai guardando, l’assurdità della cattiveria umana.

Un sentiero popolato da scimmie incuriosite e affamate ci conduce all’ingresso della caverna. Qui la natura è rigogliosissima, se la guida non ci avesse indicato il punto dove c’è il buco, del diametro di circa 8 mt., neanche avremmo capito cosa poteva essere.

Da lì quindi scaraventavano i malcapitati, finché i cadaveri divennero talmente tanti che arrivavano fin qui, dove siamo adesso noi!

Torniamo sui nostri passi e affrontiamo la discesa di una scala per raggiungere la base della caverna, un dislivello di circa 300 mt. Il luogo è suggestivo, il silenzio sembra incombere su di noi mentre i fumi dell’incenso ed il suo forte profumo creano un’atmosfera surreale. Penso a tutta quella povera gente, ai quei corpi ammassati e a quanto doloroso possa essere stato per i giovani dell’epoca perdere i genitori, insegnanti, nonni e parenti: la loro memoria.

Torniamo a Battambang stanchi e rattristati, ma rientrando ci accolgono i visi sorridenti del personale del nostro albergo, ci domandano della nostra Italia, di come si vive, e se la Cambogia ci piace. Si ci piace ma ancora di più voi, gli abitanti!

Ceniamo al Khmer Delight, piuttosto buono (10 usd). Vi segnalo anche un negozio molto particolare, Bric à Brac ). Noi abbiamo conosciuto uno dei proprietari, Morrison, un folle australiano di Sidney che ha vissuto qua e là in Asia, sopratutto in Birmania per poi arrivare in Cambogia, a Battambang. Ha aperto, credo assieme ad altri soci, questo negozio che funge anche da guest house, dove ha dato prova di notevole bravura insegnando a diversi ragazzi cambogiani la tessitura e la passamaneria, qui riprodotte in varie fatture e fogge. Ha scritto un libro di cucina birmana che ci mostra entusiasta. Un incontro gradito e divertente per entrambi, considerato che io ho trovato una bellissima sciarpa in canapa gialla e lui venduto una sua creazione!

1 dicembre

Questa mattina, grazie ad un’incomprensione con Mr. Takei, visita e fuga alla Crocodile Farm (assolutamente da evitare….). Centinaia di animali stipati in vasche piccolissime, provenienti dal Vietnam ed in attesa per giorni o per mesi di trasformarsi in cinte, scarpe, giacche ed altre amenità per acquirenti con pochi scrupoli. Il puzzo è nauseante.

Il Wat Phnom Ek è chiuso, ma si può visitare l’area circostante, piena dei resti di stupa distrutti dai Khmer Rouge. Ci accompagna una dolce e piccola signora non proprio in sé, che in una lingua misto cambo-inglese ma molto piena di mugugni e poche pause, ci spiega a sua maniera del disastro compiuto in quegli anni bui. Le uniche parole comprensibili sono BANG BANG, Khmer Rouge e Kaput.

E via verso l’hotel, dove alle 14,30 ci viene al prelevare l’auto del Battambang Resort, (http://battambangresort.com/) dove ho prenotato per quest’ultima notte.

È a soli 5 km dalla città, ma sembra di essere proprio all’interno della “ciotola di riso della Cambogia”.

Campi di riso uno dopo l’altro, ibiscus, gardenie giganti e alberi di frangipane.

Il Resort è magnifico, come me lo aspettavo. Il nostro cottage è bellissimo. Ha una vista sul laghetto privato fantastica. È il luogo ideale dove riprendersi dal caldo, dalla polvere e dalla stanchezza di questi giorni!

Abbiamo pagato 89 usd per la stanza con la colazione. I pasti sono buoni, niente di eccezionale, ma siamo qui per riposare!

2 dicembre

Dopo la visione celestiale dell’alba, alle 10,00 partiamo per Siem Reap con la Capital Bus ( 4 usd pp).Tenete presente che in primis un minivan vi preleverà al vostro Hotel e verrete portati alla Stazione centrale della Capital bus dove finalmente entrerete nel bus grande. Là vi accoglieranno sedili comodi e parzialmente reclinabili, ma soprattutto il Video Karaoke!

Nel nostro caso il film narra le vicende del meschino Allan. È un ragazzo molto carino, con una cofana piramidale di capelli in testa ed altrettante buone intenzioni, ma incappa sempre in fidanzate opportuniste, che guarda caso gli preferiscono ragazzi ricchi, con macchine enormi e case principesche mentre lui, invece, non ha niente altro da donar loro che il suo amore!

Insomma, 3 ore e mezza di canti a squarciagola, fermate pipì e di commozione finale, quando alla fine della storia, il tapino viene fatto fesso pure dal migliore amico….eccheè!?!

Ci ricongiungiamo con la nostra amica Serafina e decidiamo di festeggiare, concedendoci una cena al Touich (http://the-touich-restaurant-bar.blogspot.it/p/our-menu_1.html). Ottima (30 usd totali) e grazie della segnalazione amico Farang!

È un po’ fuori Siem Reap, ma un tuk tuk vi ci porterà in una decina di minuti..

3 dicembre

Torniamo a visitare l’Area di Angkor (il biglietto per un solo giorno costa 20 usd), il richiamo era troppo forte, e in fondo sono trascorsi tanti anni dalla nostra prima visita. Oltre tutto uno dei templi, il Baphuon, oggi visitabile, al tempo era ancora in restauro.

Ci accompagna Mr. Vichay un silenzioso e competente tuk tuk driver che ci farà da guida per tutto il giorno ad un prezzo conveniente (vichhaychhoum@yahoo.com).

Fa caldissimo e la visita è impegnativa.

La sera ci ritroviamo a cena nel “nostro” Ristorante Father’s dove continuano le scoperte riguardo la bontà del cibo cambogiano.

A seguito di un disguido tra me e la guida in precedenza contattata dall’Italia, siamo costretti a cercare velocemente un’altra persona con automobile, disponibile ad accompagnarci, per dopodomani mattina! Fortunatamente qui a Siem Reap basta posizionarsi ad un angolo di strada e sorridere. Alcuni procacciatori si avvicinano immediatamente e dopo aver fatto capire cosa vogliamo, partono le telefonate a cugini, fratelli, amici di amici e pure a sconosciuti. Dopo alcune ore il nostro mediatore ci trova addirittura due autisti e due auto. Optiamo per un distinto signore con un quasi pulmino. La cifra richiesta per entrambe le opzioni è di 550 usd per 6 giorni.

4 dicembre

Questa giornata la dedichiamo ad attività diverse. Ognuno di noi intraprenderà svaghi e visite in solitaria. Personalmente sceglierò un buon massaggio presso la Body Tune sul lungofiume: straconsigliato! (www.bodytune.co.th/branch_siemreap.aspx 8 usd). Alloggiamo al centralissimo Tan Kang Angkor Hotel (www.tankangangkorhotel.com due notti 60 usd con colazione). Non è il massimo in quanto a cibo e ha una piscina piccola piuttosto sporca e sempre affollata. Ma i letti sono comodi e la stanza spaziosa.

Passeggiando per Siem Reap si trovano tantissimi angolini tranquilli e posticini dove sorbire una birra o mangiare frutta deliziosa.

5 dicembre

Sveglia alle 5. Dopo colazione la prima sorpresa: il nostro accompagnatore è cambiato e l’auto pure. Al loro posto il giovane Mr. Ho (si pronuncia “U”…) e una berlina nera. Il mediatore ci dice che l’altro signore da noi scelto non parlava inglese.

E va bene, si parte alle 6,00. Lungo la strada verso il Preah Vihear la seconda sorpresa: Mr Ho non parla inglese. O se lo parla, è quello delle Isole Shetland con accento cambogiano…

Ma lui è fiero di sé e continua a parlare, parlare, parlare, nonostante io, l’interprete, mio malgrado, del gruppo, chieda in continuazione “what?” “can you repeat?”… e cosi via. E’ un ragazzo amabile e tranquillo ma ha una caratteristica sgradevole ed incomprensibile. Ogni volta che ci fermiamo, sia per una sosta bagno o per mangiare come per una visita di un luogo, posteggia l’auto SEMPRE sotto il sole. Potevano esserci alberi o tettoie o garage ma, nonostante le nostre richieste sempre più insistenti “HERE”…”SHADOW” “THE CAR IS BLACK!”, lui niente. Pensare che ci sono 38° e una umidità oltre la soglia dell’80° e che pure lui suda!!! Va a capire! Ma lui ci sorride sempre e sembra non accorgersi degli improperi che mandiamo a lui e ai suoi avi! È disarmante e quindi, alla fine ci adeguiamo noi al suo modo di agire…o di essere?!

Lungo la strada visitiamo ancora il rosato templio delle donne, il Bantey Srei, e poi il Beng Melea e il Ko Ker (10 usd, non sono compresi nel biglietto di Angkor) fantastici!

Arriviamo in serata (ci vogliono circa 5 ore) al Preah Vihear Boutique Hotel (http://preahvihearhotels.com/ – 100 usd con colazione) l’unico hotel abbastanza vicino al tempio montagna.

Stanza pulita e grande, bella piscina e cibo mediocre. Ma i cocktail sono ottimi e dopo averne bevuti un paio, magari qualcuno di più, neanche sento così tanto caldo!

6 dicembre

Alle 6 si parte verso Preah Vihear Prasat. Sono 24 km.

L’entrata al sito si paga 10 usd, più 5 usd di motorbike, a meno che al solito, si vogliano salire i 2000 e passa scalini che servono per arrampicarsi sulla cima a 600 mt o percorrere la tortuosissima e ripidissima strada che porta al sito.

Bellissimo! Aspettavo di vederlo da cosi tanto tempo! È un complesso enorme. I suoi templi sono stati modificati svariate volte dai vari re avvicendatisi, comprende quindi diversi stili architettonici. A differenza degli altri templi Khmer è stato costruito da nord a sud e non da est ad ovest. Nel 2008 questo sito è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’Unesco.

Come tutti i templi induisti è dedicato a Shiva e rappresenta il Monte Meru.

Si accede al sito dallo Scalone Monumentale al termine del quale cominciano i 5 livelli distinti con dei bei gopura (le porte di entrata), riccamente decorati con incisioni a carattere mitologico. Alcuni meglio conservati di altri, come quello del 4° livello che rappresenta la famosa e, onnipresente nei siti induisti, “zangolatura del latte”.

Ci siamo solo noi tre ed un altro turista tedesco che parla italiano, e continua a ripeterci quanto gli piaccia Venezia.

Arriviamo al primo livello e da lì la visuale sarebbe magnifica ma oggi, purtroppo, la vista è un po’ appannata per la forte umidità. Nelle giornate limpide si possono vedere anche i confini del Laos e della Thailandia.

Ci sono tanti militari, piuttosto scoglionati, con le divise ormai consunte e scolorite, che dovrebbero sorvegliare il luogo da invasioni da parte dei vicini thailadesi. Sono contentissimi quando ci vedono, vogliono parlare, anche solo nella loro lingua, ma soprattutto farci vedere dove vivono per tantissime ore del giorno. Vengo fatta entrare in una specie di rientranza della montagna, in una specie di caverna piccolissima, dove 3 di questi soldati riposano ammassati, c’è una radio a transistor, delle coperte, un thermos e, curiosamente, un cuscino di un bianco immacolato.

Vogliono farsi delle foto con me e ridono come pazzi quando le rivedono (sic).

Le casette di legno venute su in questi anni di guerre tra la Thailandia e la Cambogia, ospitano le famiglie di questi soldati, ci sono donne e bambini che sono intenti nella loro vita quotidiana. Rimaniamo in beata contemplazione più o meno fotografica e poi torniamo alla base.

Arriviamo a Banlung dopo quasi 7 ore. Abbiamo sbagliato strada almeno una decina di volte, ma il nostro prode Mr. Ho si rifiuta categoricamente di chiedere informazioni ai seppur pochi passanti che incontriamo lungo la via. Siamo nella regione del Ratanakiri.

Il Green Plateau Lodge è molto carino (www.greenplateaulodge.com 25 euro con colazione). La coppia che lo gestisce mentre il proprietario è a Phnom Phen, è deliziosa e, nonostante sia tardissimo, ci preparano una cena squisita.

7 dicembre

Banlung meritava di rimanerci anche un giorno in più, ma cercare di spiegarlo a Mr. Ho è impensabile. Oltretutto lui è estremamente contento perché come mi ha spiegato, per intercessione del ragazzo del Green Plateau, questo è il suo primo viaggio in questa zona. Non ci era mai venuto prima!

Visitiamo il mercato, l’odore di quella specie di vongole che fanno bollire e poi espongono al sole per la vendita, è persistente. Questa è anche la zona dove ci hanno detto ci siano miniere di argento.

Scopriamo subito che ai cambogiani, invece, piace molto di più l’oro: le bancarelle all’interno del mercato traboccano del giallo metallo reso ancor più brillante da luci accecanti poste al di sopra delle teche. Troverò comunque da acquistare, a un prezzo irrisorio, un paio di orecchini in argento, in stile cambogiano molto bellini.

Ci concediamo una passeggiata lungo le sponde dello Yeak Loam Lake. È un lago vulcanico dalla forma quasi perfettamente rotonda. La gente del luogo ci trascorre le giornate di festa: intorno alle rive ci sono piccole capanne dove, dopo aver mangiato il pranzo o la cena, ci si riposa o si gioca con i familiari.

Pranziamo sul ciglio della strada; in questa zona non turistica, la differenza tra “ristorante” e “emporio” è molto sottile. Si riesce a capire che hanno cibo in vendita soltanto quando sono esposte delle pentole.

Il cibo è semplice ma abbiamo fame e quindi lo ingurgitiamo famelici. La famigliola che ci ospita è molto gentile, hanno due bimbetti che ci osservano incuriositi e quando tiriamo fuori dai nostri zaini i peluche ed i giochini portati dall’Italia…la gioia è assicurata e palese.

Arriviamo a Sen Monorom nel primo pomeriggio. Abbiamo cambiato regione, siamo nel Mondulkiri.

Qui il panorama è totalmente cambiato. Non sembra neanche di essere in Asia. Piuttosto mi ricorda il monte Amiata.

Il Nature Lodge (www.naturelodgecambodia.com – 2 notti 40 euro) è molto particolare. La hall centrale è una vasta casona in legno con tettoia dove ci sono le cucine e si mangia o si poltrisce e ci si incontra. Gli alloggi sono casette, sul genere baita svizzera, disseminate su un vasto terreno pieno di alberi e piante profumate.

Animali più o meno grandi fanno parte della politica ecologica dei proprietari. Mucche, cavalli, galline e gatti ci faranno compagnia per i due giorni che pernotteremo in questo strano luogo.

Qui fa finalmente freddo. Noi siamo attrezzati, abbiamo l’abbigliamento con cui siamo partiti dall’Italia. Ma Mr. Ho non ha nulla. Indossa una candida camicia e porta con sé una serie di magliette colorate, non gli abbiamo visto nulla di più pesante. Tra l’altro, ho cercato di fargli spiegare, anche dalla proprietaria del Lodge, che noi staremo fermi qui due giorni, e quindi da questo momento fino al 9 dicembre lui è libero, può fare quello che vuole perché non necessiteremo dell’auto. A nulla serviranno le spiegazioni, fornite sia in inglese sia nella sua lingua. Mattina o pomeriggio lo troveremo sempre accanto alla berlina nera nel parcheggio…non appena mi vede apparire sui sentieri del giardino mi grida …Hallo Madame!… sorridente e congelato. Chiediamo delle coperte e del cibo per lui alla reception, abbiamo capito che non sa dove andare e che probabilmente dormirà in macchina.

8 dicembre

Oggi a Roma saranno tutti alle prese con la preparazione dell’albero di Natale mentre noi andiamo a fare il bagno con gli elefanti.

Abbiamo prenotato questa gita direttamente al Lodge (20 usd pp). Prevede una camminata nei boschi e nella foresta, dove mangeremo ed incontreremo gli animali allo stato brado.

La nostra guida è Tom. Un dolcissimo ragazzo che parla un buon inglese e che è esperto, grazie alle conoscenze tramandate dai nonni e dai genitori, di ogni erba, pianta e arbusto che popola la foresta.

Saliamo e scendiamo collinette per qualche ora.

Tom ogni tanto si ferma, raccoglie una pianta e, se commestibile, ce ne offre un assaggio. Canna da zucchero, rattan (che non capiamo se sia o meno la stessa palma che da noi arriva come prodotto finale di sedie, rivestimenti, etc..) che ha un sapore amaro e piccantino molto gustoso, e poi riso selvatico, bacche di un albero di cui non ricordo il nome… sicuramente disgustose, radici colorate e saporite e poi, via via che ci addentriamo nella vegetazione facciamo la “spesa” che servirà per il nostro pasto.

Arriviamo ad un fiume, si sta benissimo. La temperatura è piacevole ma l’acqua del fiume è freddina. Tom congiunge le mani sulla bocca ed emette un suono stranissimo. È il richiamo per i mahout. Infatti dopo pochi minuti sbucano dalle fratte due ragazzi che precedono due elefanti. Non sono legati, ma seguono i loro mahout, lemmi lemmi.

Non sembrano molto interessati a noi quanto a ingerire erba e tutto ciò che a loro sembra commestibile, ininterrottamente. Visto che il “programma” lo prevede, i ragazzi convincono gli elefanti a farsi fotografare e poi ad avanzare verso il fiume, quindi ad entrare in acqua per un bagno. Gli elefanti non ne hanno affatto voglia, comprensibilmente, visto che la temperatura è bassa. Cerco di dissuadere Tom, dicendogli che non fa nulla. Ci soddisfa anche soltanto guardarli nel loro ambiente e interagire con loro, con la loro energia.

Ma loro eseguono gli ordini e quindi i poveri pachidermi entrano a malavoglia, oltretutto devono pure subire il lavaggio da parte dei ragazzi che si sono tuffati nelle stesse acque e che vediamo rabbrividire, nonostante gli schiamazzi gioiosi!

Finita la sosta con gli animali, gli permettiamo finalmente di andarsene in pace a brucare al sole mentre noi ci avviamo verso la radura sul fiume, dove avevamo momentaneamente lasciato la nostra amica che ritroviamo a dormire beatamente, su un’amaca.

Il pranzo è ottimo. Tom lo cucina infilando tutti gli ingredienti (pollo, erbe, pomodori, rattan, aglio, riso, pepe, etc..) nel cavo di un grosso bambù che aveva tagliato lungo il percorso. La parte con il nodo fa da tappo a questa pentola improvvisata che viene posta sopra un fuoco alimentato da pezzi di legno raccolti sul posto.

Veramente fantastico. Tom è un ragazzo entusiasta. Ama il suo lavoro e la sua terra, ma vorrebbe anche studiare inglese per potersi meglio confrontare con i turisti. Proprio dai turisti ha imparato l’inglese che conosce. Rientriamo verso la strada dove incontreremo l’autista del Nature Lodge che ci porterà tutti al villaggio di Bunong dove incontreremo qualche personaggio, tipo la vecchissima Sig.ra Jiut che quando le chiedo l’età, mi risponde attraverso Tom che traduce: “ehhh …chi se lo ricorda?” Mastica e sputa betel anche dentro quella che dovrebbe essere la casa di famiglia. È una capanna di circa 10 mt di diametro per 20 di altezza. Presenta un foro in cima al tetto, costituito da foglie di banano e di rattan; all’interno, dove siamo ricevuti, ci sono in un angolo la cucina e in un angolo le provviste; una piattaforma, ad una altezza di circa 1 mt da terra, copre la metà del diametro della capanna, lì ci sono le stuoie dove i vari componenti della famiglia (nove tra bambini ed adulti) dormiranno.

Torniamo al Lodge dove ci fermiamo ancora un po’ a chiaccherare con Tom e a fargli vedere le foto dei nostri cari in Italia, a Roma. Le cartoline di San Pietro e la Fontana di Trevi che gli regaliamo lo rendono felice ma ancor di più il nostro “aiutino” pro-lezioni di inglese.

9 dicembre

Ripartiamo verso le 9 dopo baci e abbracci con gli ospiti umani ed animali del Lodge. Recuperiamo il nostro Mr. Ho piuttosto malconcio e malaticcio. Starnutisce e più non posso e accetta le nostre medicine solo dopo che la “zia” Serafina gliele impone severamente!

Un viaggio di circa 6 ore ci riporta al caldo. Arriviamo a Kratie (pronuncia: Craciè) verso le 15. In giro non c’è nessuno. Si suda anche in auto con l’aria condizionata. Dopo un po’ di titubanze capiamo che l’albergo prenotato si trova sull’Isola di Koh Trong sul fiume, proprio di fronte a noi.

Presto fatto: si prende una barchetta che con 1 usd ci porta in 3 minuti sull’isola. Dall’imbarcadero prendiamo dei mototaxi che in 10 minuti ci portano al nostro albergo, il Rajabori Villa Resort (www.rajabori-kratie.com – 80 euro con colazione).

L’hotel è magnifico. In perfetto stile Khmer, tutto costruito in teak, in mezzo ad un palmeto fantastico. La piscina è grande e l’acqua rinfrancante. Gli ibiscus sono tantissimi e di tanti colori. La nostra porzione di cottage è molto grande e all’interno ci sono quadri e sculture molto belli. Qui troviamo anche zanzare! Tante ed affamate.

Sull’isola la corrente c’è soltanto fino alle 23, quindi la notte prevedete di passarla a sventagliarvi!! Oltretutto oggi abbiamo toccato i 42° e l’umidità ha lasciato il posto direttamente all’acqua. Nonostante questo, trascorse le ore più calde, decidiamo di prendere le biciclette a disposizione degli ospiti e di girare per l’isoletta. Qui non ci sono macchine, soltanto mototaxi, biciclette e carretti trainati dai muli. Incontriamo tanti bambini. Fortunatamente, riusciamo a regalare quasi a tutti un piccolo giocattolino. Ci saluta ogni persona o gruppo che incontriamo e davanti a quella che sembra una scuola, un manipolo di piccini seminudi ci canta girando in cerchio, una filastrocca divertente!

Per la cena optiamo per il vicino ristorante dell’Arung Mekong Guesthouse. È confinante con il Rajabori, ma è sicuramente più economico e i gestori sono molto disponibili. Non hanno la piscina, ma i cottage costano 25/30 usd (https://arunmekong.wordpress.com/arun-mekong-guesthouse). Noi abbiamo provato l’ottimo cibo e dato uno sguardo alle stanze che ci sono apparse spartane ma molto pulite.

10 dicembre

Il Resort ci ha organizzato il trasbordo sulla terra ferma. Alle 8,30 ci ritroviamo con Mr. Ho che fortunatamente sta un po’ meglio, grazie ai medicinali che ha diligentemente ingoiato. Sulla strada per Phnom Phen visiteremo, dopo esserci persi per un paio di ore, i declivi dove ci sono il Phnom Srey e il Phnom Pros (ovvero la collina degli uomini e quella delle donne) con templi e statue colorate.

Pare ci sia una leggenda a carico di questo luogo. “C’era una volta una regina che ad un certo punto, visto che nessuno la chiedeva in moglie perché considerata troppo importante, quasi come un uomo, decise di ribaltare le regole societarie, ovvero cominciò lei a chiedere agli uomini della Regione di sposarla. Facendo ciò anche tutte le altre donne del posto cominciarono ad emanciparsi e a scegliere i loro uomini. Ma questo fatto, ben presto, imbarazzò la classe maschile che si rifiutò di tradire le antiche tradizioni. Fu cosi che le donne decisero di fare fessi gli uomini, colpendoli sull’orgoglio e indicendo una gara. Chi avesse costruito la collina più alta sarebbe stato il vincitore e avrebbe acquisito il diritto a chiedere in sposo/a l’avversario. Avrebbero dovuto lavorare l’intero giorno, dall’alba fino al sorgere della stella Sirio (alle 4 di mattina circa). Quando fu mezzanotte le donne, furbette loro, misero in atto un trucco. Accesero una lanterna che ovviamente gli uomini, bambacioni, scambiarono per Sirio e tutti contenti andarono a dormire, mentre le donne continuarono a lavorare alacremente alla loro collina che al mattino risultò più alta!”

Visitiamo anche il Wat Nokor (3 usd pp). È uno dei templi Khmer più antichi, dedicato al brahamanismo. Somiglia in piccolo ad Angkor Wat, anche qui un serpente cinge il suo perimetro. All’interno si trovano un tempio induista e uno buddista.

Arriviamo a Phnom Phen nel tardo pomeriggio. Ci perdiamo diverse volte a causa del traffico e della poca dimestichezza di Mr. Ho. Ma alla fine, aiutati anche da un suo amico raccattato entrando in città, riusciamo ad arrivare all’Hotel. Qui i due sorridenti concierges ci dicono che “sorry sorry”, ma di stanze ce n’è soltanto una, la nostra doppia è rotta (sarà svampata??). Siamo talmente stanchi che la nostra incazzatura appare ridicola e sovra esposta. Ci propongono un’alternativa, ci trasportano quindi con dei tuk tuk al nostro nuovo albergo, il G Eleven (www.gelevenhotel.com 30 usd con colazione) – che sembra anche molto meglio del primo. La nostra amica prende una stanza al primo piano. Io voglio a tutti i costi il quarto piano. Ovviamente non c’è ascensore. Ma io voglio stare in alto. Sarà la stanchezza o la mancanza di cibo che mi rende così idiota. Non lo so. Ma alla fine la stanza è bellissima, enorme e con un balcone da cui si può ammirare … il traffico di Phom Phen!!

12 dicembre

Questi ultimi due giorni a Phom Phen ci hanno sfinito. Il caldo, il traffico e la puzza sono costanti e ci rifugiamo nei musei per sconfiggere l’afa e la polvere. Lasciamo quindi la nostra compagna di viaggio in città, in compagnia un amico italiano, Giuseppe e sua moglie Ay, proprietari di un ottimo ristorante pizzeria. Noi fuggiamo con un minivan a Kampot dove arriviamo alle 10,30 (2 ore di viaggio). Troviamo una guest house piuttosto spartana al limitare della città, la Sebana Guesthouse (www.sebanaguesthouse.com – 30 usd) gestista da due ragazzi francesi. Assolutamente sovraprezzo, considerando la miseria della stanza e che la colazione, da pagare a parte, costa 3 dollari.

Siamo fortunati perché in questo week end qui a Kampot si svolge la festa del mare che richiama tutta la popolazione della Regione. Stasera poi, ci dicono, sarà il clou!

Prendiamo accordi per il primo pomeriggio con un tuk tuk driver per fare una gita a una piantagione di pepe e poi una sosta a Kep, al mercato del granchio, il tutto per 20 usd.

Cominciamo a visitare Kampot. Mi piace molto. Ha un’aria sorniona e attempata che mi fa sentire una signora di altri tempi. Le bancarelle sul fiume danno quel tocco di provincialità di cui a Roma si è persa la magia. Non ci sono molti turisti, i venditori non ci pressano, nessuno è preoccupato dal fatto che noi si acquisti o meno, ma sono visibilmente lusingati quando ci fermiamo per chiedere notizie su quel prodotto o manufatto!

Pranziamo da Veronica Kitchen, straconsigliato.

La visita alla piantagione di pepe è interessantissima. Né io né mio marito sapevamo che il pepe di Kampot è considerato uno dei migliori del Mondo e che arriva a costare da un minimo di 24 usd/kg per il pepe nero ai 30 per il pepe bianco!

Finalmente arriviamo alla baia di Kep. Il mare è una tavola. La gente oggi ha fatto festa e quindi è un susseguirsi di banchetti e di auto con mega radio che ci travolgono con musiche dance. Facciamo un salto al mercato del pesce. Sta facendo sera, i venditori stanno gridando i prezzi delle loro leccornie attendendo il miglior offerente. Non capiamo subito come funzioni la cosa. Ma un ragazzo ci viene in aiuto. Si chiama Nick, è in gita con alcuni amici e ci spiega che prima dobbiamo acquistare il pesce, in questo caso i granchi, da uno dei venditori e poi dobbiamo portare il cibo al cuoco che armeggia con una enorme padellona e spezie varie al centro del grande mercato.

Mentre Fabrizio attende che il nostro pasto sia cotto, io mi dedico alla visite delle bancarelle dove trovo delle fantastiche fontane di conchiglie meravigliose, a prezzi ridicoli. Decidiamo di portare in albergo il nostro profumatissimo bottino di granchio al pepe di Kampot per consumarlo con tranquillità.

Salutiamo e ringraziamo Nick il quale, dandomi il suo biglietto da visita, si dice a disposizione per qualsiasi problema o informazione volessimo chiedere!

A Kampot ci riceve il Durian gigante (simbolo della città) tutto illuminato e un continuo carosello di macchine, gente, biciclette, motorini, tutti in movimento verso il fiume, dove la festa si esprime al meglio.

Noi facciamo un salto in albergo dove, accompagnando con una buona birretta fresca fresca, consumiamo il nostro aperitivo a base di granchi di Kep. Che ve lo dico affà… Deliziosi! E questo pepe gli dà un aroma speciale ed eccellente.

Il tempo di fare una doccetta veloce e via, giù nella mischia pure noi. Il caldo e la musica ci stordiscono, ma il nostro ristorante Veronica Kitchen ci aspetta e non delude le nostre aspettative. Dalle comode poltrone del ristorante osserviamo la festa attraverso lo scorrere dei passanti, dei palloncini, dei carretti con il gelato e l’omino che con la pasta dello zucchero crea pupazzetti minuscoli e dolcissimi…

13 dicembre

Lasciamo a malincuore Kampot. Prendiamo un minivan della Champa Mekong a 5 usd. In due ore siamo a Sihanoukville.

Ancora peggio di come mi aspettassi. È un lungomare completamente ricoperto di bar, ristoranti e discoteche.

Questa è la spiaggia di Ochheuteal che dicono essere la più lunga e, assieme ad Otres, potrebbe essere la parte più tranquilla e meno affollata.

Alloggiamo presso il Grand Sihanoukville Hotel (www.grandsihanoukville.com – 35 euro con colazione). Molto pulito, camere confortevoli e grandi, piscina nella norma. Ottima colazione a buffet. Qui ci ritroviamo anche con Serafina, arrivata da Phom Phen dopo un viaggio più lungo del previsto a causa di vari rallentamenti, dovuti ad incidenti automobilistici.

Ceniamo sulla spiaggia, si possono acquistare granchi o pesci o altre cibarie dagli ambulanti, pur sedendo sulle poltroncine di un qualsiasi ristorante. Basta ordinare da bere o altre cose da mangiare.

Si fa sera e la musica si impadronisce della scena. Ogni locale ha la propria ed i buttadentro cominciano la loro opera. Li aiuto pure io, coinvolgendo una scolaresca tedesca in gita e la loro insegnante. È ora di ritirarci. Dolce notte.

14 dicembre

Il molo n. 65 è piuttosto lontano dal centro di Kampot e non tutti lo conoscono. Comunque alla fine lo troviamo. Da qui si parte con la barca messa a disposizione (si fa per dire perché si pagano 20 usd a tratta!) dal Sok San Beach Resort (www.soksanbeachresort.com – 290 usd per 4 notti con colazione).

Dopo 50 minuti, lasciata alle spalle la mondanità di Sihanoukville, ci ritroviamo nella pace e nella sobria eleganza di Koh Rong.

Il Resort è molto bello, fa parte della struttura gestita e di proprietà della emittente televisiva francese che cura il programma Survivor, che pare sia alla settima edizione. La spiaggia è immensamente bianca e … deserta!!! Le nostre stanze fanno parte del Pavillon Garden, piccoline ma funzionali, con una comoda verandina con due sedie ed un tavolino.

Da questo momento trascorreremo 4 giorni nel beato far nulla, nella contemplazione della natura, del mare con le sue maree, del sole e della luna. Intervallando il tutto con pranzetti, immense passeggiate, nuotate, incontri nel vicino paesello e con una fantastica gita in barca che ci ha fatto conoscere altre baie e spiagge incontaminate dell’isola.

18 dicembre

Ahimè la pacchia in paradiso è finita, tocca tornare all’indiavolata Sihanoukville. Fortunatamente la coincidenza con il nostro minivan diretto a Phnom Phen prevede “soltanto” due ore di attesa.

Rientriamo nella capitale portando ancora con noi, negli occhi e nelle orecchie, il mare.

A Phnom Phen in questi giorni, fortunatamente, è anche cambiata la temperatura. Finalmente si può girare senza perdere liquidi corporei in maniera esagerata. Ritroviamo Giuseppe e la sua deliziosa moglie giapponese a cena nel loro ristorante. Qui incontriamo altri espatriati e viaggiatori con i quali scambiamo racconti e consigli di viaggio.

Gli ultimi due giorni a Phnom Phen trascorrono pigramente, riorganizzando il bagaglio che nel frattempo è magicamente lievitato e ricontrollando la lista dei regali natalizi.

Ci dicono che a Roma piove e ci sono 8 gradi…

Prima di partire andiamo a salutare il Mekong, il grande fiume. Oggi è domenica e fortunatamente il traffico è minore. Guardando lo scorrere dell’acqua ripenso alle impressioni che mi aveva fatto il precedente, breve ma intenso, tour della Cambogia e lo paragono a questo appena effettuato.

La popolazione è “cresciuta”, nel senso che nel 2004 sembrava quasi non ci fossero adulti al di sopra dei 40 anni. Oggi abbiamo trovato ovviamente più anziani e ancora più voglia di dimenticare il passato. Nel nostro primo viaggio ricordo che molte delle persone incontrate, avevano voluto raccontarci dei loro genitori o dei loro nonni uccisi dal regime spesso soltanto perché istruiti. E ci tenevano che noi raccontassimo, al rientro, la loro storia.

Oggi non ho avvertito questa esigenza. I giovani, come quelli che vedo in Europa, sono proiettati in avanti, nel futuro, a scapito della comprensione delle loro origini. La società è totalmente disgregata, ci sono diseguaglianze sociali enormi e la povertà e l’analfabetismo riscontrano una percentuale altissima anche nelle città più grandi.

Dal nostro primo viaggio riportai a casa, tra l’altro, tristezza e dolori infiniti. Il ricordo dei Killing Fields di Choeng Ek e della scuola “S21” non aiutava certo a comprendere come questa gente potesse essere ancora così sorridente. Eppure tra gli aspetti che più mi hanno colpito del popolo cambogiano ci sono proprio la gentilezza dei volti e dei modi, caratteristiche ancora non sopraffatte dalla modernizzazione.

Mi torna alla mente una frase della gentile Sig.ra Bun a Battambang: “Non possiamo fare nulla, oggi. Quel male è stato fatto. Ma non dobbiamo dimenticare”. Chissà che molti non lo abbiano già fatto.

Alcune informazioni utili:

Gli euro vengono tranquillamente cambiati in banca ma in Cambogia i prezzi sono espressi in dollari, quindi valutate se effettuare il doppio cambio o portare direttamente dollari. Le casse automatiche erogano sia valuta locale che dollari.

Moneta locale: Riel 1 usd = 4000 riel circa

Il Visto singolo, per un mese costa 40 Usd.

Si può fare on line attraverso il sito del governo: https://www.evisa.gov.kh/?lang=Ita, molto comodo e veloce.

I prezzi di seguito indicati sono riferiti a due persone

Volo Thai Airways: Roma-Bangkok-Roma 1050

Assicurazione Viaggi Sicuri (http://www.viaggisicuri.com “Argento”) 144 euro

Volo Bangkok Airways: Bangkok-Siem Reap 337 euro

Volo Thai Airways: Phnom Phen-Bangkok 275 euro

Alberghi: 935 euro per 24 notti (pernottamento e colazione)

Pasti, spostamenti terra/mare, ingressi templi, varie ed eventuali: 1200

Per un totale di circa 4000 euro

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