La nostra avventura nella terra dei canguri

Viaggio di nozze alla scoperta dell'Australia
Scritto da: agnefx
la nostra avventura nella terra dei canguri
Partenza il: 06/09/2010
Ritorno il: 24/09/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €

06/09/2010

Ore 19.15 in volo. Il viaggio è ufficialmente iniziato, perché siamo in volo per Francoforte, dove ci imbarcheremo su un aereo della Quantas alla volta di Sydney. Non vedo l’ora di arrivare! Chissà cosa stanno facendo in questo momento gli abitanti dell’Australia. Chissà se vedrò veramente i canguri o se sono solo un mito. Chissà se è veramente tutto così immenso. Mi sembra ancora un luogo irraggiungibile. Partire per me è sempre strano: sebbene la voglia di viaggiare sia forte il distacco da casa mi rende sempre un po’ nostalgica.

07/09/2010 Crisi di identità

Siamo partiti alle 23.55 da Francoforte, abbiamo cenato, trascorso una notte di 11 ore, e, dopo aver fatto colazione, siamo scesi dall’aereo a Singapore stiracchiandoci come se fosse mattina. Ma era già sera! E ci aspettavano altre 10 ore al buio prima del nostro arrivo a Sydney. Quindi in totale abbiamo passato 21 ore e mezzo in aria di cui 19 di notte, e fatto 3 colazioni e 3 cene in due giorni. Non ci ho capito molto, ma è stato decisamente il martedì più corto e più strano della mia vita. Tutto ciò mi mette una gran voglia di dormire!

08/09/2010 PRIMI PASSI A SYDNEY

La prima giornata a Sydney possiamo definirla di orientamento. La prima tappa della mattina è stato l’Harbour Bridge, il ponte di acciaio che per trent’anni è stato la struttura più elevata di Sydney: sebbene sia una delle icone della città, per me visto da vicino non è niente di speciale, è più bello da lontano. Vengono organizzate anche vere e proprie scalate del ponte, da cui si dice si osservi una delle migliori viste della città, infatti notiamo un gruppetto di persone con l’imbragatura che camminano sulla sommità dell’arco. Siamo concordi sul fatto che non faccia per noi. Dopo aver percorso il ponte, abbiamo fatto un giro a Circular Quay (punto di partenza dei traghetti e ritrovo di tanti artisti di strada) e mangiato in un locale bavarese nel quartiere the Rocks. Dopo pranzo abbiamo voluto vedere da vicino l’Opera House, un altro simbolo della città e dell’Australia, e abbiamo scoperto che chi l’ha ideata si è ispirato a degli spicchi di arancia: e pensare che ero convinta che fossero vele. Non siamo entrati, ma abbiamo proseguito verso i Botanic Gardens, giardini veramente belli e rilassanti, con piante e fiori di ogni tipo, e miriadi di pipistrelli neri appesi agli alberi a testa in giù! Qui la primavera è dietro l’angolo, si respira lo stesso senso di attesa che c’è da noi i primi di marzo, gli alberi sono ancora spogli ma si vedono le gemme, insomma la natura si sta risvegliando dal lungo torpore dell’inverno! Guardando la città dall’interno del parco spiccava tra tutti i grattacieli la Sidney Tower e, sfidando il sonno profondo che ci stava sopraffacendo man mano che la luce del sole calava abbiamo deciso di salirne in cima e godere uno spettacolo mozzafiato: la vista della città al tramonto. Volendo, si poteva anche scegliere di camminare fuori, imbragati, su una piattaforma di vetro ma anche questa esperienza ci sembrava un po’ estrema per il nostro livello di coraggio.

09/09/2010 SYDNEY: CONTINUA L’ESPLORAZIONE

Dopo 11 ore di sonno abbiamo fatto colazione da Starbucks in onore delle memorabili vacanze trascorse negli Usa, constatando con piacere che i due tall Cappuccino avevano lo stesso sapore di quelli che bevavamo a San Francisco. Ci siamo imbarcati sul traghetto per Manly a Circular Quay in un’aria umidiccia che prometteva pioggia. Il viaggio verso Manly, che dura circa mezz’ora, permette di godere di di un’ottima e insolita vista dei punti più belli di Sydney. Manly è una piccola cittadina sul mare con una bella spiaggia, anche se il tempo grigio ne aveva smorzato un po’ i colori dandole un’aria vagamente autunnale. La strada principale, che ricorda un po’ una Milano Marittima in piccolo, ha bei negozi soprattutto dedicati al surf. Nel primo pomeriggio, durante il viaggio di ritorno, ha iniziato a piovigginare e, sbarcati di nuovo a Sydney, ci siamo diretti a piedi verso Darling Harbour con l’intenzione di visitare il Powerhouse Museum (più per curiosità, senza sapere bene cosa fosse). Ben presto la pioviggine si è trasformata in acquazzone, e, nonostante camminassimo da parecchio seguendo le indicazioni, del museo non c’era traccia. Nessuno può immaginare il nostro sollievo quando, bagnati come pulcini e scoraggiati da diversi falsi allarmi, abbiamo visto l’insegna sbucare da dietro la ringhiera di un sovrappasso; e nessuno può nemmeno immaginare il nostro sconforto quando un gentile signore ci ha avvertito, mentre constatavamo sorpresi come non ci fosse alcuna fila, che il museo stava chiudendo. Un po’ avviliti, abbiamo riaperto il nostro ombrello ancora gocciolante e siamo tornati sui nostri passi, decidendo che ci saremmo infilati nella prima porta aperta, qualsiasi cosa fosse. Siamo stati fortunati perché la prima porta aperta era quella di un centro commerciale dove abbiamo fatto un giretto e preso un aperitivo, mentre fuori continuava a piovere e il buio calava nuovamente su Sydney.

10/09/2010 SYDNEY: CULTURA E SPIAGGIA

Ci siamo svegliati in una fredda ma soleggiata mattinata, e siamo ritornati al Powerhouse Museum, E’ un museo forse più adatto alle scolaresche (di cui era pieno), anche se è stato emozionante attraversare la parte dedicata agli anni 80, dove abbiamo giocato a pac-man, e rivisto giochi della nostra infanzia come Lampadinotto, i Miny Pony e Iridella. Mi è venuta voglia di andare a riaprire la mia cesta dei giochi in soffitta! E, a pensarci bene, se i bambini australiani degli anni 80 giocavano con i miei stessi giochi, è proprio vero che il mondo è piccolo. Usciti dal museo siamo stati accolti da un clima incredibilmente primaverile e, contenti, abbiamo arrotolato i giubbotti nello zaino e ci siamo diretti verso la fermata del bus numero 333, per una gita a Bondi Beach. Purtroppo, nel tempo che abbiamo impiegato ad arrivarci (molto breve in realtà, ma forse i temporali australiani sono altrettanto veloci) il cielo si era già guastato ed è arrivato ben presto un temporale coi fiocchi. Peccato, perché la spiaggia era bella e prima che iniziasse a piovere ci eravamo incantati a guardare i surfisti che cavalcavano onde giganti.

11/09/2011 SI VOLA A MELBORUNE

Abbiamo lasciato Sydney alla volta di Melbourne nel pomeriggio su un aereo carico di tifosi di football (a quanto pare a Melbourne si giocava una partita importante) e abbiamo subito sentito un amico che vive là da anni per trascorrere la serata assieme. Abbiamo mangiato dell’ottimo pesce da Claypots, un ristorante dall’atmosfera allegra e colorata a St.Kilda. Poi il nostro amico ci ha guidati in alcuni locali del centro, che non avremmo mai trovato senza il suo aiuto! Il più bello è stato l’ultimo, di cui purtroppo non ricordo il nome: situato in cima a un grattacielo, si raggiungeva facendo a piedi diversi piani di scale, al termine delle quali si apriva una grande terrazza di palme con una vista spettacolare sui grattacieli. Il mattino seguente, prima di prendere la macchina, abbiamo fatto un giro per Melbourne (la sera prima eravamo riusciti a vedere poco, essendo arrivati nel tardo pomeriggio) e l’abbiamo trovata molto carina e vitale: in giro, nonostante fosse domenica mattina, c’era tanta gente che passeggiava, artisti di strada, e i negozi erano aperti. Avremmo voluto vedere di più ma il tempo stringeva, così ci siamo diretti verso l’autonoleggio per la nostra prima esperienza di guida in territorio australiano. Il primo impatto è stato strano ma non drammatico: ci siamo persi solamente una volta!

12/09/2010 LUNGO I TORNANTI DELLA GREAT OCEAN ROAD

Sentendomi un po’ diva sto scrivendo dal bordo della vasca idromassaggio della mega stanza del Cumberland Hotel di Lorne. Questo è uno dei vantaggi del viaggio di nozze: anche se non avevamo specificato alcuna particolare categoria di hotel, le stanze sono grandi e dotate di ogni comfort, e quasi sempre c’è il vino in camera. Arrivare qui da Melbourne è stato spettacolare: abbiamo percorso il primo tratto della Great Ocean Road, e non ho mai visto un mare così immenso con delle onde così impetuose; la strada che percorre la costa si aggroviglia in mille curve e poi sembra buttarsi nell’oceano. Per di più il tempo pazzo di inizio primavera ci ha regalato un cielo pieno di luci e ombre che con il mare fa accoppiata vincente. Il paese di Lorne, soprattutto ora che è buio e piove, è un pochino inquietante. Fuori c’è un’atmosfera da città fantasma: è completamente deserto, i negozi sono chiusi (comprensibile alle 9 di sera) e lo sono anche i ristoranti. Il silenzio è rotto solamente dal rumore del mare e la via principale è buia, illuminata dalle poche insegne. A contribuire all’atmosfera da film horror vorrei aggiungere ci sono miglia e miglia di tornanti tra noi e qualsiasi altro centro abitato, sia in direzione nord, che in direzione sud. Se la paura di rimanere vittime di un serial killer è solo opera della mia fantasia, la paura di rimanere a digiuno è reale, concreta e tangibile! Siamo usciti alla ricerca di un posto per mangiare già consapevoli che sarebbe stata dura, e così è stato: nei pochi ristoranti ancora aperti (due in realtà) la cucina stava chiudendo. La nostra ultima spiaggia era un benzinaio dotato di minimarket dove abbiamo comprato un pacco di spaghetti, un barattolino di sugo, e delle patatine. La nostra super camera era dotata anche di cucina, per cui abbiamo provato com’è mangiare un piatto di spaghetti al pomodoro dall’altra parte del mondo.

13/09/2010 LA STRADA DELLE MERAVIGLIE

Oggi abbiamo percorso un tratto lungo e bellissimo della Great Ocean Road. Siamo partiti da Lorne alle 10 dopo aver fatto colazione in un bar la cui proprietaria aveva origini italiane e aveva vinto un sacco di premi per le sue rinomate torte. La strada da Lorne a Coonawarra è molto lunga (474 km) ma è impossibile non fermarsi continuamente lungo il percorso per ammirare i mille scorci panoramici. Il percorso, che inizialmente corre lungo la costa, a un certo punto devia verso l’interno, e ci si trova magicamente immersi nella profumata foresta di eucalipto ai cui rami, se si è fortunati, è possibile scorgere aggrappati sornioni Koala. Consiglio vivamente di prendere la deviazione per il faro di Cape Otway, lungo la quale la foresta si fa sempre più fitta, per poi aprirsi in verdi pascoli e alberi contorti dalle forme strane. Per arrivare al faro bisogna fare il biglietto al visitor center, dal quale si accede a una bella camminata nel verde che permette di vedere la casa del telegrafo e la stazione metereologica. Il faro è stato costruito nell’800 ed è tuttora funzionante. Era la prima luce che le navi vedevano arrivando in Australia; è circondata dal mistero la storia di un pilota di aereo che scomparve nel 1978 dopo aver sorvolato Cape Otway: nessuno è mai riuscito a trovare i resti né del pilota, né dell’aereo. Siamo saliti fino in cima al faro con una scala a chiocciola, e ad accoglierci abbiamo trovato il guardiano in persona. Mi sono chiesta come facesse a stare tante ore lì senza impazzire: il faro è in una posizione veramente isolata e, a parte le poche casette sparse nel verde, attorno non c’è veramente nulla per miglia e miglia. La vista del mare dal faro è uno spettacolo mozzafiato. Lasciatoci alle spalle Cape Otway abbiamo proseguito lungo la Great Ocean Road osservando il paesaggio intorno a noi: man mano le zone popolate divenivano più rade e la foresta lasciava spazio a pascoli sempre più sconfinati; poi la strada ritornava a costeggiare il mare, per condurci ad un altro imperdibile spettacolo: i docici apostoli, delle formazioni rocciose alte più di 60 m a ridosso della costa che purtroppo sono destinate pian piano a scomparire per l’erosione. Il mare aveva una forza veramente impetuosa e si scagliava contro le rocce con spruzzi enormi di schiuma. Un altro punto panoramico da non perdere è il London Bridge, una roccia dalla forma particolare che sembra un ponte immerso nell’Oceano. Il viaggio è proseguito verso Coonawarra e, man mano che andavamo avanti, ci accorgevamo che le tappe erano ancora tante e, soprattutto, enormemente distanti tra loro. Una cosa che abbiamo imparato in Australia, oltre a rivedere l’orario di cena, è stato rivedere il concetto di distanza. Abbiamo veramente sperimentato cosa significa viaggiare in mezzo al nulla, soprattutto quando ha iniziato a calare la notte e le uniche forme di vita che incontravamo erano le mucche, le cui ombre scure si stagliavano contro il cielo ormai al crepuscolo. Era buio pesto quando abbiamo imboccato la strada per la regione del Coonawarra, per cui non ci siamo resi conto della vastità dei vigneti che costeggiavano la strada: li avremmo scoperti all’indomani. L’albergo, Chardonay Lodge, è bellissimo. La camera è enorme, con soffitto in legno e una grande vetrata che si affaccia su un prato verde curatissimo. Ma è freddissimo! Ceniamo con filetto e vino rosso in una calda e accogliente sala ristorante. Ci fa un po’ effetto vedere un camino acceso in questo periodo dell’anno, ma serve eccome. La cosa curiosa di questo luogo è che il fuso orario è spostato rispetto a quello di Melbourne, ma solo di mezz’ora ! Se non ce l’avesse detto la proprietaria dell’albergo non l’avremmo mai immaginato.

14/09/2010 SI PARTE PER ADELAIDE

Questa mattina sveglia alle 7.00 per arrivare a destinazione con la luce del sole. Siamo usciti dall’albergo in un’aria frizzantina e davanti agli occhi ci si è subito presentato lo spettacolo che la notte non ci aveva permesso di vedere: la strada buia della sera prima correva in mezzo ai vigneti sconfinati del Coonawarra. L’ultimo tratto della Great Ocean Road fino ad Adelaide non offriva grandi punti di interesse e il paesaggio, seppur bellissimo, a lungo andare diventava un po’ monotono. Abbiamo attraversato tantissimi pascoli e ci siamo fermati a fotografare alcune mucche: erano talmente curiose che appena ci siamo fermati si sono radunate tutte lungo il bordo della strada per guardarci. Sembravano loro le spettatrici e noi l’attrazione! Abbiamo proseguito fino al paesino di Robe, dove siamo scesi per una passeggiata in una piccola spiaggia in cui si respirava un profumo dolciastro che ricordava i ricci di mare. A pranzo ci siamo invece fermati a Kingstone, un piccolo paesino semideserto in cui abbiamo trovato un fornaio che faceva panini buonissimi. Superata Kingstone la strada ha iniziato a correre dritta tra colline verdissime, diventando sempre più monotona. Poi sono iniziate le paludi, e per tratti interminabili eravamo circondati dal nulla. Ogni tanto sul ciglio della strada c’era qualche barilotto che fungeva da cassetta delle lettere, nel bel mezzo di niente, senza case, né strade, né parvenze di civiltà nel raggio di chilometri. Altre volte al posto dei barilotti c’erano delle ruote con tanto di numero civico che segnavano l’inizio di viali che non avevano fine; o fermate di scuolabus senza case né scuole nei paraggi, o attraversamenti pedonali da pascolo a pascolo; e quando ci siamo accorti che pappagalli variopinti svolazzavano in libertà da un albero all’altro abbiamo avuto la sensazione di essere veramente nel paese delle meraviglie.

15/09/2010 ALLA SCOPERTA DI KANGAROO ISLAND

Questa mattina sveglia di buon’ora per andare a Kangaroo Island, una piccola isola poco distante da Adelaide. E’ possibile raggiungerla in traghetto in circa un’ora, oppure in aereo in una mezz’oretta scarsa; noi abbiamo scelto l’aereo così stamattina siamo saliti sul bus navetta per l’aeroporto in compagnia di altri due ragazzi italiani in viaggio di nozze. Ci sembrava un colpo di fortuna trovare due nostri connazionali, ma, una volta arrivati all’aeroporto di Adelaide, ci siamo resi conto che era statisticamente impossibile non incontrarne, dato che il nostro volo per Kangaroo Island era composto quasi esclusivamente da italiani in viaggio di nozze! Al momento della pianificazione del viaggio avevamo scelto la visita guidata in inglese, e all’aeroporto di Kingscote siamo stati accolti dalla nostra giuda australiana Mark, che tanto australiana non era dato che veniva dall’Inghilterra. La gita si sarebbe svolta in fuoristrada, e avremmo condiviso la giornata con altri quattro compagni di viaggio. Immaginavamo fossero stranieri, non trattandosi del tour in italiano, e siamo rimasti nuovamente stupiti dal fatto che ancora una volta eravamo tutti italiani. Per di più. una delle due coppie era di Forlì, ed era un pochino surreale parlare di Forlì, Cesena e Santa Maria Nuova percorrendo le strade sterrate di un’isola dall’altro capo del mondo popolata da canguri, koala e leoni marini. Kangaroo Island è la terza isola più grande dell’Australia; gli abitanti sono veramente pochi (una persona per chilometro quadrato) e le strade sono per lo più sterrate. Ci sono talmente poche persone, e tutte dotate di fuoristrada, che non c’è nessuna convenienza ad asfaltarla. La principale attività è l’allevamento, assieme ad agricoltura e turismo. Non esistono acquedotti, per cui l’acqua piovana viene raccolta in cisterne. Vendono bottigliette di acqua piovana! La prima tappa è stata una spiaggia popolata da leoni marini. Mark ci ha insegnato come distinguere i maschi dalle femmine, e ci ha spiegato come per i leoni marini la famiglia sia formata esclusivamente da madre e figlio, mentre i maschi non si ricordano nemmeno di chi sono padri. Per procurarsi il cibo passano tre giorni in mare, spingendosi anche 60 km dalla costa, diventando facili prede degli squali. Una volta tornati, sfiniti dalla fatica, riposano tre giorni sulla spiaggia e poi ripartono. Purtroppo la giornata era fredda e ventosa per cui non ce n’erano tanti sulla spiaggia. Siamo riusciti comunque ad avvistarne alcuni, tra cui una mamma che allattava un cucciolo. Sono carinissimi! Lasciata la spiaggia, Mark ci ha portati in una zona un po’ isolata dove nel pomeriggio ci saremmo cimentati nell’avvistamento dei koala. Mentre ci allenavamo a trovarne qualcuno tra i rami degli alberi, stando attenti a non essere morsi da terribili formiche giganti e a non essere punti da qualche ragno malefico, Mark si è infilato in una tenda a cucinarci il pranzo, che, di ritorno dalla nostra piccola avventura solitaria, abbiamo gustato con piacere: zuppa di zucca, carne e insalata, il tutto accompagnato da vino australiano. Dopo pranzo abbiamo attraversato un prato per proseguire con l’avvistamento dei koala, il cui nome abbiamo scoperto che significa “no drink”: non bevono. Tutta l’acqua di cui hanno bisogno è infatti contenuta nelle foglie di eucalipto di cui si nutrono. Esiste un centinaio di specie di eucalipto, di cui solamente 50 sono commestibili per i koala, e di queste 50 solamente 5 crescono a Kangaroo Island. Le foglie di eucalipto contengono sostanze velenose che i koala riescono a metabolizzare dormendo 19 ore al giorno, appesi come palline sornione ai rami delle piante che oscillano al vento. Si dice che se cadono rimbalzano come palle! Fino ad ora, il koala è il mio animale preferito. Siamo passati poi all’avvistamento dei canguri e dei wallabe, cosa un pochino più impegnativa perché l’aria si era fatta fredda e ogni tanto beccavamo qualche scroscio d’acqua (sono rimasta impressionata da come il tempo fosse incredibilmente variabile: riuscivamo passare da momenti di sole pieno a attimi in cui sembrava stesse per scatenarsi la “tempesta perfetta”). La differenza tra canguri e wallabe è che, mentre i canguri sono più grandicelli e marroni, i wallabe sono piccolini e grigi. E’ curioso il modo in cui i canguri camminano: si aiutano con la coda; e non è vera la leggenda secondo la quale tirano di box: in realtà fanno kick boxing! In situazioni di pericolo infatti fanno leva sulla coda e mollano calci pazzeschi. Al termine della giornata ci siamo fermati nei pressi di una spiaggia raggiungibile attraverso un passaggio un po’ contorto in mezzo alle rocce. Davvero bella e suggestiva, soprattutto per il mare che si infrangeva sugli scogli, gettando spruzzi di schiuma bianca contro il cielo plumbeo. Abbiamo bevuto tè e caffè caldi con i biscotti e, finita la merenda, siamo tornati all’aeroporto. Sulla strada del ritorno abbiamo incontrato un altro animaletto molto particolare chiamato Ekidna: è come un grande riccio dal becco lungo che va a caccia di formiche. E’ simpatico!

16/09/2011 IL MITICO AYERS ROCK

Oggi abbiamo sperimentato per la prima volta un guasto tecnico in aereo. L’aereo per Alice Springs, infatti, si stava dirigendo bello tranquillo verso la pista quando, anziché proseguire e decollare come tutti ci aspettavamo, ha frenato, si è girato ed è tornato dove era partito. Inizialmente ho pensato che avessimo dimenticato una persona (assurdo). Ma poi la voce allegra del pilota, di cui facevo fatica a capire tutte le parole, ha annunciato che avevamo un problema al motore (al filtro?), e dovevano sostituire un pezzo (il filtro?) per cui dovevamo aspettare circa 45 minuti. Mentre tutti sbuffavano per l’attesa, io immaginavo già i titoli dei principali giornali del giorno dopo: “incidente aereo in Australia, a bordo 6 italiani in viaggio di nozze” e sotto il trafiletto “l’aereo era rimasto fermo tre quarti d’ora dopo un guasto tecnico”. Alla fine siamo partiti e arrivati sani e salvi, anche dopo il volo da Alcie Springs ad Ayers Rock, dove un’hostess ha battuto la testa contro il soffitto per una turbolenza improvvisa. La nostra illusione di trovare un clima caldo e secco dopo giorni di pioggia e umidità si è subito spenta all’atterraggio: pioveva, le nubi circondavano l’Ayers Rock e c’erano 13 gradi. Un pullman ci è venuti a prendere al piccolo aeroporto, e ci ha condotti all’Ayers Rock Resort: un complesso di alberghi (noi alloggiavamo all’Outback Pioneer Hotel) e ristoranti, tutti collegati da un servizio di autobus, poco lontano da Uluru, il mitico sasso gigante che compare in tutte le cartoline e in tutti i libri sull’Australia. Cosa un po’inquietante: al di fuori dell’Ayers Rock Resort non c’è assolutamente nulla. Miglia e miglia di deserto e niente più. La cena è il pezzo forte dell’Outback Pioneer Hotel: si cena all’aperto, su grandi tavoli dove si mangia e si beve birra in compagnia, ascoltando musica dal vivo. La parte più divertente è scegliere la carne ancora cruda (manzo, pollo, maiale, ma anche coccodrillo e canguro) e andarla a cuocere in grandi griglie comuni. Dopo cena la musica continua e si balla tutti assieme! Fa un particolare effetto trovarsi dall’altra parte del mondo a ballare con persone provenienti dai più svariati paesi canzoni di fama universale. Bambini, adulti e vecchietti erano tutti trascinati dal ritmo e non riuscivano a trattenersi! E’ un’atmosfera calda e piacevole, veramente divertente.

17/09/2010 UN’ALBA UN PO’ DELUDENTE

Aiuto! Siamo un puntino in mezzo al nulla, la città più vicina si trova a 300 km, fuori diluvia e ci hanno anche annullato la cena nel deserto! Passerò un po’ di tempo raccontando la giornata di oggi. Ci siamo svegliati alle 4.45 per andare ad ammirare lo spettacolo di Uluru all’alba. Ce lo avevano descritto come una magia di colori che cambiavano man mano che il sole appena sorto saliva nel cielo. Purtroppo il cielo in questione era coperto di nuvole, per cui, anziché attraversare la tanto attesa successione cromatica, il grande sasso a un certo punto è comparso, inizialmente come una macchia scura che pian piano si è trasformata in una forma marrone arancio stagliata contro il cielo cupo. Intraprendere l’intera camminata attorno al monolito gigante non sembrava una buona idea, perché faceva incredibilmente freddo e il cielo minacciava pioggia. Abbiamo optato per una camminata più breve, costeggiandone solo un lato e, nonostante il tempaccio e il freddo si respirava un’atmosfera magica. Vederlo da vicino è una sorpresa: il contorno è irregolare e scavato in forme e insenature veramente strane e belle; alcuni tratti sono considerati sacri per cui non è possibile fare foto. Siamo passati anche davanti al punto di partenza per le scalate, non sono viste di buon occhio dagli aborigeni: dopotutto Uluru è per loro un luogo sacro. In ogni caso la salita non era possibile dato il maltempo. Esistono alcune leggende riguardo maledizioni che hanno perseguitato le persone che hanno portato a casa come souvenir frammenti di roccia. Molte di queste hanno rispedito al mittente le rocce sottratte perché vittime di strani eventi e sciagure. Iniziava a piovere, per cui alle 8.30 ci siamo rifugiati al Cultural Center, dove c’era un bar, un negozietto e delle mostre riguardo Uluru e la cultura aborigena. Una volta visitato tutto mancava ancora un’ora e mezza all’arrivo del nostro bus-navetta per l’albergo, e il diluvio non ci permetteva di andare da nessuna parte. E’ stata un’ attesa lunghissima! Tornati in albergo abbiamo pranzato e trascorso il pomeriggio allo shopping center. Stasera dovevamo avere la cena sotto le stelle nel deserto, ma, dato che la pioggia non accenna a smettere, ci hanno trasferiti in un ristorante. Mangeremo canguro! Poverino.

18/09/2010 SI VA AL CALDO: DARWIN

Oggi siamo decollati nel cielo umido e nebbioso di Ayers Rock per atterrare in una soleggiata e calda Darwin. E’ incredibilmente caldo. Un caldo strano, umido e un tantino opprimente, ma piacevolmente diverso dal freddo umidiccio che ci ha accompagnato negli ultimi quindici giorni. Sistemate le valigie in albergo abbiamo deciso di approfittare del pomeriggio libero per esplorare la città. Arrivati in centro ci sembrava di passeggiare per una città fantasma: i negozi erano tutti chiusi e in giro non c’era anima viva, eccetto qualche aborigeno ubriaco. La sensazione era simile a quella che si prova facendo una passeggiata in città il giorno di ferragosto a mezzogiorno. Ci siamo così spostati verso la zona chiamata “Waterfront”, e ci siamo resi conto che erano tutti lì: gente che prendeva il sole sul prato, nuotava nella piscina con le onde, o faceva il bagno nelle acque che bagnavano l’unica piccolissima spiaggia. Con mia grande sorpresa ho scoperto infatti che a Darwin non ci sono spiagge. Dopo un aperitivo, siamo andati a cena e ora tutti a letto presto: domani si parte per il Kakadu National Park.

19/09/2010 KAKADU NATIONAL PARK: INCONTRO RAVVICINATO COI COCCODRILLI

Il Kakadu National Park si raggiunge in circa tre ore e mezza di pullman da Darwin. Il nostro autista usava un inglese molto stretto e difficile da capire, e parlava anche tanto! Passava da argomenti di dubbia utilità come il funzionamento dell’aria condizionata sul pullman, a informazioni interessanti sul parco che, già ubriachi di chiacchere, non ascoltavamo. Se a ciò si aggiunge il fatto che per tutto il tempo ci saranno state solo un paio di curve (abbiamo percorso un’unica interminabile strada perfettamente dritta), posso definirlo un viaggio estremamente soporifero. La prima tappa della giornata è stata la Yellow Water Lagoon, dove abbiamo fatto una crociera per avvistare diverse specie di flora e di fauna, e soprattutto i temibili coccodrilli. Finalmente ho capito la differenza tra alligatori e coccodrilli: ciò che li distingue sono le caratteristiche morfologiche e le zone di origine. Ad esempio in Australia non esistono alligatori. I coccodrilli qui vengono chiamati in maniera simpatica con il nome “Croc”. La guida ci ha spiegato che nel corso del nostro soggiorno al Kakadu ne avremmo visti di due tipi: quelli d’acqua dolce (incontrati nella Yellow Water Lagoon), più docili, e quelli di acqua salata, più nervosi ed aggressivi. Terminata la crociera, la pausa pranzo è durata più del previsto a causa di un guasto tecnico al pullman, di conseguenza la visita alle pitture aborigene di Nourlangie è stata molto frettolosa; siamo rimasti un po’ delusi. Verso le 16.00 siamo stati accompagnati al nostro Hotel all’interno del parco: il Crocodile Holiday Inn. Nulla di speciale, se non fosse che l’albergo è a forma di coccodrillo, e noi gli dormivamo proprio nella pancia, in una stanza che si affacciava sulla piscina. La sera il luogo non offre tante attrattive per cui dopo cena (menu a buffet non proprio economico ma molto ricco) abbiamo percorso il perimetro del coccodrillo fino al muso (ha gli occhi illuminati) e poi siamo andati a letto. Ormai siamo abituati a cenare alle 18.30!

20/09/2010 KAKADU NATIONAL PARK: UBIRR

Partenza di buon’ ora alla volta di Ubirr, dopo una lotta contro le mosche durante l’attesa dell’autobus. Sono proprio dispettose e snervanti le mosche di questo parco, si fissano con un punto del corpo, di solito la faccia, e nonostante i tuoi più disperati tentativi per cacciarle via, compresi ceffoni in fronte che fanno tanto ridere chi ti sta attorno, non mollano. Con un brevissimo e lestissimo movimento si staccano e si riappoggiano esattamente lì, dove ti sei appena picchiato. Mosche a parte, la giornata a Ubirr è stata a dir poco favolosa. Si attraversa un sentiero tra le rocce lungo circa un chilometro, lungo il quale si possono vedere alcune pitture aborigene; queste venivano utilizzate dagli aborigeni come forma d’arte, ma anche per raccontare storie o come ringraziamento verso gli dei. Al termine del percorso è possibile salire su una roccia alta 250 metri da cui si gode di uno splendido panorama: il verde sterminato a trecentosessanta gradi. Dopo un pranzo al sacco è iniziata la nostra crociera sull’East Alligator River. Questo fiume ha preso il nome dall’esploratore che per la prima volta lo ha visto, e che ha confuso i coccodrilli con gli alligatori. In questo caso si tratta di coccodrilli di acqua salata: ebbene si, quelli più nervosetti. La guida si è raccomandata di non fare sporgere le braccia dall’imbarcazione (i coccodrilli di acqua salata saltano) e ha ironizzato sui giubbotti salvagente posti sopra le nostre teste, perfettamente inutili dal momento che, una volta in acqua, saremmo stati diventati un ottimo pranzetto per gli abitanti del fiume. Abbiamo navigato fino al confine con l’Ahrnemland dove la vegetazione, prima ricca e rigogliosa, scompariva e il fiume scorreva lento tra le rocce. Ci siamo fermati in un sito aborigeno dove la guida ci ha spiegato l’uso di alcune armi, con tanto di prove pratiche. Nel tragitto del ritorno abbiamo avvicinato alcuni coccodrilli apparentemente addormentati. Dormivano a bocca aperta ! Sembrava incredibile ma è una cosa piuttosto comune: lo fanno per rinfrescarsi. Terminata la crociera è iniziato il nostro ritorno verso Darwin, con una breve sosta per un aperitivo con vista su un tramonto rosso fuoco.

21/09/2010 TUTTI AL MARE: PALM COVE

Sveglia alle 4.30: si vola a Cairns. Durante l’atterraggio, una lunga discesa sul mare, siamo stati subito colpiti dal paesaggio: una piccola striscia di sabbia bianca corre lungo la costa, dietro la quale si alzano montagne verdissime dalla vegetazione fitta e rigogliosa. Un’esplosione di verde! Palm Cove è un piccolo e pittoresco paesino a nord di Cairns. Come primo giorno non abbiamo visto tanto: abbiamo fatto una passeggiata nel lungomare (c’è un piccolo centro commerciale costruito in casette variopinte che ricordano un po’ Key West) e abbiamo dato un’occhiata alla spiaggia, ma non siamo riusciti a prendere il sole perché il clima era un po’ strano; infatti, anche se all’apparenza la giornata era soleggiata, ogni 10 minuti il cielo si incupiva e scoppiava dal nulla un violento acquazzone. Poi le nuvole si dissolvevano come per magia per lasciare posto al sole, per tornare poco dopo minacciose gonfie di pioggia. La spiaggia era molto bella, ma per il maltempo il mare era mosso, grigio e non molto invitante; e a quanto pare era anche piena di insidie! All’ingresso della spiaggia c’erano infatti cartelli di pericolo che mettevano in guardia da cubomeduse e coccodrilli, e persino dalla caduta di noci di cocco. Il nostro albergo si chiama Novotel Rockford, siamo immersi nella natura e la nostra camera si affaccia su un piccolo laghetto. La notte è un rilassante concerto di grilli, rane e uccelli notturni : è bellissimo.

22/09/2010 GREEN ISLAND: ISOLA STUPENDA MA NON PROPRIO DESERTA

Oggi partiamo con il catamarano Great Adventures alla volta di Green Island. L’isola è collegata a Cairns da diversi traghetti. Dopo 45 minuti di viaggio arriviamo in un piccolo paradiso: l’isola è minuscola – è lunga solo un chilometro – il mare è cristallino e le spiagge sono bianchissime. Il villaggino che ne occupa la parte centrale sembra un piccolo parco a tema e potrebbe deludere le aspettative di chi desidera la pace che si cerca in un’isola deserta che si rispetti: ci sono negozietti, un chiosco che noleggia attrezzature per snorkeling e sub, un paio di bar e ristoranti. Il luogo è affollato, nonostante ciò c’è un turismo discreto e silenzioso. L’isola è strapiena di asiatici e le scritte sono ovunque in doppia lingua; il fast food in cui abbiamo mangiato aveva, oltre alle posate, le bacchette! E’ possibile svolgere diverse attività (fare snorkeling, vedere spettacoli di coccodrilli, fare una gita in barca col fondo trasparente) oppure semplicemente dedicarsi al puro ozio all’ombra di una delle tante palme della bellissima spiaggia di sabbia bianca. Delle attività sopraelencate noi abbiamo optato per lo snorkeling e, naturalmente, per l’ozio. Per chi non è amante di immersioni o un patito di snorkeling a Green Island è giusto dedicare un’intera giornata, non di più. Alla sera siamo andati a mangiare da Apres, un locale molto carino a Palm Cove dove c’è sempre musica dal vivo e si mangia in un’atmosfera festosa. Dopo cena ci siamo gustati una birra in giardino sulle note magiche del concerto della natura tropicale.

23/09/2011 ULTIMI RAGGI DI SOLE A PALM COVE

Abbiamo trascorso il penultimo giorno di vacanza in spiaggia a Palm Cove in totale relax. La mattina, mentre facevamo colazione in giardino, è passato un canguro saltellando a pochi metri da noi. All’inizio della vacanza lo vedevamo come un animale strano ed esotico, l’abitante degli antipodi per eccellenza, mentre ora ci sembra quasi normale trovarcelo sulla veranda, quasi fosse il gatto del vicino. Il tempo è stato bello fino al primo pomeriggio, quando sono arrivati banchi di nuvoloni ed ha iniziato nuovamente a piovere. Non c’è molto da fare a Palm Cove quando il tempo è brutto, o meglio, ci sarebbero luoghi da esplorare nei dintorni, ma è necessaria la macchina. In ogni caso si respira un’atmosfera veramente rilassata ed è bello anche soltanto passeggiare sotto le palme ascoltando il fruscio del vento e il rumore del mare.

24/09/2010 IN VIAGGIO VERSO CASA

La mattina di oggi è stata accompagnata da quella malinconia che segna sempre l’ultimo giorno delle nostre vacanze. In viaggio il tempo vola e e sembra non bastare mai. Dopo aver fatto colazione al bar, abbiamo passeggiato nel lungomare fino a un grande palmeto dove con sorpresa abbiamo scoperto si stava celebrando una cerimonia di matrimonio all’aperto! Tornati in albergo siamo saliti a malincuore sulla navetta che ci ha accompagnati all’aeroporto di Cairns dove ci siamo imbarcati su un aereo della Jetstar alla volta di Singapore con scalo a Darwin. Dopo un’attesa di 4 ore all’aeroporto di Singapore (bellissimo e pieno di negozi) siamo partiti per Francoforte, per arrivare a Bologna in tarda mattina, forse un po’ storditi ma soprattutto inebriati dal meraviglioso viaggio appena concluso, con la promessa che presto saremmo tornati nuovamente ad esplorare quella terra ricca di meraviglie e di sorprese.

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Melbourne

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Alberi lungo la Great Ocean Road

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Bondi Beach, Sydney

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Pericolo caduta cocchi a Palm Cove

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Dodici Apostoli, Great Ocean Road

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"Sono un po' stanchino", Leone Marino a Kangaroo Island

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Fame! Coccodrillo al Kakadu National Park



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