Buenos Aires, così lontana così vicina

Appassionante come il calcio, malinconica come il tango, ostinata come le Madri di Plaza de Mayo
Patrizio Roversi, 18 Ago 2010
buenos aires, così lontana così vicina
Trattoria “da Vito”, Bologna, dove da decenni si radunano i musicisti e dove Francesco Guccini è solito cenare-chiacchierare-suonare dal tramonto all’alba, in una sera (notte) d’autunno di un paio di lustri fa: riunione psicodrammatica dedicata all’Argentina. Nella chiacchiera che fluisce più copiosa del vino, ognuno dice quel che pensa dell’Argentina. La comitiva è composta da Giorgio Comaschi e da sua moglie Carla, da Francesco Guccini e dalla sua compagna Raffaella, da Flaco che è il chitarrista argentino di Francesco, da Orso Schiavina che da sempre organizza i nostri viaggi e da noi due. Per Giorgio (giornalista sportivo e inviato speciale di Raffaella Carrà) l’Argentina è Diego Armando Maratona. Per me-Patrizio l’Argentina è la Patagonia di Bruce Chatwin, che Syusy mi ha fatto leggere anni fa. Per Flaco è la Patria natale. Per Guccini è Buenos Aires e il Tango. Già il tango, se vado a Buenos Aires debbo ballare il tango! Questa idea comincia a fasi strada dentro di me-Syusy: dopo quella sera vado a conoscere Patricio, un maestro di tango mezzo bolognese e mezzo argentino, e comincio a prendere lezioni, cioè ad imparare i rudimenti,. La salida basica. Imparata quella sono pronta per la sigla della puntata di Turistipercaso-Argentina (che tra l’altro trovate tra i dvd già usciti in edicola). Sotto i portici di Bologna io e Patricio balliamo il tango! Da quel giorno si sedimenta dentro di noi l’idea di un viaggio in Argentina, prende forma e peso il progetto, che Orso comincia a sviluppare in un programma, assieme al suo amico Mauro Oliviero, da sempre grande viaggiatore in Argentina, che aveva fondato anche un’agenzia chiamata Patagonia-World. Il bello di un viaggio è coltivarne il sapore, farsi venire l’acquolina in bocca prima ancora di gustarlo davvero.

Un viaggio è soprattutto caricarsi di aspettative e di emozioni, e in particolare l’Argentina è un posto ricchissimo di emozioni…

FLASH-NEXT (il contrario di FLASHBACK)

A questo punto io-Patrizio apro una parentesi, un flaches back al contrario: anni dopo il nostro primo viaggio in Argentina, ero con un paio di amici maschi (operatori) all’aeroporto di Santiago del Cile. Vediamo passare un paio di signore magari non particolarmente belle, ma che comunque attraggono la nostra attenzione per l’eleganza, il portamento, lo sguardo. Poi ne passano altre, con le stesse caratteristiche, che si accomodano davanti allo stesso gate. Ci guardiamo e facciamo una scommessa: vuoi vedere che stanno aspettando tutte l’aereo per Buenos Aires? Controlliamo e in effetti è così: erano tutte portegne, cioè argentine della capitale. Le donne di Buenos Aires hanno quel non-so-che che, quell’espressione un po’ così e quella faccia (e non solo la faccia) un po’ così che non te le dimentichi più, e che non le puoi confondere con una di Berlino o di Cesenatico…

Per me-Syusy il fascino delle donne (e degli uomini) di Buenos Aires non è un mistero: innanzitutto c’è un legame speciale fra l’Europa e l’Argentina. Una vecchia barzelletta dice che mentre l’Umanità discende dalla scimmia, quelli di Buenos Aires discendono… dalla scaletta dell’aereo da Parigi. E poi c’è il tango, la pratica del tango, lo spirito del tango, il sapore, la nostalgia, lo struggimento, la sensualità, la disperazione, la malinconia esistenziale del tango a dare un fascino speciale a questa gente. Ma, piuttosto, perchè non cominciamo dall’inizio?

ASADO & GAUCHOS

Appena arrivati a Buenos Aires, ancora un po’ in crisi da fuso-orario (a parte Guccini, che visto che normalmente in Italia si alzava a mezzogiorno e andava a letto al mattino, era paradossalmente quasi a suo agio), il tour-turistico previsto da Orso ci ha caricato su un pulmino e siamo andati… fuori città, lungo il corso del Rio de la Plata. In particolare siamo andati in una azienda agricola (l’Hacienda classica!), il Santa Susana Ranch, dove c’era tutto l’armamentario tipico dell’accoglienza turistica, un percorso obbligato attraverso i luoghi comuni argentini. Però interessante, e significativo: in fondo un buon modo per cominciare un viaggio in Argentina, tanto per mettere le cose in chiaro. C’era il padrone dell’Hacienda, Patrizio (anche lui) mezzo irlandese, mezzo arabo, mezzo basco e quindi perfettamente argentino (l’Argentina è così: un meraviglioso mischione), poi c’erano le mucche, i gauchos con tutta la loro tradizione-feticci-costumi-oggetti-cavalli-bolas (cow boys all’ennesima potenza) e anche un ottimo esempio e assaggio di prodotti gastronomici tipici (che in realtà non sono molti né molto variati…). In pratica c’era l’asado, cioè la carne bovina e ovina, fatta in tutti i modi: bistecche, costolette, salsicce, sanguinacci di ogni forma e tipo, alla brace. Il primo impatto con l’asado può essere anche positivo, per chi ama o comunque non disdegna la carne. Poi però, nei giorni successivi, diventa una mania: te lo servono sempre, comunque e dovunque. Un vegetariano in Argentina non ha vita facile: ne sa qualcosa il nostro amico Ivan, che ha passato in un viaggio successivo metà del suo tempo nel retro dei ristoranti, ad implorare due uova fritte (ma senza pancetta). Dopodichè si mangia il dolce de leche (meraviglioso e ipercalorico budino di caramella mu sciolta nel latte condensato e superzuccherato) e si beve matè… e bona lè. La variabilità gastronomica argentina è abbastanza ridotta.

MARADONA

Dopo questa “gita fuori porta”, che è servita almeno a darci un’idea dell’estensione della città e del suo rapporto col territorio circostante, altrettanto sconfinato, ci siamo tuffati a scoprire Buenos Aires, ognuno secondo i propri interessi, a suo tempo esternati nelle discussioni in Osteria da Vito.

Giorgio e Carla infatti sono subito andati a vedere una partita nello Stadio del Boca, un Tempio del calcio mondiale, dove ha giocato Maradona e dove, quel giorno, giocava Caniggia. E sono rimasti impressionati dall’entusiasmo ma anche dalla correttezza del pubblico: si giocava un derby, ma le tifoserie erano sparse e mescolate, e tra gli spalti e il terreno di gioco non c’era nemmeno una rete metallica! Dopodichè ci hanno trascinati in un altro lungo viaggio in taxi, fino al quartiere perifericissimo e piuttosto degradato di Villa Fiorito, una vera favelas, dove è nato Maradona. Abbiamo visto la sua casetta natale, poco più di una baracca. Si è fatto avanti un signore, piuttosto mal messo, che diceva di essere un suo amico d’infanzia, e ci ha raccontato di quando Diego da piccolo palleggiava con un limone al posto della palla. Era una palla o era la verità? E lui era un vero amico d’infanzia, o uno che cercava di sfruttare i milioni di pellegrini-del-calcio che vanno a vedere la casa di Maradona? Non lo sapremo mai, ma è stato bello lo stesso. Poi siamo anche andati sotto la casa vera, di allora, di Maradona, un condominio di lusso, tipo Parioli a Roma, e abbiamo persino incontrato il papà di Diego, un bel signore molto gentile e simpatico, e ancora incredibilmente disponibile con i fans del figlio, che a decine ogni giorno stazionano davanti a casa. Ma Maradona non è solo una mania, o addirittura “una religione” (come raccontato nel bel film di Kusturica), è anche un paradigma per capire e vedere meglio Buenos Aires, per esempio il Quartiere del Boca, il Caminito e tutta la zona centrale del Porto. Dove tra una bancarella e l’altra che vende palloni e magliette di calcio e soprattutto quadretti dei panorami del luogo, siamo andati alla Barberia, un vecchio Bar tutto tappezzato di banconote da tutto il mondo, dove un barista malinconico modello Casablanca alla sudamericana, sfogava la sua nostalgia per tutto e per tutti.

IL TANGO INESORABILE

Nostalgia che è anche uno degli ingredienti di quel misto di sensazioni, storia, gesti, musica, miti che compongono il “movimento” che va sotto il nome di “tango”. Io-Syusy, grazie al viaggio in Argentina e non solo, sono entrata in questa suggestione anima e corpo. Sono diventata una tanghera vera. Di quelle che dopo aver messo a letto la figlia e averle raccontato una favola si truccano si vestono da sera e se ne vanno a ballare fino alle 3 di notte per poi svegliarsi alla mattina un po’ strane ma tutto sommato in grado di sopportare la vita normale di tutti i giorni. Su questo ho fatto, naturalmente, uno spettacolo sul tango e ci ho scritto anche un libro (Tango inesorabile, Einaudi). Oltre alle solite notizie storiche (il tango è il ballo della malavita, lo ballavano all’inizio anche tra uomini, è forte l’origine italiana, è il ballo della nostalgia della Patria perduta, è lo struggimento per tutto quello che avrebbe potuto accadere e invece non accadrà mai più ecc ecc), oltre a tutto questo io ho potuto capire e sperimentare che il tango può diventare anche un modo di essere, uno stile di vita. Il “tanghèro” si immerge in una dimensione esistenziale, arriva anche a cercarsi un lavoro a mezzo tempo che gli (le) possa permettere di passare tutta la notte a ballare, cioè in pratica sacrifica al tango la propria vita. Il Tango è anche un sistema di relazioni fra uomo e donna, fra ruoli attivi e passivi: è la metafora delle spietate leggi della seduzione. Nelle Milonghe di Buenos Aires (e anche in qualche locale in Italia) ho visto e conosciuto una umanità che ha fatto del tango un habitat, una nicchia antropologica, in pratica una ragione di vita. Insomma il bello del tango è che sperimenta la depressione prima che arrivi davvero! Parlare qui del tango in generale sarebbe troppo lungo e fuori luogo, ma certo il tango rappresenta – nel contesto di un viaggio in Argentina e in particolare a Buenos Aires – un filone centrale, una strada maestra da esplorare il più possibile e – se possibile – con l’aiuto di qualche amico o amica del posto, che ti facciano fare un giro nei locali veri, nelle Milonghe dove si balla e si vive sul serio, e non solo nei locali per turisti.

IL TANGO POTABILE

Io-Patrizio invece non mi sono fatto prendere dal tango più di tanto, ma con questo non posso dire che il tango mi sia indifferente. Mentre Syusy andava a intervistare gli autori e i filosofi del Tango (ad esempio Homero Manzi, che le ha improvvisato un trattato dedicato al ruolo della sigaretta nel tango) e si faceva accompagnare nelle Milonghe dal nostro amico Patricio Lolli (il suo maestro di tango), io mi sono limitato ad un Tango-Tour più accessibile, ma non per questo meno appetibile. Sono andato al Teatro Cervantes, a vedere il Tango-teatrale, cioè le esibizioni ad alto livello artistico, dove mi sono innamorato dalla ballerina-attrice Mora Godoy, e sono rimasto sedotto perdutamente dal frullar di gambe-cosce-spacchi e giravolte. Poi sono andato alla Confiterie Ideal, dove hanno girato il film Lezioni di Tango. Oppure al Cafè Tortoni, il Tempio della musica tanghèra, frequentato da Lorca, Borges, Gardel, Pirandello e… Guccini. Infatti il Maestrone e il suo fido scudiero Flaco hanno improvvisato una serie di canzoni dal palco del Tortoni, suscitando l’ammirazione degli argentini e mandando anche in delirio un gruppo di Giapponesi in gita… Poi sono stato al Mercato di Sant’Elmo, dove ci sono i clown-tristi che ballano il tango con un manichino con le scarpe allacciate ai propri piedi, dove vendono i cappelli da tanghero e i gilet, e dove soprattutto ci sono dei danzatori-artisti-di-strada bravissimi e bellissimi. Per colpa del tango ho fatto anche la figura peggiore della mia vita. Eravamo appunto in una Milonga, l’orchestra si lamentava, il fumo era peggio della nebbia in valpadana, uomini che planavano come sparvieri su donne incazzate come lupe affamate. Insomma, era bellissimo.

E appunto una donna bellissima, simpatica, colta e intelligente, ad un certo punto – spinta da quel sentimento materno e assistenziale che ogni tanto prende le donne a parte Syusy – vedendomi tristemente infilato in un angolo, mi invita a ballare. Le dico che non è cosa… Lei mi rassicura: “Ti spiego io, ti guido io, non puoi sbagliare…”. Bene, ci proviamo. Ma dopo 10 minuti d’orologio mi riporta nel mio angolo dicendo: “Sei un caso disperato, con te non ce la faccio.”

GLI ITALIANI

Il tango più drammatico, struggente e strappacuore l’abbiamo visto ballare al Circolo Sardegna di Buenos Aires. Inutile ripetere che più della metà degli argentini sono italiani, o discendono da italiani. E qui sono organizzati in Circoli regionali di provenienza. Noi siamo stati a visitare i sardi. E’ stato un incontro interessantissimo. Nonni che parlavano italiano, e che si dicevano sardi purosangue, nipoti che non sapevano più l’italiano, ma che anche loro proclamavano la loro identità sarda, senza se e senza ma. In tutto questo speravamo di mangiare gnocchetti sardi, invece anche loro ci hanno offerto… un asado. E tra loro, ormai, parlavano spagnolo. Una signora – che era in Argentina da 40 anni – raccontava che, grazie alla regione Sardegna, ha potuto ritornare a casa, orgogliosa della sua sardità. In partenza ha pianto per l’emozione. Arrivata in Sardegna ha pianto perché non riconosceva più niente e nessuno. Al ritorno in Argentina ha continuato a piangere, ferita nella sua identità e nelle sue certezze: non sapeva più se era sarda o argentina. E tutta questa nostalgia, questa disperata ricerca di una identità perduta, meticciata eppure sempre agognata come àncora di salvezza e pilastro su cui poggiare le proprie poche certezze e l’idea di sé, erano appunto gli ingredienti ideali di quel tango, ballato da due signori di mezza età, nella sede della Comunità sarda di Buenos Aires…

LINGUA CUCINATA E PARLATA

Interessante a Buenos Aires è anche il tema linguistico. Francesco Guccini era interessato al fenomeno del Lunfardo, un linguaggio parlato dai portuali, una sorta di gergo in uso anche presso la malavita, che comunque deriva da origini italiane: è una specie di genovagnolo, cioè genovese e spagnolo. Un po’ come il Cokney londinese, che adesso rischia di “tornare di moda” tra i neo-intellettuali che vivono lungo il Tamigi. In un certo senso il Lunfardo è anche la lingua del tango. Per approfondire, Guccini è andato anche nella sede dell’Accademia del Lunfardo, dove ha trovato esperti coi quali si è chiuso in discussioni etnolinguistiche. Noi invece siamo andati a letto presto, perché il giorno dopo, all’alba, dovevamo visitare un altro luogo tipicissimo: il Mercato del Bestiame. La carne in Argentina è l’alimento essenziale, il tenore di vita della gente dipende dal prezzo della carne. Qui ci sono due mucche per ogni abitante, e ogni argentino mangia in media 60 Kg di carne l’anno. Non a caso il problema ora è che la terra viene contesa fra agricoltura e allevamento: recentemente (anche dopo le speculazioni sul bio-carburante) vince la terra coltivabile rispetto al pascolo. Forse, in termini di equilibrio ecologico mondiale, è anche giusto, ma provoca una grave crisi in Argentina, dove fa crescere il prezzo della carne, che qui appunto è come il pane. In ogni caso, da un punto di vista della curiosità “turistica”, il Mercato del Bestiame è un posto speciale, paragonabile soltanto al Mercato del Pesce di Tokio. Ci sono decine di corrals, in cui sono rinchiuse delle piccole mandrie di mucche di ogni tipo e razza, con i gauchos (quelli veri, che stanno facendo normalmente il loro mestiere) che caracollano a cavallo fra animali e cancelli con una abilità da Circo di Buffalo Bill. Ovviamente fa impressione pensare che tutte quelle bellissime bestie che vedi, poco dopo saranno vendute e macellate. E infatti, quando il mercato è finito (verso le 9 del mattino) tutti i lavoratori, gli acquirenti e gli allevatori sono andati a farsi… un asado. Ma noi no. Un po’ perché a quell’ora avevamo voglia piuttosto di un cappuccino e un po’ perché un viaggio in Argentina, alla fine, è una vera istigazione al Vegetarianesimo…

LA CHACARITA

Un’altra “gita” da non perdere nella capitale argentina è quella al… cimitero. Purchè sia il cimitero monumentale della Chacarita, dove non solo è conservata la storia, ma anche le storie di questo Paese. Noi ci siamo andati essenzialmente perché tutti quanti (innanzitutto Flaco e Guccini) volevano vedere la tomba di Gardèl, il musicista del tango per eccellenza. Un mito. Lui non ha mai fumato, pare (anche se l’iconografia del tanghero e della tanghera prevede assolutamente che si fumi). Ma la statua che lo raffigura, sulla sua tomba, ha due dita semiaperte. E i suoi numerosissimi appassionati, che ancora lo visitano ogni giorno a migliaia, hanno inventato la tradizione di infilargli tra le dita una sigaretta accesa. Il Cimitero è pieno di storie, personaggi ed episodi, e ci sono delle vere e propri guide che ve lo illustrano, come se fosse un Museo vero e proprio. Ci sono anche le tombe dei Peron. Lui, presidente dell’argentina dal ’46 al 55 e poi dal ’73 al 74, e lei, Evita, madre-della-patria e icona femminile che è diventata un simbolo anche al di fuori dall’Argentina. Il Peronismo è un movimento molto interessante, un misto di populismo demagogico, di carisma politico “popolare”, un movimento sia di destra che di sinistra (o meglio di nessuna delle due, o forse più che altro parafascista) che anche noi italiani dovremmo tornare a studiare, per evitare di ritrovarcelo in casa.

In effetti la cosa che subito ti colpisce in Argentina è il rapporto diretto con l’Italia. Stare a Buenos Aires è un po’ come muoversi tra pezzi di Genova o di Napoli. E non ti pare vero che qui, in un posto tanto simile a noi e a casa nostra, possano essere successe cose incredibili e indicibili, dalla crisi economica recente, fino alla carneficina fascista dei Desaparecidos.

I DESAPARECIDOS

Scusate il disturbo, ma noi turistipercaso siamo fatti così: va bene farsi un giro per le attrazioni turistiche (i locali, il Caminito, la Boca, i Musei, il Cimitero ecc) ma poi, una volta che sei in un posto, non puoi ignorarne la storia e le contraddizioni. E se dobbiamo raccontarvi un viaggio, non possiamo tacere sui drammi che abbiamo incontrato, anche perché spesso sono essenziali per capire dove sei, e per portare a casa qualcosa di più interessante (e magari più pesante) di una cartolina. Siamo arrivati in Plaza de Mayo (casualmente) al giovedì, ed era il giorno in cui si riunivano le Madri e le Nonne. Le madri cioè dei 30.000 che sono stati sequestrati, torturati, uccisi e poi gettati in mare dagli aerei o nascosti in fosse comuni, e nonne dei tanti bambini, figli rubati ai desaparecidos. Sembra incredibile ma la cosa funzionava così: se una ragazza rapita e catturata dai boia fascisti era incinta, la facevano partorire prima di assassinarla. E il bambino nato veniva regalato ad una famiglia, ovviamente legata al regime. Adesso le Madri e le Nonne continuano a battersi per avere giustizia, perché le varie leggi e amnistie che si sono succedute dopo la caduta della dittatura hanno più volte ribadito (in Argentina come in Cile) la non punibilità degli assassini materiali e dei mandanti politici e militari, e all’inizio soltanto all’estero si sono potuti istruire processi (ovviamente in contumacia) per le vittime straniere, e solo da poco qualcosa si muove anche in Argentina. Le Madri-Nonne di Plaza de Mayo vogliono anche rintracciare i propri nipoti, che spesso non sanno nulla del loro destino vero. Durante il nostro più recente viaggio sulle tracce di Darwin, Guido Barbujani (genetista dell’Università di Ferrara) è venuto qui per collaborare ad identificare col DNA sia i corpi dei morti, che i vivi. In ogni caso, fate un salto anche voi a Plaza de Mayo, se andate a Buenos Aires: l’incontro con le Madri, respirare la loro atmosfera e il loro senso della storia, capire cosa significa ora il loro movimento, è essenziale. Noi abbiamo parlato con la signora Carlotto, allora la Presidente del Movimento. Per montare la sua intervista ci abbiamo messo una settimana: spesso dovevamo interromperci per le lacrime, la rabbia, l’emozione.

IL RESTO…

Ci siamo dilungati a parlare di Buenos Aires. Ma è qualcosa di più di una semplice città, è molto di più di una Capitale. Non a caso chi ci abita ci tiene a definirsi portegno, prima che Argentino. Buenos Aires sta all’Argentina un po’ come Parigi sta alla Francia, ma di più, molto di più. Anche soltanto in termini di numero di abitanti: la città è enorme e densamente popolata, il resto del Paese è quasi disabitato. Ma certamente l’Argentina non è solo Buenos Aires, anche se per certi versi è un viaggio diverso: potrebbero essere tranquillamente due viaggi. Partendo da Buenos Aires io-Syusy sono andata anche a vedere le Cascate di Iguazù, e ho conosciuto per la prima volta il Popolo dei Guaranì, di cui poi sarei diventata cittadina-onoraria. Poi assieme siamo scesi in Patagonia, in aereo, in pullman, e quindi in Terra del Fuoco: pecore, guanachi, leoni marini, Ushuaia, il Perito Moreno, il Lago Argentino, tante storie e tanti personaggi. L’avevamo detto all’inizio: Argentina (la Patagonia) è anche letteratura, da Chatwin a Jovanotti. L’Argentina è uno dei posti più interessanti del mondo, ed è anche uno dei Paesi più estesi e grandi del mondo. Tanto che… tutta quanta in un solo articolo-itinerario-racconto non ci sta.

Se la cosa vi interessa, della Patagonia e della terra del Fuoco possiamo parlarne in una seconda puntata…