Viaggio in Perù, Bolivia, Ecuador nel 1982

Attraverso le Ande e l'Amazzonia in 39 giorni...
Scritto da: ziorico45
viaggio in perù, bolivia, ecuador nel 1982
Partenza il: 13/12/1982
Ritorno il: 20/01/1983
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €

APPUNTI DI VIAGGIO IN PERU’, BOLIVIA, ECUADOR

13-12-1982 / 20-1-1983

Perchè quest’anno abbiamo scelto il Perù come meta di viaggio? Nel “curriculum” di ogni viaggiatore, vi sono dei luoghi, da cui non si può assolutamente prescindere, penso all’India, all’Egitto e l’America latina è sicuramente uno di questi. Riteniamo il Perù uno dei paesi più belli ed interessanti dell’America latina, Il fascino ed il mistero della cultura Inca, ci hanno sempre incuriosito. Io e Patrizia ne parlavamo da tempo, ora che i nostri impegni ce lo permettono, si va.

Abbiamo chiesto ad amici, se qualcuno fosse interessato ad aggregarsi. Accetta di partire con noi Paolo (Puli), lui ha gran parte dell’inverno libero, quindi farà parte del viaggio con noi poi proseguirà per il Brasile, è stato mio compagno di viaggio, nel primo viaggio nel Sahara, si associa anche Stefano (Fefo), il più giovane della banda.

Ci preoccupa un po’ la situazione politico-militare, con i guerriglieri di “Sendero Luminoso” che nelle città andine sappiamo stanno contrastando l’esercito regolare con atti di guerriglia e sabotaggi.

Scegliamo il volo della Canada Pacific Air, con partenza da Milano. Costo £ 1050000.

1° giorno Lunedì 13-12-1982

Causa il ponte interrotto sul fiume Taro, per raggiungere Milano bisogna passare da Verona, quindi partiamo da Rimini alle 05,10. Alle 13,55 si decolla, dopo ore 8,15 atterriamo a Montreal, sosta di mezz’ora senza scendere, quindi dopo meno di un’ora atterriamo a Toronto, 2 ore di sosta e si riparte con nuovo aereo alle ore 22,30 locali. Riusciamo a dormire un po’. Dopo 8 ore di volo raggiungiamo finalmente Lima. Il servizio sul volo ottimo.

2° giorno Martedì 14-12-1982 Lima

Scendiamo dall’aereo alle ore 6 locali (12,30 italiane) veniamo subito avvolti da una pesante aria calda ed umida, cielo grigio e foschia. Il disbrigo delle formalità doganali è semplicissimo. Usciti dal terminal veniamo assaliti da decine di taxisti. Cambiamo un po’ di soldi e prendiamo un “collectivos” un pulmino, si risparmia rispetto ai taxi .Ci fermiamo in plaza S.Martin, in centro, appoggiamo i bagagli ed in due cerchiamo un albergo. La città comincia a svegliarsi, ad animarsi. Troviamo una stanza a 5 letti presso l’hotel Europa, in zona centrale, non è un gran chè, c’è odore di muffa, pochi mobili: un tavolo, una credenza, alcune sedie, i comodini alquanto scalcinati, il pavimento di legno, il soffitto altissimo, sarà alta 5 metri!, ma non è sporca. Usciamo, indossiamo maglietta e zoccoli nei piedi, in banca a cambiare, quindi in un piccolo bar rosticceria pranziamo con una spessa bistecca contornata da patate fritte ed una bibita. In taxi, ci facciamo accompagnare nel quartiere S.Miguel al Collegio S.Ana, facciamo visita alla Madre Suor Marina che conosciamo, in quanto zia di Maria la nostra vicina di casa, è venuta diverse volte presso la sua nipote. E’ una simpatica e gentilissima suorina ultrasettantenne, da 54 anni in Perù. Sapeva del nostro arrivo, ci accoglie calorosamente, le consegniamo il pacco dono dei suoi parenti, la lettera, le trasmettiamo i saluti ed i messaggi verbali, poi lei ci mostra il collegio. Si tratta di un immenso e moderno edificio, ospita diverse centinaia di bambine e ragazze, dai 6 ai 17 anni, che frequentano i vari corsi scolastici. ll collegio è ben organizzato, oltre alle aule, ci sono diversi gabinetti di analisi, laboratori, cortili per lo sport. Suor Marina ci racconta della sua esperienza in Perù, è stata per 6 anni nella zona di Cuzco, ci dice che il luogo è molto bello, secondo lei il tratto da Huancayo a Cuzco in bus è pericoloso in questo periodo di piogge abbondanti.

Lasciamo Suor Marina con la promessa che ripasseremo a salutarla, quando torneremo a Lima per il volo di rientro.

A piedi ci rechiamo al mercato “La Marina” ci sono molti manufatti provenienti dalle località andine: oggetti di rame, legno, ma sopratutto bellissimi maglioni, tappeti, pellicce, guanti e ponchos in morbidissima lana di alpaca. Per ora non possiamo comprare, non possiamo portarceli appresso per tutto il viaggio, ci riserviamo di farlo verso la fine.

In taxi rientriamo in centro, ci rechiamo presso una agenzia turistica, alla ricerca di un volo da Huancayo a Cuzco, poiché ci dicono che quella strada è praticamente impercorribile, ma ci dicono anche che dal primo dicembre quel volo è stato sospeso. Quindi percorreremo in treno il tratto Lima-Huancayo, poi decideremo in loco come procedere. In albergo ci sono altri gruppi di italiani diretti verso Cuzco, hanno optato per la via a sud, in bus fino ad Arequipa, poi in treno fino a Cuzco. Ci dicono anche che ad Hayacucio c’è la guerriglia e le strade in condizioni infami. Ma noi non possiamo perderci questo tratto di Ande, che sono sicuramente favolose dal punto di vista paesaggistico, possiamo perderci la ferrovia più alta del mondo? Che supera i 5000 metri!? Ce l’abbiamo qui, a portata di mano, non ce la facciamo scappare!

In serata passeggiamo per Jiron de la Union, da Plaza S.Martin fino a Plaza de Armas, questo percorso è riservato ai pedoni, traboccante di gente, bellissimo mescolarsi in mezzo a tutta questa gente. Ci fermiamo a mangiare un dolce, rientriamo sfiniti, tutti a nanna.

3° giorno Mercoledì 15-12-1982 Lima

Abbiamo dormito una dozzina d’ore, ci volevano per recuperare almeno parte del sonno perso. Ci chiama al telefono Suor Marina, si dice disposta ad accompagnarci nel pomeriggio nella visita alla città, la ringraziamo, ma abbiamo già un impegnativo programma non vogliamo scomodarla, la rassicuriamo comunque che in caso di bisogno la contatteremo, troppo gentile.

Colazione in un bar, panino con carne sottosale, frullato di ananas e papaia. Andiamo a prenotare il treno per domani, poi in Plaza de Armas a scattare foto. La piazza è molto bella, su di un lato il grande palazzo “De Gobierno”, su di un altro lato la maestosa Cattedrale, sui restanti lati ci sono palazzi bianchi con i caratteristici “bovindo” in legno. Mentre filmo la piazza, una bella ragazza seduta su di una panchina nel giardino che occupa la parte centrale della piazza, mi saluta, sorride, si chiama Marlene originaria del nord, studia lingue a Lima, desidera conversare con i turisti stranieri, ci raggiungono anche gli altri, rimaniamo a lungo in piacevole conversazione, ci parla dei problemi delle donne, parliamo di politica, anche lei ci parla della guerriglia ad Ayacucho, ma aggiunge che secondo lei i turisti non dovrebbero avere problemi. L’importante è non uscire di notte.

Vediamo il “correo” l’ufficio postale, assai pittoresco, invaso dalle bancarelle di venditori di cartoline e biglietti di auguri natalizi. Spediamo un telegramma a casa con nostre notizie.

Prendiamo un taxi, non prima di aver contrattato il prezzo. Ci facciamo accompagnare a “La Punta”, si tratta di un piccolo promontorio, una lingua di terra che si insinua nel mare, poco distante dal porto. Ci sono moltissimi bambini che fanno il bagno in una pozza d’acqua protetta dal mare da una scogliera. Un uomo lancia in mare una rete circolare, a forma di un grande ombrello poi la ritira a se con una corda collegata al centro, raccoglie piccoli pesci. Sul lato destro di “La Punta” c’è una spiaggetta di pietre, gente che sta prendendo il sole. Qua l’acqua è più pulita, io e Stefano facciamo il bagno, appena pochi metri dalla riva l’acqua è profondissima, si vede il fondo nero, è gelida, ma ci facciamo una bella nuotata, quando usciamo, il sole è cocente, dobbiamo ripararci.

Poco distante c’è un club nautico con annesso ristorante, al primo piano c’è un ampio salone con grandi finestre, dalle quali entra una frizzante brezza marina, si sta divinamente, è frequentato da gente aristocratica, noi siamo malmessi in pantaloncini corti, ci osservano con occhio critico, pazienza! Ottimo pranzo di pesce, birra fresca, gelato. Qua la vita costa la metà rispetto all’Italia.

Raggiungiamo il Museo de Oro y Armas del mundo. Si trovano capolavori in oro, argento, platino, tessuti, ceramiche del periodo preincaico ed incaico, ed anche una imponente raccolta di armi. Splendido!

Lima è una metropoli di 5 milioni di abitanti, molto affollata, il traffico caotico, innumerevoli gli autobus che la percorrono, fra i quali alcuni scassatissimi, vi sono belle piazze, palazzi moderni e baracche nell’immediata periferia, ho l’impressione che ci siano pochi i giardini. Come primo approccio sento la gente simpatica e gentile, colpisce la bellezza delle ragazze, i cui capelli neri e la pelle bronzata, conferisce loro un fascino esotico, hanno corpi ben fatti, evidenziati dagli attillatissimi pantaloni, abiti curati sia nella fattura che nelle tinte.

Rientriamo in albergo, il letto ha una potente forza magnetica. Alle 21 io e Stefano usciamo per una passeggiata, percorriamo tutto il Jiròn de la Union c’è molta gente in giro, vediamo gruppetti che si esibiscono in spettacoli di recitazione teatrale, evidentemente si tratta di spettacoli provocatori, poiché quando arriva la polizia, li fa smettere. Reincontriamo Marlene, la quale ci spiega che si tratta di spettacoli proibiti, il pubblico segue con attenzione, ride ed applaude Stanotte dormirà con noi nel quinto letto disponibile nella nostra stanza, Gianni un ragazzo di Mestre che abbiamo conosciuto sull’aereo, era in compagnia di altri 3 amici i quali sono partiti, secondo lui i suoi compagni di viaggio vanno troppo di fretta, avrebbe dovuto pagare da solo una camera a 4 letti, lo abbiamo invitato da noi, partirà con noi domani. Acquistiamo del pane e rientriamo. Temo di essermi beccato un bel raffreddore.

4° giorno Giovedì 16-12-1982 (treno Lima – Huancayo)

Magnifica giornata di sole, con cielo blu e temperatura mite. Il treno si muove da Lima in perfetto orario alle 07,40, percorre velocemente il primo tratto pianeggiante, rallenta notevolmente appena incontra le prime pendici della Sierra. Lo scenario è molto bello, la strada ferrata ha delle curve a raggio ridotto, tanto che dai finestrini si riesce a vedere sia la motrice che la coda del treno. Attraversa boschi, molteplici gallerie, spesso si marcia sul filo di strapiombi. Quando la morfologia del territorio non lascia spazio per costruire delle curve, ed il treno deve oltrepassare una parete ripida, hanno pensato di far procedere il treno a zig-zag, mi spiego, la ferrovia segue come la traiettoria di un pendolo, il treno avanza su un settore, si ferma, in coda al convoglio scende un manovratore il quale scambia i binari, il treno in retromarcia percorre il settore successivo, si ferma, dalla testa del treno scende un altro manovratore che scambia manualmente tramite apposite leve i binari, ora il treno procede in avanti e si ripete questa sequenza finchè il convoglio non ha superato la barriera naturale ed il percorso ritorna normale. Spesso ci sono delle soste, per far passare i treni merci, che trasportano i minerali di cui è ricco questo territorio, vediamo vagoni colmi di pani di zinco, rame, bauxite, stagno eccetera. Ad El Oroya, ha sede un enorme impianto siderurgico.

Mentre si viaggia, il paesaggio muta continuamente: montagne di pietre aride, si alternano a alte cime innevate, tratti dalla linea morbida e coperti d’erba, piccoli laghetti trapuntano i prati, pareti di rocce sedimentate, il cui andamento irregolare testimonia di sconvolgimenti geologici di ampia portata. Procedendo lentamente, raggiungiamo il punto più alto della ferrovia a Ticlia, situata a 5000 metri di altitudine. Da cui la ferrovia più alta al mondo!!

Sul treno c’è servizio di bar e ristorante, pranziamo nel vagone ristorante. Mentre percorriamo la parte più alta del percorso, si avverte appesantimento, specie se ci si muove, o se si cammina nella carrozza, il cuore accelera, manca ossigeno. Nella carrozza passeggia avanti e indietro un signore con indosso un camice bianco, porta un pallone a forma di cuscino, contiene ossigeno e su richiesta apre un rubinetto ed eroga presso le narici di chi ha bisogno, per lo più si avvicina ai bambini ed anziani. Lungo le varie stazioni in cui si sosta, salgono dei venditori, offrono: pane, nespole, banane ed altro cibo. Vediamo molte donne che indossano abiti tradizionali, specialmente le ampie gonne coloratissime, camicie multicolori, cappello a tesa, da cui scendono le lunghe trecce nere. Vediamo branchi di lama, asini, mucche, pecore che pascolano a queste altissime quote. Quando scendiamo, incontriamo ampie vallate coltivate a mano dagli indios della Sierra, coltivano granturco, fave, talvolta anche grano e riso. Bello vedere come questa gente abbia sottratto con tenacia, anche piccoli fazzoletti di terra alle rocce, in posizioni inclinate su declivi, si vedono anche coltivazioni a terrazze. Nelle vallate incontriamo boschi di eucalipti, qualche abete. Caratteristici sono i villaggi, con case costruite con mattoni rossi, i tetti con coppi di argilla o lamiera ondulata. Spesso i villaggi sono abbarbicati su delle alture, fanno bel paesaggio.

E così ci troviamo sulle mitiche Ande, uno di quei luoghi che hai sempre cercato di immaginare. Ora guardiamo fuori dai finestrini ed assaporiamo il piacere di viverle.

Poco prima di Huancayo sale una ragazza sul treno, gestisce una pensione a Huancayo, è salita apposta per accapparrarsi clienti, ci assicura massima pulizia, acqua calda, possibilità di lavare la biancheria eccetera, ha un viso onesto, accettiamo l’offerta. Con un’ora di ritardo giungiamo a Huancayo, appena scesi dal treno un folla di bambini ci assale per offrirci alloggio, ecco la mossa vincente della ragazza! Andiamo a vedere la Pension Huanca, non è così vicina alla stazione come ci aveva detto, ma è molto pulita, camerette doppie, senza odori strani. Verrebbe voglia di stenderci sul letto, ma dobbiamo uscire recarci presso gli uffici dell’agenzia E.T.U.C.S.A. la migliore quanto a servizio e la più sicura a quanto dicono, per prenotare i biglietti del bus per Ayacucho, per domani. Effettua questo itinerario solo lunedì, mercoledì e venerdì, quindi se non si parte domani, bisogna aspettare fino a lunedì, sappiamo che la domenica ha luogo qui un un interessante mercato, ma tre giorni sono troppi. Questa agenzia offre anche un trasporto giornaliero, ma con partenza alle ore 19, con viaggio notturno, non ci piace. Prenotiamo 5 posti per domani, percorso fino ad Ayacucho, km 330, costo 5600 soles pari a £ 9400. Chiediamo in agenzia informazioni sul percorso fra Ayacucho e Cuzco, ma non sanno darci informazioni utili, si tratta di 630 km, di pessima pista che se poi piove diventa un inferno di fango e pericolo. Ci dicono che per coprire questa distanza ci vogliono una trentina d’ore! Mi sembra esagerato! Passeggiamo per la Avenida Royale, affollatissima, specialmente di giovani che vestono moderno, in netto contrasto con i costumi tradizionali delle donne. C’è aria di festa i negozi sono addobbati al clima natalizio, che qui chiamano Pasquas, si leggono manifesti con la dicitura: “Felices Pasquas” La pubblicità è sfacciata, moltissimi manifesti, altoparlanti ad alto volume trasmettono annunci in continuazione, Intuiamo che stanno promuovendo i tv color, sono molto pubblicizzati anche i panettoni con l’assicurazione che si tratta realmente di panettone italiano. Usciamo per cenare, ma capitiamo male, un ristorante mal organizzato riusciamo a fatica a farci portare un piatto di riso con pezzetti di carne. Altra passeggiata, serata fresca, ma non fredda considerando che ci troviamo a 3000 metri, direi clima ottimo.

5° giorno Venerdì 17-12-1982

Alle ore 7,30 si parte puntuali col bus, ma ci risulta presto chiaro che non arriveremo puntuali a destinazione ogni 10 minuti ci si ferma per una sosta.

Ieri in ogni carrozza del treno c’erano due militari armati, stamane sono saliti sul nostro bus, non meno di una decina di ragazzi vestiti in borghese, ma armati di mitra, non mettono certo allegria. Ci stiamo avvicinando alla zona calda di Ayacucho, sappiamo che là vige il coprifuoco dalle 21 alle 6. Fra i passeggeri del bus ci sono 2 ragazzi tedeschi, ci dicono di aver acquistato a Lima un biglietto per il volo fra Ayacucho e Cuzco, a noi avevano detto che quel volo è stato sospeso, dal primo dicembre! Un funzionario dell’agenzia ci dice che il volo è stato ripristinato, chi ci capisce niente?!? speriamo sia vero! Il bus fora una gomma si sostituisce il pneumatico, poi ci si ferma presso un’officina per farlo riparare. Già da prima della sosta Paolo aveva accusato dei dolori fra l’addome e l’inguine, sentiva un forte stimolo ma non riusciva ad urinare, poi il dolore si è fatto sempre più forte, Patrizia ha diagnosticato una colica renale e visto che il dolore non si placava, durante una sosta gli ha iniettato per via endovena del Buscopan, poco dopo l dolore fortunatamente si è attenuato, per poi passare, meno male che questo è successo durante una lunga sosta così Paolo si è potuto distendere, dobbiamo ringraziare la fortuna che non ci siano state ulteriori complicanze, poiché in queste condizioni non sarebbe facile gestirle.

La strada in alcuni tratti è pessima, poi comincia a piovere, fortunatamente per poco. A tratti sole splendente, poi nuvole basse che avvolgono come nebbia. Il paesaggio andino è straordinariamente mutevole, passiamo dagli alti crinali i cui fianchi scendono per centinaia di metri, confluendo in ampie vallate, dove spesso sono insediati grandi villaggi. Uomini e donne con le zappe in mano estirpano le erbe dalle colture di pomodori o altro. Durante l’intero percorso ci hanno stordito con musica ad altissimo volume, un supplizio! Sale e scende continuamente gente con tutti i bagagli appresso, un ragazzo si siede per terra lungo il corridoio, ad un certo punto ci accorgiamo che sta vomitando vicino ai nostri piedi ed alle nostre borse. Porca miseria!! . . Manca poco all’arrivo, altro pneumatico bucato, durante una sosta do un’occhiata alle ruote, uno stato pietoso! da mettersi le mani nei capelli. . . Giornata sfibrante, 13 ore incollati su quei sedili, col casino della musica, la polvere ogni dove, vomito tra i piedi. Giungiamo ad Ayacucho alle 20,30, appena il tempo di berci una bibita fresca, troviamo 2 camere in un alberghetto, di corsa, alle 21 comincia il coprifuoco. Doccia salutare. In strada non passa anima viva, solo qualche autoblindo, che si ferma al vicino all’incrocio, poi riparte, si odono solo cani abbaiare. Paolo si sente bene, domani riposo.

6° giorno Sabato 18-12-1982: Ayacucho

Ieri sera stavamo per addormentarci quando abbiamo udito colpi d’arma da fuoco, non molto distanti dall’albergo, poi 2 scoppi più forti, forse bombe a mano. Abbiamo avuto un po’ paura, le nostre camere danno sulla strada, con ampie finestre i cui vetri tremavano, ho pensato: se questi si mettono a combattere nelle vicinanze puo sempre capitare che un proiettile vagante entri dalla finestra. Fortunatamente da mezzanotte in poi non si è più udito nulla, ci siamo addormentati.

Sul terrazzo al 3° piano, qui all’Hostel Magdalene, si ha una vista completa della città, è un bel panorama. Ayacucho è situata come in un grande catino fra le montagne, le case sono tutte allineate sui bordi di questa piccola valle. Usciamo in mattinata, raggiungiamo Plaza de Armas (in ogni città vi è una piazza con questo nome) è bella con giardini, al centro dei quali trova spazio un monumento equestre, su di un lato la bella basilica, sui restanti 3 lati costruzioni con portici. Ci mettiamo subito alla ricerca di un’agenzia turistica per informarci su come raggiungere Cuzco, ci informano che il servizio di bus è sospeso causa il crollo di un ponte. Non ci rimane che prenotare il volo per domani con la compagnia Fauchett. Colazione in un bar quindi passeggiata per la città. Visitiamo la chiesa di S.Francesco d’Assisi, ci accompagna un frate, nulla di eccezionale se non il fatto che è del 1500. Vi è l’imponente altare maggiore in legno ricoperto d’oro, in stile barocco del ‘700, il monaco ci mostra successivamente la piccola pinacoteca e museo, quindi passiamo nel giardino interno del convento, assai simpatico questo frate, ci fa mangiare le susine raccolte dalle piante, ci presenta il pappagallo “loreto”, ma dice che parla solo la mattina presto e la sera.

Entriamo nel mercato, nella parte coperta, veniamo investiti da una folata di odori esotici, tutti i tipi di merci ben mescolate e disposte alla rinfusa sui banchi, è un’esplosione di colori, dei tessuti e della frutta, tutta le gente che contratta, è bello immergercisi e mescolarsi, farsi trasportare da questo moto umano. C’è un banco in cui frullano tutti i tipi di frutta: avogado, banane, ananas, mango, papaia, angurie, fichi d’india, è talmente buona che esageriamo, fortunatamente non ci fa male. Troviamo un ristorantino pulito, ci gustiamo un’ottima zuppa di verdure con un pezzo di carne, ci portano anche della “conza” granoturco arrostito direttamente sulla pannocchia, i chicchi sono talmente fragranti che sembrano biscotti.

Durante le ore più calde il sole picchia forte, ci ripariamo all’ombra nei giardini, rientriamo per una siesta. Usciamo verso le 17,30, in centro c’è animazione, un ragazzo con costume da clown da uno spettacolo in un giardino. Cena al solito ristorante, alle 20 chiudono, per via del coprifuoco, cominciano a girare le autoblindo, la gente si affretta a rincasare. In camera giochiamo a carte a “pitrangola” noi 4 con Gianni io vinco 2500 soles = a £ 3750. alle 22 ci ritiriamo nelle nostre camere, dall’esterno si odono i soliti colpi di arma da fuoco, ma distanti, poi solo silenzio.

Bollettino medico:

  • Paolo sta abbastanza bene, continua le cure.
  • Stefano ha un problema, ha l’intestino pigro, molto pigro.
  • Io mantengo il mio raffreddore, inoltre mi è arrivata la tosse, ho pruriti vari sicuramente dovuti al cibo.
  • Patrizia accusa un piccolo dolore alle orecchie.

7° giorno Domenica 19-12-1982: Ayacucho

Appena terminato il coprifuoco, alle 6, salutiamo Gianni, che preferisce fermarsi un giorno in più, usciamo e con un bus raggiungiamo l’aeroporto, consegniamo i bagagli, ma l’aereo che dovrebbe partire alle 7 non arriva, alle 10,30 ci restituiscono i bagagli dicendoci che per oggi non si vola, si volerà domani. Ritorniamo all’Hostel Magdalena. Oggi è giorno di mercato, grande viavai di gente, la solita musica ad alto volume che non manca mai, in ogni locale , negozio, bottega, bar o ristorante c’è musica, i gestori del nostro albergo guardano la televisione tutto il giorno, per lo più trasmettono canzoni o cartoni animati. Passeggiata per la città, giornata di relax, che non fa male, mi leggo 2 quotidiani, sull”Expreso” si parla del divorzio in Perù, secondo il giornalista è una calamità per il Perù, dice che molte coppie si lasciano durante il primo anno di matrimonio causa adulterio, abbandono ed incompatibilità di carattere.

Siamo sorpresi che anche in questa piccola città nascosta fra i monti, così isolata, ebbene le ragazze vestono elegantemente, pantaloni e camicette attillatissime, tacchi alti, si truccano, civettuolano come ovunque. I ragazzi sembrano più tranquilli.

Notiamo che sui muri delle case ci sono delle scritte, talvolta cancellate: “gobierno campesino”, “viva la lucha armada” (lotta armata) seguito dal simbolo della falce e martello. “Dejo tudela MDP” , “W PCP” innumerevoli sigle: PCP , FAP , PPC, spesso si vede il simbolo cancellato “APrA”, simbolo dell’estrema destra. Visitiamo una chiesa in stile spagnolo. Mentre ceniamo al ristorante arriva un grosso temporale con tuoni e fulmini, poi si placa. Giochiamo a pitrangola, chi vince sarà il capo domani, oggi il ruolo di capo era ricoperto da Patrizia, stasera ha vinto Paolo, sarà lui domani il capo.

8° giorno Lunedì 20-12-1982

Solito discorso, ci alziamo alle 5,30, in “collectivos” raggiungiamo l’aeroporto, ci dicono “no se vuela poe el maltiempo, mañana” siamo diversi gruppi, allora succede un po’ di casino, qui ci stanno prendendo per i fondelli! Il tempo è solo nuvoloso, quindi quella del tempo è solo una scusa, e se domani dovesse ripetersi il bidone? Ritorniamo in città ci rechiamo presso l’agenzia Fauchett, qualcuno si fa rimborsare il biglietto e prenderà l’autobus per Pisco, sulla costa, proseguirà lungo il mare fino a Camana, quindi verso l’interno in Bolivia, direttamente rinunciando a Cuzco. Ieri alcuni dei turisti rimasti a terra hanno preteso il rimborso delle spese di alloggio, oggi non pagano nessuno dicono che secondo le disposizioni IATA, quando non si vola per cause meteorologiche, la compagnia non è tenuta a pagare. Vivere qua non costa molto, non vale la pena mettersi a discutere, ma è una questione di principio, ci stanno prendendo letteralmente in giro, senza neanche darti una spiegazione plausibile. Dormire costa per una camera doppia 1500 soles a testa (= a £ 2250) per un pranzo o una cena spendiamo mediamente 1200 – 1500 soles a testa.

Cambiamo albergo, un po’ per scaramanzia, ed anche per comodità, l’Hotel Colmena, assai prossimo alla Plaza de Armas, all’interno c’è un grazioso giardinetto con piante e fiori, voliere con uccelli esotici, molto pulito. Con un camioncino decidiamo di andare a visitare Wari una cittadina a 25 km, dicono ci siano delle rovine interessanti, saliamo sul cassone del piccolo autocarro, siamo stipati, c’è anche una pecora fra i passeggeri, l’autista corre veloce su questa strada tutte curve, non fa neppure caldo. Quando arriviamo sul posto, grande delusione, solo qualche muro di pietre a testimonianza di abitazioni di epoca precolombiana. Approfittiamo della grande quantità di piante di fichi d’india per farne una scorpacciata Tutta questa valle è ben coltivata, fra le rocce invece crescono piante grasse, cactus e ginestre in fiore. Belli ed ordinati sono gli agrumeti.

Si ritorna in città, Nel pomeriggio io e Patrizia andiamo al cinema, un film cinese di karatè, una cretinata pazzesca!! eravamo curiosi di vedere un cinema peruviano, mi fanno venire in mente i cinema di quand’ero ragazzo, con solito caos dei ragazzini. Incontriamo i nostri compagni di viaggio che stanno conversando allegramente con un gruppo di ragazze, sono delle studenti universitarie, simpatiche, intelligenti, un po’ timide, ridono collettivamente, interessante la conversazione, ci parlano della condizione femminile, aspirano ad una maggiore libertà ed indipendenza, si augurano anche che la condizione economica migliori, e vorrebbero avere maggiori possibilità di lavoro. Non ci sono industrie da queste parti, in città si trovano impieghi in uffici o nella pubblica amministrazione, fuori città si vive di agricoltura, pascolo e piccolo artigianato. I commercianti sono coloro i quali si possono permettere un’auto. Ci parlano di come è strutturata l’istruzione oggi in Perù. Sono dispiaciute per via del coprifuoco, devono rincasare presto la sera. In tempi normali possono uscire tranquillamente e rincasare anche tardi.

Al ristorante spesso proviamo piatti nuovi, talvolta caschiamo male per via delle spezie piccanti, stiamo imparando a chiedere prima, oggi abbiamo assaggiato delle ottime “tortillas” alle verdure, con riso e patate di contorno. Gianni che ormai fa parte del nostro gruppo, è quasi vegetariano. Non abbiamo problemi con il cibo, solo Stefano ha qualche problemino, sente odore di petrolio in quasi tutti i piatti, forse dovuto al fatto che qua i pavimenti in legno dei ristoranti li lavano con la nafta, ci capita di entrare in dei ristoranti sul cui pavimento si trova della segatura imbevuta di nafta. Non ci è dato di capire. . .

Rientriamo prima delle 21, giochiamo a carte, ci divertiamo, siamo un bel gruppo, discutiamo circa la possibilità di riuscire infine a volare via da questo posto. Cominciamo anche a considerare qualche alternativa. Qualora anche domani la Fauchett ci faccia un ulteriore bidone, si potrebbe scendere verso la costa con un bus, e trovare un’altra via.

9° giorno Martedì 21-12-1982

Come ogni mattina in questi ultimi 3 giorni, Stefano ci da la sveglia alle ore 5,30 raggiungiamo l’aeroporto alle 6,30, fino alle 8 non si vede nessuno, poi cominciano a ritirare i biglietti ed a rilasciarci le carte d’imbarco, siamo scettici. Alle 9 arriva l’aereo, ci imbarchiamo, non sembra vero!

L’aereo sta facendo le prove motori come da routine, quando un addetto della compagnia ci annuncia che purtroppo causa sovraccarico, i nostri bagagli non sono stati imbarcati, ci raggiungeranno domani, come prima reazione ci mettiamo a ridere, la comica continua, mentre l’aereo sta rullando verso il fondo pista , possiamo vedere i nostri bagagli ammassati a terra, molti di noi specialmente le ragazze sono salite a bordo con indosso solo i pantaloni ed una maglietta, dovremo passare una notte (solo una?) a 3400 metri di altitudine, saremo costretti a rimanere a Cuzco finchè non ci ridaranno i bagagli. Questa è pirateria aerea, mai vista una cosa del genere! Il volo è un calvario, per fortuna solo 20 minuti, appena decollato sembra fatichi a superare le cime circostanti, sussulta continuamente, vola poco alto rispetto alle montagne. L’atterraggio poi, da dilettanti, un impatto violento con una gran serie di rimbalzi. Appena scesi gran bagarre, tutti a protestare, specialmente due ragazzi israeliani, che come noi hanno atteso questo volo per tre giorni, pretendono che ora l’aereo torni ad Ayacucho a riprendere i nostri bagagli, mentre i vari funzionari non vogliono neppure accettare i rimproveri, ribaltando le responsabilità al personale di Ayacucho, o addirittura alla direzione di Lima, tuttavia dentro di loro devono essersi resi conto della gravissima inadeguatezza della Fauchett. Sospettiamo che il mancato volo di domenica e lunedì fosse nei loro programmi, infatti un’agenzia privata che vende biglietti per diverse compagnie, non aveva venduto biglietti per qui due giorni, anche qui a Cuzco abbiamo avuto la sensazione che questo volo fosse atteso solo per oggi, pensiamo che la compagnia Fauchett sia spudoratamente disonesta. Alla fine dopo aver battuto a macchina un elenco di tutti noi passeggeri, registrando accanto ai nomi il numero dello scontrino dei bagagli, un funzionario ci da 5000 soles (7500 £) a testa come contributo per l’acquisti di sapone, dentifricio ed effetti di prima necessità, non ci sono parole per definire un comportamento tanto arrogante quanto sconsiderato!. . . Sconsolati usciamo dall’aeroporto.

E così siamo giunti a Cuzco, la capitale dell’impero Inca, situata a 3400 metri, adagiata in una conca naturale. In autobus raggiungiamo Plaza de armas, molto bella ed ampia con un bel giardino al centro, in parte coperto da gigantesche ginestre in fiore che profumano l’aria circostante, su di un lato c’è la maestosa basilica, sui rimanenti lati grandi palazzi con portici. Troviamo 2 camere all’Hostal Casona, molto vecchio ma pulito, con un po’ di fortuna otteniamo 2 camere che danno direttamente sulla Plaza de Armas.

Pomeriggio dedicato alla visita della città, ci rechiamo in una viuzza dove si trova la celeberrima “pietra dai 12 angoli” personalmente la ritengo una cavolata gigantesca, incastonata in un lungo muro di pietre, c’è questa grande pietra sagomata con parecchi angoli, stamane in aeroporto parlando con una ragazza me la descriveva con grande enfasi! Tutte le guide ne parlano, io mi fermo qui.

Con una passeggiata, tutta in salita; non è estremamente ripida, ma data l’altitudine, ci procura affanno, raggiungiamo Sacsahuaman, dove si trovano le rovine di un fortino inca. Qui ogni 24 giugno celebrano la festa del sole, antico rito di tradizione, in quel giorno il sole si trova nel punto più lontano dalla terra, quindi si celebrano riti con sacrifici, per richiamare il sole verso la terra. Quello che rimane del forte è assai interessante, le possenti mura costruite con enormi blocchi di pietra, esattamente incastrati gli uni fra gli altri. Sacsahuaman insieme ad altri siti, come Pisac, Chincheros ed altri, costituiscono la valle sacra degli incas. In mezzo alle rovine, ci sono delle donne con un lama al laccio che si propongono per la foto.

Abbiamo voluto fare a piedi questo percorso anche per misurarci, infatti io e Patrizia intendiamo percorrere a piedi il “camino del inca” si tratta di un percorso di 35 km con il superamenti di 2 passi, uno di 4200 metri ed uno successivo di 3750. Una cosa l’abbiamo capita: bisogna procedere con molta calma, fermandosi spesso per recuperare. Scendendo al ritorno verso la città ci godiamo il magnifico panorama su Cuzco e la valle che la ospita. Visitiamo la chiesa de la Mercede, è molto bella, ospita una dozzina di altari, quindi ci rechiamo alla stazione ferroviaria di S.Pedro, da cui parte la linea che porta a Machu Picchu, intendiamo informarci sugli orari. La stazione è completamente sporca e scalcinata, come tutto il quartiere che la ospita, sembra che qua vivano i più poveri ed emarginati. Nei pressi ha sede un coloratissimo mercato, ma molto sudicio. Il botteghino della stazione chiude alle 17, proprio mentre arriviamo. Vediamo comunque il cartello degli orari e dei prezzi. Ci hanno consigliato di fare molta attenzione alle nostre borse ed orologi, specialmente nel quartiere S.Pedro, questa città è molto frequentata da turisti, ne consegue che i malviventi li prendano di mira. Lungo le strade molti commercianti hanno le merci stese per terra, ce ne sono due file su ambo i lati delle strade a volte non rimane più di mezzo metro di spazio per camminare, quando ci si incrocia bisogna far attenzione a non calpestare le merci. L’insistenza dei commercianti, a volte è snervante nel cercare di convincerti all’acquisto, lo stesso articolo ti viene offerto: cento, mille volte. Le migliori merci noi riteniamo siano i maglioni di lana di alpaca, sono bellissimi e costano poco, poi ci sono le ceramiche, manufatti in rame, in legno, le zucche decorate. Si vedono donne che filano, altre tessono delle lunghe cinture, con minuscoli telai a mano. Assistiamo al passaggio di un lunghissimo corteo, con bandiere rosse, megafoni, gente che urla col pugno sinistro alzato, operai e studenti in protesta.

I giorni persi a causa della Fauchett, ora ci inducono a gestire con estrema attenzione i programmi futuri, Paolo e Stefano che vogliono andare in Brasile, ora non potranno percorrere con noi il “camino dell’inca” che comporta dai 2 ai 3 giorni. Stasera abbiamo ragionato sulle mosse future del viaggio, io e Patrizia non vogliamo assolutamente rinunciare al trecking del Machu Picchu (“camino dell’inca”) Gianni desidererebbe venire con noi, anche lui andrà in seguito in Brasile, ma lui dispone di più tempo. Quindi Paolo e Stefano andranno a Machu Picchu direttamente in treno, in una giornata, poi procederanno verso sud con breve fermata al lago Titicaca ed a LaPaz, in Bolivia, quindi in treno verso il Brasile, cercando di tenere qualche giorno di scorta per eventuali contrattempi, che in viaggi come questo, sono sempre in agguato. Ci dispiace frazionare il gruppo, poiché siamo stati molto bene insieme, ma abbiamo interessi diversi.

Stamani ho perso circa 30000 soles (= 45000 lire) ricordo di averli tirati fuori dal borsello che tengo alla cintura, nel bus che ci ha portato all’aeroporto, evidentemente nel rimetterli dentro ho sbagliato buco, eravamo sommersi dai bagagli. Niente di grave. Stasera io Stefano e Gianni siamo usciti a fare 4 passi per la città, c’è molta animazione in giro, tantissimi turisti, nei ristoranti più eleganti c’è un’orchestrina folkloristica. Rispetto ad Ayacucho qui c’è vita!

10° giorno Mercoledì 27-12-1982: Cuzco

Forse non è stata un’ottima scelta quella di prendere le camere con le finestre che danno su Plaza de Armas, c’è stato baccano fino a tarda ora.

Fortunatamente i nostri bagagli sono arrivati, bene, cosi io, Patrizia e Gianni ci organizziamo per partire nel pomeriggio per Machu Picchu. Ci rechiamo in banca per cambiare, qua l’inflazione è galoppante, molto più che in Italia, nel giro di una settimana il “sol de oro” ha perso circa il 3% rispetto alle monete straniere, per questo ci conviene cambiare poco e spesso. Spediamo un telegramma a casa, quindi ci dividiamo i compiti, io e Gianni andiamo in stazione a prenotare i posti in 1° classe, mentre attendiamo il nostro turno dinnanzi al botteghino, un ragazzo locale che ci stava alle spalle, si muoveva come per guardare oltre di noi, io lo stavo controllando. Quando siamo rientrati in albergo mi sono accorto del lungo taglio che sicuramente quel ragazzo mi aveva praticato con l’uso di una lametta, nella borsa che avevo tracolla, fortunatamente dentro alla borsa avevo la borsa della cinepresa, la quale ha uno spessissimo fondo, che la lametta ho solo inciso, ma non tagliato, quindi non è potuto entrare con le mani e derubarmi. A ragione ci avevano messi in guardia, già da Lima, sui ladruncoli di Cuzco. A Lima mentre eravamo su un bus, anche a Paolo hanno tagliato la sacca, ma senza riuscire a trafugare nulla.

Noleggiamo una tenda canadese a tre posti, facciamo spesa di viveri, frutta, scatolette, formaggio, da casa ci siamo portati 2 salami e formaggini. Abbiamo solo 2 borracce da 1 litro in 3, e l’acqua non si trova frequentemente. Lasciamo il grosso dei bagagli in albergo, partiamo con 2 pesanti zaini in tre, portiamo: la tenda, sacchi a pelo, giacche e maglioni pesanti, viveri, cartine ed attrezzatura fotografica.

Una doccia, un pranzo veloce, e via alla stazione, il treno parte alle 14,25. Andiamo di corsa, non riusciamo nemmeno a salutare Paolo e Stefano, non li fanno entrare in stazione, non hanno il biglietto.

Chi intende percorrere “il camino dell’inca” normalmente parte col treno delle 7 di mattina, scende al km 88 verso le 10, quindi segue un certo programma ben definito. Noi partendo nel pomeriggio col treno dei “campesinos” siamo fuori programma, ma così facendo forse recupereremo un giorno. Ma tutto dipenderà da domani, se riusciremo a superare il primo passo di 4200 metri, dovremo accamparci più in basso, prima o dopo il passo, in quanto lassù fa molto freddo e respirare non è facile.

Il treno per uscire dalla valle di Cuzco, deve superare una parete quasi verticale, quindi la ferrovia procede a zig-zag come abbiamo già visto sulla linea Lima-Uancayo. Dopo circa 25 km si attraversa una vasta valle, tutta verde e coltivata, sembra di attraversare la Svizzera. Coltivazioni di fave, patate, granoturco, sorgo ed ampi prati da pascolo, comincia a piovere, un bel acquazzone, ci guardiamo preoccupati, abbiamo delle mantelline impermeabili, ma pensare di dover marciare per tante ore sotto la pioggia e nel fango non ci rallegra. Dal km 50 in poi la strada ferrata costeggia il corso del fiume Urubamba che si incunea fra le montagne. Intanto la pioggia si placa. Giungiamo alla fermata del km 88 alle 17,30, siamo gli unici turisti a scendere, ce ne sono altri, ma proseguono in treno fino ad Agua Caliente, dove ci sono alberghi, poi domani con dei pulman si avvicineranno a Machu Picchu per poi raggiungerlo in mezz’ora di cammino. Così come faranno domani anche Paolo e Stefano. Mentre il treno riparte i turisti ci salutano augurandoci buon cammino.

Bisogna attraversare il fiume Urubamba che corre a fianco della ferrovia, per farlo bisogna utilizzare una rudimentale teleferica a mano, sotto ad una ventina di metri l’acqua corre impetuosa, si sale su quel trabiccolo, si tratta di una tavola di legno, con 4 supporti metallici collegati ad una carrucola che corre su di un cavo d’acciaio del diametro di 10-15 millimetri, saliamo uno alla volta col manovratore, guardando sotto l’acqua turbolenta che scorre, fa venire i brividi. Quando s’appoggiano i piedi sulla sponda opposta si tira un gran sospiro di sollievo. Si parte, marciamo per circa un’ora, superiamo un piccolo colle, seguiamo un affluente del fiume, ci fermiamo verso le 18,45 mentre sta facendo buio, troviamo una radura erbosa, giusta per piantare la tenda, ceniamo con un panino ciascuno, facciamo un inventario della “cambusa” siamo scarsi di pane, frutta ed acqua, per il resto ne abbiamo abbastanza, quindi stasera niente frutta. Fa buio, sale la mezza luna, ci illumina, è presto per dormire, giochiamo a carte al chiarore della luna, abbiamo 2 piccole torce, ma le risparmiamo. Mentre stiamo giocando, da un sentiero sbuca un ragazzo indio, parla poco spagnolo, la sua lingua è il quechua, si siede con noi ci chiede una sigaretta, ci consiglia di nascondere tutto nella tenda poiché dal vicino villaggio potrebbero venire a derubarci. Intanto dalla valle vicina sale una fitta nebbia, come pure dal versante opposto al fiume, è suggestiva questa enorme massa bianca di nebbia che avanza lungo la valle, che va a congiungersi con il banco di nebbia che sale dal fiume, le due masse salgono ed avanzano, come a stringerci in una morsa. La luna è attorniata da un alone circolare di umidità. La temperatura sta scendendo rapidamente, ci infiliamo nei sacchi a pelo dentro la tenda, è presto per dormire, ma fuori fa freddo ed è umido.

11° giorno Giovedì 23-12-1982 (Camino del Inca)

Non abbiamo dormito molto, il rumore del fiume, la scomodità del terreno ed il timore che qualcuno potesse avvicinarsi alla tenda, non ci hanno permesso di riposare tranquilli. Personalmente non è che tenda a pensare al peggio, ma in situazioni come queste, nulla è prevedibile, meglio stare sempre all’erta. Alle sette, dopo aver smontato la tenda ed aver fatto colazione, ci ricarichiamo gli zaini in spalla, ci incamminiamo. Il tempo è buono, seguiamo il letto del fiumiciattolo, prima sul versante sud, quindi siamo all’ombra, poi attraversiamo il corso d’acqua, ora ci troviamo esposti al sole, fa caldo, i rivoli d’acqua sono numerosi, ci fermiamo a rinfrescarci la bocca ed il viso. Leggermente ma costantemente il sentiero sale, giungiamo a Waillabamba, ma non ce ne accorgiamo, la cartina che abbiamo, non è assolutamente fedele, né sulle distanze, né sulle quote, né sulle proporzioni Lungo il percorsi incontriamo qualche capanna, sono abitazioni estremamente misere, costruite con mattoni di fango, con il tetto di paglia, oppure di lamiera ondulata. Dalle capanne esce del fumo, ma non dal comignolo, esce da tutte le fessure, sull’uscio ci sono dei piccoli maialetti e galline. Essendo il terreno montagnoso, hanno costruito dei terrazzamenti utilizzati per coltivazioni di mais e ortaggi. Vediamo delle donne che filano la lana a mano. Vediamo cavalli e mucche pascolare liberi nei prati, pascolano fino a quota 3700 metri. Attraversiamo un rigoglioso bosco, beviamo la fresca e limpida acqua dei ruscelli. Ci fermiamo per mangiare, uova sode ed un’arancia. Hai hai hai! Comincia a piovere, ci ripariamo sotto delle piante, ma siccome non intende smettere, decidiamo di incamminarci. Secondo la inadeguata mappa che abbiamo, dalla fine del grande bosco che abbiamo attraversato, dovrebbe mancare poco alla sommità del passo di 4200 metri, al contrario, impieghiamo tre ore di durissimo cammino. Il sentiero sale, sale, sale ininterrottamente, di fronte a noi vediamo una cima, pensiamo si tratti del culmine, invece dopo di questo ce n’è un altro, poi un altro, poi un altro ancora, e continua a piovere, fa freddo c’è nebbia. Il grosso problema salendo, non sono le gambe, ma l’ossigeno che scarseggia, lo zaino di circa una decina di chili che ci portiamo sulle spalle, contribuisce non poco all’affaticamento. Mentre saliamo le ultime pendici del passo, ci fermiamo prima ogni 100 metri, e dobbiamo fermarci per 5 minuti per recuperare, poi ci fermiamo ogni 50 metri, siamo esausti. Infine giungiamo sulla sommità alle 16,10, dopo 9 ore di marcia, siamo entusiasti. Poche volte nella mia vita ho sostenuto uno sforzo tale.

Fa parecchio freddo, la nebbia dirada in parte, si apre uno squarcio di rara bellezza sulle montagne semi coperte dalla nebbia e ora scure data l’ora, dirigiamo lo sguardo sul nuovo versante, catene di montagne si susseguono. Bisogna muoversi, bisogna cercare di scendere prima che faccia buio. Ora il sentiero scende ripidamente, il fango non aiuta, le scarpe completamente inzuppate d’acqua e fango, i pantaloni sono fradici fino alle ginocchia. Scendiamo per circa un’ora e mezza, finché in una valle troviamo dei piccoli piani erbosi, cerchiamo quello più adatto per piantare la tenda, ovunque è fango, rivoli d’acqua e grandi caccone di mucche, Piazziamo la tenda, in un piccolo spiazzo con erba imbevuta d’acqua, sotto mettiamo tutti i sacchetti di plastica, nel tentativo di isolarci dall’umidità. Ci togliamo le scarpe gli abiti umidi, entriamo nei sacchi a pelo, ci illuminiamo con una candela che oggi Gianni ha trovato in una specie di grotta, ceniamo giochiamo un po a carte, alle 20 ci mettiamo a dormire. La giornata è stata durissima e disagevole, ma valeva la pena di viverla, non è che cerchiamo l’avventura a tutti i costi, ma quando ti capita una giornata così originale così essenziale così naturale così unica, ti da una sensazione appagante. Ci ha fatto piacere di trovare tutti questi sentieri puliti.

12° giorno Venerdì 24-12-1982 (Camino de l’Inca)

Notte scomoda, il freddo, l’umidità, il rumore dei rivoli d’acqua, le cause. Usciamo dai sacchi a pelo, reindossiamo gli indumenti e le scarpe bagnate. Frugale colazione. Zaini in spalla e si riparte, il sentiero riprende subito a salire, la nebbia va diradandosi. Dopo un paio d’ore, superiamo il secondo passo a 3580 metri, essendo più basso è più agevole. Ricomincia a piovere e continuerà quasi per l’intera giornata, con più o meno intensità, se vogliamo aggiungere anche la nebbia che per quasi l’intera giornata ci ha avvolti direi che è stata una giornataccia dal punto di vista meteorologico. In certi punti l’erba e le canne alte, ci bagnano fino alle cosce, fortunatamente abbiamo due mantelline a testa, camminare un’intera giornata sotto la pioggia, una mantellina solo non è sufficiente, l’acqua costante passa e sentirsi la schiena umida non è salutare. Il percorso odierno è misto, si sale e si scende. Prevalentemente i sentieri seguono il fianco delle montagne, con precipizi ora sulla destra, ora sulla sinistra, si attraversano degli altopiani, il fondo del camino è lastricato di pietra, stiamo ripercorrendo i sentieri degli incas. Da ieri mattina, fino a stasera non abbiamo più incontrato indios, la zona è deserta, abbiamo solo superato in mattinata una coppia di tedeschi, verso mezzogiorno un gruppetto di tre inglesi, poi nessuno. In questo tratto la terra è nera, il fango è nero, superiamo dei passaggi fangosi aggrappandoci con le mani ai rami delle piante, non manca qualche scivolone. Verso mezzogiorno giungiamo a Puyopatamarca, un colle sul quale si trova un pueblo, ancora ben conservato. Visto che le condizioni meteo ci sono avverse, decidiamo di forzare la marcia e cercare di avvicinarci il più possibile alla meta. Inizialmente pensavamo di raggiungere Machu Picchu nella tarda mattinata di domani per frazionare lo sforzo, ma da sotto questa pioggia battente, ed in questa nebbia che non ci consente di vedere nulla, vogliamo toglierci prima possibile. Così anche oggi ci siamo sottoposti a 11 ore di duro cammino, i polpacci sono induriti e fanno male, la schiena si lamenta sotto il peso dello zaino. L’ultima parte del percorso è immerso nel bosco, procediamo tra felci e canne di bambù, scorgiamo le mura di Intipunku. Siamo esausti quando intorno le ore 18, dopo aver salito una lunga gradinata, entriamo in un portale di pietra situato in cima ad un crinale, oltre il portale a mala pena scorgiamo fra la nebbia leggermente diradata ed a causa del buio che sta giungendo, come un miraggio ci appare Machu Picchu.!! E’ fantastico! Ora possiamo fermarci, stravolti dalla fatica e bagnati. Smette di piovere, mangiamo qualcosa, oggi abbiamo mangiato il panettone acquistato a Cuzco, è di produzione peruviana, non male. Montiamo la tenda all’interno delle mura di Machu Picchu, è la notte di Natale. Che fascino questo luogo !!! Tutti nel sacco a pelo per scaldarci all’asciutto. Facciamo massima attenzione che non si bagnino i sacchi a pelo, sono l’ultima nostra risorsa di calore e asciutto. E’ difficile, ma dobbiamo trovare spazio nella tenda anche per tutte le cose bagnate, a strizzarle le calze fanno una brodaglia. Qualcuno potrebbe dire: “ma chi ve lo ha fatto fare?” Ora siamo preoccupati per domani, se la nebbia non si alzerà, non ci permetterà di gustarci la vista di Machu Picchu, dopo tanta fatica crediamo di meritarci non dico il sole, ma almeno la visibilità. Ora però ci vogliamo gustare questa notte di Natale da soli dentro le mura di Machu Picchu. Viene da pensare agli accadimenti avvenuti qui durante l’impero, alle guerre, ai sacrifici, a come siano riusciti a trascinare queste immani pietre, senza l’uso delle ruote, su per queste montagne

13° giorno Sabato 25-12-1982 (Machu Picchu)

Durante la notte è piovuto ancora, comunque ci siamo riposati, ci alziamo alle 6,30, la nebbia avvolge tutto. Colazione col panettone, avevamo portato per l’occasione dei torroncini dall’Italia, festeggiamo in questa semplice maniera il Natale, mentre a casa stanno pranzando con dei fumanti cappelletti in brodo, noi ci reinfiliamo le calze e le scarpe bagnate, smontiamo la tenda, raccogliamo i bagagli, e via, raggiungiamo in breve la parte alta, est di Machu Picchu. La nebbia inizia a diradarsi, la visibilità aumenta, qualcun altro è arrivato, siamo in tutto una decina di persone, tutti arrivati a piedi, quando diciamo di essere partiti da Cuzco mercoledì pomeriggio, stentano a credere che possiamo essere giunti qua in così poco tempo. Finalmente la mitica Machu Picchu è qui sotto di noi, la nebbia ce la disvela, ha un fascino, direi mistico. E’ presto, non ci sono ancora turisti, rimaniamo tutti in religioso silenzio a mirarla dall’alto. Cerco di immaginarmela animata, come doveva essere prima che Francisco Pizarro con l’esercito spagnolo venisse a sottomettere questo fiero popolo (1532).

La nebbia, “intelligentemente”, si scansa, scattiamo immediatamente le prime foto e filmiamo, nel timore che non ci sia ridata questa opportunità. Fortunatamente invece, un timido sole fa capolino tra le nuvole, poi decide di avere il sopravvento, sembra un miracolo, c’è sole solo su di noi, tutto attorno nuvole scure, approfittiamo per asciugare un po’ il nostro abbigliamento, e scaldarci le ossa.

Cominciano ad arrivare i turisti in massa, scendiamo dall’alto per visitare l’interno della città. Usciamo per depositare gli zaini e munirci di una guida, rientriamo per conoscere da vicino questo interessantissimo luogo. Ci capita di incontrare un gruppo di italiani, approfittiamo per rubare qualche descrizione della loro guida in italiano, per il resto procediamo con il nostro opuscolo in francese.

Tutte le costruzioni in pietra sono in ottimo stato, a cominciare dalle mura perimetrali, mancano i tetti delle abitazioni. Un fascino e mistero particolare lo suscita quella grande pietra irregolare situata al centro, doveva essere una meridiana.

Machu Picchu in lingua quechua significa “vecchia montagna” sembra fosse stata costruita come città sacrale, e che vi fossero condotte solo le donne più belle. In seguito alla conquista di Cuzco da parte degli spagnoli, gli Inca che riuscirono a fuggire si rifugiarono qua, quindi sembra che una parte della città sia stata costruita in fretta in un secondo tempo. Il luogo è nascosto in una valle poco accessibile, (la valle dell’Urubamba) a 2400 metri di altitudine, in seguito dev’essere stata abbandonata, si dice a causa del fatto che quello che vi si produceva non era sufficiente al mantenimento nutrizionale. Rimase quindi abbandonata per alcuni secoli, gli spagnoli la cercarono invano, pensavano che vi fosse un luogo in cui gli incas vi avessero nascosto i loro tesori, ma al contrario quando la città fu abbandonata, tutti i tesori furono portati via . Fu riscoperta nel 1911 dall’esploratore americano Bingham. A fianco della città vi è un picco che la sovrasta da 320 metri, si chiama Huaina Picchu (giovane montagna), alcuni turisti la scalano a piedi fino in cima, sappiamo che in alto vi è una grande caverna naturale e il Tempio della Luna, ma noi per oggi abbiamo dato abbastanza.

Potremmo scendere in bus fino alla stazione di Agua Caliente, ma preferiamo percorrere a piedi tutta la discesa, in seguito ci accorgiamo che la strada è lunga, impieghiamo un’ora, nell’ultima parte ci coglie di nuovo la pioggia Giu troviamo pane e banane, ci rifocilliamo. Il treno dei turisti parte alle 15,30 e costa 5400 soles, noi scegliamo il treno dei campesinos che parte alle 16 e costa 1970 soles. Rischiamo di perderlo poiché si ferma appena un minuto, Patrizia sale che è già in movimento. Abbiamo il biglietto per la prima classe, ma il treno è affollatissimo di gente con innumerevoli e voluminosi fagotti, alla fine riusciamo a trovare posto. Le donne con gli abiti tradizionali andini, portano il grande fazzoletto annodato sul davanti ed a fagotto sulla schiena, nel quale portano oggetti e bambini, se il bimbo piange lo allattano. Bellissimi questi bambini dagli occhi neri e vispi, il cui visino spunta dal fagotto, raramente si sentono frignare o piangere, anche se vengono sballottati fra questa moltitudine di gente. Qualcuno sta litigando, vediamo un fazzoletto insanguinato, un passeggero ha picchiato un “tiquetero” (controllore), segue grande caos siamo fermi in un villaggio, arriva la polizia, dopo mezz’ora si riparte. Acquistiamo come all’andata delle pannocchie lessate, molto buone. Alle 20,50 giungiamo a Cuzco, alla discesa dal treno ci troviamo in un caos infernale, donne che litigano, fagotti che intralciano il passaggio, riusciamo a venirne fuori facendo massima attenzione ai ladri, usciamo dalla famigerata e sudicia stazione di S.Pedro.

Ritorniamo all‘Hostal la Casona, recuperiamo i nostri bagagli, avevamo prenotato una camera per stanotte, ma nessuno sa niente, la ragazza con cui avevamo parlato non c’è, alla fine ci trovano una camera a 2 letti, io e Patrizia dormiremo in uno, fortuna si tratta di letti abbastanza grandi, Gianni nell’altro. Dopo 3 giorni senza lavarci ora possiamo farci una magnifica doccia!!! Usciamo per cena, in giro c’è animazione, è il giorno di Natale. Direi che questo è stato uno straordinario Natale!

14° giorno Domenica 16-12-1982

Nei giardini della Plaza de Armas passa la banda militare, seguita da altri reparti in armi, si dis­pongono di fronte alla basilica sui gradini c’è un microfono, forse parlerà qualche autorità politica o militare. Riportiamo la tenda al noleggio, gli vendiamo il sacco a pelo che Paolo ci aveva lasciato ed una borraccia per 9 $. Prendiamo un collectivos, per recarci a Pisac, cittadina a 25 km, assai rinomata per il suo mercato della domenica. Arrivando sulla piazza del mercato di fronte all’edificio municipale, si rimane abbagliati dalla quantità e varietà di colori, i costumi sgargianti dal rosso, al giallo, verde, nero. Anche gli uomini vestono tradizionale, in testa indossano un berretto a cuffia che copre anche le orecchie e s’annoda sotto al mento, c’è chi vende la terra per le tinte, ci sono botteghe di ceramisti, dove ragazzi decorano a mano i piatti, producono minuscole perline in ceramica per collane. Bellissimi i maglioni in lana di alpaca, ne acquistiamo tre, contrattando a lungo. Acquistiamo 2 statuette in ceramica, rappresentano la coppia stilizzata, sono caratteristici di questa regione, non ne avevamo visti uguali da altre parti. Molti nostri amici prima della partenza ci hanno chiesto di portare loro un maglione peruviano, ma non ci è possibile accontentarli tutti. Acquistiamo una dozzina di belle collanine. Andiamo a pranzo in un ristorante, con giardinetto all’ombra. Poco dopo dobbiamo andarcene, il tempo sta facendosi minaccioso, infatti mentre aspettiamo il collectivos inizia a piovere, la maggior parte dei collectivos sono senza tetto, i passeggeri si siedono nel cassone, fortunatamente troviamo un taxi vuoto. Torniamo in albergo, ci hanno cambiato stanza ora abbiamo 3 letti. Gianni non partirà con noi domani, si tratterrà ancora a Cuzco. In albergo facciamo conoscenza di Gloria ed Umberto, sono di Verona, lui è italo-peruviano, vengono in camera nostra, facciamo quattro chiacchere. Viene la sera, il tramonto è fantastico, la chiesa di fronte a noi è illuminata su tutta la facciata, bellissima, la fotografiamo. Sorge la luna, è quasi piena, ho notato che qua quando la luna ha la gobba a sinistra è crescente, il contrario che da noi. Mentre ci troviamo sul balcone in conversazione, sotto in strada passano 4 indiani in costume, seguaci di Krishna, suonano i loro strumenti e cantano. Usciamo per cena, vengono con noi oltre a Gianni e la coppia di Verona, anche due ragazze austriache, che abbiamo incontrato diverse volte in questi giorni ed un ragazzo tedesco, il ristorante è carino, ma il cameriere imbranato ed il cibo mediocre, usciamo tutti insieme andiamo in una “tabierna” dove alcuni gruppi folkloristici si esibiscono in ottimi repertori locali, specialmente il secondo gruppo composto da 5 elementi che si alternano ai vari strumenti: zampona, charango (chitarra piccola), flauto, tamburo, creano un ambiente tipicamente andino, acquistiamo un nastro del loro repertorio. Il locale è un poco scalcinato, ci sono delle scritte a carbone sui muri, pian piano il locale si riempie di gente, è un luogo d’incontro, servono solo birra o “pisco” liquore alcolico aromatizzato al limone, un po’ dolciastro, ma va giù bene e qualcuno ne approfitta. Incontriamo i 3 ragazzi svizzeri che ad Ayacucho avevano rivenduto il biglietto aereo ed erano partiti in bus lungo la costa, ci raccontiamo il reciproco itinerario loro hanno impiegato 4 giorni per raggiungere Cuzco, in bus fino ad Arequipa, avrebbero dovuto prendere il treno, ma le ferrovie erano in sciopero e non c’erano bus. Infine sono andati peggio di noi, infatti si sono pentiti. I tre svizzeri e Gianni eccedono un po’ col Pisco, ma sono solo euforici, stiamo tutti allegri insieme. Rientriamo, l’albergo chiude a mezzanotte, infatti quando vi giungiamo troviamo tutto chiuso, bussiamo ci aprono, siamo in 8. Oggi è stata una piacevolissima giornata, prima di dormire leggo un articolo su “L’Expreso” parla della coca, dalla quale viene estratta la cocaina, l’articolo la definisce: “la pianta che avvelena il mondo”, gli Incas la usavano giustamente come stimolante nel duro lavoro sulle montagne, masticare le foglie di coca dicono che diminuisca l’affaticamento. L’articolo continua affermando che la droga ha causato in Perù nell’anno corrente più morti che gli incidenti stradali, ci sono stati una ventina di omicidi riconducibili alla mafia ed allo spaccio. Leggo ancora che ad Ayacucho recentemente sono state assassinate dai terroristi 4 personalità di livello, tra i quali il presidente dell’Istitutto culturale ed un commerciante di appartamenti, c’e anche la foto di Raffaella Carrà che qui gode di una grande popolarità.

15° giorno Lunedì 27-12-1982

Salutiamo Gianni che è stato nostro compagno di viaggio e di camera per alcuni giorni, siamo stati bene con lui. In taxi raggiungiamo la stazione, ci hanno consigliato il treno, dicono che sui bus ci sono ladri, in questi giorni a Cuzco, ne abbiamo sentite di storie di furti subiti dai turisti, sta diventando una psicosi collettiva. Il treno parte alle 9,45, (destinazione Puno costo del biglietto $ 8,5 cadauno) è quasi pieno, nella nostra carrozza siamo tutti turisti. La ferrovia si snoda fra le montagne, in zone semidesertiche, poi zone coltivate, mandrie di lama ed alpaca pascolano nei prati. Scolliniamo un passo di 4200 metri, poco sopra di noi notiamo montagne con ghiacciai. Per percorrere 380 km che ci portano a Puno impieghiamo una decina d’ore, comprese le lunghe fermate. Durante il viaggio abbiamo piacevoli conversazioni, prima con un ragazzo di Las Vegas, poi con Simon un ragazzo israeliano, che poi verrà nel nostro stesso albergo, l’hostal Europa, vicino alla stazione, andiamo a cena insieme, ci chiede di andare in un ristorante economico, poiché lui non ha grandi disponibilità, entriamo in una bettola, il pasto completo ci costa 600 soles (900 lire) normalmente noi cerchiamo qualcosa di meglio, ma sappiamo adattarci. Simon ha terminato l’università, è avvocato si è regalato questo viaggio prima di tuffarsi nel mondo del lavoro. Inevitabilmente con un cittadino israeliano il discorso cade sulle guerre mediorientali, Simon ha partecipato nel 1973, quando era diciottenne alla guerra del Kippur, ci mostra la mano sinistra, in quella guerra perse due dita, asserisce di avere altre ferite all’addome ed ai fianchi. Si dichiara un pacifista, tutte queste guerre fra arabi ed israeliani per lui non hanno alcun senso, condividiamo in pieno. Dopo cena io e Patrizia facciamo un giro per Puno sembra una cittadina poco interessante, raggiungiamo Plaza de Armas, poca gente in giro. Ci troviamo a 3870 metri di altitudine sulle rive del lago Titicaca.

16° giorno Martedì 28-12-1982

Ci alziamo ed usciamo, fa parecchio freddo. Una buona colazione, in banca per cambiare, poi ci rechiamo in un’agenzia viaggi per prenotare un bus per La Paz in Bolivia. Ci sono diverse possibilità, la compagnia Morales Moralito effettua il sevizio tre giorni a settimana, costo 10500 soles, partirebbe dopodomani, la scartiamo. Per caso incontriamo un pullman assai scalcinato della compagnia “4 noviembre” si ferma poco prima del confine a Yunguyo, effettua servizio giornaliero, parte alle 9 di mattina, costa 2000 soles, questo ci permetterebbe di passare il confine e fermarci un giorno a Copacabana. La compagnia “Transturin” ha un ottimo programma: partenza da Puno alle 6,30 con un modernissimo pulman fino a Copacabana, breve visita alla città, quindi in battello visita alla Isola Del Sole, poi sempre in battello si raggiunge la riva del lago in Bolivia a Huatajata, di qui si può proseguire sempre in pullman fino a La Paz, dove si giunge alle 18 ora boliviana (ore 17 peruviane). Programma molto interessante, costa 34 $ a testa, anche se ti offrono il pranzo è esagerato per un solo giorno. Decidiamo di partire domani con l’agenzia “4 noviembre”. Ci rechiamo a piedi verso il lago, passando per il mercato acquistiamo banane, ananas e mango. Attraversiamo un quartiere popolare, molto sporco, rifiuti sparsi ovunque, dei maiali al guinzaglio si nutrono di rifiuti, acqua sporca ed odore di latrine. Dal lago arriva un vento gelido, non siamo vestiti adeguatamente, raggiungiamo il molo dove sono attraccate parecchie barche, incontriamo 4 tedeschi, cercano altri turisti per noleggiare una barca in comune, per dividere la spesa, in 6 noleggiamo una barca che ci porterà alle isole galleggianti degli Uros. Il lago Tiiticaca è immenso, azzurro come il cielo, qui il lago è poco profondo, circa 2 metri, vi si vede il fondo erboso, in queste acque cresce la tipica canna di lago che sporge circa un metro fuori dall’acqua chiamata “totora”. Le isole galleggianti degli Uros, sono formate da vari strati di canne “totora” che seccando poi diventa gialla, infine marcendo diventa marrone, gli uomini partono continuamente con le loro canoe fatte di totora, raccolgono fasci di canne, trascinandole a traino le portano sull’isola, e le depongono sopra il fondo esistente, rinnovandolo continuamente.

Dopo circa un’ora di navigazione raggiungiamo la prima isola (ne visiteremo 3), scendendo sull’isola sentiamo il fondo abbassarsi sotto il nostro peso, in alcuni punti le scarpe si bagnano, è una sensazione strana, queste isole sono le uniche al mondo di questo genere. Con la totora gli uros oltre a mantenere il fondo delle isole, costruiscono le barche, le capanne in cui vivono, oggetti di artigianato, un ragazzo si sta costruendo la cucina di fianco alla sua capanna. Questi indios vivono di pesca e sopratutto di turismo, le donne tessono dei tappeti con semplici disegni, ce li offrono in vendita, acquistiamo un bel disegno ed una tovaglia dai colori vivaci, i bambini ci corrono incontro, ci offrono delle minuscole canoe di totora, ci chiedono danaro per farsi fotografare. Queste genti hanno le guance quasi violacee, determinate dalla gran quantità di globuli rossi, a causa della scarsità di ossigeno. Penso a quanto debbano soffrire di reumatismi a vivere in questo ambiente così umido! Rientriamo soddisfatti, anche oggi abbiamo visto una cosa unica: il lago Titicaca con le isole galleggianti degli Uros. Usciamo per cena poi entriamo in un localino il “Samane”, una specie di grottino, si ascolta musica pop e country, poi arriva un quartetto che si esibisce nel proprio repertorio di musica andina, ma non valgono molto, ci fanno venir sonno. Abbiano la camera al secondo piano, per raggiungerla ci viene il fiatone.

17° giorno Mercoledì 29-12-1982

Usciamo dall’albergo, c’è un ragazzino ad attenderci, ci chiede dove siamo diretti, ha da offrirci un bus per La Paz a 4500 soles, gli diciamo che vogliamo passare da Copacabana, c’è un bus anche per quella destinazione a 3500 soles, ci accompagna all’agenzia “Altoplano”, il programma ci sta bene, partiamo alle 9. Siamo solo 4 passeggeri paganti, oltre a noi, due ragazze venezuelane. Strada facendo raccoglie altri passeggeri, Prendiamo la direzione sud costeggiando il lago, l’acqua dal colore turchino, sembra un mare, è molto affascinante questo immenso lago, vediamo uomini in piedi sulle barche di totora, con le lunghe pertiche navigano sulle acque quasi immobili.

Fino a Pomata la strada è asfaltata, poi diventa sterrata, malmessa, l’interno del bus è tutto una vibrazione. Giungiamo a Yungoyo, ultima cittadina peruviana, ci fermiamo presso un ufficio boliviano, poiché le due ragazze venezuelane non hanno il visto per la Bolivia, l’ufficio apre alle 14, quindi le lasciamo sul posto, fortunatamente a noi italiani non è richiesto il visto in Bolivia come in Perù. Giunti a Copacabana incontriamo un gruppo di una quindicina di italiani viaggiano con “Avventure nel mondo”, sono un po’ nervosi, avevano appuntamento con il nostro bus per le ore 12, che 3 giorni fa li aveva accompagnati fino al confine a Deseguadero. Ci dicono che l’Isola Del Sole non merita una visita. Abbiamo l’impressione che in questo gruppo ci siano degli attriti fra i vari componenti, certo che far viaggiare in queste condizioni tante persone che non si conoscevano neppure, è inevitabile che possano emergere problemi di incompatibilità, noi ci siamo trovati in queste condizioni durante il viaggio in India nel 1979, eravamo in 9 e male assortiti, dal punto di vista del rapporto di gruppo, è stato il peggior viaggio cui abbia partecipato. In questo viaggio, nei primi 10 giorni, con Paolo Stefano e Gianni, non c’è mai stata neppure una parola di disaccordo. Personalmente mi sento molto rilassato, viaggi come questo, che ti portano molto fuori dalla routine, sono convinto che che allunghino la vita. Forse questo mio stato di benessere è legato al fatto che fortunatamente fino ad ora tutto sta filando liscio, se subentrassero problemi come malattie, smarrimento di denaro o del passaporto, o incidenti, forse lo stato d’animo sarebbe ben diverso.

Decidiamo di ripartire in giornata. Visitiamo la cattedrale che è bella, sul sagrato di fronte, vediamo animazione, stanno benedicendo le auto ed i camion, i veicoli sono addobbati ed inghirlandati di fiori e coriandoli, alcuni uomini stappano delle bottiglie di vino con il quale bagnano dovunque i veicoli, le donne li cospargono di petali di fiori, i bambini sparano mortaretti, è una gran festa. Ci rechiamo alla fermata dei bus, ma siamo in ritardo, avevamo dimenticato di aggiornare l’orario, non partiranno altri bus per La Paz dopo le 16. che sbadataggine!!.. pazienza, troviamo una camera all’albergo Patria, sulla piazza principale, quando saliamo nella stanza n° 14, grande delusione, si tratta di un lungo e stretto budello senza finestre, solo la porta che da sul cortile. Usciamo per dare un’occhiata a questa graziosa cittadina, scendiamo giù fino al lago, c’è una spiaggetta che costeggia tutta la baia, c’è un noleggio di biciclette, se ne vedono pochissime di bici in giro. Tutti i camion che hanno ricevuto la benedizione si sono radunati qua, stanno cucinando, cena di gruppo con i familiari. Viene sera, la temperatura scende, rientriamo in città, attraversiamo rioni popolari, case di terra, con maiali nei recinti, bambini sporchi che giocano. Entriamo nel mercato, ci sono donne che cucinano focacce, fanno bollire dei liquidi, di fronte al loro banco ci sono delle panche dove i clienti siedono e consumano. Queste donne ci invitano al loro banco, ma ora non abbiamo appetito.

Ripassiamo di fronte alla cattedrale mentre stanno uscendo due coppie di sposi, dopo la cerimonia nuziale. Subito ci colpisce l’aria di tristezza che avvolge sia gli sposi che gli invitati. Gli sposi ed i familiari se ne stanno impalati ed allineati, mentre i parenti li cospargono di petali di fiori; coloro i quali portano il tradizionale cappello a bombetta in testa, viene loro sollevato per poter cospargere il capo con i petali di fiori, poi il cappello viene riposto. Le espressioni sul viso degli sposi sono più consone ad un funerale che ad un matrimonio. Una coppia di sposi sale su un’auto, l’altra coppia sale nella cabina di un grosso camion, tutto addobbato con coriandoli, gli invitati salgono nel cassone e partono con i barattoli trainati dietro.

Ceniamo in albergo, mentre fuori spira un vento impetuoso e piove, arrivano un ragazzo e 2 ragazze di Bologna che avevamo conosciuto all’hotel Europa di Lima, loro non se la sono sentita di percorrere il nostro itinerario per raggiungere Cuzco, sono venuti in Bolivia passando sulla costa, ora stanno dirigendosi a Cuzco, ci chiedono com’è andato il nostro viaggio sulle Ande, non hanno ancora deciso come tornare a Lima da Cuzco. Siamo andati tutti insieme in una bettola, ci siamo raccontati i le rispettive vicende di questo viaggio.

Siamo capitati proprio male in questo albergo, la cena uno strazio, la camera è brutta, non ci sono le docce, i letti scomodissimi. Stiamo per coricarci, sentiamo giù in strada della musica, sta passando un gruppo con tamburi e trombe, forse si stanno preparando al capodanno.

18° giorno giovedì 30-12-1983

Dormito malissimo a causa dei letti scomodi. Prendiamo il bus che da Copacabana parte alle 8, è un buon mezzo della compagnia “2 febrar”. Subito la strada sale, dall’alto è molto bella Copacabana, questa piccola cittadina sul lago, con un promontorio sul quale si erge un monticello chiamato “Calvario”, infatti su c’è una Via Crucis. Seguiamo il bordo del lago, essendo il cielo coperto, il colore dell’acqua è verde scuro. Inizia a piovere, la strada sterrata diventa fangosa. Con una chiatta attraversiamo il lago nella sua strozzatura, a sud della quale il lago cambia nome. Sulla sponda opposta troviamo bel tempo e strada asfaltata. Giungiamo nella capitale La Paz alle ore 12.

La Paz la capitale più alta al mondo, si estende dai 3200 ai 4200 metri di altitudine. Troviamo una camere presso il Residencial Rosario, un po’ caro, ma pulito e ben organizzato, c’è anche la lavanderia, lasciamo degli indumenti da lavare. Nel pomeriggio iniziamo la visita alla città. C’è parecchio traffico, ma ordinato, vediamo la Basilica di San Francisco, in stile castigliano, ospita un grande presepe, ma non bello come quello visto a Copacabana, infatti là c’erano statue a misura naturale, simpatica la figura di S.Giuseppe col poncho, e Maria in costume tradizionale boliviano. Visitiamo il museo la casa Murrillo. Murrillo è stato uno dei primi cospiratori contro il dominio spagnolo, fu impiccato dagli spagnoli agli inizi del secolo scorso, è considerato un martire nazionale. La sua bella casa in stile coloniale è stata trasformata in un interessante museo. Ci sono maschere ed oggetti in argento, c’è la sua camera da letto, lo studio, arredati con mobili dell’epoca, si trova una raccolta di “retablos”, presepi in miniatura, sono delle scatoline in legno, (di diverse dimensioni) con due sportellini che aprendosi mostrano il presepe in legno scolpito e dai colori vivaci. Si trova una raccolta di oggetti di artigianato boliviano miniaturizzati, vediamo delle bamboline create con mollica di pane dalle dimensioni di un centimetro. Una stanza raccoglie tutte le erbe utilizzate dai guaritori

Tutta la città è pervasa da un’atmosfera di festa, fervono i preparativi per festeggiare il capodanno, vediamo esposte nei negozi le maschere, cappellini, tonnellate di coriandoli. Ci rechiamo nel “Mercado de los brucos”, mercato della magia, a giudicare dal numero delle bancarelle ci si rende conto di quanto sia fiorente questo commercio. Assistiamo alla preparazione di “fatture”, le donne preparano dei pacchi, in cui con dei rituali depongono: sassolini, semi di frutti, erbe, non manca mai un feto di lama morto, i quali vengono unti con grasso di animali, vengono aggiunti fili di lana variopinti, striscioline di carta stagnola color argento o oro, tavolette colorate recanti effigi. Tutto questo materiale viene infine impacchettato e consegnato all’acquirente. Da queste parti magia e pregiudizi hanno ancora molto seguito, religione cattolica e stregoneria vivono in simbiosi. Lungo la via si vedono molti feti di lama morti, creano uno spettacolo abbastanza macabro, ma crediamo siano la base di ogni ricetta magica, abbiamo sentito dire che sia indispensabile seppellirne uno in ogni fondazione di casa nuova come portafortuna. Vediamo donne che leggono la mano, predicono il futuro consultando delle tavolette colorate, c’è la fila per sottoporsi a questo rito. Patrizia compra 2 bottigliette (quelle delle iniezioni liofilizzate) contengono del liquido nel quale galleggiano semi, ossicini ed altre cose non decifrabili e compra anche 4 tavolette, quella bianca è per il danaro, le altre sono per la fortuna, per la casa e per il negozio (affari). Acquistiamo anche una piccola maschera del diablo, molto bella in ceramica. Telegrafiamo a casa, costa meno che in Perù.

Cambiamo al mercato nero, ci cambiano il dollaro a 280 pesos. La vita qua costa veramente poco. Passeggiamo ancora un po’ per la città. Alle 20 usciamo, abbiamo prenotato 2 posti per: “la peña naira” ceniamo in un caratteristico ristorantino di fronte alla “peña”. “La peña (si pronuncia “pegna”) è il nome di un un flauto in legno boliviano, in passato era il nome che si dava ad una manifestazione in cui tutti potevano partecipare, improvvisando canzoni e spettacoli folkloristici. Oggi è rimasto il nome, entriamo nel locale, assai carino, una specie di grottino, dalle dimensioni ridotte, colmo di gente, turisti da tutte le parti del mondo. Alle 22 comincia lo spettacolo, si esibiscono diversi gruppi folkloristici provenienti da tutte le regioni della Bolivia. Le performances sono di alto livello, gli strumenti sono tradizionali. Vengono interpretate anche canzoni di protesta politica contro il regime dittatoriale vigente in Bolivia, tutto il pubblico partecipa con battito di mani, sopratutto il pubblico locale si anima e partecipa vivamente allo spettacolo. Questo locale ha l’aria di essere un punto d’incontro per intellettuali. Lo spettacolo si protrae fino alle ore 1,20. E’ stata una serata piacevolissima, ci siamo mescolati fra genti di tutti i continenti, interessante per la conoscenza dei vari strumenti, e anche se marginalmente del folklore andino. Ora sappiano che esistono vari tipi di “charango” (la minuscola chitarra a 12 corde). Alcuni musicisti si sono esibiti in abili virtuosismi con i vari strumenti Impressionante ascoltare un pezzo di musica veloce suonata col “charango” sia con la mano destra che con la mano sinistra senza avvertire alcuna differenza. I vari artisti amano alternare i pezzi musicali con aneddoti, parlano in fretta, noi naturalmente non riusciamo a cogliere tutto, ma sono simpatici. Abbiamo notato che il lama assume una importanza assai rilevante nella cultura andina, infatti il nome di questo animale si ripete sovente, come quello della “palomita”. Parliamo con un ragazzo che suona molto bene la “zampoña” è uno studente che oltre allo studio si diletta con questi gruppi, dice che l’anno prossimo verranno in tour in Europa.

19° giorno venerdì 31-12-1982 (La Paz)

In mattinata prendiamo il microbus n° 130, scendiamo al capolinea. Poi proseguiamo a piedi per 2-3 km, noi facciamo una dannata fatica, con noi c’è un ragazzo del posto che sale agile come una gazzella! Raggiungiamo “La Valle Della Luna”. E’ uno spettacolo naturale che definirei fiabesco, la pioggia ha eroso la montagna di terra producendo uno scenario di picchi e guglie frastagliate. L’acqua ha prodotto crepe e fenditure profonde nel terreno. Veramente suggestivo. Ci rechiamo al mercatino artigianale, si trovano begli oggetti in argento, rame, legno, ponchos e maglie in lana, acquistiamo piccoli oggetti. Diamo un’occhiata al “mercado Buenos Aires”, occupa i marciapiedi di diverse strade, vendono montagne di scarpe, di sottanone locali, mantiglie con lunghe frange, tanta frutta, uova ed ogni ben di dio. In Plaza 14 Setiembre uomini con canarini in gabbia, cui fanno scegliere un bigliettino con l’oroscopo, si faceva anche da noi alle fiere paesane qualche tempo fa. Donne con dei grossi panieri di foglie di coca in vendita, dicono che a masticarla non si avverte la fatica. Se è vero ne avremmo bisogno noi che al solo camminare avanti e indietro per le strade in saliscendi della città, avvertiamo tanto la carenza di ossigeno. “Paese che vai usanze che trovi” in questa città hanno una pessima usanza, quella di urinare sui marciapiedi, tutte le strade sono pervase da quello sgradevole odore, si vedono spesso uomini pisciare contro i muri.

Al ristorante stasera menù unico, piatto tradizionale di capodanno, la “picana”, si tratta di un pezzo di carne di manzo, un pezzo di pollo, una patata lessata, carote, rapa, una pannocchia bollita, il tutto immerso in una salsa piccante. Siedono al nostro tavolo una coppia con 2 ragazzini, sono due professori gentili e simpatici, abbiamo con loro una piacevole conversazione, nonostante il juke boxe sparato a 10000 decibell sommato al chiacchericcio dei clienti. Mentre si cena c’è un continuo viavai di ragazzini che vengono a venderci le sigarette, i giornali, poi ci sono i mendicanti, praticamente ci troviamo in un mercato. Usciamo dal ristorante verso le 22, siamo curiosi di vedere come si festeggia il capodanno da queste parti . In giro c’è una gran folla che passeggia, in Plaza Velasco e su tutta la via che la collega a Plaza Alonso de Mendoza, ci sono molte bancarelle che vendono bibite, alcol e panini. Comincia a spiovviginare, ci ripariamo in un bar, fortunatamente smette di piovere, ci reimmergiamo nella folla, non fa freddo. Ho la sensazione che almeno un 10% degli uomini siano ubriachi, camminano barcollando, impugnano una bottiglia, scoppiano mortaretti, lanciano razzi luminosi, così si giunge a mezzanotte, si fa più frequente lo scoppiettio dei botti, la gente si abbraccia e si bacia, si brinda, qualcuno piange, non c’è molta allegria, ci aspettavamo maggiore festa, in fondo ci troviamo in America Latina dove i carnevali sono rinomati per danze ed allegria, ma qui non siamo in Brasile, i popoli andini esprimono tristezza. Passa un’ambulanza con le sirene spiegate, ma non ha feriti o malati a bordo, lo fa per festeggiare, due signore ci abbracciano, ricambiamo convintamente. Ci avviamo verso l’albergo, transitiamo per una piazzetta, un’orchestrina sta suonando ed un gruppetto di gente sta ballando. In albergo al nostro piano, alcuni ragazzi hanno organizzato una festicciola, stanno ballando con musica occidentale. Proseguono in strada lo scoppio dei botti.

E così anche il 1982 ci lascia, per mè è stato un anno simile agli altri, ho avuto qualche problema con gli operai sul lavoro, speriamo meglio nel prossimo anno. A livello nazionale ed internazionale non si può certo dire che sia stato un buon anno, la crisi economica mondiale è stata pesante e nel prossimo futuro non si intravedono segnali di ripresa. La pace fra i popoli in questo anno non ha raggiunto livelli che possano farci guardare al futuro con tranquillità. La nostra generazione vive ancora anni di preoccupazione, speriamo in qualche svolta positiva.

20° giorno sabato 1-1-1983

Quello che volevamo vedere a La Paz lo abbiamo visto, quindi stamane decidiamo di partire. Ci rechiamo nei pressi della stazione ferroviaria dove ci hanno detto partono i bus diretti verso il confine peruviano di Desaguadero, arriviamo alle 8, i bus sono già partiti tutti, non ce ne sono altri. In taxi raggiungiamo il cimitero nelle cui vicinanze c’è la stazione da cui partono i bus per tutte le direzioni, ci incontriamo con due ragazzi argentini, i quali ci dicono che non partiranno bus fino alle 3 del pomeriggio, ci chiedono di unirci a loro per dividere le spese e prendere un taxi, raggiungiamo la rimessa dei taxi. Per raggiungere Desaguadero in taxi ci chiedono 7000 pesos (35000 lire) compresa una sosta di un’ora a Tyuanaco, un luogo dove desideriamo vivamente fermarci. Questo programma va bene a noi ed anche agli argentini quindi si va. Le rovine Tyuanaco distano una settantina di km da La Paz. Testimoniano la civiltà Aymara del 600-900 dopo Cristo. Il sito è cinto da robuste mura in ottimo stato di conservazione, un tempio scoperto, la famosa Porta del Sole, un monolito di pregevole fattura, due statue in pietra che rappresentano due divinità di quella civiltà le cui origini sembrano polinesiane. Bellissime le mura squadrate e l’imponente portale. Mentre visitiamo le rovine incontriamo una coppia di lama, il maschio assai intraprendente, vuole giocare tenta di saltarci addosso, addirittura mi morde una caviglia, non c’è modo di liberarci, siamo costretti a scappare, assale Patrizia la quale mi chiama in aiuto, ma anziché intervenire filmo la scena assai divertente. Simpaticissime queste bestie! La struttura delle abitazioni di Tyuanaco è del tipo dei pueblos messicani, case geometriche allineate tipo quelle che si vedono nei film western.

Giungiamo al confine di Deseguadero alle 12,15, la dogana è chiusa, è un vero guaio poiché quella peruviana chiude alle 13, per poi riaprire alle 15, il taxista manda un ragazzino a chiamare il doganiere che è suo amico, fortunatamente il doganiere viene e ci fa passare! Che strano questo mondo! Giungiamo alla dogana peruviana, non c’è nessuno, poco dopo arriva un signore completamente, ubriaco, inizialmente sembra voglia complicarci le cose, poi invece cambia atteggiamento, addirittura ci concede un visto di 90 giorni ma dobbiamo andarci a bere 4 cerresa (birre) con lui, siamo a stomaco vuoto, io fingo di bere, non ci lascia andare, nel frattempo arriva un ragazzo in uscita dal Perù, ma il funzionario di dogana è sempre più ubriaco, non ce la fa ad assolvere il suo compito, arriva un bus della compagnia “Altiplano” lo prendiamo al volo e ce ne andiamo. Se penso a questa dogana, muoio dal ridere, incredibile! Lungo il percorso attraversiamo villaggi, vediamo cortei di gente in festa, gruppi di suonatori, lancio di coriandoli, la festa continua. Raggiungiamo Puno alle 16,30. Ritorniamo all’Hostal Europa, constatiamo che i prezzi sono quasi raddoppiati. Valutiamo se domani andare col battello all’isola di Tequilla, tutti la definiscono molto bella, si parte col battello da Puno, c’è la possibilità di dormire sull’isola presso le abitazioni locali, ma questa escursione ci prenderebbe due giorni. Patrizia dice che se vogliamo andare in Ecuador, ci conviene saltare, infatti decidiamo di proseguire partendo stasera stessa, il viaggio da Puno ad Arequipa dura 9 ore, se riusciamo a dormire sul treno guadagniamo un giorno. Acquistiamo il biglietto del treno, andiamo al ristorante, cena con “trucha” fritta (trota di lago) è di color rossastro, gli argentini che sono con noi ci dicono che la trota rossastra è di fiume ed è più pregiata di quella bianca di lago. Salgono sul treno per Arequipa anche le due ragazze venezuelane con cui avevamo viaggiato insieme in treno alcuni giorni fa, le avevamo incontrate a La Paz allo spettacolo “La Peña” capita spesso di incontrare e reincontrare gente con cui si è fatta conoscenza da qualche parte, quando capita ci raccontiamo a vicenda la propria esperienza. L’itinerario che stiamo facendo noi è il classico, i punti di interesse sono questi, può variare il tempo di sosta in base al tempo disponibile, c’è chi predilige il taglio archeologico, chi il naturalistico, chi l’etnico ma siamo tutti sulla stessa strada, ed i mezzi di trasporto sono questi, come pure alberghi e ristoranti. Alle 20,45 il treno parte, qualcuno per dormire si distende sul pavimento lungo il corridoio centrale fra i sedili, non è facile dormire. Alle 2 mi sveglio, guardo fuori, stiamo attraversando una zona montagnosa tutta innevata, stiamo salendo, poi riscendiamo e la neve scompare. Fortunatamente il treno è ben riscaldato.

21° giorno domenica 2-1-1983

Alle ore 6 giungiamo ad Arequipa siamo stanchi, veniamo assaliti dai taxisti, ma scegliamo un bus costo 90 soles (135 lire). Arequipa si differenzia dalle città che abbiamo visto ultimamente, assai pulita, situata a circa 3000 metri sul livello del mare, è sovrastata da 3 vulcani ormai spenti, le cui cime innevate conferiscono maestosità. E’ costruita quasi interamente con blocchi rettangolari di lava bianca. E’ mattino presto le strade sono deserte, Plaza De Armas è molto bella, su tre lati portici a due piani di lava bianca, sul quarto lato la consueta Basilica, anch’essa bianca con i suoi due caratteristici campanili, è cinta da un’inferriata verniciata di nero, al centro un bel giardino, con palme ed una vasca. Troviamo una camera al Residence Guzman, molto bello con un grazioso patio interno, con pavimento in mosaico in ceramica, le camere danno direttamente sul patio. Vorremmo tuffarci direttamente in un buon letto, ma la camera sarà disponibile dalle ore 9, allora deponiamo gli zaini ed usciamo, ci rechiamo nella via dove risiedono le compagnie di trasporto. Prenotiamo due posti per domani per Nazca, (10 ore di bus). Facciamo colazione, prendiamo il giornale, solite notizie sul terrorismo ad Ayacucho, in questi giorni è intervenuto l’esercito con molti uomini. Ieri a Puno è caduto un bus in una scarpata di oltre 50 metri, 16 vittime ed una trentina di feriti, la notizia non ci meraviglia più di tanto viste le condizioni pietose dei mezzi di trasporto, fortunatamente i conducenti marciano prudentemente piano. Andiamo a riposare, poi una buona doccia ed usciamo, visitiamo il monastero di Santa Catalina, un immenso monastero del sedicesimo secolo costruito con massicce mura, all’interno è diviso in piccole casupole per monache di clausura. Un giardino interno con selciato in pietra contornato da portici sotto i quali vi sono affreschi, le varie zone sono caratterizzate da colori diversi, azzurro, beige, rosso, bianco, in pratica si tratta di una cittadella nella città. Ora le monache vivono nella parte nuova, mentre la parte vecchia è stata adibita a museo. Stasera Plaza De Armas è uno spettacolo, tutta illuminata. Serata mite, siamo nel patio dell’albergo, è un peccato andare a dormire.

22° giorno lunedì 3-1-1983

Raggiungiamo a piedi la stazione dei bus, corriamo per il ritardo, ma il bus partirà con un’ora di ritardo. Mentre consegniamo i bagagli, appoggio per terra la borsa a tracolla, ma non l’abbandono con l’occhio, passa un uomo la raccoglie, lo blocco e gliela strappo di mano, questi con estrema disinvoltura, ci fa un cenno di spostare i nostri bagagli, e se ne va. Ci ha provato anche lui! Se non lo avessi controllato, addio borsa con cinepresa, patente e qualcosaltro. Alle 9,30 si parte, bus moderno, aria condizionata, comodi sedili reclinabili, due autisti che si alternano alla guida , sediamo in prima fila, possiamo goderci il panorama e stare comodi. Appena fuori dalla città ci addentriamo in una zona desertica, paesaggio pittoresco con montagne di pietra e sabbia dal colore rosato, sui fianchi delle montagne c’è spruzzata della sabbia bianca che brilla al sole, come fosse zucchero oppure neve, molto suggestivo. Poi nelle zone evidentemente più umide, la montagna è coperta da una coltre erbosa trapuntata di fiorellini lillà, sopra il cielo blu, niente da fare: quando la natura ci si mette, fa dei quadri d’autore! Giungiamo sulla costa del Pacifico, ora la strada costeggia il mare, la montagna spesso cade nell’acqua, poche sono le spiagge, ma questo accostamento deserto-mare è fantastico! La strada in alcuni passaggi si fa pericolosa, passa a filo di precipizi, piccole dune di sabbia sulla carreggiata, strettoie, ma il traffico è quasi inesistente. Stiamo transitando sulla “Panamericana” che costeggia il Pacifico per gran parte della costa sudamericana. Notiamo parecchie croci ai bordi della strada, a ricordo di vittime di incidenti stradali. (Si fa anche da noi)

Giungiamo a Nazca alle 18,30, troviamo una camera all’Hostal Nazca, (costo 1500 soles a testa) qui fa caldo, doccia fredda, poi al ristorante, cena di scampi e birra fresca, che dopo una giornata di viaggio è un giusto premio. Passeggiamo per la cittadina ci sediamo su di una panchina nei giardini a goderci questa serata estiva rubata all’inverno di Rimini. Molti giovani passeggiano, non vediamo donne con abiti tradizionali. Questo viaggio ce lo stiamo godendo un mondo, procediamo senza grossi problemi, tranquillamente, la lingua non è un problema, i mezzi di trasporto sono abbastanza efficienti, troviamo facilmente dove alloggiare a buon prezzo, i ristoranti non mancano mai, la vita costa poco, non ci facciamo mancare nulla.

23° giorno martedì 4-1-1983 Nazca

La principale attrattiva di Nazca è costituita dalle misteriose linee e disegni tracciati nel deserto, non si sa quando, da chi ne come siano stati eseguiti, si tratta di solchi o sentieri ricavati dall’asportazione dello strato ghiaioso superficiale del terreno, essendo questa una zona di scarsissima piovosità e mancanza di vento, queste tracce sono rimaste intatte per diversi secoli. Per poterle identificare bisogna salire in alto, non essendoci alture in prossimità, l’unico modo per poterle vedere è l’aereo. Insieme ad una coppia di tedeschi ed una ragazza brasiliana affittiamo un velivolo, costo del volo per 40 minuti $ 20 a testa. Si vola ad un’altezza di circa 2-300 metri, il pilota ci indica i disegni e le lunghissime rette, effettua un passaggio virando a sinistra ed un passaggio virando a destra in modo che inclinando il velivolo permette la visuale sia ai passeggeri di destra che di sinistra. Nettissimi individuiamo i disegni stilizzati del condor, delle mani, la scimmia, il colibri, il ragno e tanti altri animali, oltre a disegni geometrici. Molteplici sono le teorie sul significato di queste linee, la archeologa tedesca Maria Reiche che da diversi anni si è stabilita qui per studiarle, avanza la teoria del significato astronomico, alcuni disegni di animali vengono accostati a costellazioni. Altri accostano le linee ad approvvigionamenti idrici, qualcuno ha avanzato pure ipotesi fantascientifiche, vedendoci la mano di essere extraterrestri. Ma non è stata ancora trovata una spiegazione inconfutabile. Scendiamo dal velivolo piuttosto malconci, con mal di testa e di stomaco, anche i nostri compagni di volo.

Altra attrattiva interessante di Nazca è il cimitero preincaico, distante una trentina di km dalla città, per andarci prendiamo un taxi scassatissimo, siamo 6 passeggeri oltre al conducente, ad un certo punte l’auto si ferma, fortunatamente ci sono delle abitazioni nelle vicinanze, il taxista prega un signore di accompagnarci alla visita del cimitero con un suo camioncino. All’arrivo vediamo scheletri dissotterrati, e sparsi sul terreno, in notevole quantità, teschi, ossa umane, capigliature, brandelli di stoffe lo spettacolo che si presenta è lugubre. Dev’essere l’opera di predatori di tombe alla ricerca di tesori sepolti. Ci viene anche il sospetto che tutto questo scenario sia stato predisposto per portare i turisti. Rientriamo, il tempo di pranzare, alle 14,30 partiamo con un bus della compagnia Roggero diretti a Pisco. Attraversiamo ancora deserto, dune ed oasi con palme, sembra di essere nel Sahara. Incontriamo una vasta valle verde nei pressi di Ica, vediamo coltivazioni di cotone, patate, banane, e vigneti, Ica è rinomata per i vini, alle fermate le donne vengono ad offrirci panieri di uva nera. Raggiungiamo Pisco verso le ore18. Cerchiamo una camera all’hotel Embassy, ce l’hanno consigliato degli amici, ma è completo come altri tre alberghi, infine ci dobbiamo adeguare ad una pessima camera presso l’hotel Pisco, uccido subito due scarafaggi alati, uno lo manco. Come prima impressione Pisco è una città sporca, c’è molta confusione. Oggi è stata una giornata assai calda, stasera ci fermiamo a leggere il giornale nei giardini, sulla Prensa viene data notizia di un altro grave incidente stradale, sono morti 36 alunni, a causa di un bus precipitato in una scarpata nei pressi di Pisco, questi incidenti capitano quasi quotidianamente. Acquistiamo due biglietti per l’escursione di domani alle isole di Paracas, costo 4000 soles a testa.

24° giorno mercoledì 5-1-1983

Il Pisco è il peggior Hotel in cui abbiamo alloggiato in questo viaggio, stamane mi cimento ancora nella caccia agli scarafaggi. Insieme ad un’altra dozzina di turisti saliamo su di una barca. Dopo essere salpati seguiamo la costa di un promontorio dove incontriamo grossi branchi di pellicani appollaiati sulla riva o su relitti di navi affondate, sull’acqua migliaia di gabbiani se ne stanno tranquilli, al nostro sopraggiungere a sciami si alzano, sono talmente fitti che quasi oscurano il cielo è uno spettacolo fantastico, ci sono anche anatre selvatiche ed altre specie di uccelli. Prendiamo verso il mare aperto, impieghiamo un paio d’ore per raggiungere le isole di Paracas. Sono conformate da rocce frastagliate, grotte naturali, archi. Distese su queste rocce ci sono delle colonie di foche e leoni marini, ci osservano incuriosite al nostro passaggio, alcune si tuffano in acqua. Più in alto sui costoni gli uccelli se ne stanno appollaiati, alcuni volano bassi ed improvvisamente in picchiata si tuffano in acqua per poi riemergere con un pesce nel becco. La barca si insinua all’interno delle rocce, la vista è magnifica, un vero paradiso, vorrei tuffarmi in quest’acqua verde, ma il barcaiolo lo sconsiglia. Prendiamo la via del ritorno, ora il mare è più agitato, le onde spruzzano e ci bagnano. Poco prima di raggiungere il porto il barcaiolo esaudisce il mio desiderio, si dirige in una insenatura del promontorio dove c’è una spiaggetta di pietre e mi dice: “amigo te vuol bagnar?” non me lo faccio ripetere, mi tolgo i pantaloni e mi tuffo, con tanto caldo è un refrigerio bagnarsi, poi quasi tutti mi seguono in acqua.

Rientro, pranzo e via alla stazione dei bus “Roggero” raggiungiamo Lima alle 20,30, in taxi all’hotel Europa, non è il massimo ma hanno sempre posto, ritroviamo il nostro odore di nafta, con cui lavano i pavimenti in legno. Notiamo che ora fa molto più caldo che 24 giorni fa. Ci dicono che la temperatura è al disopra della media e se ne lamentano. Patrizia soffre da un paio di giorni di disturbi di stomaco, pensiamo sia dovuto all’alimentazione peruviana: piccante e ricca di grassi.

25° giorno giovedì 6-1-1983

Ci rechiamo alla posta centrale per vedere se c’è posta per noi, nulla, quindi alla compagnia aerea C.P.A. Per confermare in nostro volo di ritorno in Italia il 19 prossimo, la ragazza ci chiede di riconfermare un paio di giorni prima. Si va in banca a cambiare, quindi alla compagnia di trasporto Tepsa. Per raggiungere Quito (capitale dell’Ecuador) ci sono due possibilità: un bus diretto col quale si attraversa anche la frontiera, compreso un pasto costo $ 46. Invece solo il passaggio fino al confine costa $ 15, se si considera che il confine è a circa 2/3 del percorso, non si comprende perchè l’intero viaggio costi tanto? Optiamo senza esitazione per la seconda soluzione. Decidiamo di partire subito, non prima di aver fatto una visita a Suor Marina, al collegio Santa Ana, gradisce la nostra breve visita, si stava chiedendo come procedesse il nostro viaggio, le raccontiamo tutto.

Alle 14 il bus parte, la strada a nord di Lima costeggia ancora il mare, paesaggio desertico, sulla sinistra a ovest abbiamo l’oceano, ad est sulla destra, altissimi cumuli di sabbia, scendono giù fino a formare piccole dune sull’asfalto, una ruspa provvede continuamente a liberare la carreggiata. Incontriamo piccoli villaggi di pescatori. Gli autisti si alternano alla guida, viaggiano velocemente, vediamo alcuni autocarri capovolti ai lati della strada. Ogni 3 , 4 ore ci si ferma per una sosta. Fa parecchio caldo. Ci sono dei posti di blocco, noi turisti (siamo in 4) dobbiamo scendere ed esibire i documenti.

26° giorno Venerdì 7-1-1983

Si viaggia tutta la notte, sul far del giorno, dopo 18 ore di viaggio, raggiungiamo Tumbes che dista 30 km dal confine. Come scendiamo dal bus un signore ci chiede se vogliamo raggiungere il confine, gli rispondo affermativamente, allora lui ci prende i bagagli e li carica sul suo taxi, gli chiedo se non ci sia un bus? Risponde che c’è, ma parte non prima delle 10, gli chiedo quanto costa un suo passaggio , vuole 3 $ a testa, allora gli dico che vogliamo fare colazione e lo sbologniamo, vorrebbe 1500 soles per il disturbo!! gliene do 500 tanto per togliercelo di torno, non ci salviamo più da ladri e profittatori! Intanto sentiamo dire che a causa delle grandi piogge cadute negli ultimi giorni sulla regione, specialmente la notte scorsa, Quito non sarebbe raggiungibile via terra, ma solo via aerea da Guyaquil, ma nessuno sa niente di preciso. Proseguiamo, con un collectivos che parte ogni mezz’ora per la cittadina di confine Zarumilla, questo passaggio ci costa per entrambi 700 soles, contro i 3000 che ci aveva chiesto il taxista. Attraversiamo a piedi il viale centrale dove si trovano gli uffici doganali, tutta la via è sede di un grande mercato. Espletiamo le formalità doganali di uscita dal Perù e di ingresso in Ecuador velocemente, cambiamo un po’ di danaro in “sucres” la moneta ecuadoregna. Alla dogana facciamo conoscenza di Lucie una ragazza francese che lavora per un’agenzia turistica in Messico, ha appena accompagnato un gruppo di turisti in Perù, ora che si è liberata, vuole vedere l’Ecuador da sola, ci chiede di poter viaggiare con noi, naturalmente non abbiamo nulla in contrario. All’agenzia di trasporti Panamericana International, ci assicurano che la strada per Quito è percorribile, parte un bus alle 13,50, lo prenotiamo, nell’attesa pranziamo, il caldo è terribile, l’umidità pesante. Quando saliamo sul bus, all’interno ci saranno 40°, si gronda di sudore, poi quando parte l’aria che entra dai finestrini rinfresca un poco. La strada del villaggio di Zarumilla non è asfaltata, è un mare di fango. In seguito troviamo asfalto, molti posti di blocco. Il paesaggio cambia, ora ci troviamo circondati dalla vegetazione, e da acquitrini, molto bestiame al pascolo, palmeti da banana, questo sono banane gigantesche da cuocere, nel bus ne compriamo una fritta con formaggio, molto buona, vendono anche latte di cocco, mango. Vediamo capanne costruite su palafitte, ovviamente, tutta la campagna è allagata, in alcune cittadine che attraversiamo vediamo l’acqua superare il livello dei marciapiedi, entra nelle abitazioni, il bus avanza lentamente navigando in un mare d’acqua e fango. Di tanto in tanto ricomincia a piovere, al nostro bus non funzionano i tergicristalli finchè è giorno si riesce a vedere qualcosa, ma col buio, specie quando si incrociano altri veicoli con i fari, non si riesce a vedere nulla, eppure il nostro conducente procede imperterrito. Raggiungiamo Quito alle 2,15. Quando eravamo saliti sul bus, una signora peruviana si era raccomandata (considerando la tarda ora all’arrivo) di prendere un taxi con sua figlia diciannovenne che è venuta a Quito a trovare sua sorella sposata, quindi con Lucie siamo in 4, ma si aggrega anche un’altra ragazza colombiana. Col taxi prima accompagniamo la ragazza peruviana nella zona dove abita sua sorella, ma non ricorda l’indirizzo esatto, girovaghiamo per una buona mezz’oretta, alla fine la troviamo. Poi alla ricerca di una camera, a quell’ora non è facile, al Gran Casino non hanno camere, poi il taxista ci suggerisce l‘Interamericano, grazie a dio c’è posto, e che posto! Ottima camera con bagno, pulita e confortevole, sicuramente la miglior camera di questo viaggio. Ci tuffiamo immediatamente sotto le coperte, fa freddo. Oggi primo approccio con le zanzare locali, parecchio fastidiose.

27° giorno Sabato 8-1-1983

Ci concediamo una ricchissima colazione insieme alle nostre compagne di viaggio Lucie e Mariaylena. Perdiamo un po’ di tempo per cercare una cartina dell’Ecuador, visitiamo la Chiesa di Santo Domingo vicino al nostro hotel, poi ci dividiamo. Io e Patrizia ci rechiamo alla estacion terrestre, troviamo un bus per Tena, cittadina dell’Amazzonia a sud est di Quito sul Rio Napo, partenza domani. Ci sediamo su un prato erboso di fronte alla Estacion terrestre, c’è sole ed è ventilato, si sta veramente bene, leggiamo un quotidiano locale, un articolo parla dell’Italia, dice che ci sono delle contestazioni contro il governo a causa dell’austerità adottata in questi giorni, lo documenta una foto di manifestanti davanti a Palazzo Chigi. Alle 15 ci ritroviamo con le nostre amiche in Plaza Santo Domingo, si va a pranzo insieme. Notiamo che qua la vita costa meno che in Perù, ad esempio le bibite costano meno della metà. Poi andiamo a visitare la cattedrale, una grandiosa opera d’arte, l’interno è quasi completamente ricoperto d’oro, il soffitto, le navate, i capitelli sono arricchiti da stucchi e fregi in oro, tutti gli altari laterali sono dorati, l’altare maggiore è un capolavoro d’arte, con numerose nicchie. Quito è una città accogliente, graziosa, pulita, una sua caratteristica, le case in stile coloniale sono dipinte di un candido bianco, le imposte blu, molti balconcini, tutto è ordinato ed anche il traffico stradale sembra attenersi a questa regola. In serata usciamo, passeggiamo per la città, è illuminata con gusto, nei punti strategici. Notiamo che sono in corso numerosi lavori di restauro, specie delle chiese. Lucie non si è sottoposta ad alcuna profilassi antimalarica, né febbre gialla, quindi rinuncia a partire con noi domani per la foresta amazzonica, sarebbe rischioso, proseguirà con Maryelena verso nord, poi forse faranno una capatina in Colombia. Facciamo provvista di viveri pensiamo che nella foresta sia più difficile approvvigionarsi. Oggi giornata con clima piacevole, la simpatica compagnia di Lucie e Maryelena che ci ha parlato del sudamerica. Patrizia ha un notevole ritardo mestruale, pensavamo fosse dovuto ai disagi del viaggiare, ma siccome persiste, oggi abbiamo acquistato in farmacia un test di gravidanza “test de embarazo” stasera lo ha fatto.

28° giorno domenica 9-1-1983

Durante la notte mi sono svegliato, subito a consultare il test: POSITIVO!! Non siamo particolarmente sorpresi, lo immaginavamo, ultimamente avevamo allentato la prevenzione, stavamo maturando l’idea di avere un figlio. Bisogna dire che il test non è affidabile al 100%, ma siamo convinti che sia positivo. Ne siamo felicissimi! Questo naturalmente cambierà molte cose, ho sempre detto che avrei rinunciato ai viaggi solo nel caso avessimo avuto un figlio. Una gravidanza in queste condizioni non è ottimale, se dovessero sorgere complicanze o disturbi di qualsiasi entità, non sarebbe affatto rallegrante. Tempo fa avevo proposto a mia moglie di concepire un figlio durante questo viaggio, lei da buon ginecologo non la riteneva una proposta sensata, ma poi è andata proprio così, speriamo che tutta vada bene, ora dovremo fare maggiore attenzione.

Salutiamo Lucie e Maryelena che prendono un’altra direzione, in taxi raggiungiamo il terminal terrestre, partiamo alle 6,40 con un minibus della compagnia Bańos direzione Tena, la strada sterrata si snoda fra montagne, a tratti veniamo investiti da violenti temporali, e fango, il conducente è un po’ audace, corre. La vegetazione tipica della foresta equatoriale, con alti fusti e fitto sottobosco inestricabile, va gradatamente infittendosi. Dopo 5 ore giungiamo a Tena, prendiamo un altro minibus, ma poco dopo troviamo la strada ostruita da un grosso autocarro ribaltato su un fianco un gruppo di operai con una grossa gru si adopera nel tentativo di liberare la carreggiata, quei poveretti lavorano nel fango. Troviamo un posto di blocco, controllo passaporti e ci danno un modulo da compilare, fra cui una voce: “segnate l’indirizzo cui dobbiamo segnalare se dovesse succedervi qualcosa” accidenti! mica stiamo andando al fronte!?!

Poco più avanti saliamo su di un autocarro, sul cui cassone sono disposti dei sedili, si procede nella foresta, la strada è un fiume di fango, dopo una mezz’ora giungiamo a Misuhualli, piccolo villaggio di baracche sul Rio Napo. Prendiamo una camera all’Hostal Jaguar posto caratteristico costruito interamente in legno e bambù, la mini cameretta con una grande finestra senza vetri, fortunatamente munita di zanzariera, all’interno: solo due letti di stuoie di bambù, neppure un comodino o una sedia su cui appoggiare gli indumenti. La temperatura è alta, il gradiente di umidità è elevato, gli insetti regnano sovrani. Violenti temporali si manifestano a ripetizione, dalla finestre si vede giù il fiume Rio Napo, che scorre fra la vegetazione, è percorso da lunghe canoe a motore. Usciamo sulla veranda, ci serviamo un tè. Ci informiamo sulle possibili escursioni. L’ideale sarebbe scendere il Rio Napo fino al suo confluire nel Rio delle Amazzoni, di qui risalire fino ad Iquitos in Perù, in questo modi ci si potrebbe addentrare notevolmente nella foresta, si potrebbero visitare villaggi di comunità indigene, ma ci dicono che questo programma richiederebbe parecchi giorni, poiché sul fiume si naviga solo poche ore al giorno. Un militare ci dice addirittura che è impossibile poiché le imbarcazione ecuadoregne non possono entrare in territorio peruviano. Scartata questa opzione, si potrebbe fare un trecking a piedi + canoa nella selva. Ci rechiamo all’agenzia che organizza queste escursioni, domani mattina parte un gruppo di 8 persone per un giro di 5 giorni. Patrizia non se la sente di addentrarsi nella foresta, nella sua sopraggiunta condizione. Allora chiediamo se organizzano escursioni di 2 giorni, si può fare ma con un minimo di 4 partecipanti, chiediamo in giro, ma non troviamo adesioni,. Nel nostro albergo c’è Lino, un ragazzo fiorentino, domani scenderà il fiume fino a Santa Rosa, dove si trova una comunità indigena, si fermerà una decina di giorni in questo villaggio in cui non ci dovrebbero essere altri turisti. Altri due italiani sono fuori nella selva da stamane, rientreranno domani. La signora che gestisce l’hostal Jaguar è una brava persona, intelligente, conversiamo piacevolmente a lungo con lei, stima molto gli italiani, tutto il locale è pulito e la gestione è improntata su una linea moderna, contrariamente al livello medio dei gestori di locali che lasciano andare, qua si curano i dettagli ci si accorge della differenza. Ceniamo sulla veranda che funge da bar ristorante, si ascolta buona musica a volume accettabile. Un tubo al neon di colore giallo illumina, penso per via degli insetti. Sono le ore 20,30, la temperatura è mite, si sta divinamente, fumare una sigaretta dopo l’ottima cena, tutto intorno è un concerto di grilli ed altri insetti notturni. Mmmmh come si sta bene!!!

29° giorno lunedì 10-1-1983

Ritorniamo all’agenzia “Sacha” che organizza escursioni nella selva, per vedere se si riesce ad organizzare un gruppo per domani, al momento non ci sono adesioni. Facciamo una passeggiata lungo il fiume, incontriamo donne intente a fare il bucato nell’acqua corrente, ragazzi che fanno il bagno, notiamo una graziosa spiaggetta di sabbia, in parte ombreggiata, ci sediamo, degli uomini stanno trasferendo delle merci da degli autocarri su delle canoe, qui la strada finisce, l’unica via di comunicazione con i villaggi interni è costituita dal fiume. Le grandi canoe sono ricavate integralmente da tronchi di sequoia, alcune saranno lunghe una dozzina di metri e larghe un metro, profonde una sessantina di centimetri, sono equipaggiate con motore fuoribordo, la forma cuneiforme dei natanti e la potenza dei motori, permette loro una notevole velocità. Mentre stiamo osservando, ci invitano a fare una gita, una canoa sta partendo per Santa Rosa, a bordo ci sono tre turisti ed il proprietario dell’hostal Jaguar, accettiamo di partire con loro, sono circa le ore 11. Il fiume in alcuni punti raggiunge una larghezza di un centinaio di metri, si snoda con una serpentina in mezzo alla vegetazione, in corrispondenza dei punti in cui altri piccoli corsi d’acqua si immettono la corrente aumenta ed anche la turbolenza, la canoa ondeggia sui fianchi, invece nel senso longitudinale, data la lunghezza, è estremamente stabile. Dalla foresta scendono verso il fiume numerosi sentieri, ci devono essere parecchi villaggi intorno, si intravedono delle capanne di paglia, alcune costruite su palafitte. All’andata abbiamo il favore della corrente, impieghiamo 75 minuti circa, ci fermiamo in prossimità di un albergo, ne approfittiamo per un drink, in un salone dell’albergo vi è un’ampia rassegna di rettili conservati in vasi di vetro, nel giardino in una gabbia c’è un bel esemplare di jaguaro femmina, su una pianta tre pappagalli dal variopinto piumaggio. Per la risalita contro corrente impieghiamo un paio d’ore, il cielo si rasserena, il sole è infuocato. Rientriamo all’hostal, ordiniamo due “churrasco” un ricco piatto locale, costituito da un pezzo di carne arrosto, due uova all’occhio di bue, riso, insalata e patate fritte, me li ingurgitato quasi da solo, Patrizia non ha appetito, continua ad avere problemi di stomaco, in più ora s’è beccata una bella cistite, infiammazione della vescica, con i disturbi che ne conseguono. Oggi non sta niente bene, in conseguenza di ciò decidiamo di rinunciare all’escursione nella foresta, se domani mattina si sentirà bene andremo in canoa fino a Puerto Francisco de la Orellana, che chiamano anche “Coca”, ci vogliono 7 ore di viaggio, da di là si può prendere un bus per Quito, raggiungibile in una dozzina di ore di viaggio.

30° giorno martedì 11-1-1983

Ci sveglia l’infuriare di un violento temporale, aspettiamo che cessi, ma invano, verso le 10 decidiamo di prendere la via del ritorno verso Quito. Dispiace dover rinunciare sia all’escursione nella foresta che al viaggio in canoa fino a Coca, ma le condizioni atmosferiche e sopratutto lo stato di salute di Patrizia, ci inducono a rinunciare. Giungiamo a Tena che ancora piove, per evitare di percorrere la stessa strada dell’andata, chiediamo se c’è un bus per Riobamba, ci dicono che la strada è interrotta. Alle 12,30 prendiamo un bus per Quito, dove vi giungiamo alle 18,30, a piedi raggiungiamo il centro, abbiamo pochi sucres se prendiamo il taxi non possiamo cenare. Prendiamo una camera all’hotel Gran Casino, è il più frequentato dai turisti come noi, dispone di 300 camere e non è caro, costa 80 sucres. Usciamo per la cena e successiva piacevole passeggiata. Patrizia non sta bene dopo cena ha sforzi di vomito, decidiamo di avviarci a piccole tappe verso Lima. Col maltempo generalizzato che si sta abbattendo su tutto L’Ecuador, non possiamo nemmeno decidere di passare qualche giorno sul mare, dove ci sono belle spiagge, ma non fruibili causa maltempo. Troviamo gli ecuadoregni un popolo gentile, simpatico, conversiamo volentieri con la gente con cui veniamo a contato.

31° giorno mercoledì 12-1-1983

L’hotel Gran Casino, dispone di una sauna, ne approfitto. Giornata dal tempo estremamente mutevole, con sole e pioggia che si alternano continuamente. Quito col sole è ancora più bella. Telefoniamo a casa, qualche acquisto. Decidiamo di passare da Quenca dove domani ci dovrebbe essere un grande mercato. Ci rechiamo al terminal Terrestre, prendiamo il primo bus che parte per Quenca alle 12,30, lo prendiamo convinti di arrivare ad un’ora ragionevole, la strada è ottima, ma questo bus ha un motore assolutamente inadeguato al peso del mezzo, nelle salite quasi arretra anzichè salire, gli autisti sono “lumachevoli”, ho l’impressione che uno dei due non possieda neppure la patente, infatti prende il volante solo fra due posti di controllo. In definitiva i km da percorrere sono 400, ad una certa ora si dovrà pur arrivare!? Siamo tentati dallo scendere e prendere un bus normale. Percorriamo circa metà tragitto, fino a Riobamba in 5 ore. Grave errore non essere scesi a Riobamba, poiché il bus poco dopo imbocca un percorso che si allontana dalla via diretta, marciamo quasi a passo d’uomo fermandoci spesso. Siamo stati dei “polli” a non informarci preventivamente, l’ho anche detto arrabbiato agli autisti, che questo non è un bus per turisti. Sono stati disonesti a trascinarci in questo purgatorio di itinerario, pur di spillarci 400 sucres a testa. Non mi ero mai incavolato tanto in questo viaggio. Parlando con due passeggeri ci confermano che con questa compagnia di nome “Santa” non c’è da meravigliarsi, non è onesta. Il percorso si snoda fra montagne, cime innevate, boschi di eucalipti, in una vallata c’e un banco di nebbia basso tutto arrossato dal tramonto. Arriviamo esausti alle 5 di mattina, bussiamo ad alcuni alberghi, ma ci dicono di essere al completo, non ne hanno voglia di alzarsi a quell’ora. Al quarto tentativo ci accolgono, all’Hotel Inca, molto pulito, senza odori.

32° giorno giovedì 13-1-1983

Ci alziamo alle 10, visitiamo il mercato. Non è all’altezza della sua fama, ne abbiamo visti di più pittoreschi, ma la parte riservata agli indios di Ortavalo è assai caratteristica, indossano i loro costumi tradizionali, gli uomini portano una lunga treccia di capelli che scende da sotto il largo cappello, i costumi delle donne sono eleganti, uno strano copricapo di stoffa, una camicetta bianca di pizzo con maniche svasate larghe, una lunga gonna in velluto nero, al collo una lunga collana color oro rigirata parecchie volte. Vendono ponchos, maglioni, tappeti. Acquisto un poncho. Nella città ci sono diverse belle chiese. Cerchiamo un bus per scendere fino a Tumbes, ma parte alle 20, con arrivo alle 3 di notte, questi ecuadoregni amano viaggiare di notte!!! noi abbiamo già dato! . . Prendiamo il bus della Express Sucre, parte alle 16,30, in 5 ore si raggiunge Machala sulla costa, una settantina di km dal confine. Mattinata di caldo sole, poi appena partiti di nuovo pioggia fino a notte, gran parte del percorso è avvolto dalla nebbia. La strada si inerpica fra le montagne, quando si sale fa freddo, poi quando si ridiscende la temperatura aumenta. Durante il percorso converso con un signore che è stato in Italia anni fa, ne parla con enfasi, ci stima molto come popolo, forse non ci conosce abbastanza?! . . E’ facile comunicare con questo popolo, sono desiderosi di comunicare e noi non ci tiriamo certamente indietro. Appena capiscono che siamo italiani, ci parlano del mumdial di calcio. (vinto l’anno scorso dall’Italia) menzionano sempre Paolo Rossi. I più informati invece ci chiedono notizie politiche, chi legge i giornali sa che la nostra situazione politica non è stabile. E quando mai lo è stata? Specialmente in Perù, ma anche in Bolivia ed Ecuador nelle pagine di politica estera dei giornali locali, non vi è giorno in cui non vi siano notizie sul Papa e dal Vaticano. Giungiamo a Machala con un’ora di ritardo, alle 22,30, piove a dirotto, il signore con cui ho conversato durante il viaggio, ci consiglia un hotel poco lontano, per fortuna ci accolgono. Camera non male, ma ci sono zanzare, fa molto caldo, con elevata umidità, ma la stanchezza prevale su tutto il resto.

33° giorno venerdì 14-1-1983

Ogni mattina puntualmente bel tempo, con sole e caldo. Prendiamo un bus per raggiungere il confine a Zerumilla, si continua nel fango, molto più di una settimana fa quando entrammo in Ecuador. Tutto sommato questa escursione in Ecuador si è rivelata sfortunata, forse non è la stagione adatta, abbiamo trovato solo pioggia e fango, ci dicono che in questa stagione le piogge sono normali sulla costa ma non all’interno, forse questo è un anno eccezionale, fatto sta che non ne possiamo più di questa umidità. Patrizia osserva che quando eravamo a Lima la gente si lamentava per il caldo eccezionale, in Ecuador la gente si lamenta per la troppa pioggia, dicono sia l’anno peggiore da tanto tempo a questa parte. Si dice sempre così!? Siccome in Ecuador la vita costa molto meno che in Perù, la zona a ridosso della dogana è gremita di commercianti. Solo ai turisti vengono richiesti documenti, per gli altri la frontiera è libera, questo è bello! Non ci chiedono mai di controllare i nostri bagagli, e dire che di cocaina fra queste frontiere ne deve passare parecchia. A proposito di cocaina, ce l’anno proposta appena un paio di volte, evidentemente non abbiamo la faccia da consumatori. Non notiamo molta gente con la faccia da drogati, pensavo peggio, non è come in India dove incontravamo spesso giovani col volto stravolto, la facevano uso di eroina. Da Zerumilla partiamo direzione Tumbes, ma percorsi pochi km cadiamo in panne, il conducente si mette a smontare la ruota anteriore destra, ma da come opera non mi convince, saliamo su un altro bus che nel frattempo è sopraggiunto, è stracolmo, difficile trovare lo spazio dove mettere i piedi, fra cartoni, sacchi pieni di bottiglie di bibite (in Ecuador costano la metà) Fortunatamente è breve questo viaggio infernale, giungiamo a Tumbes, ripartiamo poco dopo con un bus della compagnia Roggero diretti a Trujillo. Siamo di nuovo nel deserto peruviano, vediamo degli insediamenti per estrazione petrolifera, con le pompe che girano. Foriamo ancora un pneumatico, ci fermiamo in un piccolo villaggio per ripararlo, veniamo assaliti da nugoli di feroci zanzare. Poco dopo essere ripartiti, si stacca il battistrada ad un pneumatico posteriore, i conducenti tagliano via i fronzoli di battistrada e si riparte, mi si gela il sangue!, dopo un’ora si fermano di nuovo finalmente decidono di sostituire il pneumatico. Non si può certo parlare di sfortuna date le pietose condizioni dei pneumatici che vengono sfruttai fino all’osso, con l’evidente rischio di causare incidenti. Alle ore 0,15 ci si ferma per cenare, si riparte con un altro bus, ma poco dopo una signora inizia a gridare d’aver dimenticato una borsa nell’altro bus, altra fermata. Secondo programma avremmo dovuto raggiungere Trujillo alle ore 1, manco per sogno, vi giungiamo alle 4. Troviamo una camera all’hotel Anexos, l’entrata promette bene, molto bene, ma l’interno delude molto.

34° giorno sabato 15-1-1983

Ci alziamo tardi, andiamo a vedere la Plaza de Armas, anche questa molto bella, vastissima, in stile coloniale, come gran parte della città. Dai portoni aperti possiamo vedere eleganti patii, con balconate in legno ed inferriate metalliche di ottima fattura verniciate di bianco. Cerchiamo un mezzo per per recarci alla spiaggia di Uanchaco, ce lo indicano e ci raccomandano la massima attenzione ai ladrones che ce ne sono in quantità, infatti saliamo su un minibus affollatissimo, stiamo pigiati, io faccio molta attenzione alla borsa che porto tracolla ed al borsello che porto alla cintura, un uomo mi preme sull’anca sinistra, nella tasca sinistra dei jeans ho un portafogli con un po’ di soldi, sopra ho anche la maglia, sto tranquillo, invece poco dopo mi accorgo che nel trambusto mi hanno rubato il portafogli, avevo circa 150000 lire e 70 $, fottuto come un fesso!!! Sono degli artisti del furto questi peruviani, il bello è che ci ho anche pensato al portafoglio che avevo nella tasca, mai avrei immaginato potessero sfilarmelo così, tra l’altro, nella gran calca, dovevo fare anche attenzione a non travolgere una signora incinta che mi stava seduta appresso. Anche se la cifra non è alta, mi hanno rovinato la giornata, proprio a tre giorni dal rientro, al terzo tentativo di furto che subisco, infine ci sono riusciti. E’ la prima volta in tanti anni di viaggi in cui mi rubano del danaro mi fa una tale rabbia!!!. . .Raggiungiamo la affollatissima spiaggia, facciamo il bagno, l’acqua è calda, le onde molto alte. Vorremmo fermarci a vedere le rovine di Chan Chan che sono sulla strada del ritorno, ma dei peruviani ce lo sconsigliano, sono le 16,30, ci dicono che è conveniente andarci di mattina, a quest’ora ci sono pochi turisti e molti ladri. Ormai con questa storia dei ladri ci è venuta la psicosi. Facciamo quattro passi per la città, ci fermiamo presso una pasticceria ad assaggiare il famoso dolce locale “king kong” un biscottone farcito con una crema di frutta, non male. Non manchiamo di offrirci la quotidiana frutta frullata, oggi: mango, papaia, anguria. Vediamo un ristorante italiano, entriamo espone un cartello “pizzeria” , ma la pizza non la fanno, comunque gustiamo delle buone fettuccine all’Alfredo, ah! la pappa di casa!!

35° giorno Domenica 16-1-1983

Colazione al ristorante italiano, il titolare è un veneziano che da otto anni vive in Perù, ci parla della situazione peruviana, nonostante l’inflazione galoppi al 100% annuo, si tira avanti, nelle famiglie peruviane lavorano quasi tutti, si arrangiano, magari anche con i furti, ci dice che di notte c’è gente che esce armata. In Perù è frequente vedere ubriachi, vediamo tavoli con parecchie bottiglie di cerveza vuote.

Lasciamo Trujillo per l’ultima tappa, ormai siamo stufi di bus. Giungiamo per la terza volta a Lima, ancora all’hotel Europa, notiamo che a conferma dell’alta inflazione i prezzi sono lievitati ancora.

Così siamo alle fasi finali di questo viaggio, da come sono andate le cose in questi ultimi dieci giorni, mi sta bene di tornare a casa, Patrizia non sta benissimo, per lei prima rientriamo meglio è, le cose più interessanti le abbiamo viste. Da Trujillo si sarebbe potuto fare una capatina a Huanaco, dicono che la le Ande siano molto belle, ma di percorrere ulteriori km in bus peruviani. . .neanche sotto tortura!!

Come esperienza per quest’anno può bastare. Personalmente sono soddisfatto: ci siamo visti le cose più importanti del Perù, abbiamo riposato la mente, staccando la spina per oltre un mese. Certo se il giro in Ecuador fosse stato un po’ più fortunato, il risultato sarebbe stato completo, ma questo tipo di esperienze hanno sempre qualche lato imprevedibile, l’importante comunque, al disopra di tutto, è di non avere incidenti, e non tornare ammalati. Ora la cosa più importante è lo stato di Patrizia. Cercheremo di stare tranquilli.

36° giorno Lunedì 17-1-1983 (Lima)

Ripassiamo al “fermo posta” non ci sono messaggi per noi. Ci rechiamo alla C.P.Air, per confermare il volo di rientro per domani sera. Sorpresa!?! Incontriamo Paolo e Stefano che stanno confermando il volo a loro volta. dovevano rientrare due settimane dopo di noi, ma Paolo ha accusato ancora dolori renali appena giunti in Brasile, meno acuti rispetto alla prima volta, ma ha pensato bene di anticipare il rientro. Ci facciamo gran festa e via a raccontarci le reciproche esperienze. A parte il problema di salute di Paolo, si sono trovati bene, in Brasile si sono trattenuti poco più di una settimana, sono stati al mare dove hanno conosciuto delle ragazze, hanno visitato il paese, anche loro sono abbronzatissimi, più di noi, anche loro sono dimagriti un poco, ma sono soddisfatti della loro esperienza. Come per noi l’ultima settimana dedita al rientro è stata faticosa e poco interessante. Ieri sera erano venuti a cercarci all’hotel Europa, noi siamo arrivati poco dopo, hanno cenato allo stesso ristorante, ma prima del nostro arrivo, alloggiano in una camera al diciassettesimo piano di un palazzo, questa sistemazione gliel’ha procurata un taxista. Ritorniamo al mare a “La Punta” dove andammo al nostro arrivo. Io e Stefano ci facciamo due bagni. Poi torniamo al ristorante del club nautico, ma non indoviniamo la scelta dei cibi, pazienza ci rifacciamo infine col gelato. Ci dedichiamo agli acquisti. Paolo e Stefano se ne vanno, hanno appuntamento con delle ragazze. In serata ci reincontriamo, ci dicono che essendo arrivati all’appuntamento con mezz’ora di ritardo non le hanno trovate. In Plaza de Armas facciamo la conoscenza di Michelangel, un ragazzo argentino esule politico, conosce un buon ristorante italiano, ci andiamo insieme, ottimo pesce, a tavola Michelangel ci racconta quasi interamente la sua vita, asserisce di essere stato torturato dalla polizia argentina con scariche elettriche ai testicoli, gli hanno lussato un braccio, zoppica a causa delle torture, è divorziato, ha una figlia di 4 anni. E’ senza dubbio un ragazzo molto intelligente, fa delle sottili analisi esistenziali, si esprime con arguzia, dimostra una irrequietezza interiore, è stato molto interessante conversare con lui. Ogni qualvolta abbiamo la possibilità di conoscere e conversare con gente sudamericana, cerchiamo di comprendere al massimo questo popolo così travagliato da governi repressivi, vorremmo comprendere le cause di tanta miseria, del sottosviluppo. Un mese è troppo poco per riuscire a farsi un’idea, per capirci qualcosa, bisognerebbe viverci a lungo, torneremo a casa con molti punti interrogativi,tuttavia siamo contenti di esserci immersi, avuto contatti, posto delle domande, avuto qualche risposta, letto i giornali locali, questo bottino ce lo teniamo stretto. Telefoniamo a Suor Marina, ci invita a pranzo per domani.

37° giorno Martedì 18-1-19

Ultima giornata da spendere a Lima. Giornata grigia, quindi niente mare. Al collegio S.Ana, pranziamo insieme alle sorelle, fra cui quattro italiane e due latinoamericane. Ottimo pranzo di cucina italiana, direi alla romagnola, con vino tinto. Suor Marina ci propone di accompagnarci a visitare lo zoo che si trova nelle vicinanze. E’ molto interessante, sono qui riprodotte varie situazioni peruviane: la sierra, una miniera, la selva con tutti gli animali, simpaticissime le scimmie che si destreggiano in acrobazie volanti, vediamo orsi, fornichieri, coccodrilli, pappagalli dalle piume sgargianti, cigni, puma, giaguari, foche, lama, vigogne, un gruppo di condor, animali a non finire. Viene fuori il sole con un caldo torrido. Suor Marina ha un omaggio per Patrizia, anzi due, una spilla in argento con tipico disegno Inca ed un bambolotto che rappresenta un caratteristico nonno andino assieme ad un lama, regali simpatici, poi ci consegna dei regali da portare ai suoi parenti in Italia. Passiamo ai saluti ed abbracci, abbiamo trascorso qualche piacevole ora con queste brave donne. Ultimi acquisti, Paolo si scatena, compra di tutto e di più, tutti diamo fondo al portafoglio. Dobbiamo abbandonare cose inutili tipo zoccoli e magliette per poter sistemare tutto quello che abbiamo acquistato. Con un po’ di malinconia saliamo sul taxi che ci porta in aeroporto. Non ci stimola il dover lasciare il caldo per tornare al freddo ed alla nebbia del nostro inverno, sopratutto la fatica di dover riprendere il lavoro, ma io personalmente sono pago di questa magnifica esperienza. Il DC10 decolla con un’ora di ritardo alle ore 1,30, scalo a Toronto alle 9,30.

38° giorno Mercoledì 19-1-1983

Giorno di 18 ore, in quanto si va verso oriente, rendiamo le 6 ore che avevamo guadagnato all’andata. Alla dogana di Toronto ci controllano accuratamente i bagagli, ce l’aspettavamo, veniamo dal sudamerica. Dobbiamo aspettare fino alle 16 l’aereo per Milano, io e Stefano proviamo ad uscire dal terminal, la temperatura esterna è di 18° sottozero, non abbiamo neppure gli indumenti adatti, io indosso il poncho, percorriamo un centinaio di metri, rientriamo di corsa per non rimanere assiderati. Questo viaggio di ritorno, come quello di andata è massacrante, due notti senza un letto, solo qualche sporadico pisolino.

39° ultimo giorno Giovedì 20-1-1983

Atterriamo a Milano alle ore 7, in treno fino a Rimini. A casa tutto bene. Quando mettiamo al corrente parenti ed amici che Patrizia è incinta è un coro di complimenti e rallegramenti.

Cosa ci rimarrà nei ricordi di questo magnifico viaggio? Sicuramente la magnificenza delle mitiche Ande, l’esperienza del Camino Del Inca con la visita di Machu Picchu, le popolazioni andine, con i volti quasi violacei per via dei globuli rossi, i loro costumi, le loro musiche, il mitico lago Titicaca con i suoi abitanti, gli Uros, l’impronta misteriosa ed indelebile lasciataci dagli Incas, i misteriosi disegni di Nazca, i tesori aurei visti al museo e nelle chiese, la Valle della Luna a La Paz, il sito di Tyuhanaco, la Foresta Amazzonica, I coloratissimi mercati. Le tante persone che abbiamo conosciuto.

Ma il souvenir più importante e più prezioso che ci siamo portai a casa: è nel grembo di Patrizia.

P.S.

Anno 2015, dopo quasi 33 anni ho deciso di trascrivere questi appunti dal quaderno in videoscrittura.

Se dovessimo pianificare oggi un viaggio simile, Arriveremmo in aereo a Quito e ritorneremmo da La Paz, o viceversa, senza fare tanti “avantindrè”.

Nell’agosto 1983 è nata Alice, Nel corso di questi anni si è laureata in medicina e specializzata in Igiene e Sanità Pubblica, attualmente si trova a Sydney, con ruolo di dottoranda e lavora come ricercatrice presso la locale università, con un incarico di un anno, rinnovabile.

Nel 1990 è arrivato Alessandro, oggi gioca a calcio in serie D e quest’anno si laureerà in Scienze Politiche.

Patrizia ed io abbiamo continuato e continuiamo tuttora a viaggiare in tutte le parti del globo, siamo appena tornati dall’Australia, per visitarla ed incontrare nostra figlia. Siamo sempre stati fortunati ad avere salute e a non avere incidenti.

Ricordiamo come fosse stato ieri, tutto il viaggio in Perù, Bolivia, Ecuador.

Riccardo e Patrizia



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