Rio, Foz do Iguaçu e le città coloniali del Minas Gerais

Il Brasile "alla brasileira", visto da dentro con la guida speciale di un amico carioca
Scritto da: balzax
rio, foz do iguaçu e le città coloniali del minas gerais
Partenza il: 18/08/2019
Ritorno il: 31/08/2019
Viaggiatori: 4
Spesa: 2000 €

Il viaggio

Se un “carioca” ti invita a visitare la sua città e il suo paese, come fai a dire di no?

L’amico Rogerio Camargo, che ho conosciuto durante un precedente viaggio che abbiamo fatto assieme nei territori antartici, a fine luglio mi manda un whatsapp allettante e ammiccante: “Luigi, o que você vai fazer em agosto? Por que você não vem ao Rio e organiza férias no Brasil?”. Impossibile resistere a un invito così formulato. Per telefono concordiamo le mete: oltre a Rio, puntiamo sulle cascate di Iguaçu e sulle città coloniali del Minas Gerais. Si aggrega con entusiasmo anche Ngan Chau, una ragazza vietnamita anch’essa conosciuta durante il viaggio antartico, con tanto di fidanzato Jim al seguito. Risultato: siamo un gruppo di 4 viaggiatori che più eterogeneo non si può: un brasiliano, un italiano, una vietnamita e un californiano. Ma ci troveremo benissimo!

19-20 agosto: Rio de Janeiro

L’arrivo a Rio doveva essere il giorno 18, ma la KLM mi fa lo scherzo di cattivo gusto di annullare il volo, riprogrammandomi per il giorno successivo su un volo TAP Portugal via Lisbona. Perciò i giorni a Rio, che dovevano essere tre, si sono ridotti a due.

Rogerio abita a Leblon, quartiere residenziale nella parte sud di Rio, appena dopo la spiaggia di Ipanema famosa per la canzone di Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobìm. In italiano c’è una stupenda versione di Mina della “Ragazza di Ipanema” che risale agli anni ’90.

In agosto a Rio è inverno, il che vuol dire temperatura compresa tra 15 e 25 °C, purtroppo spesso con pioggia o temporali. Ngan e Jim, arrivati il giorno prima, hanno trovato bel tempo e sono riusciti a salire sul Pão de Açucar in un pomeriggio di buona visibilità e ammirare la vista su Botafogo, Urca e Flamengo, fino a Jurujuba e Niteroi dall’altra parte della baia. Nei due giorni di mia permanenza invece ha piovuto spesso. Abbiamo controllato più volte il sito web che mostra le immagini delle telecamere installate sul Pan di Zucchero e sulla collina del Corcovado, per vedere se c’era qualche chance: niente da fare, sempre nebbia fitta.

Ma il Pan di Zucchero e il Cristo del Corcovado li conoscevo già per un viaggio precedente, quindi niente problemi, anzi forse è stato meglio così perché Rogerio ha gestito i giorni di tempo incerto organizzando una “visita guidata” per girare con i mezzi pubblici e a piedi il centro di Rio e i luoghi più importanti. Vedremo una cidade maravilhosa diversa, magari meno turistica ma certamente più “brasileira“.

Tanto per cominciare scopro che il trasporto pubblico in Brasile per gli “over 60” è gratuito, e a seguire constato che è di un’efficienza incredibile. Noto dalla finestra della casa di Rogerio che al mattino presto, all’uscita dalla metropolitana della stazione di Antero de Quental, le persone si mettono ordinatamente in fila indiana sotto l’acqua, con o senza l’ombrello, per prendere il bus per andare in ufficio. Penso a cosa succederebbe a Milano o a Roma….

Il centro di Rio

Il nostro tour per Rio comincia prendendo il bus 415, che in circa tre quarti d’ora attraversa tutta la città da Leblon fino al centro, passando per Ipanema , Copacabana, Botafogo, Flamengo, Catete e Gloria. Già a guardare fuori dal finestrino dell’autobus si vede la realtà di una Rio che pulsa tra colorati negozi di frutta, edifici settecenteschi, carretti pieni di mercanzia e banchetti della Mega Sena, il Superenalotto locale. A piedi con Rogerio stiamo per scoprire una “cidade maravilhosa” a me del tutto sconosciuta, come probabilmente alla maggioranza dei turisti che vengono qui. La visita inizia lungo Rua Primero de Março, sulla quale si affacciano numerose chiese che sono una più bella dell’altra: Igreja de Nossa Senhora do Carmo de Antiga Sé, Igreja de Santa Cruz dos Militares, Igreja Nossa Senhora do Monte do Carmo, Igreja de Nossa Senhora da Candelaria. Entrate almeno in un paio di queste e scoprirete l’incredibile ricchezza di statue, ori e stucchi conservata in ognuna di esse, e magari scoprirete anche che i carioca sono fedeli devoti. Tra una chiesa e l’altra si attraversano le piazze e le strade del centro città, Praça Tiradentes, Praça Italia, Praça Mahatma Gandhi, osservando il contrastante mix di vita e società brasileiro formato da venditori e mercanti di strada e da impiegati che lavorano negli uffici della borsa, delle banche e delle multinazionali. In Praça Tiradentes, proprio nel punto dove sorgeva la gogna per punire gli schiavi, doverosa sosta davanti alla statua dell’eroe nazionale Joaquim José da Silva Xavier, detto Tiradentes perché faceva il dentista, giustiziato dai portoghesi nel 1792. Sul basamento della statua campeggia la scritta “Libertas quae sera tamen” (dalle bucoliche di Virgilio: “la libertà che seppur tardi volse lo sguardo verso di me”), che è il motto dello stato di Minas Gerais dove andremo nei prossimi giorni. Nella zona di Cinelandia ammiriamo il Theatro Municipal con la sua cupola verde pastello e oro, poi Rogerio mi porta a vedere quella che lui definisce una meraviglia sconosciuta di Rio. In Rua Carioca i turisti si recano a vedere la chiesa e il convento di Santo Antonio (entrata due reais) e si fermano lì, senza badare alla chiesetta sulla destra, forse perché il biglietto di ingresso costa 10 reais. Questa è la Igreja da Ordem Terceira de São Francisco da Penitencia, che dietro la semplicità della bianca facciata nasconde un vero e proprio tesoro: altari dorati, statue ricoperte d’oro, un soffitto che crea una specie di “trompe l’oeil” con gli angoli che sembrano scendere verso le sedie. I dettagli barocchi sono numerosi, scolpiti nel cedro da Francisco Xavier de Brito (il maestro del famoso Aleijadinho che ritroveremo nel Minas Gerais) e ricoperti di foglie d’oro. Non c’è un solo centimetro quadrato delle pareti della chiesa che non sia ricoperto da statue, stucchi, fregi, bardature. Pare che questa sia la chiesa che contiene più oro al mondo, quantità stimata circa una tonnellata e mezza. Malgrado questo tesoro, l’ingresso è libero, non c’è lo screen control e viene solo richiesto di depositare gli zainetti. Venite qui e investite i 10 reais nella visita (2 euro e mezzo, che comunque se siete over 60 non pagherete, perché siete esentati anche dai biglietti dei luoghi di cultura), perché vale davvero la pena.

Tornando verso il centro passiamo davanti a Casa Cavè e alla famosa Confeitaria Colombo in Rua Gonçalves Dias, ma ci fermiamo per uno spuntino nella meravigliosa eno-paninoteca Casa Paladino in Rua Uruguaiana, una specie di museo stile anni ’30 con gli antichi scaffali di legno pieni di bottiglie di vino e liquori probabilmente intatti da decenni. Qui fanno dei panini con la coppa enormi, tali che al confronto quelli di Panino Giusto impallidiscono. E i salumi arrivano dall’Italia!

Nel pomeriggio proseguiamo la visita con l’eccezionale Real Gabinete Portugués da Leitura, nascosto nella piccola Rua Luis de Camões, una antica biblioteca lignea di Rio de Janeiro contenente circa 350.000 libri di letteratura portoghese, anche molto antichi. Chi è stato nella biblioteca del Trinity College di Dublino nota subito la somiglianza con la Long Room irlandese, ma è difficile stabilire quale delle due biblioteche è più grande e fornita. Il Real Gabinete da Leitura è una calamita capace di concentrare su di sé fantasia e conoscenza, una galassia dentro la città, un ricettacolo pieno di colori che attrae visioni e saperi. Uno dei luoghi meno conosciuti di Rio de Janeiro, che non dovete assolutamente perdere.

Lì vicino, piccola e seminascosta, c’è la Igreja de Nossa Senhora de Lampedosa: mai e poi mai avrei pensato di trovare una chiesa dedicata a Lampedusa qui a Rio, e più avanti c’è la Catedral Presbiteriana, le cui guglie a fatica si insinuano tra i grattacieli. Continuando il giro per il centro, in Rua da Carioca ci imbattiamo nel famoso Cine Theatro Iris, fondato nel 1909, che si nota subito per alcuni cartelli scritti in caratteri anni ’30 e invita a vedere lo “strip tease de lindas e deliciosas garotas”, per la modica cifra di 20 reais, precisando che “na sua fatura não sera identificado o nome do establecimento”.

Barrio Carioca e Gamboa

Scendiamo verso il porto, dove si staglia la lunga costruzione a forma di nave del Museu de Amanhã, il museo del domani. Lo stile è inconfondibile: Santiago Calatrava ha colpito anche qui a Rio de Janeiro. La struttura calatraviana ovviamente c’entra come i cavoli a merenda col contesto urbanistico del centro di Rio, e in effetti tra i carioca non ha un buon indice di gradimento. Il panorama dalla “prua” della nave però vale la pena: spazia sul lungo ponte Presidente Costa e Silva (13.2 km) che sormonta la baia di Guanabara congiungendo Ponta do Caju con Avenida do Contorno a Niteroi. In mezzo alla baia c’è l’Ilha Fiscal, cosiddetta perché nel 1889 ospitò l’ultimo festival dell’Impero prima della proclamazione della Repubblica, e poi fu destinata a posto di controllo doganale.

Ma non è finita: abbiamo ancora tempo di vedere lo stupendo Mosteiro de São Bento e dulcis in fundo la gigantesca Catedral Metropolitana de São Sebastião, dallo spettacolare e controverso design a forma a tronco di cono di 106 metri di diametro e 96 metri di altezza, che può contenere fino a 20.000 persone, praticamente quante ce ne stanno in uno stadio. La navata è arricchita da 4 immense vetrate di 60 metri d’altezza, poste ai 4 punti cardinali, che si elevano dal pavimento alla sommità della struttura conica e le donano una bella illuminazione naturale.

Tornando verso casa di Rogerio ci fermiamo sul lungomare di Flamengo perché uno sprazzo di sereno ci lascia intravedere il Pão de Açucar e scattare qualche foto della baia. Per oggi il giro di Rio è finito. Abbiamo visto talmente tante cose che riesce persino difficile fare il recap. Con Rogerio e gli amici californiani proviamo a farlo alla sera nel ristorante da Giuseppe di Leblon, davanti a un taglio di tenerissima picanha.

Leblon e Ipanema

Il giorno dopo le nuvole basse dell’inverno brasileiro ci accompagnano ancora e nascondono la visione dei morros carioca. Sembra quasi surreale vedere le spiagge di Leblon e Ipanema nascoste nella nebbia e praticamente deserte, salvo qualche irriducibile gruppetto di giocatori di futevòlei che si allena indossando dei maglioncini, indumento difficilissimo da trovare qui a Rio. Proseguiamo da Leblon verso sud in direzione della favela di Vidigal, aggrappata alla montagna come quasi tutte le favelas. Sono in corso lavori di consolidamento, dopo che a febbraio una parte della montagna è franata trascinandosi dietro decine di abitazioni fatiscenti e i loro occupanti. La spaccatura è ben visibile ancora adesso. Morti dichiarati 20, ma in realtà furono molti di più.

Il coloratissimo mercato ortofrutticolo di Leblon è aperto e pieno di gente. Guardo con curiosità la frutta esposta, specie in gran parte mai viste: sapotì, fruta do conde, graviola, pitaya, atemoya, cupacù, yaque e c’è persino il cacau, che qui vendono come frutto. Impossibile non farsi fare un succo: scelgo maracujà e mango, un ottimo mix di asprigno e dolce. Torniamo verso il centro città. Useremo metropolitana e tram, ovviamente gratis come già detto. Visitiamo il Centro cultural de Justicia Federal (CCJF), la Biblioteca Nacional e il Museu Nacional de Bellas Artes. Qui sono esposti grandi quadri che presentano scene della Guerra della Triplice Alleanza (Brasile, Argentina e Uruguay coalizzati contro il Paraguay), durata 7 anni dal 1864 al 1870, che portò al limite dell’annientamento la popolazione paraguaiana.

Lapa e Santa Teresa

La fermata del metrò di Carioca è collegata alla stazione di partenza del bondinho (leggi “bongigno”), piccolo tram vagamente somigliante all’eléctrico di Lisbona che correndo sopra gli archi dell’Aqueducto de Lapa sale verso il quartiere Santa Teresa. Tra i binari piazzati nel budello di curve in salita si svolge il normale traffico locale, compresi bus e camioncini che slalomeggiano sorpassandosi come se fossero in autodromo, con relativi ingorghi a ogni strettoia e a ogni incrocio col tram.

Santa Teresa, adagiata sulla collina che sovrasta il Barrio del Centro di Rio de Janeiro, un tempo era la zona della nobiltà cittadina e ai giorni nostri rimane rifugio di artisti e scrittori.

Il percorso sul Bondinho sale tra strade, vicoli, e piazze come largo do Curvelo, largo do Guimarães, largo das Neves, girando tra case e bellissimi palazzi, come la Chiesa e il convento di Santa Teresa, il Castello Valentin, quello della residenza consolare di Germania, il Castello Seat, il Museu da Chácara do Céu e molti altri musei. La fermata principale per i panorami è il suggestivo Parque das Ruínas, sede di una galleria d’arte costruita intorno alle rovine di una villa. Qualche sprazzo di sereno tra le nuvole ci permette di ammirare dalle terrazze del parque panorami mozzafiato sui quartieri di Rio, sul Maracanà e sulle favelas do Rato Molhado, di Cerro Corà e di Santo Amaro, con le case letteralmente appoggiate una sopra l’altra e aggrappate alla montagna. Per inciso, alcune agenzie turistiche propongono anche il “favela tour” di Rio, ma a parte le ovvie considerazioni sulla sicurezza non ci pare proprio il caso di dedicare del tempo a questo pseudospettacolo sulla miseria della povera gente.

All’uscita dalla stazione del bondinho scendiamo verso il quartiere Lapa, arrivando alla strafotografata Escadaria Selarón, una scalinata tappezzata di piastrelle colorate che collega il quartiere di Santa Teresa con Lapa. Costruita dall’artista cileno Jorge Selaron, che l’ha definita “il mio tributo al popolo brasiliano“, sale per 125 metri ed è composta da 250 gradini, le cui alzate sono decorate con più di 2.000 piastrelle che provengono da oltre 60 paesi. Le piastrelle, inizialmente recuperate da cantieri e mucchi di rifiuti, negli ultimi anni venivano donate da visitatori provenienti da tutto il mondo. Selaròn ha sempre considerato il suo lavoro come “incompleto” e dichiarato “Questo sogno folle e unico finirà solo il giorno della mia morte”, avvenuta nel 2013. Selaròn ha dipinto a mano oltre trecento delle oltre duemila piastrelle che compongono la scalinata, tutte con la raffigurazione di una donna africana incinta. L’artista non volle mai rivelare il significato di questo soggetto dicendo che si trattava di un problema personale del suo passato. I carioca come Rogerio disdegnano questa scalinata, considerandola solo un obbrobrio avulso dal contesto della città e costruito solo a scopo turistico.

Jardìm Botanico do Rio

Intanto la pioggerellina ha ripreso il sopravvento. Decidiamo di riservare il resto della giornata alla visita del meraviglioso Jardìm Botanico, praticamente uno spicchio di foresta tropicale piazzato proprio nel centro della città. Tra le maestose palme imperiali e le enormi Victoria regia, le ninfee amazzoniche dalle perfette foglie circolari grandi anche due metri e capaci di sostenere il peso di un bambino, si aggirano macachi, armadilli, coati, tucani e colibrì di varie specie, che è molto probabile avvistare durante la camminata tra i viali del giardino. Per chi ha tempo, dal Jardìm Botamico si dipartono anche sentieri ombreggiati che salgono lungo la montagna fino alla statua del Cristo Redentore, oppure verso la foresta tropicale del Parco nazionale di Tijuca.

In questa visita di Rio, vuoi per ragioni metereologiche, vuoi per il poco tempo a disposizione, non abbiamo raggiunto il Corcovado, il Pão de Açucar e le spiagge. Sia chiaro che per chi va a Rio per la prima volta questi luoghi-simbolo rimangono must imperdibili. Ma noi abbiamo avuto la fortuna di avere come guida Rogerio, che ci ha fatto conoscere una Rio diversa, più genuinamente ruspante e tradizionale, cioè veramente “carioca”.

21-24 agosto: Cataratas de Iguaçu

Lasciamo Rio per la prossima meta del nostro programma di viaggio: le cascate di Iguaçu (o Iguazù per gli argentini).

Nella scena di apertura di Mission, il celebre e bellissimo film di Joffé che narra la tragica lotta degli indios guaranì contro l’oppressione spagnola e portoghese, si vede un uomo legato a una croce (un martire gesuita) che gli indios fanno precipitare da un’altissima cascata.

La cascata è proprio il fronte principale delle Cataratas de Iguaçu, uno spettacolare sistema di cascate formate dal Rio Iguazù al confine tra Argentina e Brasile. In lingua guaranì il nome delle cascate è Chororo de Yguasu, che vuol dire “grandi acque”. La leggenda degli indios dice che un dio pretendeva di sposare una bellissima ragazza chiamata Naipù, che però scappò con il giovane amante Canoba in canoa. Arrabbiato, il dio modificò il corso del fiume creando le cascate, nelle quali Naipù cadde diventando una roccia, mente Caroba fu trasformato in albero. I guaranì dicono che l’albero e la roccia oggi continuano ad amarsi, osservandosi senza potersi toccare.

Per raggiungere le cascate prendiamo l’aereo del mattino per Foz do Iguaçu (A/R Rio-Foz 180 USD con Gol), molto più conveniente rispetto al volo su Puerto Iguazù in Argentina che stranamente costa il doppio. A Foz c’è anche più offerta di alloggi.

Decidiamo di dedicare 4 giorni a questo eccezionale spettacolo della natura, perché vogliamo vedere sia il lato brasiliano che quello argentino. Dato che dovremo fare diversi trasferimenti transfrontalieri, ci rivolgiamo all’agenzia Destino Falls di Foz specializzata nell’organizzazione delle visite. Le gentilissime impiegate Naty e Lourival ci propongono un pacote di auto con autista e servizi completi di pratiche di frontiera, 240 dollari per 4 giorni, quindi 60 a testa senza problemi di orario e di trasporti, che sottoscriviamo subito.

Le cascate: lato brasiliano e lato argentino

Il sistema di Iguaçu (o Iguazù in spagnolo) consiste di 275 cascate, che si susseguono lungo 2.7 km del rio Iguaçu prima di confluire nel rio Paranà. L’altezza dei fronti di cascata varia tra 50 e 100 metri, altezza media 70, ma quello che colpisce di più è la loro estensione.

Il lato brasiliano è migliore per avere una visione di insieme delle cascate, lungo il sentiero (trilha) di 1.2 km che porta al Mirante da Garganta do Diabo e passa davanti ai salti principali: Salto Lanusse, Salto dos Hermanas, Salto Bossetti, Salto Escondido, tutti in territorio argentino, Salto San Martìn binazionale, fino all’impressionante Garganta do Diabo (la gola del diavolo). Una passerella posta in fondo alla trilha porta davanti al salto principale, ma proprio vicinissimo, a pochi metri, in una nuvola di spruzzi d’acqua da cui ci si può riparare con gli impermeabilini di plastica che vendono alla fine del sentiero. Vista dall’alto la passerella mette i brividi (è una delle foto allegate al diario) e ci si chiede come abbiano fatto a costruirla, per la portata d’acqua e la violenza della corrente, anche se siamo in una stagione di scarsa piovosità. Rogerio a casa ci aveva mostrato un filmato della cascata in primavera, nel periodo delle piogge, e si vedeva il passeio completamente sommerso dall’acqua fangosa. Nel periodo delle piogge spesso una parte del percorso di visita viene chiusa perché impraticabile, sia dalla parte brasiliana che argentina.

Le pratiche di frontiera per entrare in Argentina, grazie al nostro autista che ha una corsia preferenziale, durano solo una decina di minuti. Ripeteremo la procedura due giorni di fila, senza alcun intoppo.

La visita del lato argentino si sviluppa su tre passerelle (paseos): Garganta del Diablo , Paseo Superior e Paseo Inferior, che sono collegate tra loro da un trenino oppure da sentieri nella foresta. Trovate il tempo di farli tutte e tre, perché ognuno di essi offre visioni eccezionali. Le guide consigliano di fare le passerelle alte verso il tramonto, mentre quella bassa necessita della luce diurna.

Il paseo della Garganta del Diablo, sempre affollatissimo, arriva a pochi metri dal punto dove le acque del rio Iguazù iniziano a precipitare verso il basso. Qui c’è sempre un sacco di gente, ma è comprensibile, perché una visione così ravvicinata è un’esperienza unica. Però prendetevi tempo e fate con calma il lungo percorso che dalla fermata del trenino porta al mirador finale, guardando giù verso l’acqua del rio Iguazù. Scoprirete di camminare praticamente sopra un acquario di pesci tropicali sudamericani: sotto sguazzano i bagri (grossi pesce gatti), jaù, barbados, corvinas, grandi plecos attaccati alle pietre con una ventosa proprio come nell’acquario di casa.

Il paseo superior e il paseo inferior corrono nella foresta, con decine e decine di punti di osservazione sui vari saltos delle cataratas. Lungo tutti questi paseos si incontrano tanti uccelli multicolori (cercate i colibrì tra le fronde…) e un sacco di animali che popolano la mata atlantica, la foresta dell’America centromeridionale, a cui dedico un capitoletto a parte.

Quando siete in Argentina non potete mancare una serata in una tipica parrillada, cioè una cornucopia di tagli di carne tenerissima cotta sulla brace. Noi siamo stati al Quincho del Tio Querido (= il camino del caro zietto) a Puerto Iguazù: semplicemente eccezionale.

Il biglietto di ingresso al Parque Iguaçu in Brasile costa 38 reais (circa 10 Euro). Quello di ingresso al Parque Iguazù in Argentina costa 800 pesos (circa 12 Euro). Conservatelo, perché vale anche per avere uno sconto del 50% se entrate anche il giorno dopo.

Parque das Aves

Posto a poca distanza dall’aeroporto di Foz do Iguacu, il Parque das Aves è per quasi tutti la prima attrazione durante le visite. Lungo il viale di visita tucani e pappagalli ci svolazzano attorno e con l’aiuto delle guide si riesce a fare la foto col tucano in spalla. In grandi voliere vediamo da vicino gli uccelli che abitano la “mata atlantica“, la foresta del centro-sud del Brasile, più alcune specie provenienti da altre parti del mondo: cotorra (pappagallo verde), arara azul e arara macao (grandi pappagalli dai colori vivaci), i guarà (gli ibis rossi tipici del nordest brasileiro), mutùm (gallinella crestata), tucani di varie specie, trinha, jacutinga, corujas (gufi e barbagianni), beijaflores ( = baciafiori, colibrì multicolori), varie specie di aquile, arpie, fenicotteri. Ci sono persino i grandi casuari della foresta papuasica, dai magnifici colori e con una strana protuberanza a forma di elmetto sulla testa, che devono essere tenuti in gabbie singole perché se riuniti si azzuffano immediatamente. Oltre agli uccelli, qui ci sono anche i jacarè (caimani) e gli anaconda, che però è difficile vedere perché rimangono rintanati. Ingresso 45 reais.

Gli animali

I due parchi nazionali che comprendono le cascate, uno in Argentina e uno in Brasile, sono popolati da animali tipici della “mata atlantica”. I più comuni sono i coati (o quatìs in portoghese), che vi seguono dappertutto. Sono una via di mezzo tra il procione e la volpe, con una lunga coda a strisce e il naso mobile che infilano in ogni pertugio. Hanno denti aguzzi e unghie ricurve e dure come un osso. Sono continuamente in cerca di cibo, e bisogna stare attenti perché si intrufolano persino negli zainetti se li lasciate in giro e tirano fuori tutto quello che c’è dentro. Ngan stava aprendo un pacchetto di cracker ma il coati l’ha guardata come per dire: ”questo è mio!!!” e ha dovuto gettarlo per non essere attaccata. Non sono aggressivi ma solo affamati perché probabilmente ce n’è troppi e non c’è abbastanza cibo nei parchi, ma sono comunque pericolosi soprattutto per le micidiali unghie d’osso. In tutti e due i parchi nazionali ci sono foto che mostrano le profonde ferite provocate dalle unghiate dei coati alle mani e alle gambe di turisti incauti. I ranger hanno dovuto mettere delle gabbie nei punti di ristoro …ma per proteggere i turisti, non per gli animali, come per esempio alle fermate del trenino in Argentina. Praticamente, succede che per poter mangiare un panino o uno snack noi umani dobbiamo entrare in gabbia, mentre i coati fanno la ronda fuori aspettando che qualcuno gli tiri un pezzetto di pane o di banana.

Altri animali che è quasi impossibile non incontrare nei due parchi sono i macachi, scimmiette simpatiche che non disdegnano le offerte di cibo, la cutìa, una specie di topone che somiglia alle nutrie che invadono i nostri fiumi, i capibara, grossi roditori che amano l’acqua che vedrete starsene placidi a prendere il sole sulla riva. Più difficile vedere l’armadillo, animale ricoperto da una specie di armatura cornea (da cui il nome), molto schivo e dalle abitudini notturne.

Gran Aventura

Ngan, sempre alla ricerca di shock adrenalinici, ci obbliga a iscriverci alla pazza escursione in gommone sulle acque del rio Iguazù proposta da Paseo Gran Aventura. Si parte dal visitor center argentino su camion aperti, poi si attraversa la foresta per 5 km lungo il sentiero Yacaratià fino all’imbarcadero. Qui inizia la risalita per 6 km lungo il fiume, inclusi 2 km di rapide, alla massima velocità possibile consentita dagli zodiac a fondo piatto. Curve da brivido e sobbalzi assicurati, al punto che questa volata è sconsigliata a chi ha problemi alla schiena o di osteoporosi. Il gommone prima si approccia lentamente ad alcuni fronti delle cascate, consentendo di fare foto ravvicinatissime, poi via, una brusca accelerata senza preavviso e si passa sotto, ma proprio sotto lo spiovente dell’acqua. I punti principali sono il Salto de Tres Mosqueteros, il Salto San Martìn e la Garganta del Diablo, che dal di sotto mette davvero spavento. Si viene investiti da una massa d’acqua enorme. Docce totali assicurate almeno 2: proteggete cellulari e macchine fotografiche. Mettete nello zainetto (da riporre in un sacco impermeabile fornito dall’organizzazione) anche dei vestiti di ricambio, perché quando scendete dal gommone siete “zuppi” da capo a piedi. Ci si bagna completamente: forse l’abbigliamento più adatto per questo “paseo” è costume e infradito…..

L’escursione in totale dura 2 ore e mezza, compreso il percorso attraverso la selva. Prezzo 2500 pesos argentini (circa 38 euro).

Un’offerta simile a quella di Gran Aventura è proposta anche dal lato brasiliano, da Macuco Safari, che però non si spinge sotto le cascate come gli argentini.

“Marco das treis fronteiras” e sconfinamento in Paraguay

La zona di Iguaçu è un’area trinazionale all’incrocio tra Brasile, Argentina e Paraguay. In ognuno dei 3 stati, in punti di confine sopraelevati, sono stati posti degli obelischi dipinti con i rispettivi colori nazionali, che permettono di avere una visione dall’alto dei fiumi e del confine. Abbiamo visto il “marco” brasiliano e quello argentino. Nell’area brasiliana sono state ricostruite alcune parti delle missioni dei gesuiti. Con un filmato di 12 minuti presentano la storia Alvaro Nuñez detto Cabeza de Vaca, condottiero spagnolo a cui viene attribuita la scoperta delle cascate di Iguaçu e delle popolazioni indie della selva paranaense, distinguendosi per il rispetto e l’aiuto verso la gente locale, cosa in verità assai poco comune tra i conquistadores.

Le aree dei “marcos” transfrontalieri sono frequentate da indios guaranì dall’età indecifrabile, con gli occhi neri e la grande faccia bruciata dal sole, che offrono souvenir di artigianato locale.

Ma siccome abbiamo 4 giorni e non vogliamo farci mancare niente, convinciamo l’autista dell’agenzia a portarci al Ponte da Amistade (il ponte dell’amicizia), che sormontando il Rio Paranà segna il confine tra Brasile e Paraguay. Da qui entriamo a Ciudad del Este in territorio paraguaiano, accolti dalla scritta Tapeguaheporàite Paraguài Retame, “benvenuti nella repubblica del Paraguay”, cioè nell’unico stato sudamericano che come lingua ufficiale ha quella della popolazione locale, il guaranì. Cosa non si farebbe per avere un visto in più sul passaporto da tenere come ricordo…

Ciudad del Este ci accoglie con un frastuono e una confusione indescrivibile. Carrettini e mototaxi dovunque, movimenti disordinati di auto per la strada, improbabili tour operator che offrono il giro delle missioni gesuitiche. Cerco di scattare delle foto ma per due volte vengo bloccato da persone che minacciano e fanno segna di mettere via la macchina fotografica. La ragione è semplice: nella zona di confine ogni angolo è buono per lo smercio di cocaina e altre droghe, e potresti riprendere per sbaglio gli spacciatori. Due fruttivendoli o pseudo-tali mi avvicinano e con tono minaccioso mi fanno cancellare la foto del carretto con la frutta che avevo appena fatto. Probabilmente dietro gli ananas c’era la droga, o forse dentro gli ananas. Limitiamo la permanenza in Paraguay a una mezz’oretta, poi torniamo indietro. E’ stato l’unico momento di questi viaggio in cui non mi sono sentito sicuro. Davvero uno shock passare dal Brasile al Paraguay.

Diga di Itaipu

Una ventina di km a nord di Foz do Iguaçu c’è un’opera di ingegneria straordinaria, la diga di Itaipu (= pietra che canta, in lingua guaranì), in competizione con la Diga delle Tre Gole sopra lo Yangtse in Cina per essere riconosciuta come la più grande centrale idroelettrica del mondo.

Vale davvero la pena di venire a vedere questa opera eccezionale. La diga è lunga complessivamente 7.700 metri e alta 196 metri. Le visite guidate ci portano a vedere le grandi turbine e le sale di controllo, fino a salire sul camminamento stradale da cui si vede il bacino artificiale di circa 1400 km quadrati creato dalla diga.

La diga, ufficialmente “binacional”, è gestita in compartecipazione tra brasiliani e paraguaiani, ma la copertura finanziaria è quasi totalmente brasiliana, cosa che la nostra guida, un universitario paraguaiano, ammette a denti stretti. La potenza installata nella diga è di 14.000 MW di energia pulita, con 20 turbine capaci di generare 700 MW ciascuna. La diga soddisfa la domanda dell’80% dell’energia elettrica consumata in Paraguay e il 15% del Brasile. Potrebbe sostenere il fabbisogno elettrico di tutto il mondo per 40 giorni. Diciotto delle 20 turbine installate lavorano costantemente, mentre due restano in manutenzione. Nel 2016 Itaipu ha battuto il record mondiale di energia prodotta, con 103 milioni di MWh. Per produrre la stessa quantità di energia con impianti termoelettrici occorrerebbero 434.000 barili di petrolio al giorno, con una spaventosa emissione di anidride carbonica.

Le foto sono permesse, e alla fine della visita vi daranno come ricordo un elmetto di sicurezza dedicato. Biglietto di ingresso 20 reais (5 €).

L’elicottero

Sempre su sollecito di Ngan, dato che l’ultimo giorno abbiamo una mezza giornata di tempo prima del volo di ritorno e la giornata è limpida, diciamo di fare l’helicopter ride sul bacino di Iguaçu. Costa tanto, 105 USD per 15 minuti di volo, ma la veduta di insieme del salto del rio Iguazù dall’alto è eccezionale.

25-31 agosto: le città coloniali del Minas Gerais

Il Minas Gerais (= miniere generali) è un grande stato del Sudest del Brasile, superficie quasi il doppio dell’Italia. E’ una regione ricca sia dal punto di vista agricolo che industriale e minerario (ferro, alluminio, diverse pietre preziose, il rarissimo niobio usato per la produzione di acciai speciali nel settore aereonautico e aerospaziale). Nel periodo coloniale dalle miniere di questo stato si estraevano anche oro e diamanti, ragione per la quale i portoghesi qui costruirono magnifiche città per ospitare i proprietari delle miniere e i latifondisti.

Il nostro percorso seguirà la Estrada Real, costruita (dagli schiavi, ovviamente) per collegare le città minerarie dell’entroterra con i porti di Rio e Paraty dove l’oro e le pietre preziose venivano caricate sulle navi dirette in Europa. La strada è segnalata da cippi che portano le iniziali “ER” ed è divisa in 3 parti: Caminho Novo, da Rio e Paraty a Ouro Preto, Caminho do Sabarabuçu da Ouro Preto a Belo Horizonte e alle miniere centrali e Caminho dos Diamantes da Ouro Preto a Diamantina. Alloggi prenotati in anticipo via web, tutti in bellissime pousadas con costo mai superiore a 50 euro per notte.

Partenza il 25 agosto alle 7 con l’obiettivo di raggiungere la prima meta (Tiradentes) nel pomeriggio. La piccola Renault Stepway di Rogerio, che ha fatto solo 9000 km in 6 anni, sarà costretta a un superlavoro a cui non è abituata, perché il percorso tra andata e ritorno è circa 1500 km. Staremo un po’ stretti, anche per via delle valigie, ma ci adatteremo.

Per prima cosa Rogerio piazza sul cruscotto della macchina il radar detector. Ci accorgiamo subito di quanto questo strumento sia fondamentale per viaggiare on the road in Brasile. I brasiliani hanno uno stile di guida molto semplice: schiacciano a tavoletta alla massima velocità possibile in qualunque tratto stradale, salvo rallentare più o meno bruscamente in prossimità dei quebramolas (i dossi rallentatori) e dei controlli radar. I radar sono frequentissimi soprattutto attorno ai centri abitati, perché i comuni riscuotono una percentuale sulle multe. Impongono dei limiti assurdi: 60, 40 e a volte persino 30 km/h. Per il brasiliano al volante il radar è un incubo, perché le multe sono salatissime: 400 reais alla prima infrazione (circa 80 euro), ma fino a 2500 reais (quasi 600 euro) per le infrazioni successive, con annessa decurtazione di punti patente. La segnaletica stradale a terra invece è del tutto ignorata (“a linha da estrada é apenas uma referência”): superare la doppia striscia continua, sorpassare a destra, invadere la corsia opposta sono tutte manovre che il guidatore brasiliano esegue nella più assoluta normalità. Dato che dovrò guidare anch’io, mi sorbisco una lunga “iniziazione alla guida in Brasile” da parte di Rogerio.

Tiradentes e São João del Rei

Prima a tappa a Tiradentes, la più piccola delle città che visiteremo, solo 7000 abitanti. Prende il nome dall’eroe nazionale Joaquim José da Silva Xavier, detto Tiradentes perché faceva il dentista, che fu promotore di una rivolta popolare contro gli oppressori portoghesi e fu giustiziato nel 1792.

Arriviamo alla domenica pomeriggio. Le strade sono piene di gente, di carretti rosa trainati da cavalli, di vecchie auto trasformate in distributori di chopp, la birra alla spina brasiliana. Ci innamoriamo subito dell’architettura di questa città, come di tutte le altre che vedremo. I caratteri comuni sono le strade pavimentate con lastroni di pietra o acciottolato, le case dipinte con calce bianca e rilievi in colori pastello, le finestre ripartite in tanti segmenti orlati di bianco, le chiese in stile barocco o rococò tutte con il doppio campanile. I colori delle vie sono resi ancora più caldi dal sole che sta tramontando, ma c’è ancora tempo per fare un giro della piccola cittadina e per fotografare una coppia di tucani che scorrazza in libertà tra le fronde di altissimi baniani.

Alle 7 c’è la messa nella Igreja Matriz de Santo Antonio. La chiesa è piena di gente già prima dell’inizio e dobbiamo stare in piedi, cosa che ci permette di ammirare lo stupendo organo policromo portato qui dal Portogallo e i sette grandi lampadari a forma di fenice appesi al soffitto con catene intrecciate.

Per la cena Rogerio, che è già stato qui, ci indirizza all’Estalagem do Sabor in Rua Gabriel Passos, dove servono piatti tipici della cucina mineira, a cui dedico un capitolo a parte.

Per l’alloggio abbiamo scelto la pousada Lar Doce Lar, che al mattino ci propone una colazione ricchissima tra cui spicca una eccellente torta di maracujà.

Tenendo come base Tiradentes, il giorno dopo visitiamo São João del Rei, che dista solo 20 km. Per il tragitto ci sarebbe anche il trenino turistico, che però non vale la pena. São João è grande (80.000 abitanti), ma il centro storico si gira comodamente a piedi. Prima tappa alla chiesa barocca Igreja de San Francisco de Assis (praticamente tutte le città qui hanno una chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi), circondata da alte palme a fusto lungo. Gli interni di tutte le chiese che visiteremo sono pieni di ori, statue, fregi e denotano una ricchezza insospettata e una profonda devozione da parte dei fedeli. Il Minas è uno degli stati brasiliani dove il cattolicesimo è più solido e radicato. Anche per São João girare per le strade del centro è un piacere. Vediamo la casa dell’ex presidente Tancredo Neves e lungo la Rua Getulio Vargas il Museu de Arte Sacra e la Igreja de Nossa Senhora do Carmo. Entrambe le chiese sono state progettate dal grande architetto-scultore Aleijadinho, di cui parlo dopo.

Congonhas do Campo

Sulla strada verso Ouro Preto, che è la prossima tappa dove abbiamo l’albergo, fermata obbligatoria a Congonhas, per vedere la famosa Basilica do Bom Jesus de Matozinhos, che è famosa per le statue e le cappelle di Antonio Francisco Lisboa, o meglio Aleijadinho, le cui sculture e opere di architettura si trovano in tutti i luoghi di culto più importanti del Minas Gerais.

La storia di Aleijadinho è drammatica. All’età di circa 40 anni fu colpito da una grave sclerodermia, una specie di lebbra che gli consumava le dita e le mani, ma volendo a tutti i costi continuare a scolpire si fece legare alle braccia martello e scalpello e si fece preparare delle specie di protesi che gli consentivano di lavorare la pedra sabão, cioè la saponaria con cui realizzava le sculture. Secondo molti, le sue opere migliori sono proprio quelle realizzate dopo che fu colpito dalla menomazione. Con l’avanzare degli anni la malattia peggiorò, così l’artista evitava di apparire in pubblico e abitualmente si faceva trasportare su una portantina dai suoi servitori. Negli ultimi anni di vita a causa della patologia subì la mutilazione di alcune dita dei piedi e delle mani, diventò cieco e dovette abbandonare definitivamente l’attività artistica.

A Congonhas si trovano le opere più famose di Aleijadinho: le statue dei profeti, tutte scolpite nella pietra sapone e collocate davanti alla basilica del Bom Jesus. Nella statua del profeta Amos, che trovate in alto sulla sinistra guardando verso la facciata, pare che l’artista abbia voluto raffigurare se stesso. Lungo il pendio che scende dalla chiesa ci sono le 14 cappelle della Via Crucis, la cui scenografia è di un realismo eccezionale, al punto che le figure sembrano vive. Nei particolari delle scene si nascondono alcuni messaggi occulti che lo scultore voleva trasmettere: per esempio, Gesù è ritratto spesso con un segno rosso sul collo, che sarebbe un parallelismo con il martire Tiradentes impiccato dai portoghesi, oppure il fatto che le sculture dei soldati romani hanno tutte due piedi sinistri e indossano degli stivaletti tipici dei colonizzatori portoghesi. Vale la pena di arrivare fin qui per ammirare queste opere, che sono il capolavoro di Aleijadinho e sono considerate le più famose opere d’arte di tutto il Brasile.

Ouro Preto

Ouro Preto (= oro nero) è la più famosa e la più bella tra le città coloniali del Minas Gerais. Il fascino coloniale di un tempo è rimasto praticamente inalterato, dato che qui non vengono costruiti edifici nuovi dalla fine del XIX secolo. I colori delle case e dei contorni delle finestre, tenute con grande cura, qui sembrano quasi più intensi. Le strade hanno delle pendenze tali che a volte è difficile persino girare a piedi per le vie lastricate di pietra. Dalla nostra pousada, che è la Pousada Marotta, e dalle colline attorno alla città si ammirano panorami stupendi del centro città, delle case colorate e delle 23 chiese sparse tra le colline. A Ouro Preto rimaniamo 3 giorni, compresa una mattinata dedicata alla visita di Mariana, altro centro coloniale vicino.

La cittadina è un susseguirsi di bellezze architettoniche, un museo a cielo aperto. Tra le tante cose che abbiamo visto, cito le più importanti. Nella centrale Praça Tiradentes campeggia la bandiera biancorossa del Minas Gerais, con il motto “Libertas quae sera tamen”, che fu il motto dei rivoluzionari detti “inconfidentes”. Nell’ex-municipio della città è stato allestito il Museu da Inconfidencia, dedicato alla storia della ribellione contro i portoghesi capeggiata dal dentista Tiradentes (Joaquim da Silva Xavier), che ho già citato. Il museo, che ospita la tomba dell’eroe popolare, racconta il lungo processo-farsa in cui Tiradentes si assunse tutte le colpe della rivolta, scagionando di fatto gli altri cospiratori. Nel museo potete leggere la sentenza originale, chiaramente su una traduzione messa lì vicino, la cui ampollosa e ridondante proclamazione davanti alla popolazione durò un intero pomeriggio. Tiradentes fu condannato alla forca, poi il cadavere fu squartato e i pezzi del corpo esposti nelle città principali della regione a monito contro possibili emulazioni. Un quadro esposto nel museo mostra in modo molto realistico la scena dello squartamento. Gli altri cospiratori, che erano medici, notabili e signorotti del luogo, quindi personaggi importanti anche per i portoghesi, furono salvati e semplicemente costretti a ritornare in Portogallo col solo obbligo di non mettere più piede in Brasile.

Appena dietro il museo c’è la Igreja de Nossa Senhora do Carmo, ma la chiesa più importante anche qui è dedicata a San Francesco, Igreja de San Francisco de Assis, la cui facciata è opera di Aleijadinho. Un’altra da visitare è Nossa Senhora do Pilar, che contiene 500 kg di opere in oro. Tutte hanno degli interni riccamente decorati e pieni di fregi d’oro, mentre le facciate sono in stile barocco. Tra i tanti edifici che meritano una visita ce ne sono alcuni particolarmente interessanti, come la Casa dos Contos, che presenta l’evoluzione della moneta in Brasile, compreso il periodo in cui il real subì una svalutazione pesantissima, al punto che il valore delle banconote doveva essere modificato aggiungendo degli zeri con un timbro poco dopo l’emissione e diventavano in poco tempo carta straccia. All’interno della casa, colpiscono i luoghi sporchi e bui dove vivevano gli schiavi, costretti a una vita disumana nei sotterranei dell’edificio.

Mariana

Mariana dista solo 15 km da Ouro Preto. Dedichiamo mezza giornata alla visita di questa che è la città più antica del Minas Gerais. Da Praça Gomez Freire si sale verso Praça Minas Gerais, dove ci sono una di fronte all’altra la cattedrale (“la Sé”) e la chiesa dedicata a San Francesco. In mezzo alle due chiese, proprio davanti al Museu Arquidiocesano de Arte Sacra, c’è il pelourinho, la gogna con gli anelli a cui venivano legati gli schiavi per la fustigazione e le punizioni pubbliche, inquietante testimonianza di complicità tra tribunale amministrativo e inquisizione religiosa.

Diamantina

Ultima tappa del nostro viaggio nel Minas Gerais è la splendida, lontana e isolata Diamantina. Per raggiungerla bisogna fare quasi 400 km da Ouro Preto lungo l’ultimo tratto della Estrada Real, il Caminho dos Diamantes. Attraversiamo gli aspri paesaggi del Cerrado Brasileiro, il nome con cui i brasiliani identificano questi territori molto simili alla savana africana. Per fortuna in queste zone di provincia i radar sono pochissimi, così si può guidare in libertà, per la gioia degli autisti brasiliani che possono scatenarsi in folli corse sulle statali.

Diamantina si gira a piedi senza problemi, a parte le solite scarpinate su e giù per i pendii scoscesi delle ruas. Una volta tanto, qui non sono le chiese a fare da protagonista principale della visita, anche se la Catedral de Santo Antonio, bianca e celeste, si vede da ogni punto della città e a furia di passarci davanti ogni volta che scendiamo verso il centro una visita si impone.

Il nome della città richiama quella che per un paio di secoli fu l’attività mineraria principale della zona: l’estrazione dei diamanti. Oggi le miniere sono esaurite, mentre si continuano ancora a trovare splendidi minerali di diverso colore e valore nei dintorni: ametiste, citrini, quarzi con inclusioni e concrezioni di vari colori. Molti negozi di Diamantina offrono pietre a vario prezzo. Nel Museo do Diamante invece di diamanti ce ne sono pochi, se ne può ammirare qualcuno solo in una delle sale. Per il resto il museo è occupato da oggetti d’arte religiosa, vecchie fotografie, armi e mobili risalenti al periodo dell’estrazione dei diamanti. Poco distante c’è la casa di Cisca da Silva, che il commerciante di diamanti João Fernandes de Oliveira donò alla sua schiava prediletta. La storia di Cisca (o Chica) è stata raccontata e romanzata nella letteratura di questa regione, e i brasiliani ne hanno ricavato persino una telenovela che riscuote grande audience. E’ la storia di una schiava negra bella e intelligente, che sapeva farsi benvolere dai suoi padroni al punto che questi se la contendevano a peso d’oro. Si racconta che in occasione del suo ultimo passaggio di proprietà, Cisca fu venduta per una quantità d’oro pari al suo peso. La schiava divenne cosi influente che quando fu costruita la igreja di Nossa Senhora do Carmo, per suo ordine il campanile fu costruito dietro l’abside, cosa che le consentiva di recarsi in chiesa e sedere nel banco principale davanti all’altare maggiore, in barba alla legge portoghese sulla schiavitù che impediva agli schiavi di oltrepassare il campanile. Però, malgrado questi privilegi, a Cisca non fu mai concesso l’affrancamento dalla schiavitù.

Un simbolo di Diamantina, che si trova in Rua da Gloria poco sopra l’Università, è il Ponte da Gloria, dipinto in azzurro intenso, che serviva da passaggio per le suore di clausura. La Casa da Gloria ha avuto una storia a dir poco movimentata: prima monastero per le suore di San Vincenzo de Paula, poi bordello, poi di nuovo monastero e finalmente sede dell’Istituto di Geologia dell’Università.

Diamantina è una città che respira musica. Al venerdì sera assistiamo a una serata di forrò nel bar do Gilmar in centro città. Il forrò è una musica tipica del nord-est del Brasile, quindi ci ha stupito un po’ trovarlo qui. Il ritmo è coinvolgente, ma ancora di più lo sono le danze sensuali dei ragazzi che riempiono il bar, caratterizzate da un forte contatto fisico dalla testa ai piedi. Diamantina è città universitaria, quindi piena di giovani studenti.

Il sabato mattina andiamo al Mercado Municipal e alla Feria de Artesanìa, dove si esibiscono altri complessini di studenti che improvvisano dal vivo tra banchi di generi alimentari e oggetti di artigianato.

Ma il clou della nostra visita nel lontano Cerrado, quello per cui siamo venuti fin qui, è la Vesperata di Diamantina, che si tiene due volte al mese al sabato sera da aprile a ottobre nella Rua da Quitanda. I posti a sedere si esauriscono presto, ma il previdente Rogerio ha prenotato per tempo un tavolo all’aperto a poca distanza dal palco centrale. Nel centro della via si esibiscono musicisti locali che suonano ritmi di chorinho, una musica popolare brasiliana con forte influenza di ritmi africani caratterizzata da un ritmo dolce e languido (choro vuole dire lamento), al pari di altri ritmi brasileiri più famosi come la samba e la bossanova. Due figuranti che rappresentano Cisca da Silva e il suo signorotto padrone scendono da un balcone passando tra i tavoli. La meravigliosa mulatta che interpreta Cisca indossa uno stupendo abito di raso e pizzo rosso fuoco e una collana di diamanti, mentre un nastro di seta le raccoglie i capelli. Tutti facciamo la foto ricordo con lei.

Mentre l’esibizione dei suonatori di chorinho prosegue, arrivano gli altri protagonisti della serata. Sono le bande musicali locali, che si alternano nelle serate della Vesperata. Questa sera suona la Banda do Tercero Batalhão de Mùsica de Policia Militar de Minas Gerais. I musicisti arrivano portandosi dietro tromboni, tamburi, flauti, piatti, clarini e tutto il resto, poi scompaiono all’interno dei portoni delle case che danno sulla rua, per riapparire alle finestre e sui balconi illuminati. L’evento musicale è in realtà un recupero della tradizione, perché la pratica di organizzare concerti sui balconi delle case era ricorrente nel XVIII secolo. Le musiche spaziano da ritmi tipici brasiliani fino a pezzi moderni degli Abba e dei Queen. Lo scenario è spettacolare, la musica ti investe dall’alto e da entrambi i lati della via. I musicisti non lesinano atteggiamenti da showmen, soprattutto i piattisti e i trombettisti, che si esibiscono in acrobazie tra balconi e finestre facendo volteggiare gli strumenti per aria e riprendendoli senza farli cadere a terra. Se non riuscite a prenotare un posto ai tavoli, potete assistere gratis alla serenata da un punto qualsiasi della strada. Il posto a sedere ai tavoli di Rua da Quitanda costa 180 reais (circa 40 euro) per un tavolo di 4 persone, ma va prenotato con largo anticipo.

Diamantina è l’ultima tappa del nostro viaggio tra le città barocche del Minas Gerais. Veniamo via con tante immagini negli occhi, la musica in testa e nelle orecchie, tanti sapori e profumi, e un bel po’ di nostalgia.

La “cocina mineira”

Il Minas Gerais ha una propria tradizione culinaria ben radicata, basata su piatti semplici ma ricchi di calorie. I più tipici, quelli che magari non sono nel menu ma se li chiedete ve li fanno, sono:

Tutu a mineira, purè di fagioli con aglio, cipolla, cotenna di maiale, cavolo nero e riso

Pan de quejo, morbido pane al formaggio preparato con farina di tapioca

Goiabada, polpa dolce di guaiava che quando viene accompagnata dal formaggio locale prende il nome di Romeo e Julieta

Manè sem jaleco, lombo di maiale con riso, fagioli e uova

Ma soprattutto, qui e in tutto il Brasile, un consiglio di Rogerio per quando andate al ristorante: quando avete finito la cena chiedete al cameriere la “saidéra”. Che cos’è ? Vorrebbe dire uscita, si tratta di un omaggio finale gratuito offerto dal ristoratore, che può essere l’ultima birra, l’ultima caipirinha o l’ultimo dolcetto prima di lasciare la sala. Provate a chiederla :).

Conclusione

Un viaggio bellissimo, vissuto alla brasileira con tante scoperte e tante novità. Girare Rio con un carioca ti fa vedere come loro amano e vivono la loro città. Le cascate di Iguaçu sono un fenomeno naturale spettacolare e impressionante. Il Minas Gerais è una meta meno visitata rispetto ad altre destinazioni brasiliane più turistiche, ma è pieno di arte, di storia e di fascino, e vi sorprenderà soprattutto con un viaggio “on the road”.

Grazie ai compagni di questa avventura, e a chi ha letto il diario e ha avuto la costanza di arrivare fino a qui.

Luigi

luigi.balzarini@studio-ellebi.com

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