VIRGEN, Tirolo Orientale, Austria

Al termine di un percorso di avvicinamento iniziato nel 2003, abbiamo trascorso le vacanze ‘lunghe’ di agosto in montagna. Un obiettivo perseguito con pazienza e determinazione, sempre ben chiaro fin dall’inizio. Tutt’altro si può dire riguardo alla meta. L’idea del Parco Nazionale degli Alti Tauri era nata negli anni scorsi, ma...
Scritto da: catcarlo
virgen, tirolo orientale, austria
Partenza il: 04/08/2007
Ritorno il: 18/08/2007
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
Al termine di un percorso di avvicinamento iniziato nel 2003, abbiamo trascorso le vacanze ‘lunghe’ di agosto in montagna. Un obiettivo perseguito con pazienza e determinazione, sempre ben chiaro fin dall’inizio. Tutt’altro si può dire riguardo alla meta. L’idea del Parco Nazionale degli Alti Tauri era nata negli anni scorsi, ma dell’esistenza di Virgen siamo venuti a sapere solo una volta ricevuti i cataloghi richiesti su vari siti internet. A quel punto, confrontando le foto delle varie località e aiutati anche dalle immagini di un appartamento veramente bello (e libero), la scelta è caduta su Virgen.

E’ andata bene. Molto bene.

Sabato 4 agosto Il giorno era segnalato con il “bollino nero” dalla Società Autostrade, come indicazione di traffico caotico all’inverosimile. Per tutta la settimana, giornali e TV si erano premurati di ricordarci che praticamente mezza Italia – per non contare gli stranieri – si sarebbe messa in movimento quel giorno. Non ce ne siamo accorti: tante auto, ovviamente, ma non di più rispetto agli analoghi fine settimana degli anni scorsi. Piuttosto, abbiamo incontrato un notevole numero di camion, nonostante il supposto blocco iniziato alle ore 7.

Un viaggio tranquillo, iniziato alle 5 circa e terminato verso le 10: solo un po’ di traffico sulla A4 e tra Affi e Ora. Il tratto più pesante è stato l’attraversamento della Val Pusteria, 70 km di curve e mezze curve da Bressanone a Prato alla Drava che Chiara ha patito notevolmente. Per fortuna, una volta giunti in Austria la strada migliora, e sia la discesa verso Lienz, sia i 35 km che ancora ci separavano dalla nostra meta sono trascorsi senza difficoltà.

Virgen ci ha accolto in una giornata di sole e cielo sereno. Situato sul dolce pendio a nord dell’ampia vallata che ne prende il nome, il paese gode di un numero di ore di sole molto alto per una località di montagna: al mattino presto la luce proviene dall’ampio sbocco della valle verso Matrei, per poi spostarsi sino a tramontare, a sera inoltrata, dietro al Rötspitze e al gruppo del Großvenediger che chiude il sipario ad ovest. Tutto il bacino formato dal fiume Isel è verdeggiante: ampi prati delimitati da un gran numero di piante vengono sostituiti, man mano che si sale, da vasti boschi di conifere che si arrampicano fino ai 2000 metri. Oltre ci sono le montagne: a sud il severo gruppo del Lasörling, con le sue rocce scure; a nord e, come detto, ad ovest il Venediger con il ghiacciaio che occhieggia da lontano (per vederlo bisogna camminare); ad est oltre Matrei, in lontananza e più brulli, il Goldried e la Cima di Granato a nascondere il Großglockner..

I centri abitati sono piccoli e ben inseriti nell’ambiente, senza forzature dovute all’edilizia per i villeggianti o agli impianti di risalita che, semplicemente non esistono. Un supermercato, pochi negozi, qualche albergo a conduzione familiare e molte case ben curate costituiscono i due centri principali, Prägraten e, appunto, Virgen. Che quest’ultimo sia il capoluogo lo si capisce dal suo essere un po’ più ‘paese’, con il municipio ed una piccola zona pedonale attrezzata con panchine e fontanella, ma la tranquillità regna sovrana ovunque.

Anche l’appartamento non ha tradito le attese. Sito in una casa a 5 minuti a piedi dal centro e lontana dalla strada, consisteva in una mansarda completamente attrezzata ed arredata con estremo buon gusto, dotata oltretutto di un ampio balcone rivolto a sud verso prati, boschi e gruppo del Lasörling. Ci siamo arrivati in anticipo, erano ancora in corso le pulizie, è così, per far passare il tempo, abbiamo fatto una passeggiata in centro, con colazione sulla terrazza del bar/panetteria Joast, che diventerà il nostro punto di acquisto per pane e dolci in tutti i giorni a venire. Al ritorno, si son fatte le solite faccende di ogni arrivo – un breve pranzo, disfare le valigie – nonché un piccolo sonnellino. Per chiudere la giornata, abbiamo provato a far volare l’aquilone di Chiara nel prato davanti a casa: nonostante le ampie dimensioni e la leggera pendenza, l’esperimento può dirsi sostanzialmente fallito.

Domenica 5 agosto La giornata si è presentata subito come splendida: cielo di un azzurro intenso e nemmeno una nuvola all’orizzonte. Le condizioni meteorologiche non sarebbero mutate fino a sera, ma, purtroppo, non si sarebbero più ripresentate nei giorni seguenti.

Ambientarsi in un nuovo posto non è sempre semplice, e così abbiamo deciso per la gita che appare più a portata di mano, nonché più scontata: le cascate di Umball. Si segue la strada che percorre la valle sin dove è possibile, dopo aver passato Prägraten ed un altro paio di località, e si lascia l’auto al parcheggio di Stroden (5 euro, c’è uno sconto con la carta degli ospiti, ma lo scopriremo solo in seguito). A questo punto si prosegue lungo una strada bianca che attraversa il bosco e giunge sino ad un’ampia radura in cui ci sono le malghe Pebell e Islitzer… che più che malghe sono ristoranti a tutti gli effetti (1.513 m). Un tratto semplice,di circa un’ora che è stato complicato dal caldo, dal fatto che non girasse aria e dal continuo passare di auto che portavano gente del posto ad una festa con musica presso la malga Pebell. Il tratto è percorribile anche su una carrozza trainata da cavalli, ma siamo riusciti a resistere alle richieste di Chiara di salirvi sopra.

Dalla radura, la strada inizia a salire più ripidamente. Dopo cinque minuti si stacca sulla destra il sentiero panoramico che costeggia le cascate, scavato una trentina d’anni fa tracciando un passaggio nella roccia e costruendo gradini in legno a strapiombo sull’acqua che scende. Il percorso è corredato da una serie di punti panoramici e da alcune tabelle di spiegazione, solo in tedesco, soprattutto sulla flora e sulla fauna. Lo spettacolo di quella che è la più a valle delle cascate di Umball è impressionante: l’Isel, gonfio di acqua, rimbomba e spumeggia fra i grandi macigni che ne segnano il percorso mentre precipita verso il basso. La portata, già alta a mezzogiorno quando l’abbiamo visto noi, aumenta con il passare delle ore e il crescere della temperatura, sino a giungere il suo apice al tramonto.

La salita è durata un’ora abbondante, lamentele e fermate di Chiara incluse, ed è terminata in una piccola alpe in cui il fiume, per un attimo calmo, raccoglie l’acqua di altri torrentelli che scendono da tutti i versanti. Si è ormai a oltre 1.800 metri, e le piante hanno lasciato quasi del tutto il posto ai prati e agli arbusti. Abbiamo udito il fischio di numerose marmotte, ed alcuni turisti si indicavano l’un l’altro un pendio su cui doveva essere un cervo che noi non siamo riusciti a vedere: comunque gli istinti animalisti di Chiara sono stati placati da una pecora ed una capra presenti in un recinto.

Da questa radura, gli uomini di buona volontà possono proseguire lungo la strada bianca che, in un paio di ore, giunge al rifugio Clara dopo aver costeggiato il tratto a monte delle cascate. Noi abbiamo preferito imboccare la medesima strada, ma in senso opposto per tornare alle malghe e cercare un posto dove mangiare.

Impresa che si è rivelata non facile. Come già accennato, alla Pebell c’era una festa locale con tanto di musicisti e, ovviamente, nessun posto per chiunque altro. Così ci siamo appostati nei pressi della Islitzer, dove i tavoli erano tutti occupati. Ne abbiamo puntato una serie, e alla fine ci siamo impossessati di uno che aveva il solo difetto di essere in pieno sole. Una serie di spostamenti e di maneggi con l’ombrellone ci hanno infine consentito di pranzare almeno con la testa all’ombra. Per Giulia e Chiara è stata la prima di una serie di Wienerschnitzel, mentre io ho assaggiato i Tiroler Schlipfkrapfen. Sono dei grossi tortelloni con un ripieno di patate che vengono serviti annegati nel burro fuso, per un piatto ipercalorico ma gustoso e che dissuade a mangiare altro. Solo due difetti: vengono conditi anche con un formaggio puzzolente che ho dovuto rimuovere con cura, e il loro nome è quasi impronunciabile.

Lunedì 6 agosto La mattinata si è presentata come quella del giorno precedente e così abbiamo deciso di prendere la cabinovia che da Matrei sale a Goldried e di percorrere il sentiero panoramico Europa che, con un percorso quasi pianeggiante in quota, offre una vista a 360° su tutte le montagne circostanti. Anche se durante la giornata si sono poi presentate numerose nuvole, sono rimaste alte e dal punto di vista meteorologico la giornata è stata più che positiva.

Dopo aver pagato 42 euro più 20 di caparra, riottenibili alla consegna dei biglietti al ritorno, siamo saliti su una delle comode cabine a otto posti e, in circa un quarto d’ora, abbiamo raggiunto la stazione a monte, che è situata alla base del comprensorio sciistico di Goldried (1.980 m). Da qui si gode ad ovest la vista sull’intera Virgental fino al ghiacciaio del Großvenediger, mentre a nord-est ecco la cima del Großglockner, piramide di pietra grigia svettante sul ghiacciaio. La zona è l’unica attrezzata per lo sci, con relativi impianti di risalita e quest’estate era anche tormentata da un cantiere per la costruzione di chissà cosa.

Ci siamo avviati lungo la mulattiera in leggera pendenza, dribblando, almeno per il primo tratto, i camion dell’impresa edile impegnati in manovre da brivido. Quelle fatte in questo tratto sono le uniche foto di tutta la vacanza che mostrano un Großglockner non assediato dalle nubi: peccato siano poche, perché quasi subito abbiamo finito le pile, e anche quelle di riserva si sono rivelate scariche. Trascorsa circa un’ora e dieci siamo giunti al Kals-Matreier-Törl (2.207 m), un piccolo passo che collega le vallate dei due paesi che ne costituiscono il nome. C’è anche un piccolo rifugio, che al nostro arrivo era assediato dai turisti. Visto l’orario non tardo e la ressa, abbiamo perciò deciso di proseguire fino al rifugio Blauspitz (2.305 m), che è anche la stazione a monte della seggiovia che sale da Kals: il sentiero da percorrere si è rivelato come il più spettacolare dal punto di vista panoramico.

Tagliato a mezza costa di un pendio erboso, consente di ammirare le rocce e il ghiaccio del gruppo del Großglockner, il gruppo dello Schober nonché di dominare l’intera valle di Kals. Una passeggiata facile, di circa un’ora, e molto gratificante.

Dopo aver mangiato al Blauspitz ed aver lasciato le bambine sfogarsi sui giochi, abbiamo intrapreso la strada del ritorno. Un sole caldo ci ha accompagnato fino alla Törl dove, mentre davamo da bere ad un’assetata Chiara, abbiamo scoperto che l’ultima corsa verso valle della cabinovia sarebbe stata alle 16.30, cioè solo 25 minuti dopo. Passato l’attimo di panico iniziale, le soluzioni erano: scendere a piedi a Matrei, due ore e mezzo circa che Chiara non avrebbe sopportato; dormire in quota; cercare un mezzo di trasporto alternativo. Visto che al rifugio avevano un pulmino, abbiamo chiesto se per favore potevano scarrozzarci, nel caso scendessero a valle: come risposta, ci hanno detto di avviarci sul sentiero Europa, che più tardi sarebbero partiti e ci avrebbero raccolto.

Tra un accidente e l’altro agli austriaci e alle loro chiusure anticipate, ma l’errore è stato nostro a non aver prestato attenzione agli orari, ci siamo incamminati il più speditamente possibile. Nel deserto più assoluto – per forza, tutti erano già scesi… – e al cospetto di un bruciante inizio di tramonto siamo giunti così a Goldried, dove abbiamo visto che la cabinovia ancora si muoveva. Com’è noto, in montagna vedere ed essere vicini non è la stessa cosa, e così mi sono buttato alla velocità massima lungo la discesa, la cui tenue pendenza non consentiva accelerazioni eccessive: alla fine, in una decina di minuti sono arrivato alla stazione, dove un addetto stava effettuando la manutenzione serale. Spiegatagli, tra un respiro ed uno sbuffo, la situazione, il nostro uomo mi ha mostrato più volte il cartello con l’orario di chiusura e l’orologio – ormai erano le 16.50 – poi mi ha fatto capire che si poteva fare. All’arrivo del resto del gruppo, ormai erano le 5 passate, ha borbottato qualcosa come ’35 minuti…’ e poi ci ha fatto salire su una delle ultime cabine in partenza verso valle, dove tutte vengono ricoverate per la notte.

Scendendo, ci siamo detti che, alla disperazione, potevamo sempre chiedere un passaggio agli operai del cantiere che dovevano pure tornare a casa, ma è stato meglio così. All’arrivo, un altro addetto un po’ più gioviale del precedente ci ha anche restituito i soldi della caparra e, insomma, tutto è bene quello che finisce bene. Con i piedi fumanti ma con l’animo leggero dello scampato pericolo, siamo andati a far spesa e a saldare il conto dell’appartamento, accolto con sorpresa da una padrona di casa che non se l’aspettava così anticipato.

Martedì 7 agosto Al risveglio, questa volta abbiamo trovato le nuvole. Ma erano ancora alte e in molte zone del cielo ancora si contendevano spazi con il sereno, così abbiamo deciso che si poteva partire lo stesso. Visto che Chiara era più che mai renitente, e presentava un paio di vesciche di cui si doleva moltissimo, abbiamo scelto la Valle di Gschlöss che si presentava abbastanza semplice.

Dopo una breve sosta a Matrei per comprare i cerotti, abbiamo preso la strada che sale da Lienz in direzione del Felbertauerntunnel, la galleria che permette di raggiungere la regione dell’Oberpinzgau nel Land di Salisburgo, e da lì Innsbruck e Kitzbühel. A pochi chilometri dall’ingresso, abbiamo imboccato una strada che scende a sinistra e termina presso la ‘Casa dei Tauri’ di Matrei (1.512 m), un grosso albergo sito all’inizio della Valle di Gschlöss. Qui si trova un ampio parcheggio a pagamento (4 euro per l’intera giornata) ed inizia la strada – non pubblica – che risale la vallata. Il percorso è coperto anche da un taxi, un trenino trainato da un trattore e da una carrozza a cavalli: quest’ultima è stata imposta da Chiara come mezzo di trasporto e con lei sono rimaste anche Diva e Giulia.

L’attesa prima della ‘corsa’ successiva era di almeno una quarantina di minuti, così ho deciso di avviarmi a piedi. Il primo tratto del percorso, in gran parte asfaltato, supera quasi del tutto il dislivello previsto salendo senza esagerare attraverso il bosco; gli unici rumori sono dati dallo scrosciare del torrente e dal rumoreggiare delle cascate dei suoi affluenti, tanto forti da coprire anche il motore dei mezzi autorizzati a percorrere la strada. Per un po’,il panorama è alle spalle, ma non ci sono foto o quasi perché, essendo controluce, ho pensato che sarebbe stato meglio immortalarlo nel pomeriggio e, come si scoprirà in seguito, non è stato possibile.

Poi, quando gli alberi hanno cominciato a diradarsi, ecco la sorpresa: il ghiacciaio del Großglockner si apriva maestoso al fondo della vallata, spiccando nettamente sul verde della natura circostante e, ancora per qualche ora, contro l’azzurro intenso del cielo. Il resto della camminata si compie con una simile vista sempre di fronte, spettacolo mai più eguagliato nei giorni successivi.

Così incantato, dopo circa quaranta minuti sono giunto ad Außergschlöss (1.699 m): oltre ad un rifugio-ristorante, vi si trova un piccolo gruppo di baite in legno, che formano un minuscolo paesino. Verso ovest, tre di esse si affacciano su un laghetto animato la alcuni palmipedi, ed una di esse ha anche una ruota di mulino, seppur all’apparenza non più funzionante.

A questo punto la valle si allarga e diviene quasi pianeggiante, un immenso prato verde attraversato dal bianco della carreggiata e dal grigioazzurro del torrente, sempre gonfio dell’acqua proveniente dal ghiacciaio. Superata la Felsenkapelle, una cappella scavata nella roccia un centinaio di anni fa in sostituzione di un’altra travolta da una frana, in una ventina di minuti sono giunto a Innergschlöss (1.691 m), e alle sue malghe, base in muratura e struttura in legno, affiancate lungo il corso del piccolo fiume. Come quelle di Außergschlöss, sono ancora tutte abitate durante la stagione estiva, le mucche pascolano in gran numero su tutti i prati della zona, e perciò ingentilite da tendine ricamate e balconi fioriti; unica concessione turistica, in una di esse era stata ricavato il negozio di uno scultore in legno.

Terminate le baite, si può scegliere: attraversare il ponte sullo Gschlöss e fermarsi al rifugio Venedigerhaus, oppure proseguire per un’altra mezzoretta e giungere al punto dove il piano erboso termina ed inizia la salita verso il Neue Prager Hütte (altre due ore almeno) e il ghiacciaio. Non sapendo a che punto fosse la carrozza coi cavalli, ho deciso di fermarmi ad ammirare il panorama e attendere l’arrivo del resto della truppa, avvenuto circa venti minuti dopo. Era ormai l’una e siamo andati a mangiare: purtroppo, qui è emersa l’unica magagna della giornata. Siccome ad Innergschlöss si arriva facilmente, il sentiero è facile e in più abbondano i mezzi di trasporto, l’unico ristorante, il rifugio Venedigerhaus, risulta inevitabilmente sovraffollato: abbiamo trovato posto solo all’interno e il servizio è stato mortalmente lento. Buoni però i piatti, soprattutto un tenerissimo arrosto di maiale.

All’uscita il tempo era cambiato: al sole caldo del mezzogiorno si era sostituita una fitta coltre di nubi, ancora alte sulle cime, ma da cui iniziavano a cadere le prime gocce. Ci siamo così avviati al ritorno, continuando a vestire e svestire le giacche a vento e i k-way in relazione all’intensità della pioggia. Una volta raggiunto il bosco, l’acquazzone ha aumentato d’intensità raggiungendo il suo apice nei cinque minuti allo scoperto che separano gli ultimi larici dal parcheggio, per poi scemare lentamente. Abbiamo così scoperto che gli indumenti impermeabili non lo sono poi così tanto, specialmente se sono stati lasciati in cantina alcuni anni: il riscaldamento dell’auto ci ha faticosamente asciugato durante il viaggio verso Virgen.

Mercoledì 8 agosto Giornata di pioggia, ora più intensa, ora meno ma quasi sempre presente: le nubi hanno cancellato le cime delle montagne e ogni tanto alcuni grossi cumuli transitavano nella valle facendo sparire l’intero panorama.

Dopo aver discusso se andare a Lienz, abbiamo preferito riposarci. Un po’ perché venivamo da tre giorni intensi, un po’ perché pensavamo che anche nella cittadina ci fosse maltempo ed andare in giro con l’ombrello è scomodo. Al mattino abbiamo fatto un po’ di compiti e poi abbiamo preparato (e mangiato) gli gnocchi con le favolose patate austriache; nel pomeriggio, grazie ad una tregua nel diluvio ci siamo spinti fino in paese, per una visita all’Ufficio Turistico ed una breve sosta al bar.

Grazie alla comodità dell’appartamento, le numerose ore trascorse al chiuso non ci sono pesate. Come già scritto in precedenza, eravamo in un’ampia mansarda al secondo piano di una tranquilla casa situata all’inizio di Virgen venendo da Matrei. Essendo la costruzione posta su un pendio, l’ingresso è situato all’altezza del primo piano e questo consente di fare un solo piano di scale con le valigie, rendendo l’arrivo e la partenza un po’ meno faticosi.

Si entra nell’alloggio attraverso un piccolo vestibolo, ideale per parcheggiare scarponi ed ombrelli, e subito ci si trova nella grande stanza che costituisce il cuore dell’abitazione. Lunga quasi 10 metri e larga almeno quattro, nella parte a sinistra venendo da fuori ci sono la cucina e il tavolo da pranzo mentre a destra c’è il salotto con alcune sedie, la stufa ed un ampio divano. Quest’ultimo è diventato subito il letto delle bambine e così è rimasto per tutto il periodo di permanenza. La luce proviene da quattro finestre ed una portafinestra orientate a sud: la portafinestra conduce sul balcone in legno, lungo quanto l’intera stanza. Ai lati del vestibolo si aprono invece i restanti ambienti, un piccolo bagno con doccia – senza bidet, come sempre oltre Brennero – e la nostra stanza da letto, con armadio e letto in legno. Quest’ultimo mi aveva preoccupato in un primo momento, con la sua lettiera in legno anche al fondo, ma fortunatamente le dimensioni erano giuste, come non sempre capita in montagna.

Anche il resto dei mobili è in legno, e la pavimentazione è in parquet: un insieme che rende l’appartamento molto confortevole. E poi c’era la radio: complice un televisore che trasmetteva solo canali tedeschi, neanche austriaci, e perciò si neutralizzava da solo, abbiamo trascorso quindici giorni sintonizzati su una stazione di poche parole e molta musica – che a volte si ripeteva, ma non si può avere tutto dalla vita… Giovedì 9 agosto La nostra ipotesi che piovesse anche a Lienz era sbagliata: i coinquilini, italiani, del piano terra c’erano andati e avevano trovato sole e caldo. A pensarci bene, neppure così strano, visti i cinquecento metri di dislivello. Così, al cospetto di nuvole ancora basse e leggera pioggerella, abbiamo deciso di andarla a visitare senza attendere improbabili schiarite.

La larga strada che collega Matrei a Lienz segue l’ampio fondovalle dell’Isel e scende quasi impercettibilmente con poche dolci curve e molti tratti rettilinei. Il traffico è tranquillo e il paesaggio verdeggiante, qua e là punteggiato da qualche campo di frumento. La situazione muta una volta giunti a destinazione e passata la rotonda in cui confluiscono i mezzi provenienti dalla Val Pusteria: una lunga fila di veicoli, frenata da semafori e incroci, costeggia il centro della cittadina fino alla periferia dalla parte opposta, dove la strada prosegue lungo la Drava in direzione Spittal.

Trovare posto non è stato semplice: i primi parcheggi ispezionati avevano tutti la zona disco con un massimo di tre ore e, in ogni caso erano pieni. Ci siamo allontanati un po’ dal centro e abbiamo sistemato la macchina al parcheggio della stazione, pagando due euro per l’intera giornata.

A piedi abbiamo raggiunto la Hauptplatz, dove inizia la zona pedonale. Si tratta di una piazza a forma rettangolare, abbastanza vasta e, come il resto della città vecchia, con un’architettura mitteleuropea fatta di case alte tre o quattro piani, caratterizzate da facciate colorate in cui si aprono finestre non molto ampie ma profonde. Due alberghi, di cui il più grazioso è l’Altstadthotel Eck, situato in un angolo, alcune gelaterie sempre affollate e numerosi negozi si affacciano sull’ampio spazio centrale, ombreggiato da alcune piante.

Le numerose persone presenti ci hanno subito annunciato quale sarebbe stato il motivo conduttore della giornata: Lienz è un posto dedicato soprattutto a fare compere, gli esercizi commerciali si sprecano, dai vestiti agli arredi per la casa all’immancabile cianfrusaglia per turisti. La folla che si trascina da una vetrina all’altra è a volte eccessiva e rumorosa, anche perché composta in gran parte di Italiani. Ad esempio rendono molto difficile passeggiare sotto i portici della Andrä-Kranz-Gasse, che sarebbero altrimenti assai piacevoli perché non del tutto usuali a simili latitudini.

Dopo una breve sosta per un gelato, anche noi abbiamo cominciato a risalirla, tra continue fermate e ripartenze; al termine, abbiamo imboccato Rosengasse, più vasta e altrettanto punteggiata di vetrine. Non siamo riusciti a percorrere più di una decina di metri, che Diva e le bambine si sono infilate in un negozio d’abbigliamento da cui sono rispuntate solo un’ora e un quarto dopo. Nel frattempo il clima, che al nostro arrivo era ancora nuvoloso, ha iniziato un’evoluzione positiva che ha portato il sole ad affacciarsi, prima timidamente poi sempre più deciso e per periodi via via di maggior durata, così da rendere solo d’ingombro gli ombrelli che ci eravamo portati appresso per prudenza. Alla fine di un’attesa estenuante, gli acquisti sono terminati quando ormai si era già fatta abbondantemente l’ora di pranzo. Sulla scorta anche dei consigli della padrona di casa, abbiamo optato per il ristorante ‘Adlerstuberl’, probabilmente il più vecchio della città e certamente uno dei più conosciuti,, malgrado ci fosse l’inevitabile rischio di spendere qualcosa in più. Sito in un antico palazzo sulla Andrä-Kranz-Gasse, il locale è costituito da alcune ampie sale in cui sono disposti massicci tavoli di legno circondati da panche. I soffitti e le pareti decorate rendono l’ambiente caldo ed accogliente, così abbiamo deciso di piazzarci all’interno, malgrado ci fossero tavoli liberi anche sulla strada. L’unica controindicazione è che in Austria non è vietato fumare al ristorante, ma ormai era l’una e mezza, l’affollamento non era eccessivo e il problema, di conseguenza, di secondaria importanza. Di maggiore interesse i piatti, davvero ottimi e abbondanti: il Bauerteller, con vari tipi di carne di maiale arrosto, crauti ed un gigantesco canederlo in mezzo, e il Tiroler Grostl, piccoli pezzi di carne di manzo sottile e tenerissima con patate arrosto, un uovo ed uno scodellino di verze in insalata a parte per rinfrescare la bocca. Quest’ultimo è stato scelto, a sorpresa, da Giulia, forse stufa di bistecche impanate: la quantità era tale che abbiamo assaggiato un po’ tutti, e specialmente Diva che si era limitata ad ordinare la solita ‘Suppe’. Il tutto per una quarantina di euro.

Ritornati in strada, abbiamo imboccato la Rosengasse per una nuova tornata di acquisti che ha occupato un’altra ora abbondante nella scelta dei regali da portare a casa. Al termine, siamo riusciti a fare anche i turisti, visitando la cattedrale di S. Andrä che domina il vecchio centro da una piccola altura sull’altra sponda dell’Isel. La si può raggiungere in circa quindici minuti a piedi. Dapprima si cammina lungo Schweizergasse, poi, all’altezza di Egger-Lienz-Platz, si svolta in una via che, costeggiando un breve tratto delle vecchia cinta muraria, conduce al fiume, scavalcato da un ponte pedonale. Sull’altra riva, un pacifico parco ricco di alberi porta fino ai piedi della collina su cui è costruita la chiesa, che si può raggiungere anche lungo una strada riservata ai pedoni. Una passeggiata molto tranquilla, quasi irreale per la totale assenza dei turisti che affollano vie a poche centinaia di metri di distanza.

La bianca facciata del tempio risalta sul panorama circostante, l’interno è la sovrapposizione di romanico e barocco che contraddistingue tanta parte delle chiese austriache. Due grandi sarcofaghi del XVI secolo recanti sul coperchio l’immagine scolpita in altorilievo degli occupanti vestiti in foggia guerresca spiccano all’inizio della navata, che presenta un interessante ciclo di pitture murali. Da segnalare anche l’imponente tribuna dell’organo posta, come di regola in queste regioni, sopra il portale d’ingresso.

Una volta usciti, oltre il bianco muro perimetrale che è anche sacrario di guerra, abbiamo potuto ammirare la città e soprattutto le Dolomiti di Lienz, che, finalmente libere dalle nubi, si accendevano lentamente dei colori tenui che assumono queste rocce al tramonto: spettacolo che ci ha accompagnato per la passeggiata che ci ha riportato alla Hauptplatz prima e al parcheggio poi.

Oramai era l’azzurro a farla da padrone, e il ritorno verso Virgen è stato illuminato da una luce calda che ha sottolineato la placida bellezza del paesaggio.

Venerdì 10 agosto La tendenza positiva iniziata il pomeriggio precedente si è confermata anche durante questa giornata. I passaggi di nubi sono stati frequenti e, in un caso almeno, assai minacciosi, ma il sole è stato tutto sommato il protagonista principale. Rinfrancati dal tempo più che discreto, abbiamo acchiappato nuovamente gli scarponi e ci siamo diretti al rifugio Stabant (1.800 m).

Il punto di partenza della passeggiata è a Bichl (1600 m), località posta su un poggio verdeggiante sul fianco sinistro della vallata, circa all’altezza di Prägraten. Raggiungibile con una stradina che sale tra i prati con un paio di ampi tornanti, il paesino è costituito da poche case e malghe rimesse a nuovo e da una chiesetta piazzata nel punto più panoramico. La vista che si gode sulla Virgental e sulle montagne circostanti è ampia perché nulla o quasi si frappone tra l’occhio e il paesaggio.

La salita al rifugio è attraverso la solita strada forestale che si arrampica tra bosco e prato. Esistono anche varie scorciatoie che risparmiano alcune curve, ma le abbiamo ignorate per evitarci un po’ di lamentele. Solo nell’ultimo tratto, abbiamo imboccato un sentierino che prima sale in costa zigzagando fra gli alberi e poi si trasforma in una passerella di legno che approda al rifugio: non ne valeva la pena, e al ritorno abbiamo usato la mulattiera.

Il tragitto è durato poco più di un’ora: il passo non è stato rallentato dai soliti tira-e-molla perché l’abbiamo fatto in compagnia e anche Chiara si è distratta. Al piccolo parcheggio di Bichl, abbiamo incontrato una coppia di Padova che avevamo conosciuto ad Innergschlöss e siamo saliti parlando di questo e di quello, ma soprattutto di montagne e di sentieri. In poche ore, abbiamo anche accumulato una serie di preziose notizie sulla valle e sulle varie mete raggiungibili, perché loro villeggiano da 10 anni a Prägraten. Fra le altre dritte, abbiamo scoperto come risparmiare sui parcheggi a pagamento, come quello di Stroden il primo giorno, semplicemente facendo timbrare dall’Ufficio del Turismo la ‘Carta degli Ospiti’ che era allegata al documento di registrazione da compilare all’arrivo. Lo Stabanthütte è situato in una piccola radura che si affaccia sulla Virgental. E’ caratterizzato da una torre in pietra e da dimensioni abbastanza piccole, tanto che i clienti si accomodano soprattutto ai tavoli all’esterno. Due o tre di questi sono piazzati tra i larici, e ad uno di essi si è sistemata la nostra numerosa compagnia. Lì vicino ci sono anche giochi per i bambini, come scivoli, altalene e recinto di sabbia, mentre sul lato del rifugio meno esposto c’è un recinto per i conigli. E’ inutile affermare che Chiara vi si è subito piazzata vicino, prima con la figlia dei nostri compagni di viaggio, poi da sola, infine con altri bambini incontrati in quel momento, e, per tutto il tempo passato al rifugio, ha continuato a dar da mangiare, ad accarezzare, financo a prendere in braccio gli animali.

Una disattenta lettura delle guide non ci aveva fatto ben coscienti che allo Stabanthütte ogni giorno è dedicato ad un piatto particolare e il venerdì è riservato alla grigliata con contorno di musica dal vivo. Il menù perciò presentava solo le zuppe e carne di maiale e tacchino alla griglia, servita, molto speziata, con le patate arrosto. Se noi non abbiamo avuto troppi problemi, le bambine non hanno troppo gradito.

Dopo pranzo, i padovani sono scesi a ricevere alcuni amici provenienti dall’Italia, mentre noi abbiamo deciso di trattenerci ancora, malgrado il maltempo incombente. Già all’arrivo avevamo dovuto coprirci in tutta fretta per un brusco calo della temperatura, ma ora grosse nubi provenivano da nord e si andavano piazzando sulla nostra testa. Il tempo di spostarci su alcune panche un po’ più al sole che quest’ultimo se ne andava; nello stesso momento, iniziavano a cadere grossi goccioloni che fortunatamente non si sono mai trasformati in pioggia fitta. Si è andati avanti così per una ventina di minuti, poi nuovamente la luce solare è tornata a fare capolino.

Tutto questo va e vieni non ha però impressionato più di tanto i due musicisti, chitarra e fisarmonica, che hanno continuato a rallegrare – insomma… – i presenti con una serie di motivetti tirolesi (o forse era sempre lo stesso…). Diva si è avventurata ad assaggiare il caffè alla tedesca, dopo alcuni esperimenti negativi fatti con l’espresso, che da queste parti viene fatto nel tentativo di compiacere i turisti italiani: non si può dire che ne fosse soddisfatta, malgrado gli oltre due euro spesi.

Verso le tre ci siamo avviati lungo la discesa, dopo aver faticosamente strappato Chiara dai suoi conigli. Ancora una volta, nel pomeriggio il sereno è tornato a farla da padrone in cielo e durante il percorso abbiamo goduto di squarci molto belli dell’intera valle e di Bichl in particolare.

Sabato 11 agosto Al risveglio, il clima era pressappoco quello del giorno precedente, così abbiamo deciso di concederci una nuova passeggiata. La destinazione è la Woden Alm (1.825 m), malga posta sopra l’imbocco della valle di Virgen e affacciata su Matrei e le montagne che la circondano.

E’ stata una giornata caratterizzata da bivi ed equivoci, ed il primo ha riguardato il punto di partenza. Si può lasciare l’auto a Zedlach (1.260 m) oppure allo Strumerhof (1.451 m): noi ci siamo diretti alla prima località perché più vicina, ma non è stata una scelta saggia. Anche non considerando i duecento metri in più di dislivello, la seconda metà del percorso che parte da Virgen non è altro che una strada forestale, stretta, bianca e piena di buche. Si può solo sperare di non incrociare nessuno, e a noi è andata bene. Molto meglio andare a Matrei e poi risalire, ma a quel punto la distanza è la stessa rispetto allo Strumerhof.

Al parcheggio di Zedlach una freccia indica decisa di salire sulla sinistra, ignorando la strada asfaltata che prosegue con una pendenza più dolce. Il sentiero sale ripido tra sassi e radici sporgenti per circa tre quarti d’ora, dapprima costeggiando alcune fattorie e poi addentrandosi fra i larici. Giunto ad una piccola radura, lascia la possibilità di scegliere se continuare la salita o avviarsi su un tratto quasi pianeggiante che conduce ad un percorso educativo attraverso la foresta. Siamo arrivati a questo punto abbastanza affaticati: se, per una volta, Chiara ha camminato con entusiasmo tirando addirittura il gruppo, è stata Giulia ad andare in crisi, forse per la ripida partenza a freddo. Abbiamo imboccato il sentiero più facile e, dopo un po’, abbiamo iniziato ad incrociare le rappresentazioni degli animali del bosco con relative descrizioni, ovviamente in tedesco. Il percorso educativo è proseguito per un tratto in leggera pendenza: tra i grossi larici, alcuni secolari, sono situate varie stazioni che illustrano la flora e la fauna selvatica, con rappresentazioni gigantesche degli animali. Ad un certo punto abbiamo dovuto scegliere: continuare su questo sentiero, che si snoda circolarmente su e giù per la foresta, o proseguire verso la nostra meta. Dopo alcuni tentennamenti, abbiamo scelto quest’ultima soluzione riprendendo ad arrampicarci per un tratto assai simile al primo. Per un’ora abbiamo proseguito sempre circondati dagli alberi, con nessun’altra compagnia che le lamentele di Chiara e una fame sempre più pronunciata. Finalmente siamo sboccati sulla strada forestale e, dopo altri 30 minuti di salita blanda ma che a noi è parsa interminabile, siamo giunti a destinazione: totale del percorso, due ore e mezzo, contro l’una e mezzo o due riportate dalle guide. E’ probabile che, se avessimo continuato dritto al primo incrocio, avremmo impiegato di meno, ma era indispensabile far rifiatare chi aveva fatto più fatica. Alla fine, in ogni modo, Giulia si era completamente ripresa, mentre Chiara non ne aveva proprio più, in preda ad una crisi di fame che la faceva tremare dal freddo. Anche perché mentre ci inerpicavamo, il tempo aveva virato decisamente verso il brutto, con grandi nuvolosi neri che si ammassavano sulle montagne ed un vento freddo che si insinuava sotto i vestiti.

Da qui, la scelta di sistemarci subito all’interno del rifugio, rivelatasi assai preveggente quando, al cadere delle prime gocce, chi era fuori ha dovuto precipitosamente correre a ripararsi. Prima che questo accadesse, abbiamo potuto goderci il calore e la tranquillità della piccola sala da pranzo, tutta ricoperta in legno, in cui abbiamo consumato un pranzo ottimo, il migliore di quelli in quota. Mentre Giulia ha ordinato, e faticato a finire, un enorme piatto con uova fritte, patate e speck, noi abbiamo dapprima chiesto due porzioni di Pressknodel in brodo e due di Kaiserschmarrn. In teoria i canederli dovevano mangiarli Diva e Chiara, anche perché erano al formaggio, e ci aspettavamo le solite pallette nella tazza: previsione errata, sono arrivati due piatti con due giganteschi canederli schiacciati (come si poteva dedurre dal nome). Per cercare di finirli, ho collaborato anch’io, il formaggio non dava fastidio, ma erano talmente nutrienti che abbiamo deciso di rinunciare ad una porzione di frittata con i mirtilli… e per fortuna perché quella che ci è arrivata, oltre che molto buona, era di dimensioni imponenti.

Alla fine di cotanto pasto, il rifugio si era riempito, mentre all’esterno la pioggia cadeva fitta. Abbiamo atteso fino alle tre, poi ci siamo rimessi in marcia, decisi a scendere lungo la strada. Il panorama dalla Woden Alm è rimasto un’ipotesi, nascosto dalle nuvole o appiattito da un monotono colore grigio-verde – e pensare che si sarebbero potute vedere le dolomiti di Lienz…Ci siamo bagnati un po’ nel primo tratto, poi il bosco ci ha riparati finché la precipitazione non è terminata, lasciando il posto al solito tramonto soleggiato. Dopo aver incrociato nuovamente il percorso didattico in un’ampia radura verde brillante, abbiamo lasciato la strada ormai asfaltata e, infilandoci tra aie e stalle, galline e cacche di cavallo, siamo scesi a Zedlach su un sentiero appena abbozzato.

Domenica 12 agosto La giornata festiva e la lunga camminata del giorno precedente ci hanno spinto a cercare una passeggiata non troppo lunga, anche per prevenire le lamentele di Chiara. Stare fermi sarebbe stato un peccato perché il tempo era bello, anche se il cielo azzurro del mattino è stato occupato da grosse nubi che hanno giocato a nascondino col sole per tutto il corso della giornata.

Dopo brevi consultazioni, abbiamo deciso di andare alla Boden Alm (1.960 m), posta sul lato sinistro della valle e in pratica sopra a Prägraten. Proprio in questo paese, si prende la strada che sale al parcheggio sopra Wallhorn (1.600 m circa): una sola, stretta carreggiata che si inerpica con curve secche fra i boschi. La speranza è quella di non incrociare nessuno, oltre che di trovare un posto nel piccolo parcheggio, che alle 10 di mattina è pieno. Il pagamento (4 euro al giorno) va fatto all’inizio della strada, dove è posto un parcometro: se poi non c’è spazio, nessuno restituisce i soldi… La passeggiata si svolge, come gran parte di quelle di questa vacanza, su una strada bianca abbastanza larga e ben tenuta: tutte le malghe possono essere raggiunte da chi vi abita con un’automobile, e così durante il percorso capita spesso di dover aprire e chiudere cancelli o di doversi infilare in stretti passaggi ad essi affiancati. La salita, costante e camminabile, si snoda sul margine del bosco fra ampi prati e belle vedute delle montagne circostanti. Sul verde dell’erba, spiccano le solite mucche intente a pascolare placidamente, mentre due o tre abitazioni, belle e lucide come appena costruite, si ergono ai margini delle radure.

La mancata protezione delle piante si è fatta sentire quando il sole riusciva ad avere la meglio sulle nubi, ma l’ascesa non si è rivelata faticosa: in circa cinquanta minuti siamo giunti a destinazione. Da notare che Chiara ha perseverato nell’atteggiamento del giorno precedente, mettendosi ad un certo punto in testa con lo scopo di arrivare il prima possibile, togliersi dalla testa il pensiero di dover far fatica e potersi sedere al rifugio per il pranzo.

La Boden Alm è una costruzione ristrutturata di recente, con arredamento in stile e l’esterno ricoperto di legno chiaro; il panorama è costituito soprattutto dal Lasörling e dalla Virgental, mentre per ammirare il Großvenediger bisogna proseguire verso il rifugio Eissee (2.521 m). Giulia ed io abbiamo percorso un tratto del sentiero, allo scopo di fare qualche foto a ghiacciaio e dintorni: la salita, che in un paio d’ore attraversa la Val di Timmel ed è visibile per un certo tratto, non sembra eccessivamente impegnativa.

Abbiamo pranzato sulla terrazza del rifugio, malgrado gli sbalzi di temperatura dovuti al sole che andava e veniva e alle folate di vento che scendevano dalla montagna. Il Tiroler Grostl questa volta era molto più saporito rispetto a Lienz e l’insalata di verze si è rivelata particolarmente gradita. Lentamente, tutti i tavoli sono andati riempiendosi, sia di gente che aveva fatto il nostro stesso percorso, sia di più avventurosi che tornavano dall’ Eissee. Noi abbiamo sostato fin verso le tre circa, mentre le bambine hanno trascorso un po’ di tempo sui giochi – in tutte le malghe e in alcuni rifugi sono presenti almeno uno scivolo e un’altalena per i più piccoli – poi siamo scesi riscaldati dal sole pomeridiano.

Lunedì 13 agosto Il cielo sereno del primo mattino ci ha fatto propendere per la gita alla strada del Großglockner, che, per l’altezza che si raggiunge e per i panorami che si possono ammirare, richiede una giornata particolarmente pulita. Così, non ci hanno fatto di certo piacere le nuvole che hanno lentamente cominciato ad arrivare, provenienti da nord, ma oramai la decisione era presa e non ci siamo fermati.

Abbiamo affrontato il percorso salendo dalla Carinzia, in senso inverso da quanto descritto nelle guide, perché il viaggio di avvicinamento è più breve. Raggiunta e superata Lienz, si svolta a sinistra verso la Mölltal, che si raggiunge dopo una trentina di chilometri di saliscendi e curve: c’è voluta tutta la buona volontà di Giulia per intrattenere sua sorella, così che non vomitasse… La vallata è stretta: sui lati le foreste di sempreverdi incombono da pareti molto ripide, mentre in testa la mole del Großglockner domina incontrastata il paesaggio. Qui, in una conca più ampia, si trova il centro principale, Heiligenblut, di cui non si attraversa il centro ma solo la parte aggrappata alla montagna, ed inizia la strada panoramica vera e propria. Un casello di tipo autostradale riscuote l’obolo che consente di entrare: 28 euro solo l’accesso, 33 se si fa, come noi, il biglietto cumulativo che consente il ritorno attraverso il Felbertauerntunnel.

La pendenza cambia subito e si attesta rapidamente oltre il 10 per cento, con punte del 15: una serie di ampi tornanti supera in pochi chilometri un alto dislivello e ben presto le piante lasciano il posto all’erba e poi alle rocce. Dopo una decina di chilometri abbiamo trovato il bivio da cui si diparte la strada che conduce al cospetto del ghiacciaio del Pasterze – chiamata, con poca fantasia, Gletscherstraße. Seguendola, si giunge ai 2.369 m, dove si trova il centro visitatori dedicato a Francesco Giuseppe e composto da un grande parcheggio coperto di quattro piani e da una grande spianata che consente di ammirare il panorama. In questo spazio, pur vasto, si ha un po’ l’impressione di essere in Piazza San Marco a Venezia nell’ora di punta, ma, se si riesce ad isolarsi mentalmente almeno un po’, lo spettacolo ne vale ampiamente la pena.

Ci si trova praticamente sopra al bacino del Pasterze, il più grande ghiacciaio delle Alpi Orientali, che è ancora imponente malgrado il ritiro impietoso degli ultimi anni. Le foto che ne corredano la storia sui pannelli posti nel piazzale – in più lingue, questa volta – sembrano uno spot sul riscaldamento globale: più del mare di ghiaccio degli anni ’30 è impressionante la perdita di volume rispetto a solo una decina di anni fa, tanto che ora il colore dominante è il grigio delle rocce e non il bianco della neve. Non è comunque facile coglierne appieno le dimensioni: aiutano a capirle i puntini colorati che vi si scorgono sulla superficie e che non sono altro che persone che hanno voluto provare il brivido dell’incontro ravvicinato, scendendo a piedi o con una teleferica. Altri invece hanno preferito camminare lungo il sentiero che in un paio d’ore conduce all’Oberwalderhütte, il cui primo tratto è quasi tutto in galleria sul lato sinistro della valle, troppo ripido da percorrere in costa.

Una volta lasciata l’auto, abbiamo iniziato una specie di guerra di posizione con le nuvole che transitavano in continuazione, coprendo e scoprendo le cime. Il risultato è che ora abbiamo una serie di fotografie con una percentuale variabile di sereno: alla fine, siamo riusciti ad immortalare il Johannisberg (3.460 m) la sua forma a panettone e la parte di ghiacciaio che lo circonda, mentre per quanto riguarda la cima vera e propria del Großglockner (3.798 m) non c’è stato niente da fare. Neanche male, considerando che al nostro arrivo siamo stati accolti da qualche goccia di pioggia.

Nel frattempo, Chiara è riuscita a dare da mangiare, alle marmotte ormai addomesticate che vivono nelle vicinanze dei punti di osservazione: si sono avvicinate a tal punto che le abbiamo comodamente fotografate. Poi, assieme a Diva e Giulia, si è infilata nell’inevitabile negozio di souvenir: ne sono uscite parecchio dopo portando anche i panini che sono stati il nostro pasto, visto che l’unico ristorante era, ovviamente, piuttosto chiaro.

A quel punto si erano ormai fatte le due, e abbiamo deciso di ripartire visto che avevamo ancora numerosi chilometri ed altri panorami davanti a noi. Abbiamo così dato solo un’occhiata frettolosa al museo multimediale e, dopo un breve psicodramma causato dalla paura di Diva di aver perso l’orologio, ci siamo messi in moto mentre grossi nuvolosi si ammassavano sempre più minacciosi.

Tornati al bivio di cui sopra, abbiamo iniziato la salita sino alla Hochtor, punto più alto di tutto il percorso. La strada sale in un panorama brullo e selvaggio, contrassegnato da rocce grigie e terra di un debole colore giallastro; lo sguardo spazia tranquillamente sulle montagne della Carinzia e del Tirolo orientale e ad ogni tornante bisognerebbe fermarsi ad ammirare il paesaggio.

Noi ci siamo limitati a farlo una volta arrivati in cima. Qui una galleria conduce sull’altro versante, nel Land di Salisburgo, dove abbiamo trovato ad attenderci una vista analoga ma condizioni meteorologiche peggiori. Le nubi molto basse si erano incagliate in molte cime, rendendo impossibile ammirare lo scenario in tutta la sua grandiosità. La strada prima scende e poi risale fino alla Fuscher Törl (2.428 m), da dove si dovrebbe vedere l’intero lato settentrionale del Gruppo, ricoperto in gran parte di neve, ma per noi ormai invisibile. Abbiamo lo stesso provato la mossa della disperazione, salendo la stretta stradina che, in un paio di chilometri, porta all’Edelweißspitze (2.571 m), punto panoramico a 360 gradi (almeno così pare dalle foto) su cui però stazionava una nuvola che ci ha ricordato la nebbia padana.

Non ci restava altro che affrontare i venti chilometri di discesa impegnativa che portano ai 1.145 metri di Ferleiten, dove si trova l’altra barriera per il pagamento. Tanti tornanti e pendenze che rendevano impossibile ingranare la terza: nel tratto finale, una serie di cartelli chiedevano di testare i freni, sicuramente resi roventi dall’uso. Ciò non toglie che la strada panoramica, sia nel complesso una splendida opera d’ingegneria, anche in considerazione dei dislivelli che supera e dell’ambiente che attraversa: è sorprendente che sia stata completata in soli cinque anni. La manutenzione non deve essere uno scherzo, e il costo del biglietto, alla fine, non pare eccessivo.

Il nostro problema non erano i freni. Alla fine della discesa, la spia della batteria ha cominciato ad ammiccare e, mentre attraversavamo la regione dell’Oberpinzgau per poi raggiungere il Felbertauerntunnel, si è accesa fissa. La decisione di fermarci è venuta proprio davanti ad una concessionaria della Toyota, nella cui officina c’era un meccanico che parlava inglese (il mio tedesco mi consente varie cose, ma certamente non di parlare di motori). La diagnosi è stata che l’alternatore non mandava più corrente alla batteria, ma per un test vero e proprio e l’eventuale sostituzione bisognava attendere l’indomani; se volevamo, potevamo provare a tornare a casa, ma lui non ci metteva la mano sul fuoco che la macchina non si sarebbe fermata di botto.

Dopo l’avventura della cabinovia di Matrei, il lunedì non si dimostrava il nostro giorno fortunato. Così abbiamo deciso di fermarci, siamo andati nel paese più vicino, Stuhlfelden, e abbiamo preso alloggio all’albergo Flatscher, anche se eravamo del tutto privi di ricambi di vestiti e vari accessori di prima necessità. L’hotel è stato ricavato da una grossa stazione di posta completamente riadattata e ricorda un po’ il Posthotel di Corvara, con lunghi corridoi e grandi ambienti: uno di questi è arredato con letto, mobili e suppellettili del diciannovesimo secolo, che Diva ha immortalato accuratamente con una serie di fotografie. Anche la nostra stanza era ampia, con una camera da letto ed un piccolo salotto con un divano-letto per le bambine, più il bagno. Va detto che, stanchi come eravamo, non è che ce la siamo goduta molto: dopo la cena ed una partita con le biglie nuove di Chiara ci siamo coricati nella speranza di recuperare un po’ di energie.

Martedì 14 agosto Mi era stato detto alle otto, ed io mi sono presentato in officina puntuale, scoprendo che erano già aperti da dieci minuti. Ho dato così una risposta ad un dubbio nato il pomeriggio precedente: quando ci eravamo fermati mancava circa un quarto alle cinque, e non mi era ben chiaro perché il controllo fosse possibile solo l’indomani mattina. Pensavo che ci fossero macchine più urgenti da finire, o qualcosa di simile: sbagliato, l’orario di chiusura è alle quattro e mezza… In ogni caso, alle otto e un quarto sapevo già che l’alternatore era da cambiare ed avevo un nuovo appuntamento per l’una, visto che il pezzo doveva arrivare da Salisburgo. Buon per noi che, nella pur cattolicissima Austria, il 15 di agosto è un semplice giorno festivo, e non l’occasione per chiudere tutto quanto per almeno una settimana… Restava il problema di far passare la mattinata. Dapprima abbiamo fatto un giro per Stuhlfelden, che si è rivelato un paese veramente piccolo, LA la cui popolazione non supera 1 duemila abitanti: l’unica attrattiva si è rivelata una piscina con ampio parco, accanto alla quale si trova un campo giochi abbastanza attrezzato. Abbiamo lasciato che le bambine si sfogassero un po’, Chiara un po’ titubante sugli attrezzi nuovi, e poi ci siamo trasferiti nella vicina Mittersill, dove si può trovare tutta la confusione che manca a Stuhlfelden.

La cittadina funge da riferimento della regione ed il suo centro è tormentato dal traffico, non indifferente, della strada che, provenendo da Salisburgo, conduce ad Innsbruck, a cui si aggiungono i mezzi che viaggiano sulla direttrice che collega il Tirolo Orientale, attraverso il Felbertauerntunnel, e Kitzbühel. Le zone più tranquille sono verso la periferia e, in ogni caso, non ci sono angoli o monumenti che possano attrarre il turista. Così, ci sono rimasti impressi soprattutto una rosticceria/tavola calda in cui abbiamo mangiato spendendo veramente pochissimo e il complesso in cui sono concentrate le scuole dall’asilo alle superiori, tanto nuovo e moderno da aver affascinato le bambine, soprattutto Giulia.

Anche se a noi, abituati a ben altri luoghi ed ad una diversa tranquillità, poteva parere strano, anche questa regione – Oberpinzgau – ha una sua netta connotazione turistica. L’offerta è maggiore per quanto riguarda l’inverno, vista la relativa distanza dei comprensori di Kaprun e Kitzbühel oltre alla possibilità di praticare il fondo, mentre per l’estate sono presenti soprattutto piste ciclabili e passeggiate sulle dolci colline dei dintorni. L’impressione è che sia molto più affascinante la Val Trebbia, ma non si sa mai, potrebbe anche essere sbagliata.

All’una abbiamo riportato la macchina in officina e un’ora dopo, con quattrocento euro in meno, siamo finalmente ripartiti per Virgen. Abbiamo attraversato il Felbertauerntunnel, i cui quasi sei chilometri passano senza particolari ansie, e siamo giunti a Matrei sotto la pioggia. Dopo un breve giro esplorativo, che ha rivelato un normale paese di montagna senza grandi spunti di interesse, ci siamo recati al Museo del Parco Nazionale Alti Tauri, che presenta vari aspetti della fauna, della flora e della vita riguardanti il comprensorio del Parco stesso. L’ingresso è gratuito e la visita è blandamente interattiva ma con le tabelle descrittive solo in tedesco.

Mercoledì 15 agosto La mattinata serena ci ha condotto nuovamente verso il Großglockner, questa volta attraverso la valle di Kals. La strada che vi sale si stacca a sinistra qualche chilometro dopo Matrei e sale, dapprima ripida e poi tortuosa, fra pendii coperti di abeti che per un bel tratto impediscono la vista di qualsiasi paesaggio. La vallata si apre improvvisamente quando si arriva a Kals, a 1.300 m circa, in un’ampia conca ricoperta di prati verdi, in cui spiccano case più o meno raggruppate e chiesette solitarie, e circondata dalle montagne.

La prima sosta è stata imprevista: la processione in onore della Madonna bloccava completamente il piccolo centro, seguita da fedeli così numerosi che sembrava fosse presente l’intera popolazione, con banda in testa e grande sfoggio di vestiti tradizionali. La festa di ‘Maria Himmelfahrt’ è molto sentita da quelle parti ed in ogni valle c’è una manifestazione analoga: in Virgental, si tiene a Prägraten.

Una volta allontanatasi la coda del corteo, abbiamo passato il paese con una serie di deviazioni appositamente segnalate e siamo giunti all’imbocco della Kaiser Glocknerstraße che, in cambio di sette euro, risale la Ködnitztal fino alla Casa Luckner (1.920 m) dove un ampio parcheggio, al nostro arrivo affollatissimo, accoglie gli escursionisti che vogliono salire al Großglockner. E’ difatti la cima piramidale della montagna che domina imponente la testata della valle, sollevandosi, con le sue rocce scure e i bianchi pendii innevati, contro le sfumature di verde delle ultime piante e dei prati. Al nostro arrivo, il panorama era ancora sgombro, ma col passare del tempo le immancabili nuvole sono andate a posizionarsi, beffardamente come al solito, cos’ da impedirci la vista delle cime più alte.

La nostra meta era il Rifugio Luckner (2.227 m), da cui si può poi salire verso altri rifugi e bivacchi siti a quote medio/alte sul Großglockner: ad esempio, la tappa successiva è lo Studl, che è ad oltre 2.800 metri. La salita è per il primo tratto abbastanza dolce ed accompagnata da un percorso guidato che illustra, sempre e solo in tedesco, la genesi delle montagne. Poi, passato il ponte sul piccolo torrente che scorre nella valle, la strada prende a inerpicarsi in modo più serio e la pendenza si fa in certi tratti asfissiante. Con Chiara che aveva in testa solo di arrivare, siamo saliti abbastanza rapidamente, mentre Diva e Giulia ci hanno seguito con più calma: il tutto ha richiesto poco più di un’ora, tra prati fioriti, cascatelle rigogliose e rocce imponenti. In queste ultime sono evidentissime le pieghe dovute alle forze che, scatenate dal movimento delle placche terrestri, hanno provocato l’innalzamento delle Alpi: quasi una lezione di geologia all’aperto.

All’arrivo, le nuvole avevano ormai preso possesso del cielo, mentre un vento freddo aveva preso a soffiare con una certa insistenza. Abbiamo abbandonato l’idea di pranzare all’aperto e ci siamo accomodati all’interno, nell’ampia sala da pranzo con cucina bene in vista. Dopo aver constatato che i prezzi erano leggermente più alti rispetto ai rifugi della Virgental, ho pranzato con degli ottimi canederli allo speck con i crauti. Solo dopo esserci rimessi in forze, ci siamo trasferiti ad uno dei tavoli che circondavano il rifugio per ammirare il panorama, sempre ben vestiti per combattere la temperatura non precisamente estiva e che, verso le due, ci ha convinti a scendere.

Il sole si è ripresentato quando ormai eravamo giunti alla macchina. Ridiscesi a Kals, abbiamo fatto un giro lungo le varie strade che ne percorrono la vallata, oramai illuminata da una luce calda che faceva brillare il verde dell’erba, e poi abbiamo fatto ritorno a Virgen. Era ancora presto e abbiamo deciso di andare a visitare il santuario di Obermauern, piccola frazione adagiata sul versante sinistro appena a monte del capoluogo. Si tratta di una chiesa costruita tra ‘300 e ‘400 in stile gotico e pochissimo rimaneggiata. All’interno le pareti sono completamente affrescate: una serie di cicli pittorici si rifanno al Vecchio e al Nuovo Testamento con immagini semplici e colori vivaci, creando una bella atmosfera, di certo meno opprimente di quella di tante chiese barocche. Come a St. Wolfgang, ma meno bella che a St. Wolfgang, spicca anche una grande pala d’altare ad ante apribili, finemente decorata in oro e dipinta in ogni sua parte. Probabilmente, anche l’esterno era in origine decorato, e i recenti restauri hanno riportato alla luce alcuni dipinti e bassorilievi. Il senso di pace e tranquillità che si provano in chiesa e sul verde prato che la circonda, si diffonde come per osmosi anche al resto del paesino. Lontano dalla strada e da qualsiasi flusso turistico che non siano i visitatori del santuario, presenta un centro molto raccolto in cui si distinguono case e fienili accuratamente rimessi a nuovo: l’unico rumore è molto spesso quello del torrente ricco d’acqua che va a tuffarsi nell’Isel. Giovedì 16 agosto Nell’ultima bella giornata siamo tornati a Kals per una passeggiata lungo la Dorfertal. La meta ci era stata consigliata dai coniugi padovani incontrati al rifugio Stabant, che ci avevano parlato di un’escursione interessante benché molto semplice. La semplicità era essenziale per dare requie alle unghie dei miei alluci, che negli ultimi giorni avevano assunto un bel colore prugna e doloravano negli scarponi. Non c’è niente da fare: cambiare calzature è una sventura, e i miei fidati compagni di vent’anni di montagna avevano tirato le cuoia l’anno scorso a St. Wolfgang. Ho così affrontato quest’ultima camminata con le calze di lana e i sandali – fa molto tedesco, nevvero? – ma le minime pendenze non hanno messo in difficoltà il mio passo e lo stravagante abbigliamento.

Lasciato il parcheggio in località Burg (1.500 m), la strada si inoltra subito attraverso la gola Daba. Fino al secolo scorso, qui c’era soltanto lo stretto passaggio scavato dal fiume: per giungere alla Dorfertal i malgari, magari con qualche peso in spalla, dovevano fare un ampio giro passando dalla Moosalm e scendendo poi un ripido sentiero. Così un giorno decisero di scavare un sentiero che si inoltrasse tra le rocce lungo il fiume e, a colpi di piccone e dinamite, crearono il percorso che semplificava loro la vita. Nel secondo dopoguerra, il sentiero divenne una strada, con la realizzazione di una galleria per consentire l’arrivo alle malghe ai mezzi di trasporto. Un tunnel lungo e buio, non percorribile a piedi, da cui esce un impetuoso soffio d’aria umida. Tutte queste notizie si ricavano dal percorso didattico che accompagna il percorso, e questa volta presenta le traduzioni in varie lingue, fra le quali l’italiano. Innaffiati da minuscole cascatelle, si sale lungo, e per un tratto dentro, la parete di roccia sul lato sinistro del torrente che, una decina di metri più sotto, scende rombando fra macigni ormai lisci. Esistono un paio di punti d’osservazione in acciaio che portano vicino all’acqua che scorre e illustrano la flora e la fauna che vivono, con difficoltà, nello spazio ristretto e nell’umidità sempre altissima della forra.

Dopo circa una quarantina di minuti,c’è una svolta verso destra e, all’improvviso, il panorama della Dorfertal si spalanca alla vista. Si tratta di un’ampia vallata, con rigogliosi prati per il pascolo ma anche numerosi larici che la ombreggiano per lunghi tratti; la punteggiano numerose malghe, alcune in buono stato, altre abbandonate. Attorno e sullo sfondo fanno da corona le montagne innevate, perlopiù il gruppo del Großglockner, e da esse scendono numerosi torrenti che formano cascate di varie dimensioni. L’abbondanza d’acqua, che è la ricchezza della valle, ne è anche uno dei motivi di pericolo e ha persino rischiato di esserne la fine. Il percorso didattico prosegue narrando la storia e la vita della valle. La prima parte è dedicata alla lotta che i valligiani hanno vinto con l’Ente elettrico austriaco per impedire la costruzione di una diga che avrebbe trasformato la Dorfertal in un lago artificiale. Poi, quattro o cinque stazioni attrezzate anche con una parte audio in forma narrativa, illustrano la vita dura dei malgari sull’alpe e raccontano anche le rovinose frane che più volte hanno spazzato via alcune malghe e, in qualche caso, i loro abitanti.

Leggendo e ascoltando, si risale lentamente ammirando il paesaggio, allo stesso tempo tranquillo e imponente, ed osservando le vacche che pascolano pacifiche. Ci si lascia alle spalle la Bergeralm (1.640 m), si oltrepassa un punto di osservazione sui numerosi rapaci, comprese le aquile, che vivono da queste parti, e si prosegue fino alla Kalser Tauernhaus (1.755 m), che si raggiunge dopo più di due ore complessive di cammino. Il lato negativo dei sentieri che salgono troppo dolcemente è che sembrano non finire mai: quello in questione si piazza tra i peggiori della categoria, e nell’ultimo tratto abbiamo dovuto fronteggiare una piccola rivolta soprattutto da parte di Chiara, che non ce la faceva più fisicamente, era ormai l’una, e anche mentalmente.

Dopo aver pranzato, è stato il rifugio con il menù più striminzito, abbiamo lasciato come al solito le bambine sui giochi e siamo stati qualche tempo a riposare e ad ammirare il paesaggio. La Kalser Tauernhaus si trova quasi al fondo della vallata, in un’ampia radura assieme ad un paio di malghe e alla stalla comune. Sulla sinistra, la vista può seguire le cime e le nevi del Großglockner; dalla parte opposta si possono osservare alcuni alti prati che una volta servivano da pericolosi alpeggi e una cascata, il cui rumore, malgrado la distanza, fa da sottofondo. Proseguendo nella Dorfertal, la strada bianca si trasforma in un sentiero che sale prima al Dorfersee (1.935 m) e poi attraverso un passo, raggiunge l’Oberpinzgau nel Land di Salisburgo.

Venerdì 17 agosto Avevamo deciso di dedicare la giornata al riposo e le nubi che ci hanno accolto al risveglio sono, in fondo, state le benvenute. In un primo momento avevamo anche pensato di anticipare la partenza per evitare il traffico, ma poi abbiamo deciso di goderci fino in fondo la vacanza. Trascorsa la mattinata fra i compiti, con più buona volontà da parte di Giulia che di Chiara, e le valigie, siamo usciti a metà pomeriggio a salutare il paese, fare una sosta al bar e portare Diva a rivedere il suo ‘locus amoenus’ a Obermauern, aiutati anche da una schiarita che, per qualche ora, ha interrotto le precipitazioni.

Sabato 18 agosto Siamo partiti alle sei di un mattino umido. Dopo una sosta in panetteria per acquistare strudel e altri dolci, scontati perché ancora del giorno prima, abbiamo affrontato le tranquille strade austriache, l’interminabile Val Pusteria e un’Autostrada del Brennero assai trafficata e con rallentamenti fino oltre Mezzocorona. All’arrivo, quasi a mezzogiorno, ci siamo trovati nel bel mezzo di una giornata molto afosa che, nel caso ci fossimo distratti, ci ha ricordato che eravamo a casa.



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