Vacanze lucane

Una settimana in Basilicata, fra mare e montagna
Scritto da: letisutpc
vacanze lucane
Partenza il: 12/07/2020
Ritorno il: 19/07/2020
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Durante i lunghi mesi del lockdown mai avremmo pensato di poterci concedere una vacanza estiva.

Se si potrà – ci dicevamo “sceglieremo un posto isolato, lontano da tutto e da tutti!

Per caso abbiamo visto una foto di Pietrapertosa, ce ne siamo innamorati e ci abbiamo costruito attorno le nostre vacanze estive 2020.

Organizzazione:

Alloggio: ci siamo rivolti come sempre a Booking, prenotando appartamenti per 1 notte a Matera e per 5 a Pietrapertosa: in entrambe le strutture la permanenza è avvenuta nel pieno rispetto delle norme anti-Covid.

Viaggio: ci siamo mossi anche qui nel modo più sicuro, con la nostra auto.

Guide: Lonely Planet Matera e Basilicata, più tante informazioni trovate on line, nei diari di viaggio di “Turisti per caso” e su un sito su tutti, Basilicatadavedere.com.

Giorno 1: Sassi, sempre sassi, fortissimamente sassi

L’incontro con Matera è stato amore a prima vista, nonostante le 6 ore di viaggio e qualche difficoltà per arrivare in prossimità del b&b, che si trova proprio all’interno del Sasso Caveoso.

L’auto l’abbiamo affidata ad un parcheggio indicatoci dallo stesso b&b: avremmo potuto lasciarla anche per strada, agli inizi di luglio parcheggi liberi se ne trovano facilmente, diciamo che abbiamo preferito una comodità in più.

Dalle finestre della nostra stanza la vista è spettacolare, quindi, tempo di un veloce riposino e, con in mano la cartina fornita dalla nostra host Teresa, partiamo: siamo proprio curiosi di scoprire se il titolo di capitale mondiale della cultura, di cui Matera si è orgogliosamente fregiata nel corso dello scorso anno, sia meritato o meno.

In pochi minuti siamo in piazza Vittorio Veneto: ad accoglierci, l’enorme elefante di Dalì, le cui opere, disseminate per le vie cittadine, hanno fatto da cornice alle celebrazioni del 2019.

La piazza è di forte impatto, dominata dal maestoso Palazzo dell’Annunziata, ex convento settecentesco oggi sede del cinema, della biblioteca provinciale e, all’ultimo piano, dell’Annunziata caffè, dalla cui terrazza pare si goda di una vista spettacolare.

Non è da meno, ve lo assicuro, anche la vista dal belvedere della piazza: il candore delle casette appiccicate una all’altra, i vicoli che scendono e salgono, i balconi fioriti… tutto vi rapirà all’istante.

Al centro della piazza il Palombaro lungo, enorme cisterna realizzata nel 500 come riserva idrica della città, capace di contenere fino a 5 milioni di lt di acqua! Considerati i grossi problemi di approvvigionamento idrico di tante città, Matera fin dall’antichità si è dimostrata all’avanguardia e questo è stato un punto a suo favore per ottenere il riconoscimento Unesco.

Naturalmente è possibile visitare questa enorme cisterna, noi però non l’abbiamo fatto, preferendo proseguire lungo “il Piano”, questo è il nome del quartiere che comprende oltre a piazza Vittorio Veneto anche via del Corso e via Ridola, anime dello shopping materano. Arriviamo alla chiesa barocca di San Francesco: sulla omonima piazza un’altra scultura di Dalì, una figura femminile su un pianoforte dalle sembianze umane. Ad attirare la nostra attenzione è ora la chiesa del Purgatorio, all’inizio di via Ridola, un’apoteosi di teschi, scheletri ed immagini macabre. Al momento è chiusa, scopriremo che apre solo in occasione di mostre temporanee organizzate al suo interno, un vero peccato non poterla visitare.

Su via Ridola si trovano anche il Museo archeologico nazionale e, proprio sul fondo, Palazzo Lanfranchi, sede del museo di arte medievale e moderna e del centro Carlo Levi: chi ci conosce sa quanto amiamo visitare i musei, ma, col poco tempo a disposizione, preferiamo andare alla scoperta di altri aspetti artistici che ci incuriosiscono maggiormente. Una sosta d’obbligo è sulla Piazzetta Pascoli, altro belvedere mozzafiato: la vista, questa volta, spazia sul Sasso Barisano e sulle magnifiche chiese rupestri verso cui ci dirigiamo pieni di aspettative.

Un’ultima nota su questa piazza: quando Palazzo Lanfranchi era una scuola, Giovanni Pascoli, fresco di laurea, vi insegnò latino e greco, dal 1884 al 1886. Chissà quanto ci mise ad arrivare qui, dalla Romagna solatia, il giovane e talentuoso professorino!

Salendo e scendendo per vicoli strettissimi, ci ritroviamo nel cosiddetto cimitero barbarico, una necropoli a cielo aperto con tombe di epoca longobarda scavate nella roccia. Di fronte, una vista spettacolare sulla Murgia. Scendiamo ancora un po’ ed eccoci davanti a Santa Maria delle Malve, la prima delle chiese rupestri, vanto di questa città. Al prezzo di 7 € a persona è possibile acquistare un biglietto cumulativo per vedere 3 chiese rupestri, non necessariamente nella stessa giornata.

Beh, se non ne avete mai vista una, questa vi stupirà con i suoi grandi affreschi dipinti fra l’XI e il XVII secolo, dal forte richiamo all’iconografia greco-ortodossa. Incredibile pensare che questo luogo sia stato usato come abitazione, fino agli anni 60 del secolo scorso! Fra le rocce che circondano la basilica spuntano le tante piante di malva da cui ha preso il nome. Arrampicandoci ancora un po’ fra le stradine raggiungiamo il Convicinio di S. Antonio, complesso di ben 4 chiese rupestri, chiuso per restauri.

Adesso è ora di scendere per arrivare a Santa Maria de Idris, che si trova sullo sperone roccioso del Monterrone, sormontato da una croce di ferro visibile anche da lontano. Il complesso è formato da 2 chiese: santa Maria de Idris e San Giovanni in Monterrone, unite da uno stretto cunicolo. Le immagini dei santi e delle madonne sono tutte molto espressive e di grande suggestione.

Lasciandoci alle spalle queste meraviglie scendiamo fino a raggiungere Piazza S. Pietro Caveoso, affacciata sulla Gravina: l’omonima chiesa è l’unica non scavata nella roccia. Per i cinefili, segnalo che la scena iniziale di “L’uomo delle stelle” di Tornatore fu girata proprio in questa piazza.

Passeggiamo piacevolmente in un’alternanza di vicoli stretti e strade più larghe, tira un po’ di vento, la gente è poca, l’ideale.

Ci fermiamo in una bottega di timbri per il pane, poi davanti a finestre, scale e scalette, accompagnati dalla musica soft che esce dai ristorantini che si stanno preparando ad accogliere gli ospiti per la cena. A tale proposito, decidiamo di uscire dai Sassi: la sensazione provata è quella di uscire da un mondo fatato, ve lo assicuro! Nostra meta è la trattoria Lucana, dove personale gentilissimo ci serve i piatti della tradizione, semplici e saporiti.

Con l’arrivo del buio non vediamo l’ora di ritornare fra i Sassi, per scoprire cose ci riserverà la notte materana. Le tante luci donano alla città un’atmosfera fiabesca e ci portano a camminare senza fretta e senza meta, riempendoci gli occhi di tanta pace e bellezza. Ormai la gente per strada è poca, chissà se era così anche nel periodo pre-Covid, probabilmente no.

Ritrovata la via del nostro appartamento, un ultimo sguardo sul duomo illuminato e ci addormentiamo avvolti dal silenzio del Sasso Caveoso.

Giorno 2: benvenuti nella città dell’utopia

Dalla finestra, una Matera ancora addormentata ci dà il buongiorno ed è veramente ottimo, con un cappuccino ed un pasticciotto consumati al bar San Biagio a pochi passi dal nostro alloggio.

Nostra meta è la Civita, su cui si erge maestosa la cattedrale della Madonna della Bruna. Per arrivarci passiamo dalla deliziosa Piazza del Sedile, con tanti localini e le note di un pianoforte che si diffondono dal vicino Conservatorio.

Eccoci alla cattedrale, in stile romanico pugliese, con il grande rosone e bellissimi fregi sopra i portali. L’interno invece è sorprendentemente barocco, con un affresco del Giudizio universale di Rinaldo da Taranto, autore anche della Madonna della Bruna con bambino benedicente (1270), l’opera più preziosa della chiesa, come ci dice un signore di passaggio. Un altro gioiello da ammirare è il presepe in pietra risalente al 1580. A lato della chiesa il bellissimo palazzo Gattini, ex dimora nobiliare che oggi offre ospitalità a 4 stelle.

Scendendo la scalinata di fronte alla chiesa ci troviamo immersi pienamente fra i sassi ed è una sensazione molto piacevole. Su via Fiorentini visitiamo “I sassi in miniatura”, bellissime riproduzioni in scala realizzate da un artista locale, molto utili per orientarsi in città. Proprio di fronte, la casa grotta ci offre un tuffo nella vita familiare di una famiglia materana in un periodo non troppo lontano da noi: nello spazio umido della grotta si svolgeva la vita e la convivenza di gruppi famigliari numerosi (papà, mamma, almeno 5 figli, nonni) e dei loro animali (asinello, galline, persino un maialino legato al guinzaglio) tutti insieme appassionatamente! Gran parte delle attività familiari venivano svolte fra queste mura, tessitura assieme alla cucina, la cura dei figli assieme a quella degli animali, pare che la mortalità infantile, all’epoca, raggiungesse anche il 50% !

Il caldo comincia a farsi sentire quando arrivamo all’ultima e più grande delle chiese rupestri materane, San Pietro in Barisano: ciò che la caratterizza è la parte sotterranea, con ambienti dedicati alla macabra tradizione della scolatura dei cadaveri dei sacerdoti. Tralascio i particolari, dicendo solo che tale pratica era molto comune nelle chiese del sud Italia.

E’giunta l’ora di andare, seppur a malincuore: salutiamo l’ospitale Teresa, riprendiamo l’auto e via verso le Dolomiti lucane. “50 minuti e siete lì” ci dice il ragazzo che ci riconsegna la macchina: scopriremo che le sue erano previsioni molto ottimistiche.

Percorrendo la strada provinciale basentana, che diventerà uno dei leit motiv della nostra vacanza, il paesaggio assume un aspetto sempre più “montanaro”. Prima di raggiungere Pietrapertosa, decidiamo di fare una deviazione per Campomaggiore, incuriositi dalla storia della comunità utopica creata qui dal conte Rendina verso la metà del 18° secolo. La nostra speranza di mangiare qualcosa si infrange davanti alle saracinesche abbassate dei pochi locali presenti in questo minuscolo paese. La vista da lontano di Campomaggiore vecchio ci fa però subito dimenticare il forzato digiuno.

Entriamo in questo paese fantasma, dove troviamo una squadra di operai occupati in lavori di manutenzione. Davanti a noi i resti della grande dimora patronale, della chiesa e delle abitazioni dei contadini.

Questo conte Rendina, personaggio illuminato dalle teorie politiche europee del 1700, decise di dare vita proprio qui al suo piccolo sogno utopico: precise regole scandiscono la vita della comunità, a ciascun nucleo familiare è assegnata una casa ed un appezzamento di terra e le condizioni igieniche sono ottimali. Tutto questo fa sì che a fine 800 il paese conti più di 1500 abitanti.

Sarà una frana ad infrangere i sogni del conte e a distruggere tutte le abitazioni, fortunatamente senza vittime.

Tutti gli anni (a parte questo, per ovvi motivi), nel mese di agosto la città dell’utopia torna a rivivere: una serie di manifestazioni quali spettacoli teatrali, danze ed altre attività per grandi e bambini, riportano alla luce il sogno del conte. Gli altoparlanti sistemati nei vari ambienti sopravvissuti, riproducono i suoni e le parole della vita quotidiana dell’epoca. Molto interessante è l’orto botanico, popolato da una moltitudine di piante officinali, roseti e svariate specie di alberi e arbusti.

Gli operai ci spiegano che stasera ci sarà l’inaugurazione del parco, anche se per l’estate in corso non sono previste manifestazioni turistiche.

Prima l’incanto di Matera, adesso la città fantasma: direi che la Basilicata sta mantenendo tutte le sue promesse, anche in negativo, come scopriremo tra poco.

Avevamo letto che, soprattutto nelle zone di montagna, i distributori di benzina erano pressoché inesistenti. Per questo motivo, visto che il nostro serbatoio è quasi vuoto, intercetto il postino locale per chiedergli dove trovare il benzinaio più vicino. “Ad Albano Lucano, a 7 km da qui, non potete sbagliare, è vicino al cimitero!”

Arriviamo ad Albano ma vicino al cimitero del distributore non c’è ombra: non sarà anch’esso un’utopia? Lo troveremo nel centro del paese, proprio in mezzo alla piazza. A questo punto head to Pietrapertosa, ma non è così semplice, segnaletica inesistente, nessuno a cui chiedere: ci arriveremo stremati, dopo 40 minuti di sali-scendi. evidentemente prendendo una strada sbagliata. Comunque siamo qua, la proprietaria del nostro b&b ci accoglie e ci guida per i vicoli labirintici dell’arabata, antico quartiere arabo di Pietrapertosa. Anche la nostra abitazione è in stile rustico montanaro, con qualche contaminazione araba. A noi lascia un po’perplessi ma non manca niente e soprattutto le normative anti-Covid sono state rispettate al 100% dall’efficiente Sabrina.

Visto che ormai si è fatta ora di cena, scendiamo verso il centro alla ricerca di un ristorante: ne troviamo subito uno, il menù ci stuzzica, ma appena varchiamo la soglia scopriamo che stasera è chiuso per una festa privata. Fortunatamente il secondo ed ultimo ristorante del paese è aperto: in una grande sala stile anni 80 un menù lucano ci rimette in sesto e ci riconcilia con il mondo. Rimandata l’esplorazione del paese ad altra data, fra gli svolazzi della tenda araba del nostro letto ci concediamo un sonno meritato e ristoratore.

Giorno 3: fra paesi fantasmi e la Magna Grecia

In questa bella giornata di sole, decidiamo di dedicare ancora il nostro tempo alla provincia di Matera, dirigendoci prima verso Craco poi verso la costa metapontina. Discendiamo gli 11 km di tornanti che da Pietrapertosa ci portano sulla Basentana, facendo anche un piacevole incontro con un bel gregge di capre. Ci immettiamo poi in una strada tanto bella quanto dissestata e deserta. Il paesaggio è incredibilmente arso e a farci compagnia, per buona parte del viaggio, oltre che una spassosissima trasmissione di una radio locale, dei fantastici calanchi incredibilmente grigi e sabbiosi. Finalmente, sul cucuzzolo di una collina, appare Craco, altra città fantasma con una storia molto simile, anche se più recente, a quella di Campomaggiore: popolata da più di 2000 abitanti, nel 1963 Craco crollò a causa di una frana e di opere di risanamento tanto costose quanto inutili. Anche a Craco, per fortuna, non ci furono vittime da piangere, ma non si può pensare alla rabbia ed allo smarrimento di chi perse tutto e fu costretto a trasferire la propria vita ed il proprio mondo altrove, nell’anonima frazione di Craco Peschiera, qualche km più a valle. “E là nell’ombra delle nubi sperduto giace un paesetto lucano” Così sta scritto sul muro che doveva arginare la frana ed il borgo appare proprio così, immobile e sperduto, ancora fermo al 1963, chiuso fra le reti protettive che ne preservano la storia.

Parcheggiamo all’ombra, cercando qualche indicazione. Per fortuna avevo il contatto della cooperativa che organizza le visite guidate, una telefonata e in pochi minuti raggiungiamo il convento di san Pietro, posto oltre il paese, appena in tempo per partecipare, assieme ad un’altra quindicina di persone, alla visita guidata.

La parte introduttiva della visita si svolge fra il chiostro del convento ed un’aula didattica dove ci viene illustrata la storia di Craco attraverso foto d’epoca che documentano la vita quotidiana del paese attraverso le feste, i personaggi, le processioni, tante tessere di un mosaico sociale che è stato distrutto in un attimo sia dalla natura infausta che dalla imperizia umana. Le foto che mostrano il prima/dopo sono impietose: dalla vita alle macerie in un attimo.

Unico aspetto positivo il fatto che Craco, proprio per la sua particolarità, sia e sia stato set di tante produzioni cinematografiche, da “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, a “Cristo si è fermato ad Eboli” di Francesco Rosi, la “Passione di Cristo” di Mel Gibson e “Basilicata coast to coast” di Rocco Papaleo, solo per citare i più famosi.

Finita l’introduzione risaliamo in auto e parcheggiamo nei pressi del paese fantasma: con indosso bellissimi caschetti protettivi gialli seguiamo la nostra guida lungo il percorso messo in sicurezza. Le foto si sprecano per immortalare la vita del passato raccontato con dovizia di particolari ed aneddoti. Tale era l’attaccamento al paese, che gli ultimi abitanti abbandonarono Craco negli anni ’90, ben 30 anni dopo la frana devastatrice. Oggi, l’unica famiglia che abita qui è quella di alcuni asinelli, che brucano indisturbati tra le macerie. Sbirciando fra i portoni dischiusi, guardando l’azzurro ancora acceso delle pareti aldilà dei terrazzi viene in mente una frase detta da Rocco Papaleo in Basilicata coast to coast: “Craco non ha retto la modernità, a me piace pensare che l’ha rifiutata”.

Lasciamo il paese con un velo di tristezza, ma anche contenti di aver contribuito, nel nostro piccolo, a far sì che i lavori di messa in sicurezza del borgo possano proseguire e permettere ancora a tanti visitatori di passeggiare in questo posto tanto triste e struggente.

Risaliti in auto ci fermiamo a Craco Peschiera, dove, nell’unico negozio di alimentari compriamo 2 buonissime focacce che mangiamo seduti in un parchetto bevendoci una bella Raffo, la birra dei 2 mari, prodotta a Taranto, non troppo lontano da qua.

Dopo questo pranzo frugale siamo pronti a scoprire le altre bellezze che la giornata ci riserverà: con un tuffo a ritroso di parecchi secoli, eccoci a Metaponto, una delle colonie della Magna Grecia. Le Tavole Palatine, 15 colonne in stile dorico, sono ciò che resta di un tempio costruito nel VI° sec. a.C. in onore della divina Hera. Il sito è incredibilmente bello (e deserto), fra pini ed oleandri, un’oasi di pace e silenzio in mezzo al nulla. Vorremmo visitare anche il Parco archeologico, che però troviamo chiuso quindi tutti al mare, dove arriviamo dopo che il navigatore ci ha indirizzato lungo una fantastica strada sterrata e senza uscita. Evviva la tecnologia!

Il lido di Metaponto è sonnacchioso, in queste prime ore del pomeriggio: ci sediamo ad un bar per un bel caffè ghiacciato, poi ce ne stiamo un paio d’ore in spiaggia davanti ad un mare bellissimo. Al tramonto torniamo fra le nostre montagne, già pregustandoci una bella cenetta alla “Locanda di pietra”, ma ahimè, oggi è turno di chiusura e ci dobbiamo accontentare ancora una volta delle penne portate da casa, e della birra Raffo.

Giorno 4: nel Vulture

Oggi finalmente ci dedicheremo alla provincia di Potenza, in particolare ai paesi del Vulture, patria di Orazio e dell’Aglianico, uno dei vini più noti dell’Italia del sud.

Prima tappa Venosa, dove arriviamo a metà mattina: abituati alla calma di Pietrapertosa, il traffico e il fermento di questo paese di poco più di 11 mila abitanti quasi ci disorientano. Di antica origine sannita, Venosa diede i natali ad Orazio, celebrato da un’imponente statua nella piazza omonima e da tante citazioni dalle sue opere che si rincorrono sui muri del paese. In una traversa di Corso Vittorio Emanuele ci sarebbe anche la sua casa natale: vera, presunta? Chissà … oggi comunque inesorabilmente chiusa, così come gran parte dei locali che si affacciano sulla bella Piazza Umberto I, su cui sorge il castello di Pirro del Balzo, edificato nel 15° secolo a fini difensivi. Attualmente il castello è sede del museo archeologico, della biblioteca pubblica e anche dell’enoteca regionale lucana. Avendo già in mente di visitare un castello nel pomeriggio non entriamo, prossima fermata parco archeologico! Prima del parco però visitiamo l’adiacente Abbazia della Santissima Trinità: l’orario di chiusura è previsto per le 12, con riapertura alle 16, quindi sbrighiamoci!

Fondata dai benedettini a metà dell’anno 1000 su una precedente chiesa paleocristiana del V° secolo, è un luogo molto suggestivo, reso ancor di più dai canti gregoriani che riecheggiano fra i suoi ampi spazi. Da non perdere gli affreschi della navata centrale, risalenti ad un periodo compreso fra il 13° ed il 15° secolo, i pavimenti a mosaico, la tomba semplice ed austera di Alberada, moglie ripudiata di Roberto il Guiscardo, che le preferì una principessa normanna. Doveva essere un tipo tosto, questo Roberto, se veniva soprannominato “terror mundi”! La sua, di tomba, è molto più appariscente e si trova nella navata destra della chiesa.

La storia dice che nell’11° secolo i benedettini, giudicando l’abbazia insufficiente a contenere i tanti fedeli, si tuffarono in un faraonico progetto di ampliamento della zona dietro l’abside, al fine di creare un’unica grande basilica. Ma vuoi per la difficoltà di reperimento fondi, vuoi per la soppressione del monastero voluta da papa Bonifacio VIII alla fine del 13° secolo, l’opera faraonica divenne l’attuale “Incompiuta” che fra poco visiteremo all’interno del parco archeologico.

Il biglietto di accesso costa 4 € e consente di vedere, nell’arco di 3 giorni, anche il museo archeologico nazionale ed il castello di Melfi: conveniente, direi!

Entriamo nel parco alle 12, sotto un sole che spacca: fortunatamente ogni tanto arriva qualche nuvola in nostro soccorso. Le cose da vedere ci prendono talmente che il sole è proprio l’ultima delle nostre preoccupazioni.

La colonia latina di Venusia fu fondata alla fine del 200 a. C. e sopravvisse per un lungo periodo, fino all’età medievale.

Il parco è composto da una domus, le terme, che conservano un pavimento a mosaico con pesci guizzanti ed altre figure marine, altre unità abitative, l’antica basilica del V-VI secolo e l’Incompiuta, oltre all’anfiteatro che non è visitabile e si trova all’esterno del recinto museale, dall’altra parte della strada.

All’interno dell’Incompiuta sono presenti elementi di varia provenienza, fra cui anche l’anfiteatro. In quella che fu la prima cattedrale di Venosa ammiriamo i resti di un bellissimo pavimento con al centro una testa di Medusa perfettamente conservata ed una vasca battesimale esagonale. Lungo tutto il percorso cartelli esplicativi molto esaurienti, peccato che gli unici visitatori siamo noi ed un’altra coppia.

Quando usciamo, percorrendo a ritroso gli stretti vicoli del paese, già pregustiamo un bel pranzetto di specialità lucane annaffiate da Aglianico, ma tutta la allegra moltitudine del mattino sembra svanita nel nulla, i locali, a parte i bar, sono chiusi e non ci resta che comprare dei panini e qualche dolce in un minimarket gestito da 2 simpatici proprietari con cui ci fermiamo a chiacchierare del brutto periodo purtroppo ancora in corso. Pranzo frugale ai giardinetti poi, recuperata l’auto, ci spostiamo verso Melfi, percorrendo una strada a tratti assolatissima che mi ricorda tanto il film di Salvatores “Io non ho paura”, che guarda caso fu girato proprio in queste zone.

Il castello di Melfi, inconfondibile nel suo aspetto squadrato, comincia ad apparire in lontananza sopra la collina, però bisogna arrivarci, a piedi e sotto il sole pomeridiano!! Un simpatico vecchietto ci viene in aiuto indicandoci una scorciatoia fra i vicoletti a gradini.

Eccolo qua, il castello, edificato, indovinate un po’, da Roberto il Guiscardo, sempre lui!

Il maniero fu anche una delle dimore preferite di Federico II, che qui vi promulgò le Costituzioni malfitane. Dopo il dominio di Svevi, Angioini ed Aragonesi, il castello divenne dimora dei nobili genovesi Doria, a cui si deve una bella collezione di quadri, soprattutto nature morte con soggetti di caccia, custodite nella quadreria. Un altro gioiello da non perdere è il sarcofago di Ripolla, una bellissima donna dormiente in marmo bianco, risalente al II secolo D.C.: di fronte ad esso, in un allestimento semplice ma molto suggestivo preparato per le celebrazioni di Matera 2019, il sarcofago di Atella, proveniente dal museo archeologico di Napoli. Un confronto di grande effetto che celebra due delle tante meraviglie dell’arte lucana di epoca romana, mettendo in luce, nella bellezza e ricchezza dei due manufatti, l’importanza della zona del Vulture in età imperiale romana.

Nel resto del museo una ricca raccolta di reperti di vario genere (vasi, suppellettili, armi, gioielli) provenienti da tombe sontuose rinvenute nelle numerose necropoli del Vulture, a ribadire l’importanza avuta dalla Lucania dalla preistoria in poi.

Per gli amanti del “gossip” segnaliamo che fu proprio in questo castello che Roberto il Guiscardo mandò in esilio la moglie ripudiata Alberada, per poter sposare Sichelgaita da Salerno. Nomi più semplici no?

Usciti dal castello ci dirigiamo verso la cattedrale: facciata barocca e campanile normanno su cui sono impressi due grifoni simboli appunto della dinastia normanna.

Scendendo per stradine silenziose arriviamo al centro del paese che si sta animando per lo struscio pre-serale.

Lungo la Basentana veniamo sorpresi da un forte temporale che ci costringe a ripararci in una stazione di servizio.

Lungo i tornanti che ci riportano a casa il tempo non cambia e Pietrapertosa ci accoglie sotto la pioggia.

Riusciremo a cenare al ristorante? La risposta nel suono monotonamente libero del telefono.

Vabbè, anche stasera penne, al pesto però!

Giorno 5: Maratea, ma quanto sei lontana?

Oggi è l’unico giorno utile per andare a Maratea, quindi si parte! Partenza alle 10, arrivo alle 15, vogliamo parlarne? Della pessima viabilità di Potenza che manda in tilt il navigatore facendoci percorrere più volte le stesse strade come in un perverso gioco dell’oca? O delle strade alternative senza fine? In fin dei conti è una vacanza, quindi parliamo anche di un delizioso agriturismo di campagna, “L’aia dei cappellani”, dove consumiamo un ottimo pranzetto con specialità del luogo in un ambiente tranquillo e rilassato. Poi sfatiamo una volta per tutte il mito negativo della Salerno Reggio Calabria: per quel poco che l’abbiamo percorsa ci è sembrata scorrevole, senza lavori in corso e soprattutto gratuita!

Cala Jannita, la spiaggia di sassi neri di Maratea dove ci fermiamo qualche ora è troppo bella e rimarremmo volentieri qui sotto al pergolato dello stabilimento balneare a berci la nostra Corona ghiacciata, ma tante ore di viaggio ci spingono a lasciare a malincuore questo meraviglioso lembo di Lucania che è quasi Calabria.

Percorrendo la litoranea che ci porterà all’autostrada la costa appare magnifica, tanto che ci ripromettiamo di ritornare per una vacanza di solo mare. Lo faremo? Speriamo.

Il ritorno si rivela migliore dell’andata: usciti dall’autostrada azzecchiamo subito la direzione giusta. Il navigatore, dopo lo sbandamento mattutino, è tornato a ragionare e quando ci immettiamo sulla vecchia cara Basentana ci sentiamo quasi a casa.

Non abbiamo però fatto i conti con il meteo delle Dolomiti lucane dove, in nostra assenza, è piovuto un bel po’ e man mano che saliamo lungo i tornanti il paesaggio, più che lucano, sembra transilvanico. Pioggia, una nebbia che avvolge le montagne rendendole inquietanti, ma anche bellissime. Arrivati verso le 22.30, troviamo tutti i parchimetri del paese fuori uso e nessuno, tranne noi, per strada. Per fortuna intercettiamo i carabinieri che ci consigliano di lasciare un biglietto sul cruscotto dell’auto: domani, con la ripresa del “Volo dell’angelo” i vigili saranno in servizio, quindi meglio non rischiare. Scriviamo il biglietto, incrociamo le dita e a nanna. A proposito, oggi è venerdì 17!

Giorno 6: il volo dell’angelo ed altre meraviglie

Dopo il tour de force dei giorni scorsi, oggi decidiamo di rimanere nei paraggi, dedicandoci alla scoperta del paese che ci ospita ormai da diversi giorni ma che conosciamo ancora poco. Dopo colazione ci fiondiamo verso il parcheggio, trovando l’ausiliario del traffico proprio davanti alla nostra auto: niente multa, per fortuna! I parchimetri poi sono stati riparati, così paghiamo la tariffa giornaliera e ci mettiamo il cuore in pace.

A Pietrapertosa c’è un’insolita animazione: tanta gente per strada, auto, moto, musica, insomma aria di festa. Giriamo senza una meta, entriamo nei negozi e facciamo acquisti sia per il pranzo di oggi (i famosi peperoni cruschi, strascinati, dolcetti ripieni) che da portare a casa come ricordo. Saliamo poi al castello Normanno Svevo, scavato nella roccia: il panorama, da quassù, è veramente notevole, con il paese di Pietrapertosa rannicchiato fra le vette dolomitiche, le pale eoliche in lontananza che girano lente ma inesorabili. Ogni roccia ha una forma particolare, una assomiglia ad una grande lepre, un’altra a Lucy van Pelt, la ragazzina petulante dei Peanuts.

Invece di entrare nel castello, scendiamo verso il punto di partenza del “Volo dell’angelo”, l’attività adrenalinica fiore all’occhiello del paese, ovvero un volo di 1 km e ½ da fare appesi ad un cavo d’acciaio a 400 metri di altezza. Destinazione Castelmezzano, il paese gemello di Pietrapertosa. Non a caso nel film “Un paese quasi perfetto”, girato proprio qua, il paese in questione si chiamava Pietramezzana, per non scontentare nessuno dei due paesi.

Si può volare da soli od in coppia, il volo dura poco più di un minuto al prezzo di 40 € a testa. Nel tempo che siamo rimasti ad osservare, sono volate decine di persone di tutte le età, alcune con un sangue freddo incredibile, altre pentite e sul punto di abbandonare l’impresa. Se vi va, guardate i tanti filmati presenti su Youtube: adrenalina pura!

Noi proseguiamo la passeggiata, dedicandoci alla visita molto più soft della quattrocentesca chiesa madre di san Giacomo, contenente bellissimi affreschi fra cui un “Giudizio universale” davvero notevole. Un altro gioiello del paese è il convento di san Francesco d’Assisi, anch’esso del 400, al momento chiuso per restauri.

Fra le cose da fare a Pietrapertosa anche il “percorso delle 7 pietre”: noi non l’abbiamo intrapreso per mancanza di tempo, ma pare sia interessante.

Ormai si è fatta l’ora di pranzo e nella nostra casetta consumiamo parte dei cibi acquistati, davvero ottimi.

Nel pomeriggio raggiungiamo Castelmezzano, il gemello di Pietrapertosa, altrettanto minuscolo è suggestivo. Il balcone adorno di gerani che dalla piazza si affaccia sulle montagne da solo vale la visita. Anche qui, fra le minuscole stradine, c’è molta animazione. Tutto è estremamente ordinato: cartelli esplicativi posizionati in varie parti del paese ne raccontano la storia attraverso eventi e personaggi famosi. Anche l’ospitalità è di casa, a giudicare dal gran numero di b&b che incontriamo passeggiando. Anche qui c’è un castello Normanno, o meglio i ruderi, che raggiungiamo inerpicandoci fra i vicoli.

Stasera finalmente siamo riusciti a prenotare in un ristorante di Pietrapertosa, o meglio una pizzeria, il “Baronetto”, che si trova proprio in fondo al paese. Evviva!!! La mia pizza ai friarielli è buonissima, altrettanto quella gigante di Francesco.

Questa è la nostra ultima sera di vacanza, un po’ tristi ci arrampichiamo per i vicoli dell’Arabata, ormai per noi senza più segreti.

Giorno 7: back home

Ebbene sì, la nostra vacanza di prossimità è ormai finita. Con un po’ di malinconia percorriamo i tornanti che ci portano a valle, il solito gregge di capre ci taglia la strada, fra allegri scampanellii. Un cielo azzurro con basse nuvole bianche ci accompagna lungo strade semideserte fino ad una autostrada, la A14, che presto diventa molto caotica.

Che dire della nostra vacanza in tempo di Covid? Indubbiamente strana, ma questo ce lo aspettavamo. Quel po’ di Lucania che siamo riusciti a vedere in 6 giorni ci è molto piaciuta per i suoi scenari sempre diversi, alcuni davvero sorprendenti e parlo di Matera, delle Tavole Palatine e delle zone archeologiche, i calanchi, le strade ripide e assolate, il bellissimo mare.

Consigliamo a tutti di venire, magari prendendosi più tempo, perché questa è una terra che va scoperta con calma, per gustarne al meglio la bellezza ed i tanti segreti che nasconde.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche