Australia, la terra dell’infinito

La stagione secca è ideale per visitare il nord!
Scritto da: curiosona
australia, la terra dell'infinito
Partenza il: 06/04/2010
Ritorno il: 01/05/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
L’Australia mi ha sempre affascinato per i grandi spazi, pochi abitanti e le fattorie perse nel nulla. Gli aborigeni, che sono i veri australiani, sembra che siano arrivati dall’Africa dopo un lungo viaggio attraverso l’India, l’Indonesia e attraversarono il mare, forse su zattere di tronchi di bamboo. Ad avvalorare questa tesi sono stati ritrovati resti di utensili di 60 mila anni fa. Questo il preambolo, ma la verità è che il maggior difetto di questo affascinante paese è… la lontananza dall’Italia e la guida a sinistra! Arriviamo a Sydney all’inizio di aprile via Londra-Singapore, due scali che hanno spezzato il lungo viaggio. Mettiamo a punto l’orologio sull’ora locale: sono le 6 di mattina ed il tempo di arrivare in hotel, depositare i bagagli e uscire verso le nove perché ci hanno consigliato di non andare a dormire, ma di aspettare la sera per superare al meglio il jet lag. (Ricordarsi però di prenotare la camera anche la sera precedente l’arrivo, altrimenti si deve attendere l’orario standard di check-in negli alberghi, cioè le 14.00). Sydney è una città molto grande con 4 milioni di abitanti e tanto traffico. Gli autobus però hanno impianti a gas e quindi l’inquinamento non si sente. Inoltre siamo all’inizio dell’autunno, ci sono 23° come fosse la nostra primavera, ma il sole è molto più caldo. Oggi è ventilato. Non so se è sempre così. Staremo a vedere. Comunque si sta benissimo. Siamo diretti al porto, il famoso Circular Quay: è magnifico, ampio, lungo e vivacissimo. Tante persone che si godono il sole, bevono o mangiano seduti ai tavolini, sull’erba, o anche camminando molto semplicemente. Qui regna sovrana la cultura del take-away. Gli australiani sono molto informali nel quotidiano: bermuda, maglietta e ciabatte infradito e sembrano felici. Ci sono vasti spazi dedicati a parchi e giardini, nidiate di bimbi che giocano tranquilli ovunque, mamme rilassate anche se tengono un paio di figli per mano. Questa baia naturale è grande e bella, da qui partono i traghetti che collegano molti quartieri cittadini. All’estrema destra ci appare l’Opera House, capolavoro di architettura moderna, in bella posizione, affacciata sul mare e si può passeggiate tutt’intorno, arrivando ai giardini e alla casa del governatore immersa nel verde che sovrasta il quay. Di questo edificio si è detto e scritto tutto, ma vederla dal vivo è tutt’altra cosa. Andremo a visitarla in seguito. Dalla parte opposta sorge il quartiere dei Rocks che ha un fascino tutto particolare: antico e attuale allo stesso tempo, dove nell’ottocento abitavano marinai, fuorilegge, soldati e detenuti, criminali e nobili che costruirono forti, ospedali, mulini a vento e moli per la prima volta in Australia. Visitiamo una vecchia postazione trasformata in museo, mentre in passato è stata prigione e quartier generale militare per marinai e soldati. La baia è un pullulare di traghetti e navi da crociera che organizzano gite giornaliere e notturne per ammirare la città dal mare. Dai Rocks parte la struttura di acciaio Harbour Bridge, il ponte, lungo circa 500 m e largo una cinquantina con un’altezza di 130 m, è il più lungo al mondo per capacità di traffico con due linee ferroviarie, un percorso pedonale, una pista ciclabile e otto corsie di auto. Decidiamo di percorrerlo a piedi per ammirare lo splendido panorama sulla città e sul porto. L’Opera House si trova esattamente di fronte, oltre il porto. Joem Utzon è l’architetto danese che l’ha ideata nel 1958 dopo aver vinto un concorso a livello mondiale. Dall’alto si vede divisa in due settori e sembra una composizione di “spicchi” tagliati da una sfera, ricoperti da piastrelle di ceramica svedesi bianche e ricordano le “vele”. Dobbiamo assolutamente entrare a visitarla. Troviamo una guida che con passione ci accompagna all’interno raccontandoci tutti gli aneddoti relativi a questo edificio. L’interno è notevole: la sala per le commedie teatrali, la sala della musica con l’acustica perfetta e la sala destinata ai balletti. A terra hanno posato una magnifica moquette viola brillante che risalta con il cemento armato e le vetrate. Un cortile interno separa i due blocchi principali. Non contenti e per niente stanchi ritorniamo verso il centro diretti al Queen Victoria Building, il centro commerciale più elegante della città. E’ un edificio di mattoni rossi e all’interno si entra in una vasta sala circondata da lussuosi negozi e caffetterie molto eleganti posti su diversi piani e una cupola di vetro e ferro richiude il tutto. Al centro di una sala dall’alto scende un enorme orologio molto pittoresco con otto immagini storiche della città e rappresentazioni di vita aborigena nella parte superiore. Alle h 17,00 l’anello centrale ruota su se stesso. Un veliero invece gira sempre intorno all’orologio e scandisce il tempo. E’ una vera opera d’arte, ma occorre vederlo dal vivo per capire bene com’è fatto perché descriverlo è difficile. Gironzolare a piedi è l’ideale anche se le comodità non mancano: c’è il trenino turistico all’interno del Royal Botanic Garden; la monorotaia che sovrasta il Darling Harbour e attraversa Chinatown e il Chinese Garden of Friendship, donato dalla Cina all’Australia per il bicentenario, passa davanti all’acquario coi suoi 145 m di tunnel trasparenti che racchiude migliaia di specie marine; una serie infinita di bus e taxi, metro e tram di superficie. Via mare conviene prendere i numerosi ferry-boat che partono da ben 6 pontili in ogni direzione nel vasto golfo di Sydney. Si può anche fare una crociera con pranzo o cena a bordo di giorno e di sera per ammirare la città dal mare. I grattacieli, l’Opera House, la Circular Quay e il ponte Harbour illuminati e luccicanti sono molto suggestivi. Noi scegliamo una crociera con pranzo a mezzogiorno che fa un ampio tour della baia per gettare lo sguardo alla prospettiva della città. Poiché la monorotaia ci incuriosisce decidiamo di salire per fare il giro panoramico dall’alto. Col biglietto giornaliero si può salire e scendere dove e quando si vuole. Visitiamo il Chinese Garden, piccolo ma grazioso e con scorci molto asiatici e rilassante. L’acquario è stato la ciliegina sulla torta con tutte le specie marine dell’Oceano e soprattutto il lungo tunnel che lo attraversa e dove gli squali e le tartarughe ti passano sopra la testa e accanto dando l’impressione di essere sul fondo del mare. La mattina seguente prendiamo il ferry che porta a Manly Beach, paradiso dei surfisti: una spiaggia immensa a ferro di cavallo all’inizio di una penisola dove si può giocare a pallavolo e i surfisti alle prime armi iniziano a “dominare” le onde che oggi per la verità non sono così alte. The Corso è la via che dal molo porta alla spiaggia ed è nata nel 1887. E’ ricca ci negozi per surfisti, tavole calde e ristorantini, bar, cibo take-away che in Australia è utilizzato volentieri dalle persone che lo gustano in spiaggia, sui prati, nei giardini pubblici o nelle aree pic-nic. Nei week-end si tiene il mercatino dell’artigianato con gioielli, pitture, foto, sculture e abiti creati da artisti emergenti, non economici, ma molto originali. Prendiamo anche noi una porzione di fish & chips, piatto nazionale importato dagli inglesi, e ce la gustiamo in un’area apposita insieme ad altri turisti e molti …gabbiani. Ad una signora di mezza età con una patatina in mano un veloce gabbiano ruba il gustoso boccone. Mi raccontano che qualche volta capita che i gabbiani rubino metà porzione dal piatto e che la persona continui a mangiare il resto con molta naturalezza. Poiché nei week-end si tiene anche il mercato artigianale nel quartiere dei Rocks riusciamo ad andarci la domenica e troviamo oggetti molto originali fatti da artisti e creativi della zona. A proposito di mercati nel quartiere cinese c’è il Paddy’s Market che però trovo deludente in quanto tutta la merce è cinese ma di scarsa qualità. In ogni caso il costo è basso e si trovano souvenir a poco prezzo. Per il pranzo decidiamo di andare al Fish Market il mercato del pesce dove hanno avuto l’idea di creare dei banchi all’interno per la vendita del pesce crudo oppure di gustarlo cotto presso di loro. Alle ore 13,00 c’è una folla tremenda, molto asiatici che occupano i tavoli e consumano il pasto molto lentamente gustandolo piacevolmente. Abbiamo la fortuna di trovare due post liberi che io occupo subito, mentre E. Va al bancone a ordinare il piatto misto di aragosta, gamberi, granchio e calamari alla griglia e fritti con pesce crudo e ostriche assolutamente economico. (circa A$ 20,00). Questo mercato vende anche verdura, frutta, fiori e troviamo pure un negozio di vini australiani che una gentile signora ci fa assaggiare come degustazione. Sentendo che siamo italiani ci racconta di aver vissuto qualche tempo a Firenze, di apprezzare il Chianti e i vini italiani ed è lieta di offrirci quelli australiani. Ottimo il bianco Chardonney, il rosso invece è un po’ forte per i miei gusti. Sydney verrà ricordata come una città moderna ed elegante, con una splendida baia, il profilo dell’Opera House perfetto e il pesce ottimo. Ripartiamo il mattino del 12 aprile e, dopo un’oretta di volo, atterriamo a Melbourne, città esteticamente più inglese di Sydney, con palazzi di diversi stili architettonici e ovunque statue e sculture create da artisti locali. E’ molto colorata e vivace coi sui 3,700 milioni di abitanti. Noi alloggiamo nel quartiere universitario e quindi è pieno di giovani da tutto il mondo. I tram lunghi, tipo metro, sono il mezzo più diffuso in assoluto e anche qui non sentiamo inquinamento perché sono elettrici. La città è ampia e il traffico privato non è eccessivo, come pure le auto non sono parcheggiate ovunque. E’ una città talmente accogliente che esiste il circle bus, gratuito per i turisti, che fa un percorso circolare nei punti più tipici della città, mentre l’autista spiega quello che si vede dal finestrino. Si può scendere, visitare il posto, e poi risalire dopo circa trenta minuti quando ripassa il bus per completare il giro. Siamo esterrefatti dalla civiltà di questa gente che offre ospitalità ai turisti in questo modo. In ogni caso un australiano residente non si sogna di salire a bordo per scroccare il passaggio gratuito. Dovremmo anche noi in Italia imparare qualcosa. Ovviamente la spiegazione è in lingua inglese. Siamo diretti nel centro visitatori in Federation Square per prenotare il tour della Great Ocean Road per il giorno dopo. Strada facendo passiamo davanti ad un laboratorio a livello della strada dove alcuni giovani studenti stanno creando le loro opere: chi disegna, chi dipinge e chi modella creta ed è un piacere per gli occhi. Ad una fermata di autobus mi colpiscono tre statue di bronzo filiformi che rappresentano tre signori in attesa del bus: sembrano caricature e sono molto buffe. Impossibile non scattare una foto. La Federation Square è una piazza moderna tra il centro e la sponda del fiume Yarra che attraversa la città. Percorriamo la Collins Street tra grattacieli di vetro e acciaio, una banca in stile gotico, la Cattedrale di St. Paul, la Rialto Tower, Musei, giardini, il teatro Princess, il Parlamento e arriviamo al ponte Victoria che si affaccia sulla City. Al centro visitatori sono come sempre molto gentili: controllano al computer il meteo previsto per il giorno successivo, il bus verrà a prenderci in hotel e staremo via tutto il giorno. La serata si conclude con la cena a base di carne, ottima per la verità, nella Steakhouse vicino a Victoria Bridge in compagnia di un ragazzo italiano, che lavora a Melbourne, incontrato in aereo. Abbiamo con lui le cene prenotate per le sere successive e ci accompagnerà anche nel quartiere italiano. La gita sulla Great Ocean Road è stata una delle più belle trascorse in Australia: l’autista fungeva da cicerone e, mentre guidava, ci intratteneva con racconti e aneddoti. Facciamo tappa per la colazione e per il pranzo. Passeggiamo nei percorsi appositi per raggiungere i punti più panoramici. Transitiamo intorno alla Corio Bay, attraversiamo la cittadina di Geelong, e ammiriamo la famosa Bells Beach, la spiaggia dei Campionati Mondiali di Surf che sono molto seguiti in questa parte del mondo. Lasciando il paesino di Anglesea inizia la famosa Great Ocean Road: questa strada, costruita dai reduci della Prima Guerra Mondiale e il cui ingresso è presidiato da un monumento che ricorda questi eroi, è molto tortuosa e corre lungo la costa occidentale dello stato Victoria offrendo scorci suggestivi e una vista mozzafiato. La bellezza di questo tratto di costa consiste nella fitta foresta che fiancheggia la strada mentre la scogliera domina l’oceano. I cosiddetti dodici ‘Apostoli’, che nessuno riesce a contare, sono forse ridotti a otto perché l’erosione dell’acqua li sta logorando. Spuntano all’improvviso dall’oceano così burrascoso che sembra voglia portarseli con sé. Alcune grotte sono occhi neri nella roccia e un enorme arco scolpito da milioni di anni di erosione sorge dalle onde. Un alternarsi di spiagge dorate, scogliere altissime, vegetazione flagellata dal vento che qui soffia forte, e gli ‘apostoli’ rendono lo scenario unico. Più di 50 navi sono affondate in questo tratto di oceano, chiamato “costa dei naufragi”, che ispira storie inquietanti di vascelli fantasmi. Inoltre il profumo nell’aria di bush e spiaggia, eucalipti e salsedine rende questo luogo magico. Passando sotto un bosco di eucalipti l’autista ci mostra dei koala che stanno tranquillamente rosicchiando le foglie: sono “orsetti” pacifici, piccolini e così in libertà sono simpatici. Il nostro soggiorno a Melbourne della durata di tre giorni ci consente di visitare lo storico mercato Queen Victoria Market, dove si trova di tutto dalle specialità alimentari all’abbigliamento e alle cose più strane, e il quartiere dei Docklands che in origine era il porto della città poi andato in disuso. Ora hanno costruito il nuovo stadio, ci sono molti negozi outlet, dove si comprano anche souvenir, e grattacieli dove i residenti potranno abitare. E’ comunque un quartiere in evoluzione. C’era anche una ruota panoramica con una vista stupenda sulla città che però hanno dovuto spostare perché il grande caldo di quest’estate (sembra 47°) ha fatto fondere il basamento costruito in Cina. Il 15 aprile ripartiamo per Adelaide diretti a Kangaroo Island. Dopo un’oretta di volo atterriamo ad Adelaide e ritiriamo l’auto noleggiata. Bisogna farsi l’occhio per guidare a sinistra e soprattutto con le marce che sono a sinistra e le frecce a destra. Comunque iniziamo il nostro viaggio “contro-mano”. Il navigatore ci aiuta con la strada, ma alle rotonde rallentiamo per imbroccare quella giusta, contandole da sinistra. Grandi risate con E., quando deve mettere la freccia schiaccia l’interruttore a sinistra del volante che mette in funzione il … Tergicristallo!! In ogni caso lo scherzo dura poco e ci si abitua subito. Arriviamo in orario a Cape Jervis per prendere il ferry verso Kangaroo Island. In quest’isola, lunga circa 150 km che gli australiani definiscono “piccola”, vivono circa 4500 persone residenti. Poco traffico, le strade principali sono asfaltate e collegano le cittadine più abitate. Gli altri collegamenti sono sterrati e conducono ovunque. Meglio quindi noleggiare una 4×4 per non avere limitazioni. Noi ci dirigiamo alla spiaggia Seal Bay dove vivono le otarie che qui trovano l’habitat adatto alle loro esigenze. Una guida ci accompagna per un’ora e, dopo un percorso su passerella di legno, che non si deve abbandonare perché i cartelli indicano la presenza di serpenti, scorgiamo una lunga spiaggia al margine della baia letteralmente costellata di otarie che stanno sdraiate al sole a scaldarsi, alcune nuotano tra le onde impetuose e i gabbiani sono tutti intorno come fossero delle sentinelle. Scatto molte foto perché è la prima volta che mi capita una simile avventura e l’occasione è ghiotta. Sono animali in libertà e noi riusciamo piano piano ad avvicinarli a distanza di qualche metro. Riprendiamo il tour diretti al Flinders Chade National Park, ma prima facciamo una sosta a Remarkable Rocks, rocce granitiche di milioni di anni che spuntano dal mare su un promontorio e che sono coperte da licheni rosso-fuoco ed hanno molte forme buffe dove ognuno può scorgere quello che vuole. Altra tappa a Admirals Arch, un capo sull’oceano tumultuoso a forma di arco e dove vivono le foche comuni che vediamo nuotare allegramente tra i flutti sotto a noi. Nel parco si paga un’entrata a persona per tutto il giorno di A$ 8.50 e si può girare in tutta l’area alla ricerca di animali selvaggi: koala, canguri, wallaby, roditori, istrici e uccelli rari. Noi restiamo delusi perché non ne incontriamo neanche uno ad eccezione di uccelli e corvi, ma vediamo molti cadaveri di questi animali sul ciglio della strada. Probabilmente di notte escono dal bush e i veicoli passando li investono, forse abbagliati dai fari. E’ un vero peccato. La guida forestale ci dice che stamattina ha contato 45 cadaveri sulla strada! Se vogliamo essere sicuri di vederli dobbiamo andare in un parco privato dove tengono questi animali in cattività per mostrarli ai turisti che possono persino dar loro da mangiare, avvicinarli e prenderli in braccio per scattare foto. Io non sono molto d’accordo e vorrei vederli in libertà. Aspetterò di incontrarli per caso. Domattina ritorniamo ad Adelaide dove potremo telefonare a casa perché su quest’isola siamo isolati con la nostra sim card australiana che non prende. Adelaide, capitale del South Australia, è una città insignificante: ha soltanto il fiume Torrens che l’attraversa in modo attraente. Palazzi enormi con architettura squadrata e ogni tanto chiese o palazzi vittoriani o gotici non sono sufficienti a definirla bella. In ogni caso è piacevole passeggiare nei numerosi parchi e giardini e per la prima volta notiamo lungo il fiume gruppi di aborigeni che vendono il loro pitture seduti sui prati. Una gentile signora nata ad Adelaide da genitori italiani che incontriamo sul ferry ci racconta la sua vita e ci chiede le nostre impressioni sull’Australia. E’ stata una piacevole chiacchierata e per finire ci ha dato l’indirizzo di un paio di buoni ristoranti per la cena. Effettivamente abbiamo cenato in una brasserie molto raffinata con cucina originale e curata in centro città vicino a Victoria Square. Domattina voliamo ad Alice Springs nel cuore del Northern Territory per vedere il vero paesaggio australiano. Siamo giunti nel deserto: ci sono 32° circa, ma è secco. Il paesaggio è composto da arbusti, eucalipti e terra rossastra. I fiumi sono rigagnoli. Ad Alice Springs scorre il Todd River che però è asciutto, probabilmente perché siamo alla fine della stagione estiva secca. La cittadina coi suoi 30.000 abitanti è di origine mineraria ed è diversa dalle altre città finora visitate. Non ha grattacieli in centro, ma lungo l‘isola pedonale Todd Mall notiamo molte gallerie d’arte aborigena, musei, bar e ristoranti ed ha appena avuto luogo il mercatino con oggetti curiosi e originali. E’ un ambiente rilassato e mangiamo una buonissima steak con patatine e insalata in un locale tipico a soli A$ 5.00. E’ uno di quei locali rustici coi tavoli fatti coi tini per l’uva ed è affollato. D’altra parte Alice S. È un’oasi nel deserto, da qui si parte per il monolito che si trova a 450 km in fondo alla strada Lassater Highway diritta e con una sola grande curva. Questa Highway che porta da Alice S. Ad Ayers Rock fu costruita nel 1948 mentre prima occorrevano due giorni per percorrere questa distanza.. Gli aborigeni che incontriamo mi sembrano un po’ lasciati da parte, spaesati, separati dai bianchi che comunque sono proprietari dei negozi e dei locali. Forse bisognerebbe coinvolgerli maggiormente nella vita sociale rispettando però le loro abitudini senza soffocarli o pretendere di cambiarli. Mi ricordano molto gli indiani d’America chiusi nelle riserve. Interessante è la stazione del Telegrafo tra Adelaide e Darwin del 1872 che facilitò lo sviluppo della città e il Royal Flying Doctors Service che iniziò nel 1928 per portare aiuto medico alle popolazioni dell’outback australiano. Siamo partiti presto la mattina diretti a Kings Canyon, la seconda tappa del nostro giro nel “red australiano”. Percorriamo in auto quasi 500 km, poco traffico, niente abitazioni, ogni x chilometri incontriamo punti ristoro e benzina che sono molto tipici: un negozietto vende provviste di prima necessità, cucinano i pasti e a volte sono anche b&b con piccole piscine, affittano quad, cammelli o propongono tour in elicottero. Ci fermiamo a fare colazione in uno di questi locali dove si entra, si paga la consumazione e ci si serve self-service tè, caffè e latte con eventuali dolci. Colgo l’occasione per comperare un cappello con veletta anti-mosche che mi dicono servirà in seguito: è molto grazioso, beige con mosche nere disegnate e la veletta nera. Sembro una misteriosa signora dell’ottocento! E. Non perde l’occasione di ritrarmi in foto. Il paesaggio è abbastanza verdeggiante e non sembra di essere nel deserto, ci sono pozze d’acqua e alberi o cespugli a tratti. E’ quasi noioso guidare su questa strada verso il nulla dove i chilometri sembrano non finire mai. All’improvviso scorgiamo due canguri che saltellano tra i cespugli, ci vedono, voltano la schiena e corrono lontano in quattro salti. Neanche il tempo di prendere la macchina fotografica. Però la soddisfazione di averli visti ci resta nel cuore. Finalmente questo buffo animale ci è apparso in tutta la sua bellezza ed è emozionante vederli saltare su un territorio così impervio. Sostiamo per il pranzo a Kings Creek, una fattoria con campeggio e bungalow, poi proseguiamo per Kings Canyon, dove ci attende uno splendido resort, oasi dopo tanto deserto, con piscina e grigliata serale condita da musica folk. Una serata divertente con carne e birra ottime. Nel pomeriggio abbiamo fatto una camminata di circa un’ora nel Kings Canyon attraverso il letto di un fiume in secca, rosso fuoco, ricco di uccelli di vario genere. Foto magnifiche! Domattina siamo diretti ad Ayers Rock, ultima tappa di questo giro al centro dell’Australia. Arriviamo verso le ore 10.00 e, dopo la sosta per la colazione, riprendiamo il viaggio verso il parco nazionale Uluru –Kata Tjuta. Lasciamo prima i bagagli nel resort Ayers Rock e partiamo subito diretti al parco. L’ingresso è di A$ 25.00 a testa per tre giorni e ci permette di girare in lungo e in largo come si vuole ma sempre sui percorsi segnati. Dopo qualche chilometro incontriamo a sinistra il monolito più grande del mondo che a quest’ora di mattina è di un colore chiaro sabbia. 350 m circa con una circonferenza di circa 9 km. Ci fermiamo nelle aree di sosta ben esposte per ammirare questa meravigliosa montagna sacra per il popolo Anangu che preferiscono non si scali. Vediamo i soliti spavaldi sul ripido sentiero che conduce in vetta, ma noi preferiamo rispettare il luogo sacro. Inoltre un cartelli avvisa del pericolo e dei morti che negli anni si sono immolati quassù. Forse è il pedaggio che hanno pagato per salire in cima. Gli Anangu vengono qui per le cerimonie funebri che nessuno finora ha mai filmato. Noi scattiamo foto e questo ci basta. Andiamo al centro culturale Talinguru, dove assistiamo alla proiezione di un documentario sulla vita e le abitudini culinarie del popolo aborigeno e visitiamo la mostra d’arte e di storia. Il fatto è che è un popolo in grado di vivere in questo deserto in modo sufficiente utilizzando le risorse naturali vegetali ed animali. Ci beviamo un pessimo caffè e gustiamo un ottimo gelato al riparo dalle mosche fastidiose che ci accompagnano da stamattina. E., disperato, si decide a comperare una veletta da appoggiare sul cappello. Non è un souvenir ma è veramente indispensabile da queste parti perché le mosche sono piccole ma molto noiose e si lanciano letteralmente negli occhi, nel naso e nelle orecchie. Un uccellino colorato becca le briciole da un tavolino accanto al nostro e tutti sorridono. Alla fine, infilando il mio cappello con veletta e E. Con la sua “papalina” con veletta, usciamo e ci dirigiamo verso i Monti Olga chiamati dagli aborigeni Kata Tjuta, le molte teste. Dopo una cinquantina di km vediamo una collina rocciosa, rotondeggiante formata da tante “teste”: alta circa 500 m ha 36 protuberanze rosa/rossastre arrotondate che spiccano dal deserto. Sono linee molto morbide e decidiamo di fare la passeggiata delle gole Walpa Gorge di circa un’ora facile facile. Ci fermiamo al tramonto per vedere Uluru cambiare colore e qualche piccola nuvola aiuta regalandoci anche uno straordinario e inaspettato arcobaleno! Domattina dobbiamo tornare per vedere i colori che assume all’alba: si passa dal marrone all’ocra, dall’arancione al rosso in poco tempo. Una meraviglia. All’alba verso le 6.30 siamo puntualmente davanti a Uluru e il sole sta sbucando a sinistra illuminando lentamente il monolito che assume un colore rossastro. Devo dire che ho preferito i colori del tramonto indubbiamente più caldi. Trascorriamo la mattinata a bighellonare nel parco riguardandoci le sue meraviglie tra cui una coppia di canguri che al nostro arrivo saltellando spariscono velocemente nel bush. E’ una grande emozione anche se non così frequente come si immagina. Probabilmente non ne sono rimasti moltissimi e hanno creato i parchi privati dove li mostrano ai turisti consentendo loro di dargli anche da mangiare. Non sono d’accordo con questo sistema che mi sembra tolga agli animali la libertà e la spontaneità. Verso sera prendiamo il volo per Cairns. Arriviamo all’imbrunire con il cielo coperto da grossi nuvoloni. La temperatura è scesa a 23° ma è molto umido. Dall’alto Cairns sorge sul mare tra le spiagge costiere e le montagne verdeggianti. Sembra di essere in Nuova Zelanda tanto è verde e collinare. Ci sono fiumi e foreste pluviali. Staremo a vedere se il tempo, che finora ci ha voluto bene, ci assiste ancora una volta. Ritiriamo l’auto automatica ma il GPS non è disponibile e ci riforniscono di mappe della zona. Riusciamo comunque ad arrivare a Palm Cove, località molto chic sul mare, col buio chiedendo conferma della strada soltanto una paio di volte, gentile un ciclista che si ferma a darci indicazioni. Il mattino seguente ci alziamo con molta calma e visitiamo Palm Cove che sorge lungo una bella e lunga spiaggia. C’è una vegetazione rigogliosa, sintomo di piogge copiose e clima umido. Qui le piante sono gigantesche, alcune delle quali in Europa vengono tenute in vasi negli appartamenti e coltivate con cura: croton, dieffenbachia, palme di tutti i tipi, felci alte due metri, fiori di ogni foggia e colore e nugoli di uccelli e farfalle. In questi giorni ci sono 27° e la minima è intorno ai 20°. Sul lungomare vediamo il bagnino nel suo capanno controllare il tratto di mare recintato da una rete fitta segnalata da bandiere gialle e rosse, dove si può nuotare perché il mare è infestato da meduse di ogni specie e coccodrilli che dal fiume scendono in mare. Ci sono cartelli ovunque che segnalano il pericolo e nessuno si sogna di trasgredire. Per i trasgressori vediamo delle colonnine con una bottiglia di aceto bianco nel caso di puntura di medusa. Troviamo curioso essere al mare su spiagge enormi e non potersi bagnare dove si vuole. Nel pomeriggio visitiamo Port Douglas dove la foresta pluviale circonda il paese che ha una bella marina ma nessuna spiaggia. La strada costeggia il mare sino a Port Douglas con scorci pittoreschi e distese di canna da zucchero, che con lo stagno e il caffè, era la risorsa di questa zona e di Cairns in particolare. Esistono ancora le rotaie che trasportano il prodotto raccolto. Facciamo una passeggiata verso la gole Mossman Gorge passando da un villaggio di aborigeni con cottages di colore pastello. I ragazzini giocano sulla strada e l’ambiente è tranquillo. Facciamo un bagno ristoratore nell’acqua limpida di un ruscello che attraversa le gole e nuotiamo tra i pesci. Proseguendo su questa strada siamo giunti a Cape Tribulation prendendo un ferry che attraversa il fiume Daintree. Il panorama è pittoresco, si attraversa la foresta pluviale ricca di vegetazione che appartiene al Daintree National Park e alla fine si arriva a una grande spiaggia sabbiosa lunghissima, dove si può passeggiare ma, come sempre in Australia, è meglio non fare il bagno a causa di meduse e caimani. Quest’ultimi vivono sul fiume Daintree ma entrano anche in mare perché sono coccodrilli di acqua salata che arrivano ai quattro metri. Dopo una passeggiata lungo la spiaggia ci fermiamo sulla strada di ritorno in una fattoria che coltiva frutta e produce gelato per gli ospiti: mango, passion fruit e cocco sono i gusti che hanno preparato oggi e sono molto gustosi. Nel frattempo ci ha colto un acquazzone tropicale frequente da queste parti e ci sono 25°. Tutta la foresta è scintillante sotto le gocce di pioggia e noi riprendiamo la strada di ritorno a Palm Cove. Passiamo diversi guadi con acqua bassa, perché nel Parco Nazionale non vogliono costruire ponti per rispettare la natura. A un certo punto l’auto davanti a noi si ferma e vediamo che un grosso fiume copre totalmente la strada che è sotto il livello dell’acqua. Un metro segnala 80 cm di altezza. L’acqua corre veloce formando una piccola cascata. Ci fermiamo e dietro di noi si forma la coda. Nemmeno i 4×4 passano e tutti aspettano con calma scendendo dai loro veicoli fermi. Sono abituati e ci raccontano che la settimana scorsa un autobus con turisti, passando con 50 cm di acqua, è stato trascinato dalla corrente posandosi su un fianco. Nel periodo delle piogge, che di solito finisce a marzo, il parco è chiuso. Passa mezz’ora e un pick-up tenta la traversata con 70 cm di acqua. Ce la fa per un pelo sbandando vistosamente a metà del percorso. Tutti gli altri aspettano ancora un’oretta quando l’acqua raggiunge i 30 cm e la corrente è meno forte. In ogni caso è stato uno spettacolo vedere la gente che scattava foto con molta calma e aspettava. Arriva anche il ranger del parco che mette un sasso sul ciglio dell’acqua e spiega che si potrà passare quando il livello sarà sceso. La mattina successiva abbiamo prenotato un volo su un piper della durata di un’ora allo scopo di sorvolare la barriera corallina. Siamo partiti con una leggera pioggerella ma il pilota ci ha assicurato che al largo sarebbe stato bel tempo. Dopo le sommarie nozioni sulla sicurezza del volo e indossato il relativo giubbetto di salvataggio, partiamo soltanto noi due col pilota. E. Siede davanti e io sola dietro visto che il finestrino resta aperto e posso scattare meglio le foto. Attraversiamo delle leggere nuvole basse e poi davanti ai nostri occhi, come promesso, si presenta lo spettacolo del cielo sereno, il mare trasparente con diverse sfumature che vanno dall’azzurro al blu, e appare l’isola Green Island, un cuore verde in mezzo al mare. E’ proprio a forma di cuore rovesciato e tutt’intorno affiorano pezzi di barriera dalle forme più strane e le sfumature del mare sono veramente multicolori. Scattiamo un’infinità di foto mentre il piper si inclina per permetterci di avere una migliore visuale. Il tempo è soleggiato con nuvolette alte in cielo che non disturbano affatto il panorama anzi lo arricchiscono. Sorvoliamo il reef da diverse angolature e col tele si notano anche barche piccine e una grossa nave che sembrano ferme in mezzo all’azzurro. E’ bellissimo, il piper vola adagio, abbiamo le cuffie per il rumore ed è un’esperienza piacevole. Niente paura. Il giorno dopo, all’alba, ci attendeva il volo verso Hamilton Island, isola a sud della barriera corallina. L’aereo è un bi-elica di 56 posti. Siamo circa una dozzina di passeggeri e noi trascorreremo un paio di giorni di relax sull’isola. Il cielo è parzialmente coperto con chiazze di sereno sparse. Dopo un’oretta dovremmo essere in prossimità dell’isola. Il pilota tenta l’atterraggio, ma risale perché la pista è corta, il tempo è peggiorato e la visualità nulla. Fa un altro giro più in alto e dopo una decina di minuti riprova, ma niente da fare. Continua a girare, vediamo squarci di sereno ma le nuvole sono tante. Finisce il carburante e atterra a MacKenzie sulla costa Australiana a sud. Deve fare rifornimento e spera che nel frattempo il tempo migliori. Ci offrono da bere e, dopo circa mezz’oretta, al secondo tentativo riusciamo ad atterrare. Siamo arrivato al resort con un’ora e mezza di ritardo ma sani e salvi. Speriamo che il tempo migliori perché ci fermiamo soltanto un paio di giorni e dobbiamo ritornare a Cairns per prendere il volo verso Darwin, ultima tappa di questo viaggio. L’isola Hamilton è abbastanza grande da girare a piedi e ha scorci suggestivi. Per i più pigri ci sono anche i buggy elettrici da noleggiare o i giri in barca per vedere altre isole. Siamo nell’arcipelago delle Whitsundays, una novantina di isole che fanno parte della Grande Barriera Corallina, Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La maggior parte sono disabitate e appartengono al Parco Nazionale. Questa è l’unica con l’aeroporto. Il primo giorno passato sull’isola il cielo non è troppo sereno, ma andiamo alla sua scoperta a piedi e con il piccolo bus gratuito che fa il giro completo per mostrare i punti migliori. Si può scendere alle fermate e risalire sul successivo che passa ogni quindici minuti circa. Incontriamo un autista spassoso e chiacchierone che illustra i luoghi; ci chiede dove andiamo per avvertirci della fermata giusta, io rispondo che siccome la camera viene pronta verso le ore 14.00 facciamo il giro completo e tutti a bordo scoppiano a ridere per la battuta. Gentilmente dall’hotel ci avvisano per telefono che la camere è già pronta e siccome sono le 11.30 ci affrettiamo a rientrare per cambiarci perché fa veramente caldo e occorre indossare il costume da bagno. Sul porto, davanti alla marina, ci fermiamo a sgranocchiare qualcosa, dopo aver visto il nostro cottage molto bello, immerso nel verde: è di legno con veranda e dotato di una comoda amaca, il bagno è enorme e c’è il cucinino per la colazione. Abbiamo anche un terzo lettino ed è l’ideale per una famigliola. Le pale sulle travi del soffitto alto rinfrescano l’ambiente che ricorda i lodge africani. Quando mangiamo sul bordo del mare ci fanno compagnia grossi pappagalli bianchi col ciuffo, cocorite coloratissime e naturalmente gabbiani. Bisogna stare attenti perché questi uccelli rubano bocconi di cibo. Il giorno dopo ci aspetta l’escursione in barca per vedere una delle spiagge più famose di queste isole, la Whitehaven Beach una spiaggia bellissima lunga 6 km che si trova sull’isola Whitsunday. Sembra proprio di essere in paradiso anche se il tempo non è bellissimo e quindi i colori non sono brillanti. Peccato. Trascorriamo comunque una giornata emozionante facendo snorkeling e E. Si immerge con le bombole. Ritorna entusiasta perché ha visto tanti grossi pesci e la barriera è veramente ricca di vita. Il giorno successivo decidiamo di rilassarci un paio d’ore in spiaggia perché brilla il sole. La spiaggia è la più bella dell’isola che però subisce, come spesso da queste parti, la bassa marea in tarda mattinata. Dopo una bella passeggiata lungo la spiaggia ci riposiamo all’ombra delle palme che costeggiano la sabbia. Noleggiamo un buggy e decidiamo di girare in lungo e in largo. E’ stato un vero divertimento con questo mezzo dato che è piccolino e sull’isola ci sono salite e discese. Abbiamo anche assistito al tramonto da un punto strategico insieme a una miriade di turisti compresa una coppia di neo-sposi. Il giorno successivo è già tempo di ripartire e ritornare a Cairns. Dopo un’attesa di qualche ora abbiamo il volo per Darwin che purtroppo non è collegato con l’aeroporto dell’isola Hamilton. Arriviamo la sera col buio e rimandiamo al giorno dopo qualsiasi visita in loco. Darwin è una cittadina moderna, capitale del Northern Territory. Ha una bella baia con una piccola spiaggia artificiale all’interno del porto e una piscina con le onde per consentire il bagno. E’ il punto di partenza per vedere i parchi nazionali che la circondano ricchi di fiumi con fauna (coccodrilli, uccelli, wallaby, pesci e rane) e flora particolari. Pranziamo sul molo in un ristorante che cucina pesce freschissimo. Nel pomeriggio percorriamo a piedi le strade del centro e nella Smith Street Mall troviamo negozi, ristoranti e agenzie per i tour nei parchi. Ne prenotiamo uno a Kakadu National Park per il giorno successivo: faremo una crociera di due ore sul fiume Yellow Waters a caccia fotografica di coccodrilli, sosta al Centro Culturale Aborigeno Warradjan, e infine passeggiata tra le rocce Nourlangie per ammirare i disegni rupestri aborigeni. Sul fiume vediamo diverse specie di uccelli acquatici, rane, rapaci e persino un nido con due cicogne che si alternano intorno ai piccoli. I coccodrilli sembrano finti perché stanno nascosti immobili sulle rive del fiume all’ombra della fitta vegetazione composta da palme, mangrovie, eucalipti, pandanus e ninfee che in questo periodo mostrano fiori bianchi e lilla. Il capitano del barcone ci racconta che in Australia vivono due specie di coccodrilli: uno vive nelle acque fresche, l’altro negli estuari o in acqua salata. Adesso si capisce perché su alcune spiagge vicino ai fiumi è proibito nuotare a causa loro. Visitiamo il Centro Culturale Aborigeno e scopriamo che Warradjan è la tartaruga dal naso di maialino. All’interno non si possono scattare foto, come d’abitudine, e il percorso si snoda tra la storia di questo popolo, le sue abitudini e l’unione con la loro terra. Vediamo utensili di uso quotidiano, ornamenti, e suppellettili. Disegni e pitture tradizionali ricreano il loro ambiente. Una selezione di opere d’arte, libri, abiti e oggettistica si trova nel negozietto dove si possono fare acquisti, la cui autenticità è garantita dal Centro. Facciamo la pausa pranzo in un locale tipico che offre anche alloggio. Varrebbe veramente la pena di fermarsi un paio di notti per apprezzare meglio questo Parco. La passeggiata a Nourlangie ci riporta nel mondo antico degli aborigeni tra le rocce in mezzo al bush lontano da ogni civiltà. Camminiamo per 1,5 km e arriviamo alla base di un muro di rocce abbastanza alto e alcune di loro presentano pitture rupestri di colore rosso, bianco e nero che raffigurano scene di caccia primitive, animali e uomini di un mondo lontano. Qui gli aborigeni utilizzarono queste caverne per ripararsi 20.000 anni fa. Tutto è molto suggestivo e si avverte qualcosa di mistico nell’aria. Il tracciato conduce su un punto panoramico dal quale si ammira una splendida vista su Arnhem. Al tramonto si ritorna a Darwin e domattina purtroppo si ritorna in Italia. Se fosse per me allungherei ancora il viaggio perché sto bene e ci sono ancora molti posti da visitare. L’Australia è un continente grande e interessante, non mi ha delusa, anzi, ma gli impegni ci attendono. Chissà, forse, riusciremo a tornare per proseguire questo viaggio in un futuro non troppo lontano.


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