Primavera ad Atene

Un weekend carico di storia, arte e musei, nei panorami ventosi e immortali della città
Scritto da: AlixA
primavera ad atene
Partenza il: 15/04/2016
Ritorno il: 18/04/2016
Viaggiatori: 1
Spesa: 500 €
Eccomi appena rientrata da Atene; ho ancora negli occhi i panorami ventosi dell’Attica, con le bianche distese di edifici adagiate sotto ai colli boscosi, mentre nell’aria si sparge il profumo intenso degli aranceti.

Atene è una città superba, perfettamente in grado di competere, quanto a carisma, con capitali europee del calibro di Londra o Parigi: ma il suo è un fascino del tutto particolare.

Un coacervo di stili e di culture, oltre a quella classica: dal modernismo alle eleganze ottocentesche, dalle atmosfere bizantine a quelle ottomane. Un mix vivace e coloratissimo, che fa di questa città un luogo davvero unico.

Grazie a Ryanair raggiungo la capitale greca con un paio d’ore di volo da Bologna, al prezzo irrisorio di una trentina di euro o poco più.

Dall’aeroporto seguo le indicazioni per raggiungere i treni: la linea blu porta direttamente al centro città in una quarantina di minuti, al costo di 10,00 euro. Scendo nella centralissima Piazza Syntagma, sede del Parlamento greco. Ancor prima di trovare il mio hotel, situato in una strada il cui nome già suggerisce tutto un mondo, Apollonos Street, mi accomodo in un localino delizioso, In town cafè, visto che sono le 4 del pomeriggio e che non mangio da stamattina. Così, seduta ai pittoreschi tavolini di bambù, consumo la mia prima vera insalata greca: una meraviglia, già condita con il favoloso olio locale.

La Plaka

Faccio il mio check-in al Kimon Athens Hotel (3 notti 170,00 euro), collocato subito dietro alla cattedrale della città, Mitropoli, un grandioso edificio ottocentesco; poi mi getto a capofitto nelle strade della Plaka, la zona dove alloggio, che, a detta di tutte le guide, è la più animata ed interessante parte della città.

L’antico quartiere turco è una vivida testimonianza dei quattro secoli di dominazione ottomana, durata sino al XIX°, quando si aprì il famoso periodo del Risveglio nazionale greco, che portò all’Indipendenza del paese.

Pittoresco borgo incastonato nel cuore di Atene, la Plaka si anima di strette viuzze che salgono verso l’Acropoli ed è popolata di piccoli negozi di antiquariato, libri usati e di oggetti religiosi. Tra un edificio e l’altro, alzando lo sguardo, si vede occhieggiare il profilo maestoso del colle più sacro di tutta la Grecia, su cui spicca l’inconfondibile sagoma color miele del Partenone.

Percorro via Adrianou, dal nome di un imperatore romano molto amato da i greci, una strada lastricata di marmo e circondata da negozi di souvenirs: intorno a me oceani di sandali, gioielli e cibi mediterranei, mentre i venditori si affacciano dai negozi, chiamando a gran voce i turisti.

Mi arrampico verso la parte alta della Plaka, che si srotola in un dolce pendio sotto l’Acropoli, nel suggestivo quartiere di Anafiotika, così chiamato per le case in stile cicladico che qui costruirono gli abitanti dell’isola di Anafi, emigrati nel XIX secolo. Seguo le indicazioni per il sacro colle scritte col pennello su cartelli sparsi tra i cactus e le piante di aloe. Camminando, mi pare quasi di intrufolarmi e di spiare nelle case private dei greci. Lo stretto sentiero che casualmente ho imboccato infatti costeggia casupole dagli intonaci scrostati e dalle persiane coloratissime, aperte su caldi universi domestici: dagli interni mi arriva una melodia, una cantilena: i greci stanno ascoltando canzoni dai ritmi lenti, forse si tratta di canti ortodossi trasmessi dalla televisione. La religione è molto sentita, in tutte le fasce d’età, come avrò occasione di appurare entrando nelle chiesette, disseminate in ogni angolo della città. Tra un passo e l’altro, ammiro i sornioni gatti ateniesi, sui tetti, per le strade, ovunque. Vivono, come anche i numerosi cani, in uno stato semi selvatico.

Finalmente raggiungo un punto panoramico, subito sotto le mura dell’Acropoli. La vista sulla città di qui è mozzafiato: davanti a me si trova il Colle del Licabetto, che emerge fiero come un cuneo verde bottiglia dalla distesa pallida di edifici. Il suo nome significa “sentiero di luce” e anticamente era popolato di lupi e di leggende.

Scendendo, mi perdo tra le strade ed i caffè, ammirando le bigiotterie ed i quadri che gli hippy del XXI secolo producono per vivere, esponendoli per strada: molti abitano in casette diroccate, insieme a tanti gatti. Tanti di loro suonano per le vie: mandolino, chitarra o flauto..Scendendo dal colle, incrocio l’Agorà romana, con la sognante Torre dei venti: un’antica stazione meteorologica e un orologio idraulico, costruito da un astronomo siriano nel II sec. a.c. e decorato con le personificazioni dei venti.

Torno verso Piazza Syntagma, per cenare in un locale segnalato dalla Lonley Planet, Tzitzikas & Mermingas, dove gusterò il piatto del giorno, un biryami di verdure, e il mio primo vero yogurt greco.

Il sogno di Pericle: l’Acropoli

Il mattino dopo alle 7 sono già operativa, in cerca di colazione. I greci si svegliano tardi: le strade sono vuote e la maggior parte dei locali chiusi. In Piazza Syntagma faccio il mio breakfast all’Everest, una catena di bar molto diffusa in Grecia. Buono il cappuccino gigante, meno la pasta, soffocata dall’aroma di cannella: c’è poca scelta per la colazione dolce, i greci mangiano carne, verdure e formaggi già dal mattino.

Accedo comodamente all’Acropoli con la metro rossa, scendendo alla fermata omonima, solo una da piazza Syntagma (il biglietto si può fare comodamente alle macchinette automatiche, con istruzioni anche in inglese, biglietto 1,40 euro)

Il biglietto cumulativo di Acropoli, Agorà romana e greca, Biblioteca di Adriano, Kerameikos e Olympeyon, costa 30,00 euro: un prezzo salato ma ne vale la pena, anche se non riuscirò a vedere tutto.

L’Acropoli era la zona più sacra e rappresentativa della città: abitata sin dal neolitico, raggiunse lo splendore nell’epoca classica del V secolo a.c., quando Pericle, alla guida della nuova democrazia ateniese, ne decise una completa riqualificazione dopo le distruzioni perpetrate dai Persiani.

I migliori architetti e l’artista più celebre e imitato del passato, Fidia, crearono un luogo dalla bellezza immortale, una delle meraviglie dell’antichità.

Il percorso inizia fiancheggiando il Teatro di Dioniso: mi siedo sulle vetuste scalinate di marmo, osservando il palcoscenico dove sono nate le tragedie e le commedie che sono alla base della nostra cultura. Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane: una vertigine mi coglie solo a pensarci.

Più avanti un’altro teatro, quello di Erode attico, mi stupisce per le dimensioni gigantesche e per la spettacolare posizione a strapiombo sulla città.

Proseguendo il cammino l’emozione si fa ancora più forte quando accedo ai Propilei, il monumentale ingresso dell’Acropoli. Sotto le poderose colonne si stende il panorama urbano immenso, sullo sfondo delle colline. Spicca a destra l’oasi verde dell’antica Agorà con il bellissimo Tempio di Efesto.

Oltrepassato il confine simbolico dei Propilei, mi ritrovo nell’Atene sacra del V secolo a.c.: finalmente ecco il Partenone, grandioso tempio in onore della Dea fondatrice della città, Atena Parthenos, che significa vergine. Il tempio, costruito coi marmi del monte Pentelico e terminato nel 438 a.c. , in tempo per le Grandi Panatee, ne ha passate tante nei secoli, tra incendi, saccheggi e bombe, e tutt’ora vive assediato da eterne impalcature per una ristrutturazione che non sembra avere mai fine.

La sua favolosa imponenza, nonostante tutto è innegabile; una volta però era molto diverso, dipinto di colori sgargianti e ricoperto, nella zona interna, dei famosi fregi marmorei, che oggi si trovano al British Museum. All’interno, in uno spazio sacro cui pochi iniziati avevano accesso, si trovava lei, la maestosa e preziosissima statua crisoelefantina di Atena, alta ben 12 mt e scolpita dalle mani di Fidia, rilucente di ori e d’avorio.

Ma lo spazio più sacro di tutta l’Acropoli era l’Eretteo, un tempio così chiamato in onore di un antico re e dedicato alle due divinità del mito di fondazione ateniese, Atena e Poseidone.

I profili eleganti delle Cariatidi si stagliano contro i cieli azzurri della Grecia da millenni; le algide figure femminili rivestite di morbide tuniche, sorreggono il porticato con grazia eterna ed impassibile. Anche se le statue originali si trovano al nuovo Museo dell’Acropoli, il colpo d’occhio è veramente eccezionale: questo è uno dei luoghi più belli del mondo, senza dubbio, dove la dimensione di eternità e bellezza si fa struggente.

Panorami Urbani e Agorà

Scesa dall’Acropoli sotto un sole cocente, salgo sul bus panoramico scoperto (http://www.citysightseeing.gr) che fa il giro della città un’occasione per dare un occhiata generale ad Atene, riposando i miei piedi già stanchi dopo tante salite.

Percorriamo ampie strade trafficate, incrociando gli eleganti edifici di Kolonaki, come le ambasciate e le sedi del Museo di Arte Cicladica e Benaki o le meravigliose architetture neoclassiche dell’Atene ottocentesca in Panepistimiou: la Biblioteca nazionale, l’Accademia di Atene e l’Università. I nuovi simboli dell’Atene moderna furono sovvenzionati da potenze straniere e da parvenus milionari greci, che si assicurarono così fama imperitura. Il grande Stadio Panatenaico è una enorme chiazza chiara bagnata dal sole, che si riverbera intensamente sui gradini di marmo. Nelle Olimpiadi del 2004 lo stadio ha avuto il suo momento di gloria ospitando il traguardo della maratona.

Poi passiamo in tutt’altre zone, come nei confusionari Mercati generali, tra la discussa piazza Omonia e odos Ermou, che emanano forti odori di spezie e di pesce, tra il vociare affaccendato di rivenditori e clienti. Le atmosfere sono quelle di un secolo fa, pittoresche e animate più che mai.

Scendo a Monastiraki, e, aggirandomi per le vie ingombre del Mercato delle Pulci con vecchi libri e paccottiglie d’ogni genere, raggiungo l’Agorà, uno spazio verde cosparso di rovine ai piedi dell’Acropoli. Qui si svolgeva la vita dei cittadini, che commerciavano, parlavano di economia e filosofia. C’erano uffici, templi, e molti spazi comuni: insomma il cuore pulsante dell’Atene antica.

Il tempio di Efesto si impone sul panorama: tra l’altro è il monumento del genere meglio conservato di tutta la Grecia. Io però mi siedo in un angolo ombroso, con qualche povero resto di colonna e un prato incolto; si tratta delle vestigia della Stoà di Zeus Eleutherios, nell’angolo nord occidentale dell’Agorà, dove Socrate era solito discorrere di filosofia: non mi sembra vero di trovarmi qui! Nel 399 a.c. nella prigione di stato dell’Agorà il filosofo sarà accusato e condannato a bere la cicuta.

Entro poi nella Stoà di Attalo, un edificio imponente che si allunga sul lato orientale del complesso, per farmi un’idea di come doveva essere aggirarsi sotto i famosi portici ateniesi; l’edificio originario fu donato dal re Attalo di Pergamo nel II secolo a.c., quello attuale è stato ricostruito negli anni 50’ grazie alle donazioni di Rockfeller Jr. Oggi ospita un museo che espone vasi e sculture, che percorrono un po’ tutta l’arte greca nei secoli antichi. Di fianco alla Stoà trovo una piccola chiesa bizantina degli Apostoli, che è una vera delizia del X secolo.

Kerameikos

Esco dall’Acropoli per un meritato pranzetto in uno dei tanti caffè coi tavolini all’aperto della zona, gustando una pita vegetariana, una sorta di piadina con patate, cipolle, insalata, pomodori e cetrioli.

Attraverso via Ermou mi spingo fino al Kerameikos, un antico cimitero che fu luogo di sepoltura per i cittadini ateniesi più abbienti, fin dal XII secolo a.c.; il nome deriva dalle ceramiche che qui si producevano, essendo nato come il quartiere dei vasai. Da questo luogo magico, partiva una via sacra, che conduceva sino al Santuario di Eleusi. Passeggiare tra i cipressi e le lapidi, percorrendo antichi sentieri processionali, non è cosa da poco; inoltre qui si trovano ancora dei tratti di mura cittadine dell’epoca di Temistocle. Solo che fa troppo caldo, e in pochi minuti mi devo allontanare per non svenire sotto la canicola.

Risalgo sul mio autobus rosso e, ritemprata dal vento fresco, mi faccio lasciare alla fermata del Parlamento; percorro l’elegante viale che costeggia i Giardini nazionali e m’infilo al Benaki, il più importante museo greco privato, dotato, tra l’altro, anche di aria condizionata.

Le collezioni favolose di Benaki

Facoltoso esponente della borghesia europea colta e cosmopolita, Antonis Benaki (1873-1954), accumulò collezioni favolose, oggi ospitate in uno dei musei più eleganti e sontuosi di tutto il Mediterraneo, che una volta era la sua casa. Il percorso racconta 8.000 anni di storia greca in modo raffinato e comprensibile; in particolare mi colpiscono i manufatti in oreficeria micenei, che hanno raggiunto vertici di magnificenza ineguagliabili. Rimango abbagliata dai riflessi delle corone d’oro, dei diademi, degli orecchini.. tutti oggetti che provengono da un passato lontanissimo, da un mondo aristocratico di lussi e raffinatezze difficile da concepire oggi. Il famoso tesoro della Tessaglia, ritrovato nel 1929 e risalente al II secolo a.c. è uno dei pezzi forti del museo con gioielli da mille e una notte.

I costumi regionali tipici e gli abiti da sposa tessuti con trame variopinte e ricche di simbologie, aprono una finestra su di un passato più recente, ma ugualmente affascinante. Una larga parte del museo è dedicata alla Grecia sotto l’occupazione turca, fino ad arrivare al periodo dell’indipendenza, dove spicca il fascino dell’eroe romantico che in Grecia venne a combattere, Lord Byron.

Libri antichi, iconostasi e dipinti completano il quadro delle collezioni, che mi hanno fornito un ottimo corso accelerato di arte e cultura greca. Una pausa sulla terrazza del Caffè Benaki, mi offre la scusa per assaggiare un dolce al limone: non so se sia un piatto tradizionale, ma è una delle cose più deliziose che io abbia mai mangiato.

Il museo dell’Acropoli

Uscita nuovamente sotto la calura del sole pomeridiano, mi dirigo col mio red bus verso il nuovo museo dell’Acropoli. L’ambiente è moderno e vasto, un trapezio di vetro luminoso, creato dagli architetti B. Tschumi e M. Photiadis; la galleriadi Kouroi offre uno spaccato su queste caratteristiche sculture molto diffuse nei luoghi sacri, investite del compito di fare offerte votive agli dei.

La parte più interessante del museo, oltre ad un panorama superbo sull’Acropoli, è la possibilità di osservare le Cariatidi originali dell’Eretteo, qui conservate con cura, al riparo dalle intemperie.

Un aperitivo alla terrazza del ristorante del museo è una tappa irrinunciabile, perché la vista che spazia sulla città e sull’Acropoli è eccezionale.

Uscita dal museo mi dirigo implacabile a sud dell’Acropoli per salire sulla collina di Pnice, detta anche collina delle Ninfe: è proprio qui che nell’antichità si riuniva l’Ecclesia, l’assemblea dei cittadini che decideva delle questioni più importanti della vita politica. Insomma, questo luogo è la culla della democrazia! Ma ora mi riesce difficile pensare alla politica; il panorama sul colle dell’Acropoli si sta avvolgendo dei colori del tramonto. Qualcuno inizia a suonare i bonghi alle mie spalle e si respira un’ aria dolcemente rilassata. Mentre mi perdo nelle luci dorate del Partenone, seduta su di una roccia, noto che si fa strada, una bambina, correndo pericolosamente e a perdifiato tra gli ulivi. Il padre la sta chiamando con forza: “Artemis!Artemis!” Non mi sembra vero; la luna splende nel cielo e sono in mezzo ai boschi con Artemide.

La mia serata la concludo da Avocado, un Nikis Street, un ristorante vegano molto amato dagli ateniesi. Camerieri affascinanti mi servono una succulenta cena a base di quinoa, avocado e broccoli, che mi esalta! Una fetta di dolce al cioccolato e un tè alle erbe chiudono la serata.

Il Museo archeologico nazionale

Il mattino dopo sono davanti al Museo Archeologico nazionale, non appena apre, alle 8 in punto. L’ho raggiunto con la metro, fermata Victoria e con una camminata di 10 minuti lungo la via Dionissiou Aeropagitu.

L’edificio neoclassico ospita una delle collezioni antiche più importanti del mondo. Appena entrata realizzo il mio sogno di bambina, trovandomi a tu per tu con la Maschera di Agamennone.

Il libro che avevo letto da piccola e che aveva solleticato la mia immaginazione parlava dell’archeologo tedesco Heinrich Shliemann (1822-1890), il quale aveva trovato un meraviglioso tesoro sotto terra nell’antica Micene.

L’esploratore aveva subito gioito, pensando di aver messo le mani sulla sepoltura del mitico re acheo Agamennone. In realtà si trattava della tomba di un antico sovrano miceneo, di cui non si conosce il nome. La sepoltura risale al XVI sec. a.c. : gli sconfinati oceani del tempo mi separano da questo manufatto d’oro, in cui sono ravvisabili i lineamenti di un uomo dalle labbra sottili, con barba e baffi, gli occhi chiusi nell’estremo riposo. Cosa deve aver visto quando era in vita, più di 3500 anni fa?

Ma il tesoro di Shliemann non si ferma qui, ci sono gioielli a profusione, altre maschere funerarie, tazze e utensili d’oro, e addirittura dei vestitini d’oro, destinati a coprire i piccoli cadaveri di bambini.L’epoca micenea mi fa sognare: è qui che trovano origine i racconti omerici, in un’età di eroi, di guerre e conquiste, che, con i suoi ori ed i suoi miti, è giunta splendente ed intensa fino a noi.

Il Fantino di Capo Artemisio è invece un’opera in bronzo stupefacente: dinamico e ricco d’impeto, il cavallo si slancia in una corsa forsennata da 2200 anni.. fu ritrovato in un relitto naufragato a largo del Capo omonimo ed è stato attribuito a Policleto.

All’ultimo piano si trova un tesoro meraviglioso, frutto di un antica tragedia: a causa dell’eruzione di un vulcano, sparì una civiltà intera, dando forse origine al mito di Atlantide, la città sepolta sotto il mare. Nella località di Akrotiri a Thera, l’odierna Santorini, sono stati ritrovati affreschi di una bellezza disarmante, straordinariamente preservati per via delle ceneri del vulcano. Parlano di un mondo felice, variopinto e vivace, dove si viveva a stretto contatto con la natura, celebrandone la bellezza.

Technopolis

Terminata la mia visita, aspetto il mio autobus rosso davanti al museo: inutilmente. Arrabbiata è il tempo perso, mi decido a salire su di un taxi, visto che sono stanca, anche se notoriamente i tassisti ateniesi hanno cattiva fama. Mi faccio lasciare a Gazi, un quartiere alla moda frequentato da artistoidi e intellettuali. La zona rende il nome dal ex-centrale di gas dei primi del Novecento, ribatezzata Technopolis. E’un centro giovane e dinamico, dove vengono organizzati eventi d’ogni tipo, dai concerti alle manifestazioni più svariate, ai mercatini. Ci sono caffè, ristoranti e ogni genere di comfort per il turista assetato di modernità, dopo tanta arte classica.

L’ambiente dell’ex-centrale è suggestivo, e conserva quelle atmosfere primi novecento imponenti e monumentali, che oggi piacciono molto.

Entro in uno degli edifici e scopro un bel mercatino: è tempo di shopping!Candele, anelli, orecchini: mi scateno.

Poi entro in un’altra zona dove si pubblicizzano prodotti alimentari e mi vengono offerti formaggi e crostini: tutto gratis..

Soddisfatta esco da Technopolis con una borsa omaggio e un libro di ricette greche… di qui si arriva attraverso via Ermou, in questa zona ravvivata da Street art, alla zona del Kerameikos e poi da lì all’Acropoli, dove mi trovavo ieri.

Faccio un giro dei mercati fino a Plateia Monastiraki, bellissima, che deve il suo nome ad un piccolo monastero, che qui era ubicato: edifici ottomani e bizantini si susseguono tra le bancarelle e i musicisti di strada. La confusione è al top, ma si sta bene, il clima è di festosa rilassatezza.

Pranzo con zucchine fritte e formaggio greco in uno dei locali della piazza. E per concludere il galante cameriere i offre il dolce.

Mentre mi allontano un aitante giovane greco mi segue, imitando i classici pappagalli italiani anni 50’, alla ricerca di turiste straniere sprovvedute. Mi segue per un po’, ma poi, appena dico che sono sposata, si allontana…

Esaltata dai risultati odierni del mio fascino, entro baldanzosa in una chiesetta bizantina in via Ermou, Kapnikarea, risalente al XI sec e dedicata alla presentazione della beata Vergine Maria; qui mi dimentico per un attimo le buone maniere. Ho scattato troppe foto, in modo troppo palese, così facendo ho offeso un uomo in preghiera che mi rimprovera: per l’imbarazzo rischio anche di lasciare la macchina fotografica nella chiesa. Mi scuso ed esco con la coda tra le gambe.

La modernità dell’arte cicladica e la vista spettacolare dal Filopappo

Dopo una pennichella in hotel, mi dirigo a piedi al Museo di Arte Cicladica, vicino al Benaki.

Si tratta di un vero gioiellino, non solo perché l’arte millenaria ritrae figure di una modernità attualissima, che evocano suggestioni alla Modigliani, Brancusi o Picasso, ma anche perché si esplora in modo avvincente la cultura greca. Nei diversi spazi del museo si parla, oltre che delle belle figure cicladiche a forma di violino, anche di arte arcaica, cipriota e infine degli usi greci antichi: il matrimonio, la guerra, l’educazione. Filmati e oggetti quotidiani dell’antichità ricostruiscono un’epoca intera e lo fanno in modo egregio e coinvolgente.

Il ristorante del museo a l piano terra è un raffinato spazio dallo stile orientale, e mi dispiace non potermi fermare qui, ma ho altri programmi.

Instancabile salgo su di un taxi e mi faccio lasciare ai piedi del Colle di Filopappo, dove sulla sommità svetta la rovina del monumento dedicato al console romano. Salgo fino alla cima del promontorio, e, in un bagno di sudore e di fatica, vengo ripagata da una vista spettacolare sul Partenone e sulla città intera. Su questo colle, come su quello delle Ninfe, secondo Plutarco si svolse la battaglia di Teseo contro le Amazzoni: ovunque in Grecia miti e leggende ammantano i luoghi di un fascino epico.

Che dire, ancora una volta penso che la Grecia sia un vero sogno: lo sguardo spazia fino all’orizzonte blu del mare, velato di foschia, mentre il Partenone si tinge di rosa antico.

Infine ritorno verso Piazza Syntagma, dove assisto all’emozionante cambio della guardia davanti al Parlamento, eseguito dai caratteristici e buffi omaccioni in gonnella e babbucce col pon pon.

Gli Evzones, le celebri guardie presidenziali, indossano un’originale divisa carica di simbologia patriottica, solo il gonnellino, ad esempio, richiama con le sue 400 pieghe gli anni di dominazione turca. Un’ultima cena al mio ristorantino vegano, a base di spaghetti al sugo di tofu, ed il mio tempo in Grecia volge al termine.

Ho i polpacci doloranti, le spalle e il petto bruciati dal sole, lo stomaco un po’ provato da tutti questi formaggi e sapori speziati… ma cosa ho visto, cosa ho vissuto… questo luogo è un autentica ispirazione! Seguitemi sul mio blog www.carnetdevoyage.it, memorie di una viaggiatrice solitaria.

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