Cagliari e dintorni

Un viaggio breve ma intenso alla scoperta di Cagliari e dintorni, effettuato in occasione della festa di Sant'Efisio
Scritto da: francogigante1953
cagliari e dintorni
Partenza il: 30/04/2015
Ritorno il: 05/05/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €

30 aprile, giovedì: Partenza per la Sardegna con volo Genova – Cagliari alle 20.30

Io e Roberta, assieme alle nostre amiche Giovanna ed Anna, alle 20 iniziamo l’imbarco sul volo Ryanair da Genova per Cagliari, arriviamo in perfetto orario, poco prima delle 22.

Vado subito a ritirare l’auto a noleggio prenotata tramite Rentalcar, l’agenzia è la Locauto che nel giro di 20 min mi consegna l’auto, nuovissima, con appena 2.000 Km. Arriviamo in hotel (hotel Sagittario, a San sperate) verso le 22.30. Il proprietario (parente della nostra amica Anna) ci aspetta, ci dà le camere e poi ci prepara delle ottime pizze. Poi si va subito a nanna visto che il giorno dopo ci aspetta una giornata intensa nella vicina Cagliari dove ci sarà la processione di sant’Efisio, che si celebra da 359 anni.

1 maggio, venerdì Cagliari: processione di S. Efisio e giro della città

Alle 9 prendiamo il pullman per Cagliari (la fermata è vicinissima all’hotel). In effetti potevamo utilizzare la nostra auto ma ci viene sconsigliato perché con la processione è molto difficile trovare parcheggio nel centro di Cagliari. Alle 9.30 il centro è già parecchio affollato, ma riusciamo a posizionarci in prima fila proprio davanti al palazzo del Comune: la posizione è strategica perché è proprio lì che la processione avrà i suoi momenti più significativi. In realtà più che di una processione si tratta di una grandiosa sfilata in costume. Prima assistiamo al passaggio di enormi carri trainati da una coppia di buoi, sui lati dei carri stanno seduti uomini, donne e bambini che indossano gli abiti tradizionali del paese di provenienza e che intonano canti della loro terra. I carri, simili a quelli dei pionieri, sono coperti con tappeti finemente ricamati, persino i buoi sono agghindati con paramenti colorati! Terminata la sfilata dei carri (ne saranno passati almeno una ventina), sfilano i gruppi a piedi, ogni gruppo è preceduto da un cartello che riporta il paese di provenienza; i costumi sono bellissimi, specialmente quelli delle donne, che portano scialli e gonne molto colorati, impreziositi con eleganti ricami.

Poi è la volta dei gruppi a cavallo, anche in questo caso i numeri sono imponenti, ci sfilano davanti, a gruppi di due, quattro o otto, non meno di 150 cavalli, sia i cavalieri che le cavallerizze sfoggiano abiti bellissimi.

Infine, precedute dalle persone appartenenti alle confraternite, sfilano le reliquie del Santo, ospitate in una portantina sostenuta a braccia dai fedeli.

Prima di questa parte finale della processione, assistiamo ad un evento molto suggestivo: decine di persone in costume escono dal palazzo del Comune con enormi ceste stracolme di petali di rosa di tutti i colori che vengono sparsi lungo la strada che fiancheggia il Comune, sino a formare un enorme tappeto di petali dai colori variegati, per rendere omaggio al santo.

Al passaggio di S. Efisio, che sosta per un pò davanti al Comune, assistiamo ad una fitta pioggia di petali di rosa che vengono lanciati dai balconi del palazzo, il che rende la cerimonia ancor più emozionante.

Quando la processione si allontana, la gente si dirige verso il Comune per prendere, come ricordo della festa di S. Efisio, alcuni petali da un grosso cumulo di ceste che ne sono ancora piene.

Lo faccio anch’io, per avere un souvenir di questa piacevole giornata, che però non è ancora finita.

Sono appena le 13 e, dopo un panino al bar, c’è tempo per un giro verso i bastioni e oltre ancora, sino ad arrivare ad alcuni punti panoramici da cui si gode la vista di buona parte della città e del mare.

Arriviamo sino al museo archeologico, che però visiteremo il giorno della partenza, e poi ritorniamo verso il centro visitando il Palazzo Viceregio (in Piazza Palazzo, da martedì a domenica 9-18, ingresso gratuito) e la Cattedrale di Santa Maria (interessante la cripta).

Infine facciamo una passeggiata sul lungomare e poi, stanchi morti, andiamo alla stazione degli autobus per ritornare a San Sperate.

2 maggio, sabato Sito archeologico di Nora – spiaggia di Tuerredda – grotta Is Zuddas Km. 202

Oggi il nostro programma prevede un giro, lungo la costa a nord-ovest di Cagliari, che ci porterà a visitare il sito archeologico di Nora (l’antica Pula), la spiaggia di Tuerredda e, piegando verso l’interno poco prima di capo Teulada, la grotta Is Zuddas (vicino a Santadi), ritornando infine verso San Sperate per le strade interne.

Arriviamo a Nora in tempo per la visita delle 10, la visita è guidata e dura circa un’ora, per maggiori info si veda la sezione dedicata alle informazioni utili in fondo a questo resoconto.

Nora è collocata su un promontorio, il capo di Pula, separato dalla terraferma da un istmo che si estende in due punte: a O la Punta ‘e Su Coloru (la punta del serpente), a E la Punta del Coltellazzo, di fronte all’isoletta omonima; l’area è dominata dalla torre spagnola del Coltellazzo, in una posizione di grande valore paesaggistico.

Le testimonianze della città arcaica sono state in parte coperte o cancellate dalle successive costruzioni di epoca romana, mentre altri danni sono stati causati dal bradisismo positivo che interessa tutta la costa circostante.

L’antichità della fondazione di Nora è sostenuta dall’ omonima stele, datata al IX-VIII secolo a.C. e visibile nel museo archeologico di Cagliari, dov’è menzionato per la prima volta il nome della Sardegna: “Shrdn”.

Tuttavia, la fase abitativa più antica finora attestata risale al VII secolo a.C. ed è documentata da alcuni livelli messi in luce negli scavi, tuttora in corso, al di sotto del foro romano di età cesariana.

I quartieri abitativi dell’insediamento fenicio si articolavano in due gruppi principali: il primo era vicino alla spiaggia S/E, il secondo era collocato sull’altura di Tanit e si estendeva a destra della strada alle spalle del teatro, esso sembrerebbe rappresentare la massima irradiazione verso nord del centro fenicio-punico originario.

I moduli costruttivi, come i muri cosiddetti “a telaio” e l’impianto a porticato delle abitazioni, mostrano la sopravvivenza in età romana di tecniche costruttive di tradizione fenicia e punica.

Un edificio religioso riferibile alla fase arcaica della città è localizzato sull’altura di Tanit, anche se le testimonianze legate all’uso cultuale risalgono all’età punica; del santuario è rimasto soltanto un basamento e alcuni blocchi angolari che riportano alle tecniche costruttive fenicie.

Un altro luogo di culto punico è situato all’estremità S/O della penisola (Sa Punta ‘e Su Coloru) ed è costituito da una roccia con delle piccole cavità probabilmente destinate a contenere le offerte alla divinità.

La necropoli fenicia, utilizzata tra il VII e il V secolo a.C., era situata al centro dell’istmo, non lontano dal tofet, mentre le due necropoli puniche si trovavano lungo la costa dello stesso istmo; l’uso della necropoli punica si colloca tra il V e il III secolo a.C.

Il tofet cittadino, impiantato nel IV secolo a.C., era situato nella spiaggia alle cui spalle sorse più tardi la chiesa di Sant’Efisio (reimpiegando almeno una stele di quelle che accompagnavano le sepolture).

La conformazione del promontorio su cui sorge Nora ha favorito sin dalla sua nascita l’utilizzo di diversi approdi temporanei utilizzabili a seconda dei venti, anche se il porto era collocato nell’insenatura N/O: qui, grazie alle prospezioni subacquee, sono stati individuati i resti delle banchine e dei moli.

Storia degli scavi

I primi interventi sul sito, nel 1889, riguardarono il tofet, mentre negli anni successivi furono scavate le necropoli puniche e romane e piccole parti dell’abitato; dopo altri modesti interventi, tra il 1952 e il 1960, Gennaro Pesce mise in luce buona parte dell’abitato romano. Dal 1990 il sito è interessato da scavi sistematici continuativi da parte di un gruppo di Università. Ripartiti da Nora proseguiamo lungo la costa andando a visitare prima le dune e la torre di Chia e poi la spiaggia di Tuerredda. Al bivio che indica a sinistra capo Teulada e a destra Teulada puntiamo verso l’interno, in direzione di Santadi. Pranziamo in un bel bar all’inizio del paese di Teulada e ci rimettiamo in viaggio per la grotta Is Zuddas, che raggiungiamo dopo circa 20 minuti (la grotta si trova a destra della strada principale ed è ben indicata). Purtroppo gli orari di visita non sono affidabili, arriviamo di corsa per partecipare alla visita delle 15 ma ci annunciano che non c’è, pertanto non ci resta che partecipare alla prima visita utile, prevista alle 15.30. Comunque la visita della grotta, guidata, vale l’attesa, in particolare per le formazioni cosiddette “eccentriche” dell’ultima sala, che non avevo mai visto nelle pur numerose grotte che avevo visitato sinora. Di seguito, per chi volesse leggerla, fornisco una breve descrizione della grotta e del percorso di visita. Il Monte Meana, nel quale si sviluppa la cavità, è costituito da rocce dolomitiche risalenti a circa 530 milioni di anni fa. La grotta consta di diverse sale ognuna delle quali si differenzia per la particolarità delle concrezioni. Negli anni ‘60 la grotta venne utilizzata come cava di marmo; nel 1971, grazie all’intervento dello Speleo Club Santadese, si provvide alla chiusura ed al controllo della cavità. La grotta ha una temperatura costante di 16 gradi e un’umidità vicina al 100%. Lungo il percorso turistico che si sviluppa per circa 500 m. si possono ammirare stupende e talvolta imponenti concrezioni: dalle stalattiti alle stalagmiti, passando per le colate e le cannule fino alle rare eccentriche di aragonite. Queste ultime rappresentano la caratteristica principale della grotta. Le aragoniti si presentano sotto due forme distinte: le aragoniti aciculari, che appaiono come grossi ciuffi di cristalli simili ad aghi, chiamate anche dagli speleologi “fiori di grotta” e le spettacolari Aragoniti eccentriche (la cui elevatissima concentrazione in un’unica sala rende la grotta Is Zuddas unica al mondo). Si tratta di formazioni filiformi che, sviluppandosi in ogni direzione senza essere influenzate dalla gravità, assumono spesso delle forme bizzarre. Nella grandiosa sala dell’Organo ogni anno per la ricorrenza del Santo Natale viene allestito un grande Presepe, reso ancora più suggestivo dalle sculture.

Percorso interno

L’ingresso della grotta è costituito da un tunnel artificiale ricavato da un cavatore che, negli anni sessanta, estraeva alabastro calcareo dall’interno della cavità. Percorsi pochi metri dall’ingresso, si possono osservare sul soffitto i resti del Prolagus Sardus , un antichissimo roditore delle dimensioni di una piccola lepre, rinvenuto solamente in Sardegna e Corsica, estinto circa 400 anni fa.

Si arriva così alla prima sala della grotta, dove maggiormente si notano i danni causati dagli esplosivi utilizzati per l’estrazione del marmo; il pavimento è costituito da un’unica grande colata sulla quale è stata ricavata una scalinata sul fondo della quale si trova una colata stalattitica dalle sembianze di una “Medusa”.

In alto a destra a circa 15 m. è situato l’ingresso naturale, una piccola apertura oggi murata per sicurezza.

La grotta prosegue sul lato sinistro e dopo una decina di metri si arriva in una sala di medie dimensioni, sulla volta si notano brevi tunnel di condotte a pressione; la sala si presenta quasi priva di concrezioni e con accumuli di argille.

All’uscita della sala e prima dell’imbocco di un condotto naturale si sviluppa una frattura di circa 20 m. di altezza che costituisce il passaggio scoperto dagli speleologi nel 1971; percorrendo il condotto, lungo circa 30 metri (ostruito sino alla fine degli anni 60 da depositi di argilla trasportati dall’acqua) si accede alla grandiosa “Sala dell’Organo”, così chiamata per la presenza di una colonna stalatto-stalagmitica che ricorda un vecchio organo a canne.

Ai piedi della colonna vi sono delle formazioni di tipo coralloide, formatesi per eccesso di carbonato di calcio nell’acqua ristagnante.

Nella sala, oltre alle formazioni di stalattiti, stalagmiti e colate, vi sono delle formazioni tubolari (stalattiti dalla forma allungata con sezione circolare costante e vuote all’interno) che in gergo speleologico sono chiamate spaghetti.

Lungo le pareti si possono ammirare da distanza ravvicinata formazioni di aragoniti (aciculari o aghiformi) come dei piccolissimi aghi dal colore variabile, dal bianco più puro al grigio chiaro.

Sulla sinistra della sala dopo alcuni mt ci troviamo di fronte alla colata più alta della grotta con 60 mt circa di altezza.

Attraverso un breve tunnel raggiungiamo l’imponente “Sala del Teatro” (scoperta dagli speleologi nel 1971) da cui ha avuto inizio l’esplorazione della grotta.

Sul lato sinistro della sala si dirama un cunicolo a pozzo che dopo circa 20 m. raggiunge l’unico ambiente dove è presente l’acqua di falda.

Riattraversata la “Sala dell’Organo” si prosegue lungo una diramazione che conduce verso una delle parti più belle dell’intera grotta; infatti attraverso un corridoio con le pareti completamente ricoperte da cristalli di aragonite e il pavimento, costituito dal letto di un antico fiume, si giunge nella “Sala delle Eccentriche”: in un ambiente quasi fiabesco si osservano le concrezioni di aragonite eccentriche sia sulla volta che sulle pareti.

Queste formazioni, la cui genesi è ancora oggi sconosciuta, si sviluppano in ogni direzione senza essere influenzate dalla forza di gravità e rendono la grotta Is Zuddas unica al mondo per la loro concentrazione in un’unica sala.

Intorno alle 16,30, terminata la visita, raggiungiamo Santadi, un’indicazione porta alle Tombe dei Giganti, vista la breve distanza dalla strada principale, 1,5 Km, decidiamo di andarci ma non ve lo consiglio perché la strada è sterrata e bruttissima e termina in un prato dopo 700 mt.

Gli altri 800 mt bisogna farli a piedi, in salita, ma lo sforzo non vale il risultato, la tomba consiste in un cumulo di terra con una piccola apertura alla base, bisognerebbe entrarci strisciando col rischio di rimanerci incastrati e non ci pareva il caso, pertanto ritorniamo all’auto e proseguiamo per Siliqua.

All’altezza di Nuxis un cartello contiene alcune indicazioni di siti, a destra rispetto alla strada principale: il primo porta alla chiesa bizantina di Sant’Elia che raggiungiamo in circa 10 minuti.

La chiesetta, meta di pellegrinaggi, si trova su una collinetta, ha una struttura cruciforme sormontata al centro da una piccola cupola, è tutta in pietra (restaurata, però) e colpisce per la sua struttura originale.

Lungo la strada del ritorno verso la strada principale, un altro cartello indica una deviazione, a destra, che porta al pozzo sacro nuragico di Tattinu.

Un cancello sbarra l’ingresso ma il muretto di cinta è bassissimo e lo scavalchiamo senza problemi.

Il pozzo sacro si trova nel mezzo di un villaggio di capanne (oggi se ne intravedono soltanto le tracce) e si differenzia dagli altri pozzi nuragici per l’assenza di strutture a vista e del vestibolo.

La ripida scala di accesso è costituita da 28 gradini ma non si può scendere nel pozzo perché l’ingresso è sbarrato.

Rientriamo all’auto e, senza altre soste, passando da Acquafredda, raggiungiamo il nostro albergo a San Sperate dove ci aspettano dei fantastici malloreddu.

3 maggio, domenica Dolianova–Barumini–Altopiani della Giara e di Serri Km. 170

La giornata, molto intensa come programma, inizia con la visita della cattedrale di Dolianova (la chiesa romanica di S. Pantaleo) che raggiungiamo da San Sperate in circa 20 min.

Questa suggestiva chiesa è fra le chiese medievali più importanti della Sardegna.

Sorge in un sito in cui la presenza cristiana, risalente al V-VI secolo, è testimoniata dal ritrovamento di una vasca battesimale e di un pilastrino databile alla seconda metà del X secolo.

La diocesi esisteva già nel 1089, quando il vescovo Vigilius figurava come testimone all’atto di donazione del giudice di Cagliari Costantino II ai monaci benedettini di San Vittore di Marsiglia.

L’ex cattedrale, sede dell’antica diocesi di Dolia sino al 1502, fu edificata in tre fasi tra il XII e il XIII secolo e conclusa tra il 1261 e il 1289 ad opera di maestranze provenienti dal cantiere della chiesa di Santa Maria di Bonarcado.

Il tutto è documentato da epigrafi scolpite sugli elementi architettonici del portale nord e dall’affresco del semicilindro absidale, che celebra la consacrazione del tempio alla presenza del giudice Mariano II d’Arborea.

Al 1170 si riferiscono l’impianto trinavato, i pilastri cruciformi e tratti di muratura.

In questa fase ebbe un ruolo importante il “magister Bonanus” citato in un’iscrizione inserita tra la fiancata sud e il prospetto, mentre l’alzato è pertinente al XIII secolo.

La chiesa è in pietra tufacea locale ed ha una copertura lignea derivante da una variazione del progetto originario che, vista la presenza di robusti pilastri, prevedeva volte in pietra; il campanile si erge a sinistra della facciata.

Interessanti, al di sotto degli archetti delle facciate, le figure scolpite nella pietra, con soggetti fitomorfi, antropomorfi, zoomorfi e di fantasia, figure mostruose e geometriche.

L’architrave del portale d’ingresso riutilizza un bel marmo romano, con serpenti tra le canne in rilievo.

All’interno si segnalano i capitelli decorati con scene del Nuovo Testamento e quello, ormai gotico, con foglie a “crochet”.

Molto belli sono anche gli affreschi medioevali dell’abside, quello con l'”Albero della Vita” (attribuito al pittore miniatore Simone de’Crocifissi, artista bolognese vissuto nella prima metà del ‘300) sul fianco destro (navata sud) e il “Retablo di San Pantaleo”, realizzato tra la fine del ‘400 ed i primi del ‘500.

Sistemati nella parete sud, a sinistra dell’Arbor vitae, si trovano il doppio trittico dai colori brillanti, dipinto con tempera su tavola, che raffigura scene della vita e del martirio di San Pantaleo ed un’insolita e preziosa Madonna del libro.

Da non perdere sono anche i capitelli sull’infanzia di Gesù, il Protiro proveniente da un edificio preesistente, l’affresco absidale con il Cristo in trono.

Terminata la visita della chiesa, ci accorgiamo che iniziano i preparativi per la messa.

Considerando che è domenica decidiamo di restare e non ce ne pentiamo perché la funzione si rivela molto suggestiva, con le note del coro che risuonano fra le mura di questa bella chiesa romanica. Finita la messa ci dirigiamo verso Barumini dove visiteremo il complesso nuragico più visitato della Sardegna, cioè l’area archeologica Su Nuraxi. Appena arrivati (ci mettiamo quasi un’ora) andiamo alla biglietteria ad acquistare i biglietti d’ingresso al sito. Poiché c’è circa un’ora da aspettare ne approfittiamo per visitare il vicino polo espositivo di Casa Zapata, dimora di un’antica casata aragonese, oggi adibita a museo con alcune interessanti sezioni, una archeologica, una storica, incentrata sulle vicende di casa Zapata, ed una etnografica. Ma l’aspetto più interessante è che nel 1990, durante i lavori di risistemazione del palazzo per adibirlo a polo musealee, fu scoperto un nuraghe complesso sotto le strutture del palazzo. Attualmente, grazie ad un importante ed intelligente lavoro, è possibile ammirare i resti del nuraghe attraverso pavimenti di vetro e passerelle che riescono a conciliarsi e ad armonizzarsi con la fruibilità del palazzo come polo museale, pertanto fateci visita perché è molto interessante.

Subito dopo ritorniamo davanti alla biglietteria per iniziare la visita guidata al complesso nuragico Su Nuraxi.

Descrizione – Il complesso nuragico di Barumini, così come è visibile oggi con il maestoso nuraghe circondato da un ampio villaggio, è il risultato di un’occupazione del sito durata quasi 2000 anni, dal 1600 a.C. circa, fino al III secolo d.C., in piena età romana. In origine il nuraghe complesso era costituito da 5 torri, quella centrale, chiamata anche Mastio, e 4 torri laterali unite da mura rettilinee, all’interno delle quali si trova il cortile interno, dotato di un pozzo con sorgente attiva tutt’oggi. Le torri erano tutte formate da due piani sovrapposti e ancora oggi presentano intatto il soffitto del primo piano, mentre del secondo restano pochi filari di muratura ad eccezione della torre centrale, che conserva internamente entrambi i piani; la parte più alta delle torri, dove vi erano i terrazzi, era costruita molto finemente con blocchi di dimensioni inferiori a quelli utilizzati più in basso, squadrati con molta precisione e sovrapposti in più filari che terminavano con mensoloni sporgenti. Questi blocchi, crollati dalle posizioni originarie, furono rinvenuti in gran quantità durante gli scavi del nuraghe e sono attualmente esposti, parzialmente rimontati, lungo la recinzione dell’area archeologica. Attorno al nuraghe era presente un primitivo antemurale con tre torri, che circondava la struttura parzialmente e che era forse integrato con palizzate di legno. Questa fase, che si data nel corso del Bronzo Medio circa a partire dal 1600 a.C. fino al 1200 a.C. ebbe termine attorno a quest’ultima data, quando in seguito a gravi danni strutturali dovuti a motivi in gran parte ignoti, si procedette a una ristrutturazione del complesso su larga scala, che ne trasformò completamente l’aspetto. L’intero complesso fu rifasciato da una massiccia muratura che in pratica raddoppiò lo spessore totale del muro, l’ingresso fu spostato dal lato sud al lato ovest e anzichè trovarsi al livello del terreno come in precedenza, fu collocato a diversi metri di altezza, rendendo possibile l’accesso solo servendosi di una scala di legno; l’antico antemurale fu integrato e arrivò a coprire l’intera circonferenza del nuraghe, il muro era inframmezzato da ulteriori torri, fu allora che il nuraghe assunse l’aspetto imponente e massiccio che tutt’ora conserva. Questa seconda fase terminò tra il Bronzo Tardo e il Bronzo Recente, quando l’area fu abbandonata per un certo lasso di tempo; attorno al X secolo si data la rioccupazione del sito e la costruzione delle prime capanne, che andranno ad occupare non solo l’area circostante ma anche quella compresa all’interno dell’antico antemurale, sfruttandone spesso le murature superstiti per addossarvi le nuove costruzioni. In questo periodo il nuraghe aveva già iniziato la lunga fase di decadenza che si protrarrà per tutto il corso dell’Età del Ferro e fino ad epoca romano-imperiale, durante la quale fu utilizzato anche come cava di materiale da costruzione, come si può vedere osservando numerose capanne del villaggio parzialmente costruite con blocchi chiaramente provenienti dal nuraghe, e, addirittura, in età romana, come luogo di sepoltura, come testimoniano numerose tombe coi loro corredi, rinvenute durante gli scavi all’interno della struttura e specialmente nel cortile interno che in quest’epoca era già interrato per una notevole altezza.

Nel villaggio le case più interessanti sono quelle databili all’inizio dell’età del Ferro, cioè ai secoli IX, VIII e VII; sono caratterizzate da una pianta complessa e irregolare, incentrata su un cortile centrale su cui si affacciano varie stanze. Spesso è riconoscibile la cucina, dove si trovava il forno che in alcuni casi si è conservato riconoscibile fino ad oggi. Tra questo gruppo di abitazioni, molto interessanti sono anche due nelle quali si trova ben conservato un ambiente circolare dotato di una panca in pietra lungo il perimetro e con al centro un grande bacino di pietra che veniva forse utilizzato per riti domestici concernenti il culto dell’acqua. Interessante è anche la capanna delle riunioni, databile allo stesso periodo e caratterizzata dal perimetro circolare, sul cui lato interno corre una panca di pietra, mentre sulle pareti si trovano alcune piccole nicchie. Terminata questa interessante visita, mangiamo un panino nel bar centrale di Barumini e poi ci dirigiamo al vicino altopiano della Giara, per fare una passeggiata e per vedere i famosi cavallini selvatici.

L’altopiano è simile alle mesas messicane, molti archeologi pensano che le Giare siano state utilizzate dai sardi nuragici come ultimo baluardo di resistenza contro gli invasori punici e poi romani; in effetti, lungo il perimetro sommitale della giara di Gesturi (detto sa canoa ossia la corona), si possono ancora osservare 24 nuraghi mentre ben 50 si allineavano un tempo ai piedi dei bastioni stessi. La giara di Gesturi è la più grande delle giare, si estende per 45 km² ed è costituita da un’immensa colata di lava basaltica eruttata circa 2.7 milioni di anni fa dai crateri dei vulcani (oramai spenti) di Zepparedda (609 mt.) e di Zeppara Manna (580 mt.).

Il territorio è caratterizzato per il suolo particolarmente sassoso, ricoperto da sugherete e da macchia mediterranea, disseminato di piccoli specchi d’acqua raccolti in caratteristiche depressioni chiamate paulis che nei periodi invernali si riempiono d’acqua: esse sono utilizzate per abbeverarsi dagli ultimi cavalli selvatici d’Europa: i cavallini della Giara. Secondo alcuni studiosi, non appartengono ad una specie autoctona ma sarebbero i lontani discendenti, oramai inselvatichiti, della prima razza equina portata in Sardegna dai Fenici. Fino al tardo medioevo branchi sparsi di cavallini vivevano allo stato brado su tutto il territorio dell’Isola; quelli della Giara sono gli ultimi esemplari superstiti e rappresentano attualmente uno dei simboli della Sardegna. Il loro numero è oggi di circa 550 esemplari (vivono in gruppi di otto/dieci individui al massimo), in lieve aumento, grazie alla politica di protezione attuata dalla Regione Sardegna e soprattutto grazie all’impegno delle comunità locali. Attualmente la Giara è divenuta un’area protetta con l’istituzione del parco naturale.

Lasciata l’auto nel parcheggio, entriamo nel parco per fare un anello di circa 5 Km che ci dà modo di vedere alcune delle pozze d’acqua dove si abbeverano i cavallini , che fotografiamo più volte.

Dopo quasi due ore di camminata, rientriamo al parcheggio e ci dirigiamo ad un’altra giara, quella di Serri che si estende su una superficie più piccola (4 km²) ma è considerata di grande importanza dagli archeologi perché ospita il villaggio-santuario di Santa Vittoria, il pantheon delle memorie nuragiche. Si pensa che nell’edificio principale del villaggio si riunissero in assemblee federali i clan più potenti dei nuragici abitanti la Sardegna centrale, per consacrare alleanze o per decidere guerre. Il santuario prende il nome dalla vicina chiesetta e si estende per circa 3 ettari e mezzo nei pressi della scarpata sudoccidentale della Giara: si tratta di una vasta area che comprende edifici dalle funzioni differenti, ma tutti pertinenti al santuario.

Il complesso è costituito da quattro gruppi principali di strutture: i due templi (a pozzo ed ipetrale), la capanna del sacerdote con i suoi annessi, il recinto di est-sudest e il recinto delle feste, una vasta area cintata di forma ellittica, lunga 75 mt. circa nel suo asse maggiore: l’ipotesi è che essa servisse per la riunione delle tribù dei dintorni e per lo svolgimento di celebrazioni comunitarie e mercati intercantonali.

La visita è abbastanza interessante, naturalmente non vi aspettate di vedere opere imponenti, sono rimaste in piedi solo le fondamenta e pochi resti murari dei vari edifici, quanto basta però per farsi un idea dell’importanza e della vastità del luogo, anche grazie alle spiegazioni che ci vengono fornite da Ignazio, la nostra guida.

Tornati in auto rientriamo in hotel a San Sperate dove ci aspetta un’altra ottima cena.

4 maggio, lunedì: Isola di S. Antioco e di S.Pietro con visita di Carloforte Km. 224

San Sperate – Siliqua – Acquafredda – Narcao – Carbonia – Calasetta Km 90 1 h e 45 min.

Oggi si parte di buon’ora, si va a Calasetta per prendere il traghetto che ci porterà a Carloforte. Arrivando con mezz’ora di anticipo, riusciamo a prendere il traghetto delle 10 e 20, con questa partenza del mattino non è garantito di trovare posto perché la precedenza viene data ai veicoli commerciali. Sbarcati a Carloforte, un’enclave genovese (o meglio, Pegliese) in terra Sarda, restiamo sorpresi da come gli abitanti continuino in gran parte ad utilizzare il dialetto nella parlata comune, cosa che da noi, a Genova, sta ormai diventando rara. Ma c’è di più, il dialetto che parlano i Carlofortini è rimasto quello arcaico, privo di contaminazioni, che veniva parlato a Pegli più di 300 anni fa. Addentrandoci nelle vie di questa bella cittadina notiamo che non solo il dialetto è stato conservato, ma anche molte tradizioni liguri, ad es. quella del pesto e della focaccia che, nonostante la lontananza dalla madrepatria, ne mantiene ancora le caratteristiche. Ma l’isola di San Pietro offre anche molte belle spiagge, i litorali dell’isola alternano arenili sabbiosi, come La Bobba o Guidi, ad incantevoli calette rocciose, come Cala Fico, i cui fondali ricchissimi di pesci stupiscono chiunque si immerga in queste acque. Per questo motivo, dopo la visita di Carloforte, con l’auto arriviamo alla spiaggia del Giunco dove prendiamo il sole un paio d’ore. E’ molto caldo, nonostante siamo a inizio maggio la temperatura arriva quasi a 30 gradi, questo ci invoglia ad entrare in acqua e a fare il bagno. Poi, essendoci ancora un pò di tempo per prendere il traghetto, riprendiamo l’auto e arriviamo in prossimità delle Colonne, due faraglioni alti 16 m circa, oggi protetti come monumento naturalistico, che raggiungiamo con una breve passeggiata a piedi, lungo una scogliera. Ci sarebbe ancora molto da vedere su quest’isola (lo stabilimento della tonnara, il fungo di pietra, le grotte…) ma è ormai giunta l’ora di rientrare. Andiamo a prendere il traghetto e, arrivati sull’altra sponda, facciamo un breve giro di Calasetta, che però non ci entusiasma molto, anche perchè in giro non c’è quasi nessuno. E pensare che Calasetta è il secondo centro dell’isola di Sant’Antioco e che conserva immutate tipicità delle sue origini tabarchine e genovesi; fra le tradizioni tipiche di questo paese, che parla ancora oggi correntemente la lingua di Tabarka, ci sono delle feste di grande fascino, ad es. quella di San Giovanni Battista, che alterna riti di tradizione pagana a riti sacri e che coinvolge tutta la popolazione in balli e canti in notti illuminate dai grandi falò. Ci rifacciamo con la visita di Sant’Antioco, il primo centro dell’isola omonima, molto ben tenuto e con un bel lungomare. Ma anche il centro storico è degno di nota, con un’interessante chiesa sulla sommità di una collina e un’antica necropoli tuttora oggetto di scavi. Ormai si è fatto tardi, pertanto ritorniamo alla base, a San Sperate, dove ci aspetta l’ultima ottima cena di questo bel soggiorno in Sardegna.

5 maggio, martedì: Visita di Cagliari e ritorno a Genova in serata

Oggi è il nostro ultimo giorno in terra sarda e ritorniamo a Cagliari per visitarla meglio. Prima però andiamo nel biscottificio Collu in via Roma per comprare un pò di dolcetti sardi da portare a casa. Arrivati a Cagliari, proseguiamo sino alla grande spiaggia del Poetto, con molte belle ville affacciate sul lungomare: nonostante sia soltanto inizio maggio, sulla spiaggia ci sono già molte persone che prendono il sole, alcune fanno anche il bagno. Rientrati a Cagliari visitiamo il museo archeologico che offre una panoramica completa della storia dell’antica Sardegna; molto interessante la raccolta di vasi, alcuni di origine greca ed etrusca, a testimoniare l’esistenza di traffici e di vie commerciali col resto del Mediterraneo. Eccezionale è la raccolta di statuette di epoca nuragica, molto interessanti sono anche le statue di Mont’e Prama. Andate a visitarlo perché merita davvero! Purtroppo il tempo è tiranno, c’è giusto il tempo di vedere dall’esterno l’anfiteatro romano e di mangiare un panino. Sono ormai le 14, facciamo ancora un giro per le vie del centro e poi, raggiunta l’auto, ritorniamo all’hotel Sagittario per prendere i bagagli e per salutare e ringraziare i proprietari per l’ottimo trattamento ricevuto. Poi via verso l’aeroporto dove riconsegniamo l’auto e ci imbarchiamo, soddisfatti della breve ma intensa vacanza sarda!

INFORMAZIONI UTILI

NORA Indirizzo: località Nora, Pula; telefono 070 921470/92440304 Gestione: Soc. Coop Tur, Campeggio Cala d’Ostia Pula

Orari: estivo 10-20 Biglietto: € 7,50, comprende la guida E-mail: patrizia.melis@comune.pula.ca.it cop.tur@tin.it

A Pula è possibile visitare anche il Civico Museo Archeologico “Giovanni Patroni”, ora chiuso per ammodernamento.

Come arrivare: Da Cagliari si segue la SS 195 per Teulada sino al km 27, dove si svolta a sx. per Pula, attraversato il centro abitato e imboccata la via Nora si arriva all’area archeologica dopo 3 km.

GROTTE IS ZUDDAS Indirizzo: Loc. Is Zuddas Santadi Carbonia -Iglesias 09010 Telef.: 0781 955741 Cell.: 340 0616233

Orari maggio:11, 12.15, 15, 16.15, 17.30 Biglietto: 10 Euro Email: iszuddas@tiscali.it

CATTEDRALE DI SAN PANTALEO (Dolianova) Si può visitare dalle 8 alle 20, cmq è meglio telefonare al 070 740689

Come arrivare: Imboccata da Cagliari la SS 554 verso Quartu Sant’Elena, si svolta a s. al bivio per Dolianova, raggiunto il centro abitato si prosegue fino alla via Vescovado, dove si erge la chiesa.

AREA ARCHEOLOGICA SU NURAXI tel/fax 0709361039

Zona Archeologica Su Nuraxi Viale Su Nuraxi – 09021 Barumini tel. +39 0709368128

Polo Espositivo Casa Zapata Piazza Giovanni XXIII tel/fax: +39 0709368476

Centro Giovanni Lilliu Viale Su Nuraxi tel/fax: +39 0709361041

Orari maggio: orario continuato dalle 9 alle 19, visite guidate ogni mezz’ora, durata circa un’ora.

Biglietto: 10,00 €, nel prezzo è compresa la visita guidata.

Come arrivare a Barumini da Cagliari Prendere la SS 131 in direzione Oristano-Sassari e proseguire dritti fino al 37° km., qui prendere l’uscita per Furtei, alla rotatoria prendere la prima uscita (direzione Barumini) e proseguire dritti.

Alla rotatoria di Villasanta prendere la prima uscita (direzione Barumini) e immettersi nella SS 197, continuare sempre dritti fino a Barumini.

L’Area Archeologica Su Nuraxi è aperta al pubblico tutti i giorni dell’anno ed è visitabile solo accompagnati da una guida per ragioni di sicurezza, per questo motivo, in giornate di pioggia, l’area potrebbe non essere accessibile oppure accessibile solo parzialmente.

Le visite guidate prevedono un percorso all’interno del villaggio nuragico durante il quale vengono illustrate le principali tipologie abitative che lo compongono per poi entrare nel cuore del grande complesso turrito accessibile solo attraverso corridoi e scale di non facile transito.

ALTOPIANO DELLA GIARA – Giara di Gesturi Per info 347 8306903 E-mail: Sajaramanna@hotmail.it

Sito internet: www.sajaramanna.com Ingresso gratuito

SANTUARIO NURAGICO DI SANTA VITTORIA – Giara di Serri Per informazioni contattare l’ente gestore: Coop. L’Oleandro tel. 388 0492451 oppure Ignazio (guida archeologica) 349 1433388

Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 19 Biglietto: 4 Euro comprensivo di servizio guida.

Come arrivare Alla Giara di Serri si può arrivare dalla SS 131, imboccando al bivio di Villasanta (presso Sanluri) la SS 197 e, all’altezza di Barumini, girando a destra sulla SP 9 per imboccare dopo Escolca la SP 59.

Questa conduce al paese di Serri; da qui si seguono le indicazioni per il santuario di Santa Vittoria.

TRAGHETTI da Calasetta per Carloforte (isola di San Pietro) Compagnia di navigazione Saremar

Occorre essere sul posto almeno mezz’ora prima, si lascia l’auto in fila e poi si fa il biglietto.

Contatti Carloforte SER.MA.SA Corso Tagliafico, 13 – Telefono: +39 0781 854005

Calasetta AVERFIN Lungomare Colombo (porto) – Telefono: +39 0781 88430 oppure 0781 88042

CAGLIARI Ente Turismo c/o Palazzo Civico via Roma 145, orari lun-dom 9-20, telefono 070 6778173

Museo Archeologico (in piazza Arsenale, dalla torre di San Pancrazio) Orari: 9-20 Biglietto: 5 Euro

Come guida consiglio Federico, chiamatelo al 393 2620590

HOTEL

Hotel Ristorante Sagittario – San Sperate tel. 070 9600789 E-mail: info@hotelsagittario.net



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