Iguazu -> deserto di Atacama passando per Ushuaia

20 luglio Il giorno tanto atteso per la partenza è arrivato. Dopo mesi di preparazione e di organizzazione per questo viaggio ci troviamo con Andrea, il mio compagno d’avventura, presso la stazione di Verona carichi nello spirito e… sulle spalle per i due voluminosi zaini che trasportiamo. Il treno è in orario e tra 2 ore saremo a Venezia...
Scritto da: Giuliano Prati
iguazu -> deserto di atacama passando per ushuaia
Partenza il: 20/07/2003
Ritorno il: 10/08/2003
Viaggiatori: in coppia
20 luglio Il giorno tanto atteso per la partenza è arrivato. Dopo mesi di preparazione e di organizzazione per questo viaggio ci troviamo con Andrea, il mio compagno d’avventura, presso la stazione di Verona carichi nello spirito e… sulle spalle per i due voluminosi zaini che trasportiamo. Il treno è in orario e tra 2 ore saremo a Venezia – Mestre dove prendiamo il bus navetta per l’aeroporto. Siamo in viaggio, tra circa 34 ore arriveremo a Foz do Iguazu (Brasile).

Alle 13:00 saliamo sul volo di AirOne per Roma: un po’ di turbolenza ma 50 minuti passano velocemente e già pensiamo al volo successivo, che ci aspetta dopo 6 ore di attesa a Fiumicino.

Come compagnia aerea ho scelto l’Aerolineas Argentinas per il prezzo particolarmente vantaggioso dei sui biglietti e perché la maggior parte degli spostamenti per il Sud America avverrà proprio in Argentina quindi si potrà usufruire di ulteriori agevolazione. Partiamo puntuali alle 20:30 sull’Airbus 340 di Aerolineas per Buenos Aires (Argentina), arriveremo tra 14 ore e 20 minuti.

21 luglio Oggi è il mio compleanno ed in questo momento stiamo sorvolando l’Algeria. Tra 11 ore saremo a Buenos Aires. Sorvoliamo l’Oceano Atlantico in piena notte, costeggiamo il Brasile ed in lontananza si vede la città di Rio de Janeiro con le sue mille luci.

Anche la vista di Buenos Aires dall’alto è spettacolare, soprattutto se ci si arriva prima dell’alba. La città si estende per decine e decine di chilometri quadrati. In un incrocio di strade perfettamente ordinate e geometriche. Alle 6:00 atterriamo all’aeroporto internazionale di Ezeiza (EZE) e spostiamo la lancetta dei nostri orologi indietro di 5 ore.

Sbrigate le formalità aeroportuali e ritirati i bagagli, usciamo dall’aeroporto per cercare un bus che ci conduca all’aeroporto nazionale Aeroparque (AEP) in pieno centro città. Prendiamo il bus di “Manuel Tienda y Leon” (16 $/a) che compie il tragitto in 1 ora. Dato che accettano solo pesos argentini ($/a) ne approfittiamo per cambiare i primi soldi.

Fuori dall’aeroporto si trovano molte persone che vi offrono passaggi verso la città. Evitate di scegliere questi trasporti “privati” e prendete o uno dei numerosi autobus o un taxi (di colore nero e giallo) ufficiale.

Buenos Aires deve ancora svegliarsi mentre il bus, con pochi passeggeri, corre sull’ “autopista”. Il sole sta per sorgere ad est, è l’alba del nostro prima giorno in Argentina. La temperatura è di 6°C, un po’ bassa per il nostro abbigliamento estivo dato che alla partenza da Verona il termometro segnava 35°C. Speriamo che i primi raggi del sole riscaldino un po’ l’aria perché qui è pieno inverno.

Arriviamo ad Aeroparque con 3 ore di anticipo sul nostro successivo, ne approfittiamo per una breve camminata sul “lungo oceano” dove incontriamo pochissime persone dato che oggi è domenica mattina. Quasi non ci rendiamo conto che siamo a 12000 km da casa, nell’altro emisfero… e “camminiamo a testa all’ingiù”. Dopo esserci congelati per bene con la fresca aria del mattino partiamo su di un Boeing 737/200 di Aerolineas Argentinas alla volta di Puerto Iguazu (IGR), nel nord del paese, al confine con il Brasile. Il tempo di volo è di 2 ore scarse.

Quando arriviamo a Puerto Iguazu con nostra sorpresa nessun autista dell’hotel San Rafael di Foz do Iguazu (Brasile), è venuto a prenderci, come da accordi. Dopo aver atteso più di 20 minuti decidiamo di prendere un taxi per conto nostro (60 $/a prezzo fisso). L’autista è simpatico e si compie il tragitto di 30 km chiacchierando un po’ sul luogo e sul clima. E’ la prima occasione per cominciare un po’ ad impratichire il mio spagnolo autodidatta. La strada con alte salite e discese, la vegetazione sub tropicale molto fitta, la terra di colore rosso acceso stile deserto australiano rendono l’ambiente veramente particolare. Servono almeno 30 minuti per raggiungere Foz do Iguazu, senza contare il tempo necessario per passare la frontiera con il Brasile dove si devono sbrigare alcune pratiche. Più che altro è l’Argentina a fare controlli sui visti, il Brasile invece non timbra nemmeno il passaporto.

L’hotel “San Rafael” (4 stelle) è bello, ben pulito e con personale simpatico e professionale. Il direttore dell’hotel, per farsi perdonare il mancato trasporto ci propone uno sconto su di un tour che possiamo organizzare insieme per domani: diga di Itaipù, Cataratas Brasilenas, Cataratas Argentinas, visita de “los tres rios”, più un passaggio di ritorno all’aeroporto di Puerto Iguazu. Totale 60US$ p.P. Accettiamo, anche se siamo solo all’inizio del viaggio e 60 US$ non sono proprio pochissimi. Il mio programma iniziale prevedeva la visita di 1 solo lato delle cascate, arraggiandomi nei trasporti con i mezzi locali, con il tour invece vedremo molte più cose anche se la spesa sarà maggiore.

Dopo aver sistemato i bagagli ed esserci fatti una doccia proviamo a girare per Foz do Iguazu alla ricerca di un supermercato, minimarket o negozio di alimentari qualsiasi ma senza successo. Se ci si allontana troppi isolati dal centro si giunge nella favela che ci è stato sconsigliato di raggiungere motivi di sicurezza. Un po’ come a Rio de Janeiro insomma. Nel complesso la cittadina non merita molto, è solo una tappa per chi vuole visitare le cascate e non trova, un hotel libero ad un prezzo abbordabile a Puerto Iguazu che dicono sia più carina e turistica. Domani verificheremo.

Chiedendo a delle ragazze del luogo troviamo un McDonald che ci salva la sera e la pancia dato che abbiamo fatto colazione alle 4 del mattino sul volo intercontinentale e il pranzo è consistito in un panino sulla tratta AEP-IGR. Ora sono le 18:08, prepariamo il materiale per il tour di domani e andiamo a letto perché ne abbiamo proprio bisogno; ci alzeremo alle 6:30.

22 luglio Oggi abbiamo dedicato la giornata alla visita delle “Cataratas” con il tour organizzato con il direttore dell’hotel. Dopo un’abbondante colazione intercontinentale scendiamo nella hall dove ci intratteniamo un po’ con il direttore dell’hotel che ne approfitta per esercitare il suo italiano (sta facendo un corso da 2 mesi e ½ con buoni risultati). Arriva così la 1° sorpresa della giornata: siamo soli a fare il tour ed abbiamo un bel minivan tutto per noi; oltre a ciò la nostra guida è veramente simpatica: parla solo spagnolo e portoghese ma ci arrangiamo egregiamente. 7:30 si parte per andare alla diga di Itaipù: una delle 7 meraviglie del mondo moderno. Capolavoro di ingegneria nel 2000 ha prodotto la quantità record di energia pari a 93,4 milioni di MW/h, quantità di energia in grado di soddisfare il 25% del fabbisogno del Brasile e il 90% del Paraguay (stato partner del Brasile nella costruzione dell’opera).

La diga è immensa: più di 7700 metri di lunghezza per 200 di altezza, crea un lago di 170 km di lunghezza e 1340 km di superficie. E’ stata costruita in tempo di record, in soli 7 anni. La sua caratteristica principale e massima attrazione è uno scivolo d’acqua che svuota il lago superiore quando il livello dell’acqua è troppo alto facendo scendere una massa d’acqua di 62.200 metri cubi al secondo. Tale scivolo produce un impressionante onda alta alcune decine di metri. Dicono che tutte le 275 cascate di Iguazù non smuovono lo stesso volume d’acqua. Purtroppo siamo sfortunati e lo “scivolo” non è attualmente in funzione: ciò accade perché nel periodo invernale non c’è molta acqua e quindi non è necessaria la sua apertura. In estate, a gennaio, febbraio e marzo è sempre in funzione. Consigliamo di effettuare la 1° visita del mattino che inizia alle ore 8:00 per evitare la ressa (più di 1500 visitatori al giorno) di gente. Consigliamo inoltre di non perdere il filmato (in brasiliano ma sottotitolato in inglese) iniziale trasmesso nel cinema dell’area turisti, è importante per capire la storia ed il funzionamento di Itaipù e vedere alcune immagini veramente spettacolari. Dopo tale film tutti nei bus per il tour guidato della durata di 1 ora circa che vi porterà sulla diga fino in Paraguay.

Lasciamo Itaipù e ci dirigiamo con il nostro accompagnatore verso il lato brasiliano delle cascate di Iguazù. Sono circa 30 km di strada. La gente in coda per entrare nel parco è veramente tanta, ci abbattiamo un po’ nel pensare alle ore di attesa per fare il biglietto e al poco tempo a disposizione. Per fortuna la nostra guida ci fa cenno di seguirlo: in 15 minuti abbiamo i biglietti e possiamo salire sul nostro minivan per iniziare il giro con lui, senza dover prendere il bus con tutti gli altri turisti (e fare ulteriori interminabili code). Giunti sul posto prendiamo il sentiero panoramico (“Sendero Verde”) lungo circa 1 km (si percorre in 40 minuti) che ci mostra parte della bellezza delle cascate argentine (sul lato opposto, ovviamente) e la potenza di quelle brasiliane dato che si può camminare sotto alcune di esse. Scattare qualche foto decente è un po’ un’impresa perché i punti di osservazione sono molto stretti e troppo affollati, però con un po’ di pazienza ci riusciamo. Le cascate sono incredibili, non solo per il numero, ma soprattutto per la dimensione e l’altezza dei loro salti. Proseguendo la camminata nel lussureggiante parco incontriamo dei simpatici guachi. Animali simili al tapiro ma più piccoli, pelosini e con una lunga coda: ne approfitto per scattare un’altra foto ad Andrea mentre viene letteralmente assalito dai guachi, probabilmente attirati dai panini nel suo zaino. Sono animaletti simpatici e tipici della zona.

E’ stato un divertente siparietto prima di imboccare una passerella che ci ha portati sul pelo dell’acqua, sotto alcune enormi cascate cascata. Ovviamente siamo bagnati dalla testa ai piedi dagli spruzzi dell’acqua che scroscia cadendo sulle rocce circostanti. E’ una piacevole sensazione che ci rigenera dal caldo umido della foresta…Ma sebbene la vista sia veramente maestosa ed il rumore dell’acqua assordante il meglio deve ancora arrivare. Terminiamo il giro e ci ricongiungiamo con il nostro amico autista.

Ci dirigiamo così verso il confine con l’Argentina e passiamo la frontiera, dopo altri 40 km avvistiamo l’ingresso argentino del parco di Iguazù (30 $/a p.P) dove andremo per godere di un’altra vista sulle cascate. Data la dimensione del parco e gli svariati km di percorsi interni chiediamo alla guida di farci compagnia e visitare il parco con noi. Grande idea!!! Senza guida la visita sarebbe durata più di 6 ore, ma con lui… Prendiamo il trenino interno che in 20 minuti ci porta nel centro del parco. Lasciamo la guida mangiare in pace e ci incamminiamo su di una lunghissima passerella che rasenta l’acqua. Camminiamo per più di 1 km sopra al rio Iguazù tra coloratissime farfalle e alberi lussureggianti. Da lontano sentiamo un frastuono e vediamo nuvole di vapore librarsi nell’aria, è la “Garganta del diablo”. Cascate del Niagara nascondetevi: la “gola del diavolo” è uno spettacolo che lascia senza fiato e senza parole. Non bastano foto, non basta un filmato, bisogna viverla in prima persona la sensazione di essere sopra il punto di caduta dell’acqua, a 70 metri di altezza. 2000 metri cubi d’acqua che cadono nel vuoto ogni secondo proprio sotto di te. Bisogna sentire il fragore del suono dell’acqua che cade e riempi l’aria di nuvole d’acqua. Lo spettacolo è unico, non si può descrivere il salto continuo dell’acqua: il fronte è larghissimo e la velocità che l’acqua raggiunge è particolarmente elevata. Qui le foto si sprecano e restiamo più di 1 ora a contemplare questa meraviglia unica della natura circondata da “piccole” cascate che certamente non sfigurerebbero in bellezza se non fossero accanto alla “Gardata del diablo”. Uno spettacolo unico che da solo vale le 17 ore di volo e gli spostamenti in loco. Assolutamente da non perdere se si passa per questa parte del mondo. Proseguiamo con la visita del parco sebbene tutte le altre cascate ci lascino un po’ indifferenti: dobbiamo ancora smaltire lo stupore per l’esperienza di poco prima. Il parco merita una visita, forse è meglio dedicarci l’intera giornata con calma, senza marciare per 7/8 km in poche ora per vedere il più possibile. Se siete senza guida dovrete mettere in conto le code per riuscire a salire sul trenino che ogni 30 minuti vi porta da un lato all’altro del parco.

Siamo stati veramente fortunati: 120 US$ per avere l’autista, minivan a disposizione e tantissime informazioni. Soldi ben spesi se si pensa che con un “fai da te” avremo visto, con fatica, 1 solo lato delle cascate. Per chi avesse più tempo di noi è consigliato un giro a “Ciudad del Este” sul confine con il Paraguay: dicono che sia un paradiso per lo shopping dove è possibile trovare di tutto (anche apparecchiature Hi-tech) a prezzi ridicoli.

Difficile poi dire quale lato delle cascate meriti di più la visita e ci sia piaciuto maggiormente perché sono abbastanza diversi l’uno dall’altro: ciò che ammirerete stando sul lato argentino non è ciò che vedrete dal lato brasiliano. Lo spettacolo è assicurato su entrambi i lati.

Alle 17 siamo in stanza. Dopo una bella doccia prepariamo i bagagli per domani ed usciamo per vedere un po’ di vita a Foz do Iguazu e mangiare qualche cosa.

Ora ci resta solo da confermare i 2 voli per domani: Iguazù –> Buenos Aires –> Ushuaia: Aerolineas Argentinas fa un po’ di overbooking quindi non ci si deve dimenticare di fare questa operazione se non si vuole rischiare di restare a piedi. Per domani… abbiamo già un piccolo programma.

23 luglio Siamo nel bar “Banana’s” in Av. San Martins, stiamo attendendo la cena, alla radio danno la canzone “Una emocion para siempre” di Eros Ramazzoatti. Siamo ad Ushuaia: fin del mundo, Tierra del Fuego.

Ma andiamo con ordine. Questa mattina dopo un’abbondante colazione abbiamo fatto un ultimo giro per Foz do Iguazù. Alle 8.30 non c’era anima viva in giro: l’aria cominciava già ad essere calda ed abbastanza umida. Rientrati in albergo abbiamo preso i nostri zaini e dopo aver pagato il conto, ci siamo diretti, con la guida ed il minivan del giorno prima, verso “los 3 rios”, il punto di confine tra Argentina, Brasile e Paraguay, dove il rio Iguazu, che genera le cascate, sfocia nel rio Parana (quello che passa per la diga di Itaipù). La visita è abbastanza rapida dato che dobbiamo trasferirci in Argentina a Puerto Iguazu per prendere il volo diretto a Buenos Aires Aeroparque. Al confine attendiamo parecchio tempo per rifare il visto argentino ma per fortuna la nostra guida sbriga le formalità per noi: evvai!!! Il volo parte in perfetto orario ed arriviamo puntualissimi: scendiamo dopo 1:50 ore di volo e risaliamo quasi subito sul volo di Austral per Rio Gallegos, capitale della regione di Rio Grande. Sono più di 3 ore di volo passate molto lentamente. L’unico passatempo è stato quello di chiacchierare con il ragazzo, mio vicino di posto, che si sta dirigendo a Punta Arenas (Cile) con il suo gruppo folkloristico musicale per un festival internazionale. Dato che é di Buenos Aires ne approfittiamo per farci dare qualche dritta per quando saremo in città, tra qualche giorno. A Rio Gallegos scendono molti passeggeri. La cittadina vista dall’alto è veramente triste: poche case, strade fangose, paesaggio lunare e ventoso. Siamo al confine sud della Patagonia Argentina. Dopo 1 ora di attesa sulla pista per il rifornimento del carburante ed imbarco di nuovi passeggeri (e dopo essere stati contati almeno 15 volte dalle hostess) decolliamo nuovamente: direzione Ushuaia. Gli ultimi barlumi di luce all’orizzonte, prima del tramonto ci permettono di ammirare l’ambiente della Patagonia così grigio e piatto: lande immense e spazi infiniti. Con il calare delle tenebre si intravedono solo pallide lucine di abitazioni, molto distanti le une dalle altre. Chi vivrà laggiù, in quei posti così sperduti? Come fanno a vivere? Come si divertiranno? Quali relazioni sociali avranno? Hanno mai desiderato di vivere altrove? Sono queste le domande che mi passano per la testa, e mentre cerco una risposta scorgiamo in lontananza le luci nella baia di Ushuaia. L’atterraggio è un po’ faticoso a causa del forte vento, sorvoliamo a bassa quota il canale di Beagle e finalmente siamo a terra. Non ci credo: Ushuaia. Pensavo a questo viaggio da oltre 1 anno e ho impiegato mesi ad organizzarlo nei minimi dettagli ed ora sono arrivato nel punto più a sud della terra, la città più australe del mondo. Ci troviamo a circa 15000 km da Verona e a 19 ore di volo, a soli 1000 km dall’Antartide e a 4000 km dal polo Sud.

Le emozioni sono veramente tante, così tante che rischiamo di restare sull’aereo e tornare a Buenos Aires. Infatti non tutti i passeggeri si sono alzati e pensiamo si dovesse aspettare… ma questa è un’altra storia. Ritirati i bagagli ci fondiamo al banco di informazioni turistiche per raccogliere il primo materiale anche se sappiamo già cosa vogliamo vedere/fare. Usciamo dall’aeroporto Malvinas (USH) e veniamo sferzati da un vento freddo, ci saranno si e no 5°C e noi indossiamo la t-shirt. Per fortuna nello zaino abbiamo previdentemente messo il pile che subito indossiamo. Prendiamo il primo taxi disponibile, le solite quattro chiacchiere sul meteo e il viaggio intrapreso ed in 10 minuti siamo in città, all’Alakaluf osteria (Alakaluf: popolazione locale della terra del fuoco).

Alakaluf osteria è situata in Av. Martin, in pieno centro città, ad una “quadra” dall’oceano e a tre dal muelle turistico. Veniamo accolti Jose Luis Recchia, uno dei gestori con il quale avevo avuto contatti dall’Italia per la prenotazione della stanza. Ci intratteniamo un po’ a parlare della città e del nostro viaggio, mentre compiliamo il registro degli ospiti. La camera che ci hanno riservato per 70 $/a guarda proprio sul mare! L’arredamento è essenziale: letto matrimoniale, due comodini, un piccolo bagno, ma tutto è pulito ed ordinato. L’osteria mi ricorda un po’ una baita di montagna in legno scuro. Sebbene stanchi restiamo poco tempo in camera, giusto il necessario per lavarci e disfare gli zaini: vogliamo subito fare un giro per la città. Alla faccia di chi mi aveva detto che Ushuaia era brutta e non meritava il viaggio. Quando si arriva in una località straniera, dopo un lungo viaggio, magari di sera si è stanchi, tutto sembra più brutto perché siamo spaesati, e il giorno dopo, solitamente, ci si ricrede sempre. Questa volta non è stato così ed Ushuaia ci è subito piaciuta. E’ luminosa, ci sono molti negozi ben forniti di vestiti e di souvenirs, ristoranti, hotel e banche… sembra una nostra cittadina sulle dolomiti. Le strade sono tutte asfaltate, ma abbastanza fangose (pure le macchine sono coperte di polvere e fango), bagnate per l’umidità e la neve caduta. Gironzoliamo un po’ passeggiando in direzione del “muelle turistico” a caccia di informazioni per il giro di domani: vogliamo fare un tour in barca sul canale e questo è il luogo dove si comprano i biglietti e si possono avere informazioni. C’è solo l’imbarazzo della scelta perché le organizzazioni ed i tour operator sono veramente tanti. Ma in zona non c’è nessuno, data l’ora, torneremo domani.

Ormai sono le 21:30 e la fame, dopo due miseri snack a bordo dei due voli, si fa sentire. Ci rifugiamo così dentro al “Banana’s”.

Ed eccoci finalmente qui a trangugiare un panino e delle patatine al caldo di questo locale guardando la gente infreddolita che passa per la strada. Ma come riconoscere un autoctono o un turista? Quasi impossibile. Ci viene infatti detto che il 50% degli abitanti di Ushuaia hanno origini italiane. Per strada i giovani, ragazzi e ragazze, sono la maggior parte.

Terminiamo la cena e rientriamo in osteria per avere qualche altra utile informazione: con un po’ di spagnolo ed italiano abbiamo ottenuto quasi tutte le informazioni che ci servono ed ora pensiamo ad un programma tosto per domani. Ancora non mi capacito di essere dove sono… 24 luglio Anche oggi ho tantissimo da raccontare e poca forza per scrivere. Come nei giorni precedenti, alle 7 siamo già belli svegli, anche se il giorno prima abbiamo fatto un lungo viaggio in aereo. Fuori dalla finestra Ushuaia dorme ancora. Il cielo è pieno di stelle che non riconosciamo. Alle 8 facciamo colazione in osteria e ci mettiamo a passeggiare lungo il mare (verità si tratta del canale di Beagle): il sole sorgerà fra 2 ore ma c’è già una luce particolare, l’ideale per qualche foto suggestiva. Il sole infatti è nascosto dalle Ande che circondano la baia di Ushiaia, la poca luce di cui possiamo godere ora, è solo il riflesso dei raggi sulle montagne. Sebbene a quest’ora non ci sia ancora nessuno per strada, il centro di informazioni turistiche (in Av. Martin) è già aperto. Facciamo incetta di deplian e cartine che tornano sempre utili. A poca distanza, sul muelle turistico raggiungiamo il centro taxi. Per questa mattina abbiamo infatti deciso di visitare il “Parco naturale della Terra del Fuoco” (a 11 km dalla città), non con un bus, ma con un taxi privato (costo 65 $/a per 3 ore) per essere più indipendenti. Il tassista, Camilo, ci da appuntamento alle 10, abbiamo così il tempo per un ulteriore breve giro esplorativo della città. Camilo è una persona simpaticissima che ci fa da vera e propria guida turistica (anche se non sarebbe il suo lavoro) per 3 ore di giro. Arrangiandomi un po’ con lo spagnolo parliamo di tanti argomenti, ma soprattutto ci interessa sapere della gente e della vita ad Ushuaia. Lui lavora qui da 30 anni ed è originario del Cile, da una città vicino a Viña del Mar che si chiama Villa Alemanna. Ma come? Villa Alemanna? E’ proprio dove andremo noi tra 10 giorni. Incredibile!!! La prima tappa è presso un punto di osservazione all’interno del parco, da qui possiamo godere di una vista sul canale di Beagle. C’è un silenzio irreale. Nota: Il parco è ad accesso libero d’inverno mentre d’estate si paga un piccolo prezzo per il biglietto. La strada è completamente ghiacciata, forse perché ci saranno 5°C e il sole non batte quasi mai in certe zone ombreggiate dalla vegetazione. Proseguiamo quindi con calma e a velocità ridotta verso il Lago Roca e la Laguna Verde. Ora non c’è assolutamente nessuno in giro, solo noi per tutta la vallata, ma d’estate si riempie di turisti in campeggio. Non saprei dire qual è il periodo migliore per la visita del parco perché d’estate ci viene detto che sia verde e rigoglioso, l’ideale per il trekking, campeggio e la vita all’aria aperta, d’inverno invece è silenzioso, tranquillo, innevato e freddo. Facciamo una fermata fuori programma presso la “Castorera”: luogo dove i castori della zona, rodendo decine di tronchi d’alberi, hanno costruito una straordinaria diga su di un fiume e crea un lago artificiale ora completamente ghiacciato. Assieme a Camilo, stando ben attenti a dove mettiamo i piedi, ci avventuriamo sul solido strato di ghiaccio: è veramente divertente… forse però facciamo troppa confusione perché i castori vengano a salutarci.  Ultima tappa nel parco è la fine della “ruta 3”, la fine dell’ultima strada sulla terra: raggiungiamo così uno dei punti più a sud della terra del fuoco, è proprio la “Fine del mondo”. Percorriamo a piedi il tratto finale su di una nuova passerella in lego fino a raggiungere la “Baia Lapataia”. Foto di rito e contemplazione della natura che cambia colore dove il sole riesce a battere facendo crescere fiori e arbusti. Il panorama è veramente mistico: tutto è silenzio, si sente solo il rumore del vento e dell’acqua. Risaliamo in taxi con Camilo intenzionati ad andare a prendere la barca per un tour sul canale ma: mai fare troppi programmi perché… perché Camilo è un pilota di Piper e… ci propone di andare all’aeroclub di Ushuaia per prendere un aereo e fare un volo panoramico. A dire il vero ci avevo pensato alcune settimane fa, ma poi non mi ero più informato, troppo preso dall’organizzazione di altre parti del viaggio. Il tempo di pensare 2 secondi e ci dirigiamo verso il vecchio aeroporto di Ushuaia. Scegliamo un tour di 30 minuti (costo 35 US$ p.P); non pilota Camilo, ma decide ugualmente di accompagnarci anche se il suo compito sarebbe stato solo quello di guidarci in taxi per il parco. E’ stato veramente gentile. Ci sediamo sul piccolo aereo, io prendo posto davanti con il pilota. Chiediamo l’autorizzazione al decollo alla torre di controllo dell’aeroporto Malvinas di Ushuaia e ci alziamo in volo. Sorvoliamo la città, osserviamo tutte le casette e le strade che si inerpicano su e giù e ci dirigiamo verso l’interno, passando sul “Parco della Terra del Fuoco” riconoscendo così i luoghi visti in mattinata. Fotografiamo ovunque, anche se la sensazione di librarsi nell’aria a 1000 metri non si può fotografare. Puntiamo verso le Ande con le cime innevate che arriviamo fino al canale, la quota aumenta e le sorvoliamo sentendo alcuni vuoti d’aria che fanno salire e scendere di quota il piccolo Piper con noi affascinati a bordo. Rieccoci su Ushuaia e sul canale di Bearle, in pochi secondi arriviamo sul territorio cileno. A metà del canale c’è un faro che divide il confine argentino da quello cileno. Siamo troppo alti per delle belle foto ma… il giro non è ancora finito. Il pilota scende di quota, scendiamo veramente tanto fino a 40 piedi dal pelo dell’acqua!!! Voliamo accanto al faro, siamo più bassi del faro! Pauroso, fantastico, non ho aggettivi per descrivere la scena. Riprendiamo quota, il giro sta per finire, purtroppo. Ci dirigiamo verso la città che sorvoliamo un paio di volte in attesa del permesso di atterrare. Planiamo dolcemente sulla pista, il volo è concluso. Come premio (come se le meravigliose vedute e le emozioni provate non fossero state sufficienti), ci viene rilasciato un attestato di volo sulla Terra del fuoco che appenderò tra i più bei ricordi dei miei viaggi. Consiglio a tutti questo giro. Certo, non si deve aver paura di volare su questi piccoli “aggeggi volanti” però se ve la sentite è un esperienza unica e poi, se siete scesi fino alla fine del mondo potete, anzi, dovete provarla.

Il giro con Camilo è finito, è stato fin troppo gentile e disponibile per questo vi lasciamo il suo numero di cellulare (5606762). Nel caso passaste da queste parti e voleste una buona guida, chiedete pure di lui al centro taxi.

Alle 14, non troppo stanchi, ci dirigiamo al muelle turistico per imbarcarci su di una nave per un tour sul canale. Veniamo chiamati da un ragazzo che ci fa entrare nel box informazioni di “Tres Marias”, la signora all’interno (la proprietaria credo), parla italiano. Ci dice che la loro organizzazione oggi non fa tour a causa del vento, ma domani (venerdì) partiranno per un giro di 4 ore verso: “isla de los Lobos”, “isla de los pajeros”, faro “les Eclaireurs”, oltre a ciò ci sarà la possibilità di fare un breve trekking di 40 minuti su di un isola ricca di animali del luogo. Vedremo certamente i leoni marini e le foche! Costo? 60 $/a (20 €) per persona. Accettiamo dandoci appuntamento per l’indomani. Che fare ora? Sono solo le 14:30! Nessun timore, abbiamo subito l’idea. Dopo una breve sosta all’osteria decidiamo di dirigerci verso il “Cerro Castor”, località sciistica di Ushuaia (presso il ghiacciaio Martial). Abbandoniamo subito l’idea di arrivarci a piedi data la distanza (oltre 8 km) ed il sole che già alle 15 si nasconde dietro le creste delle Ande. Il taxi (6 $/a) ci porta sotto la seggiovia (6 $/a andata e ritorno). Chiudiamo i pile, le giacche e gli zaini e saliamo sull’ “aerosilla”. Il freddo è pungente per i 15 minuti di tragitto ma quando arriviamo è pure peggio: c’è un vento tremendo che sferza… ci copriamo il più possibile ma… fa freddo! Il sentiero indica “punto di osservazione” (mirador). Lo seguiamo fiduciosi, affondando con gli scarponi nella neve su di un terreno non molto battuto. La pendenza della salita è molto elevata ed il ghiaccio rende scivoloso e un po’ rischioso il cammino ma indietro non si può tornare (troppo difficile). Forse siamo stati troppo fiduciosi nel seguire le poco chiare indicazioni e gli sciatori che, sci a spalla, facevano la nostra stessa ripida salita (almeno 50°). E’ veramente dura arrivare ad un approdo sicuro in roccia senza scivolare a valle sul ghiaccio. Salendo ci poniamo il problema di come scendere ma.. Di sicuro non da dove siamo saliti se non vogliamo rimetterci una gamba e i prossimi 15 giorni di viaggio. Il punto panoramico merita certamente (anche se siamo tutt’altro convinti di aver fatto il sentiero giusto), ma ora come cavolo scendiamo? In qualche modo Andrea, da esperto di montagna, trova una parte un po’ meno ripida (sui 40°) e camminiamo diagonalmente cercando di affondare bene gli scarponi per maggior sicurezza. Congelati, sventagliati, ma felici di avere ancora le gambe al loro posto riprendiamo l’aerosilla e scendiamo a valle. Non soddisfatti di tutte le cose fatte oggi ci fermiamo con il taxi davanti al “Museo della fin del mundo” che si vista in 15 minuti. All’uscita ci facciamo fare “il timbro di Ushuaia, ambito da tutti i viaggiatori” (così cita la mia guida). Ma sul passaporto, sarà legale? Boh. Ora restano solo 2 cose da fare: una doccia nella nostra osteria (con il letto a forma di amaca) e cenare. Dato che in 5 giorni di viaggio non abbiamo mai fatto una sola cena decente ci infiliamo dentro al ristorante “Mustacchi” (molto famoso), e ci facciamo portare una porzione per due persone di prillada ovvero una vagonata di carne che a stento riusciamo a finire. Era però doveroso un assaggio della famosa carne argentina anche se, per esser onesti, le specialità locali sono il pesce e il granchio.

25 luglio Il 2° giorno ad Ushuaia non comincia molto bene dal punto di vista meteorologico; fuori sta piovendo abbondantemente e questo potrebbe creare qualche problema per il nostro giro in barca. La notte è passata velocemente, non ci siamo svegliati alle 6 come al solito, ma abbiamo dormito profondamente a causa della stanchezza accumulata. Data la pioggia ce la prendiamo con calma, alle 9 mi telefonano per avvisarmi che il giro in barca non si può fare a causa del brutto tempo. Anche se infatti ha smesso di piovere, al largo il vento è troppo forte per uscire con la piccola barca di “Tres Marias”: la proprietaria ci chiede di passare per il “muelle turistico” verso le 14:30 per valutare insieme le condizioni per fare o annullare il giro. Che facciamo adesso? Ne approfittiamo per un po’ di shopping e per comprare qualche cosa di tipico da portare a casa. Nel tempo che abbiamo decidiamo di visitare l’ex bagno penale (carcere) ed il museo marittimo che si trova al suo interno. La città di Ushuaia è stata costruita inizialmente come prigione e attorno ad essa si sono costruite le case per i famigliari dei detenuti. Costruito nel 1902 e chiuso alcuni decenni dopo, è ora diventato un interessante museo con tante foto e spiegazioni sulla vita carceraria dell’epoca (estremamente dura, come è facile intuire). Si possono vedere le celle (non riscaldate), i corridoi e tutta la struttura. Un’ala è interamente riservata al museo marittimo dove sono presenti immagini e riproduzioni in miniatura di navi che hanno raggiunto la Terra del Fuoco o che sono affondate nelle impetuose acque della zona. La visita del museo necessita di un ora circa. Al piano superiore è possibile inoltre che acquistare souvenirs e francobolli. Per l’Europa costano 5.2 $/a ma ne avevano solo da 5.5 $/a da comporre con tagli più piccoli. 5 francobolli per 10 cartoline = 50 francobolli da attaccare. Operazione non molto rapida. Un’altra cosa che segnalo è la possibilità di farsi fare un altro timbro sul passaporto o, in alternativa, timbrare ogni cartolina con un bel timbro con la scritta “Ushuaia gg/mm/aaaa” (migliore del timbro del museo).

Fuori dal carcere il sole splende, siamo fiduciosi per il giro in barca. Dato che mancano ancora un paio d’ore decidiamo di andare a mangiare qualche cosa al Banana’s, il locale che abbiamo già “sfruttato” la 1° sera ad Ushuaia. E’ questa l’occasione per conoscere una simpatica (e anche carina) ragazza che lavora nel locale… e parla anche italiano!!! Consigliamo il locale: servizio gentile, posto simpatico e si mangiano hamburger veramente grandi ed ottimi, il tutto è stra economico. Alle 14:30 siamo al porto pronti a partire per il giro sul Canale di Bearle ma purtroppo la “Tres Marias” non salperà. Ci viene detto che il vento al largo è troppo forte e non posiamo uscire con la loro barca. L’unica barca che esce è il catamarano di Rumbo Sur che fa un giro di 2:30 ore (costo 55 $/a pp). Compriamo al volo il biglietto e saltiamo a bordo. Il catamarano è grande, con divanetti comodissimi. C’è un bar ed una piccola vendita di sounvenirs e, cosa di non poca importanza, c’è un riscaldamento eccezionale. Potevamo non godercelo? Si, infatti appena salpati usciamo fuori coperta dove la temperatura è di circa 5°C. Non ci sarebbe problema se non ci fosse un vento tipo “bora di Trieste” che ci fa sentire una temperatura come a -10°C. La navigazione è tutt’altro che tranquilla. Il mare è molto mosso, le onde alte si infrangono sul catamarano (e su di noi fuori coperta). Il vento è micidiale e siamo costretti ad indossare tutti gli indumenti a nostra disposizione. Percorriamo così alcuni km di costa ammirando prima la baia di Ushuaia poi le Ande che si gettano in mare. Il cielo è spettacolare, non troppo coperto, così da poterci permettere di vedere le cime innevate delle montagne. Uno dei momenti principali della navigazione è l’avvicinamento al faro di Eclaireurs, situato a 6 km dalla costa. Lo vediamo piccolo piccolo e lontanissimo: servono almeno 20 minuti, con il mare grosso, per raggiungerlo. Ormai i volti solo congelati, per fortuna con un sorriso stampato pronto per le foto. Arriviamo al faro ed ecco i leoni marini! Viene spento il motore e ci avviciniamo in silenzio: si sentono i loro versi, saranno a 20 metri di distanza. Sono su di un isolotto tutto per loro, accanto al vecchio faro di “les eclaireurs” (che ora funziona ad energia solare). Circumnavighiamo l’isolotto ed il vecchio faro. Chissà come sarebbe abitarci dentro per qualche giorno. Si trova proprio in mezzo al Canale di Beagle, isolatissimo, a chilometri dalla terra ferma.

Quando si riaccendono i motori e la velocità aumenta, come l’aria in coperta, i turisti fuori coperta calano a vista d’occhio. Dopo 20 minuti solo Andrea ed io rimaniamo all’aperto. Resistiamo però per poco tempo. Dopo la quinta ondata di spruzzi che ci colpisce in pieno realizziamo che forse è meglio scendere per scongelarci anche se fuori coperta ci si diverte molto di più. Ci sentiamo salati ovunque, perfino le macchine fotografiche digitali sono ghiacciate ed un po’ umide. Per fortuna tutto funziona ancora. La navigazione prosegue ora verso l’isola dei cormorani ma dopo 1:40 ore passate al vento e al gelo, e dato che la barca ondeggia a destra e a sinistra in modo esagerato, ai cormorani diamo solo uno sguardo dall’interno. Il giro sta per finire, puntiamo verso la baia di Ushuaia e nel ritorno facciamo una breve sosta presso un isolotto con i cuccioli di leone marino che con il loro verso ci salutano (o più probabilmente chiamano la mamma). Attraccati in porto ci dirigiamo da “Eduardo’s”, centro fotografico molto attrezzato ed organizzato in Av. San Martin 747, dobbiamo assolutamente scaricare le foto dalle macchine digitali. Per 20$ a macchina ci fanno il lavoro, dobbiamo solo ritornare più tardi. Dato che siamo a corto di pesos decidiamo di andare a cambiare un po’ di US$ ma l’ufficio del cambio, l’unico cambio di Ushuaia (tra Av.Martin e 9 Julio) apre alle 10 e chiude alle 15 da lunedì a venerdì! Gulp! Abbiamo solo 30 $/a (10 €) e dobbiamo cenare, andare in aeroporto e pagare 40 $/a di copia su CD delle foto. Rifiutiamo categoricamente i 100 $/a che il gestore dell’Alakaluf osteria generosamente ci offre in prestito e decidiamo di pagare in US$ il fotografo (ci fa un ottimo cambio) che gentilmente ci accetta ma ci da il resto un US$, siamo quindi al punto di partenza. Ci tengo a sottolineare però che ci siamo fatti copiare le foto di 2 macchine digitale su di 1 cd, inoltre abbiamo fatto eseguire una seconda copia di sicurezza di tale CD. Ci aspettavamo almeno 40 $/a (20 $/a per ogni macchina digitale) se non di più dato che per quelle della macchina di Andrea hanno dovuto fare un lavoro aggiuntivo scaricando un software apposito sul loro PC ed invece: 30 $/a! “Ma come?”, chiediamo noi. “Sconto per le due macchine”, ci rispondono. Restiamo a bocca aperta. Il Italia qualcuno fa ancora sconti? Regalano ancora qualcosa? Da noi ci avrebbero fatto pagare tutto e pure di più per il lavoro extra.

Tornando verso l’Osteria ci fermiamo ad ammirare la vetrina di “Laguna Negra”, bottega di cioccolato artigianale (Av. San Martini 513). Conoscevamo la fama del cioccolato di Ushuaia e non potevamo non verificare di persona la sua qualità assaggiandone un po’. Decidiamo così di “investire” 10 $/a (3,3 €). Chiediamo alla signora al banco 10 $/a della cioccolata tipica del luogo. Ci riempie così un sacchetto con tante barrette di colorato cioccolato. Le diciamo che purtroppo il nostro budget è limitato causa mancanza di pesos ma lei, generosamente, abbonda con la quantità e ci da più di 10 pezzi superando abbondantemente i 10 $/a che ci fa pagare. Da noi, in Italia, ci avrebbero fatto pagare tutti i pezzi nel sacchetto e con 3,3 € ci compravamo si e no 2 cioccolatini non artigianali. Anche questa generosità e cordialità degli abitanti di Ushuaia ci colpisce favorevolmente.

Ci restano così 10 $/a o poco più. Dove mangiare a questa cifra? Ma al Banana’s ovviamente. Mentre percorriamo Av. San Martin in direzione del locale veniamo fermati da alcuni ragazzi che ci propongono un locale per ballare stasera. Purtroppo domani dobbiamo partire per Buenos Aires, ci sono gli zaini da preparare e abbiamo i soldi contati. Siamo quindi costretti a declinare l’invito. A malincuore perché ci sarebbe piaciuto vedere un po’ come si divertono i nostri coetanei da queste parti. A chi chiedere qualche informazione a riguardo? Ma certo, alla ragazza che abbiamo conosciuto nel bar/ristorante a mezzogiorno. Lei ci spiega che ci sono svariati locali dove ballare (che Andrea ed io non avevamo mai visto nei 1000 giri fatti per la città, probabilmente perché aprono solo nei weekend), i giovani ci vanno molto tardi, alle 2 o 3 del mattino e l’ingresso costa al massimo 10 $/a. La nostra amica ci fornisce anche alcuni nomi ma non possiamo proprio andarci. Si fa presto a fare un confronto con i costi (spesso esagerati) sia dei nostri locali da ballo che delle consumazioni nei bar e nei ristoranti. Si finisce così per scambiare due parole sull’economia dell’Argentina e sul costo della vita ad Ushuaia che in media è un po’ più alto del resto del paese dato che è località turistica. Ma a noi va benissimo così. Uscendo, a cena finita, le lascio l’indirizzo del mio sito web, così che possa vedere (se ne avrà voglia), le foto scattate durante il nostro viaggio in Sud America.

Ora siamo in stanza e ci troviamo un po’ a riflettere e a scambiare le rispettive opinioni su questi 2 giorni trascorsi ad Ushuaia. Ci sono infatti alcune cose che abbiamo notato e che segnaliamo: – abbiamo visto pochissima gente fumare (per non dire nessuno, tranne un paio di turisti) – qui guidano con molta disciplina ed educazione. Non esiste nessun tipo di segnaletica orizzontale ma non abbiamo mai visto incidenti o gente che impreca da un macchina all’altra eppure il traffico c’è (di sera poi è un po’ caotico) e le strade hanno incroci ogni 200 metri.

– non c’è particolare miseria, povertà o delinquenza. Non si vede nessun mendicante o “gente strana” che si incontra quasi ovunque in tutte le città. C’è sì qualche casa fatiscente in lego abbastanza povera ma mai gente messa troppo male. Ci si sente sicuri a girare per Ushuaia, molto sicuri. Abbiamo un nostra teoria, non avvallata da testimonianze del loco ma credo che abbia un senso: Ushuaia è una città isolata dal mondo. Ci sono 55.000 abitanti ed è circondata dal nulla. Qui ci sono solo gli abitanti locali più i turisti di passaggio. Da qui la nostra teoria: non diciamo che tutti conoscono tutti, ma quasi e poi la lontananza da altre città può essere un forte elemento per scoraggiare eventuali arrivi di delinquenti che la città stessa o meglio, i suoi abitanti, individuerebbero ed isolerebbero. In conclusione Ushuaia mi ha dato moto di più di ciò che mi sarei aspettato: non è solo la “Fin del mundo, principio de todo” ma è una città bella, con gente accogliente ed un fascino tutto su per chi sa apprezzarla, viverla ed accettare il suo isolamento da… tutto il resto. L’ultimo cioccolatino Fequino è finito, finisce così il mio resoconto di oggi. Arrivederci Ushuaia.

NB. Al “Monte Olivia”, negozio di articoli turistici in Av. San Martini 499 fanno un timbro per il passaporto che è decisamente migliore. Quando siamo entrati in Brasile non ci hanno fatto nessun timbro o controllo, ma ad Ushuaia (che è sempre in Argentina) ce ne siamo fatti fare ben due.

26 luglio Oggi è il giorno della partenza da Ushuaia, siamo un po’ tristi perché non sappiamo se e quando torneremo quaggiù per un’altra visita. Non abbiamo però rimpianti perché siamo riusciti a vedere molto più di ciò che ci eravamo ripromessi. Il tempo stamane è veramente ventoso, facciamo fatica a fare l’ultimo giro a piedi per la baia con i nostri zaini in spalla. Alle 10 siamo in già in aeroporto (attenzione, si deve pagare una tassa d’imbarco di 13 $/a p 5 US$ perché l’aeroporto Malvinas è privato). Ci imbarchiamo alle 11:40 sul volo in direzione di Buenos Aires dove arriveremo 3 ore e 20 minuti dopo. Sorvoliamo tutta la Patagonia: il cielo è limpido e ci permette riosservare la totale desolazione delle terre sotto di noi. Enormi spazi, terreni brulli e grigiastri. Le poche strade che si vedono non sono asfaltate. Ci sono alcune sporadiche abitazioni, chissà quali sono le condizioni di vita così lontani dalle città. Alle 14:30 siamo all’Aeroparque di Buenos Aires dove cambiamo immediatamente i US$ in $/a.

Ora dobbiamo trovare l’ostello. Ho prenotato presso l’HostelClub (Viamonte 887, 2° piano) a 65 $/a per una stanza doppia con bagno privato. Prendiamo un taxi (15 $/a) ed in 15 minuti arriviamo. L’ostello è in pieno centro, in una via parallela all’Av. 9 Julio, siamo a 2 passi dal famoso obelisco.

L’ostello è simpatico, la camera al 3° piano ha ben 4 letti tutti per noi. Non c’è però il riscaldamento, solo sul corridoio. Vedremo che succederà questa notte. Dopo esserci cambiati ci immergiamo subito nel caos frenetico delle strade di Buenos Aires pienissime di gente indaffarata che cammina avanti ed indietro, ed entra nei negozi e nei caffè. E’ sabato pomeriggio e si vede. Fa un po’ fresco, il cielo è grigio. Certamente 20 anni fa doveva essere eccezionale. Dicono che fosse un mix tra New York e Parigi e questo si nota ancora ma la decadenza è notevole. Si vedono ovunque scritte sui muri (e peggio ancora sui monumenti) di anarchici inneggianti alla rivoluzione, alla libertà, a non votare alle prossime elezioni, ecc. Ulteriore modo per deturpare la città. Ammiriamo l’Obelisco sulla via 9 Julio, la via più larga al mondo con i suoi 125 metri. Da li ci siamo poi diretti verso Plaza 25 mayo, dove un gruppetto rock suona mentre alcuni ragazzi dei centri sociali manifestano, verso l’Av. 25 mayo verso il Palazzo del Congresso. Dato il clima freddo ci dirigiamo verso l’hostal per cambiarci. Le luci al neon dei grandi cartelloni pubblicitari si sono accese. Sta scendendo la sera e tutta la città si illumina. Ci prendiamo così un’oretta per cambiarci, riposarci e mandare alcune email prima di uscire nuovamente. Ora dobbiamo decidere dove andare a mangiare e soprattutto cosa. Problema di facile soluzione se si percorrono le vie del centro. Qui si trovano infatti tantissimi locali e ristornati di tutti i tipi. Davanti ad ognuno, un uomo distribuisce volantini con piccoli menù ed offerte per la cena. Scegliamo il “Don Peperone” in Lavalle 876, dove fanno un “Entranada a la Parilla” più verdura o patate fritte per 5.50 $/a (meno di 2 €). Il locale è elegante e molto grande: ogni 30 secondi entra un nuovo avventore. Abbiamo però notato (anche ad Usuraia) che quando si entra in un ristorante non viene il cameriere ad accompagnarti al tavolo. Puoi aspettare quanto vuoi ma… al massimo ti chiedono:”Volete cenare?”. Eh no, sono entrato in un ristorante del centro per passare un po’ di tempo! Ci si deve quindi accomodare dove si vuole, senza troppi complimenti. La carne (che arriva dopo 20 minuti durante i quali diamo fondo al pane) è tenerissima, sembra burro che si scioglie in bocca. Oltre a ciò prendiamo 2 Coca-Cola, patate fritte e verdure. Totale 20 $/a (7 €). Ricordatevi che in Argentina il servizio non è compreso nel prezzo quindi si deve calcolare sempre un 10% in più. Lasciamo 25 $/a alla cameriera che ci sorride e ringrazia. Per una volta facciamo contenta una persona che lavora e non abbiamo speso una cifra per mangiare. Nota: avremmo potuto pagare in US$: facevano un cambio pazzesco 1 US$ = 3.10 $/a mentre in aeroporto abbiamo cambiato 1 US$ = 2.45 $/a, non sappiamo proprio spiegarci questo tasso così vantaggioso al Don Peperone. La città è piena di vita e così, seppur stanchi, decidiamo di passeggiare ancora un po’ tra le mille luci e la gente. Ogni 100 metri si viene fermati da un uomo, donna, ragazza vestita da “empanada”, babbo natale (che non stona più di tanto, per noi dato che c’è freddo, ma è pur sempre agosto), che lascia un foglietto di pubblicità di locali, ristoranti o presunti tali. C’è una super concorrenza. Alle 23:00 ritorniamo in HostelClub per la notte. Per domani, domenica abbiamo in programma una super camminata di svariati chilometri, dobbiamo quindi riposare un po’.

27 luglio Piove a dirotto qui a Buenos Aires ed il nostro programma di oggi prevede una lunga camminata attraverso i vecchi quartieri della città! Decidiamo di prendercela con calma, sperando che smetta, ma purtroppo non è così. Dopo una frugale colazione in ostello pariamo a piedi in direzione della cattedrale per poi raggiungere Porto Medero. Questa zona è stata recentemente ristrutturata riutilizzando i vecchi granai e depositi di masserizie trasformati in tanti ristoranti. Il ragazzo incontrato sul volo per Ushuaia ci aveva consigliato proprio questa zona per mangiare ottima carne. Dicono che sia più cara che nel resto della città ma che meriti particolarmente. La camminata è abbastanza piacevole benché continui a piovere a dirotto. Giunti alla fine del canale che conduce al porto ci troviamo nel quartiere di “San Telmo”, ci sono vecchie case e fabbriche abbandonate. Risaliamo di 4 quadras per raggiungere un piccolo mercato delle pulci dove c’è affollamento di Porteños (abitanti di Buenos Aires) e turisti. Ci sono tanti oggettini carini antichi che magari, portati in Italia, potrebbero essere rivenduti ai collezionisti. In particolare ci attira un negozio di antiquariato sull’angolo della piazzetta con sestanti, bussole e anticaglie di navi e non solo. Proseguiamo la passeggiata anche se siamo sempre più bagnati. La prossima tappa è il barrio “La Boca”. Questo quartiere è da evitare nelle ore notturne perché particolarmente pericoloso. Visto di giorno ricorda la periferia di una qualunque delle nostre metropoli: muri scritti, case diroccate, marciapiedi rotti e sporchi, negozi un po’ tristini. Camminiamo anzi, marciamo per la strada principale che taglia il barrio. Sono svariati chilometri prima di raggiungere la zona dove, alcuni decenni fai. Si erano stabiliti alcune migliaia di emigranti italiani in cerca di fortuna in Sud America. La particolarità di questa zona sono le case variopinte e multicolori. Nell’ultimo tempo sono state oggetto di restauro data la loro originalità e forte attrazione turistica. Per la loro verniciatura vennero usati i colori avanzati dalla pittura delle navi del vicino porto. La zona è piena di turisti arrivati però in pullman privato, data la distanza dal centro e lo scarso interesse turistico del quartiere da attraversare. Ora piove un po’ meno e decidiamo così di tornare verso il centro a piedi, senza prendere un taxi. Scegliamo una strada alternativa che sulla carta è più lunga, ma forse più facile da seguire. La sconsigliamo vivamente. Seguiamo infatti la strada sopraelevata che passa per il porto che, come tutte le aree portuali del mondo, non è proprio il massimo per ciò che riguarda la sicurezza (soprattutto di domenica mattina quando non gira nessuno). Camminiamo così per almeno 5 km sulla banchina senza incontrare un cane. Vediamo solo vecchie carrette del mare arrugginite e semi affondate, certamente abbandonate da anni. Ce ne sono tante…E anche le navi “in uso” non sono poi messe così bene. Siamo bagnati fradici, ma ormai non possiamo cambiare strada. Alla nostra destra c’è una piccola favelas… E non c’è bisogno che la descriva più di tanto perché potete immaginare come sia. Arriviamo senza problemi, per fortuna, alla zona nuova del porto dove ci sentiamo già più sicuri. Ripassiamo tutti i nuovi ristoranti visti all’andata e torniamo in centro. Ci è voluta almeno 1 ora di marcia dal quartiere degli italiani. Dato che sono le 13 ne approfitto per andare a Messa in Cattedrale e quando esco non ha ancora smesso di piovere. Ritorno in ostello per cambiarmi i vestiti. Per strada comincia ad esserci già più movimento di gente. Ripartiamo quasi subito e dopo un veloce panino al McDonald (6 $/a) ci dirigiamo verso i quartieri ad Est della città (in particolare “La Recoleta”). La città, man mano che ci avviciniamo al quartiere cambia. Siamo in una zona residenziale con alti palazzi, balconi verdi e condomini signorili. Proprio una buona zona per abitare in confronto alla zona del centro, abbastanza tristina. Continua a piovere ma questo non ci spaventa minimamente. Dopo 40 minuti raggiungiamo la chiesa di Nuestra Senora del Pilar che visitiamo velocemente. Siamo attratti dal cimitero accanto alla chiesa: ricorda tantissimo il Pere-Lachaise di Parigi. Molte sono le tombe, una vicina all’altra, di forme e dimensioni diverse, quasi tutte in marmo nero. La cosa che più ci colpisce però sono le bare in legno in vista! Sono letteralmente ammassate, dentro ogni cappellina, le una sulle altre, senza nessun tipo di muratura o interramento. Abbastanza strana questa usanza. Il cimitero è stato aperto nel 1822 e conta per la maggior parte tombe di famose famiglie argentine i cui nomi sono usati per la maggior parte delle vie di Buenos Aires. Sulla sinistra è possibile vedere la tomba di Evita Peron nella cappella della famiglia Duarte. Se si esce dal cimitero e si gira sulla sinistra, sul fondo della strada è possibile trovare un centro commerciale con negozi, bar e l’ “Hard Rock Cafe” di Buenos Aires. Ormai sono le 17 e siamo nuovamente tutti bagnati, dobbiamo quindi per forza rientrare in ostello. Ci vogliono almeno 50 minuti di passeggiata veloce per raggiungerlo. Finalmente un posto caldo ed asciutto. Approfittiamo delle 2 ore di relax per guardare un film (“Matrix 2”) con gli altri ragazzi dell’ostello e per leggere un po’ le nostre guide turistiche. Anche questa sera si pone il problema di cenare. Partiamo così per la vie del centro a raccogliere un po’ di volantini dei locali (che ti vengono dati anche se provi in tutti i modi a desistere). Alla fine, non sapendo dove andare, tra le tante proposte, torniamo al “Don Peperone”, dove abbiamo già cenato la sera prima. Ci posizioniamo davanti alla porta, l’apriamo e questa volta entriamo decisi, non aspettiamo nessun cameriere o “boss” del locale, ma ci fiondiamo al posto che più ci aggrada senza aspettare nessuno. Quando arriva la cameriera (la stessa della grossa mancia della sera prima) sappiamo già cosa vogliamo e non necessitiamo nemmeno della lista (menù): bisteccona con patatine fritte. Favolosa come la volta prima, ci costa solo 20,40 $/a (7 € circa in totale). Dopo tutti i chilometri macinati a piedi oggi, sotto la pioggia, mangiamo in assoluto silenzio in pochi minuti. Usciamo soddisfatti e sazi dal locale per un ultima passeggiata notturna prima di rientrare. Domani avremo la mattinata libera e poi nel pomeriggio si va all’aeroporto. Ho già chiamato per confermare i voli e dobbiamo essere all’aeroporto internazionale di Ezeiza ben 3 ore prima per un volo di sole 2 ore e 15. Pazzesco. Così domani mattina presto prepareremo per la terza volta lo zaino (disfatto solo ieri pomeriggio).

28 luglio Oggi abbiamo a disposizione una mezza giornata per girare ancora un po’ per Buenos Aires ma onestamente non sappiamo dove andare. Le cose importanti da vedere le abbiamo viste. Partiamo così percorrendo l’Av. 9 Julio verso nord per vedere… cosa c’è alla fine. Sui lati della strada si incontrano negozi e autosaloni. Alla fine della strada si può visitare la chiesa di S. XXX il cui ingresso ricorda quello di un vecchio hotel con la “pensilina”. Dato che abbiamo tempo a disposizione ci infiliamo nel centro commerciale XXXX che merita una breve visita se non altro per il soffitto affrescato che da un’idea della qualità dei negozi nei 3 piani che compongono questo centro. Al piano inferiore potete trovare molte opportunità per mangiare qualcosa nei ristoranti, fast food, panetterie e pasticcerie. Alle 13:30 siamo in ostello, dobbiamo aspettare 2 ore prima che un bus di “Manuel (Fangio?) Tienda y Leon”, che gestisce il “racket” dei trasporti a Buenos Aires e in tutta l’Argentina (quasi tutti i bus per ogni destinazione che abbiamo visto erano loro), per farci portare all’aeroporto internazionale di Ezeiza (14 $/a). Riguardo al “racket”, ovviamente è un modo di dire, ma il sospetto è forte.

Alle 16:45 siamo in aeroporto, ben 3 ore prima del volo (come richiestoci da Aerolineas Argentina). Vogliamo segnalare la tassa di uscita dal paese di ben 18 US$ a persona: ci siamo rimasti veramente di stucco quando ci hanno comunicato l’ammontare della cifra. Siamo turisti, abbiamo speso in Argentina, abbiamo pagato i voli molto più degli stessi argentini ed ora dobbiamo lasciare anche 18 US$ quando abbiamo speso 30 US$ al giorno di ostello per una stanza. Una vera delusione, cara Argentina. Oltre a ciò l’aeroporto internazionale di Buenos Aires è veramente bruttino e vecchiotto.

Alle 19:45 decolliamo alla volta di Santiago del Cile. 15 minuti prima dell’atterraggio avvistiamo dall’alto la città: è enorme. L’avvicinamento è lento e tranquillo, questo ci permette di godere di una vista mozzafiato di tutta la città illuminata, subito dietro alla cordigliera andina. Il primo luogo che un turista vede, atterrando é l’aeroporto Arturo Merino di Santiago del Cile: è moderno, ampio e pulito. Lunghi corridoi silenziosi ci conducono alla dogana dove in pochi minuti sbrighiamo le formalità (ricordarsi di compilare la scheda di immigrazione prima dell’arrivo). I bagagli, purtroppo, arrivano bagnati fradici perché a Buenos Aires pioveva a dirotto ed evidentemente nessuno si era curato di proteggerli dall’acqua al momento della messa in stiva.

A Santiago ci attende Simonetta una mia carissima amica di origini italiane che vive vicino a Viña del Mar, celebre località turistica di mare sull’oceano Pacifico. Conoscere qualcuno del luogo è la cosa migliore per girare: si possono così vedere i luoghi meno turistici, parlare molto della vita nel paese, dell’economia, delle cose positive e meno positive della vita del luogo. Veniamo accompagnati a casa dello zio di Simonetta, Rodolfo, che ci ospiterà gentilmente in casa sua per la notte. Parlando del più e del meno si fa l’1 (che per me ed Andrea sono le 2, essendoci in Cile 1 ora in meno dell’Argentina).

29 luglio La mattina partiamo alle 9:30 per una rapido giro di Santiago con Bruno, cugino di Simonetta che in macchina ci porta sul Cerro San Cristobar da dove si gode una spettacolare vista panoramica. La città si trova tra la cordigliera delle Ande, in un ampia vallata. A perdita d’occhio si vedono case, grattacieli, non per nulla Santiago conta circa 6.000.000 di abitanti, 1/3 della popolazione del paese.

Ci viene spiegato come funziona la città, l’alto livello del traffico e le opere di urbanizzazione che sono in fase di realizzazione. Con Andrea abbiamo l’impressione (ed è effettivamente così) che Santiago sia una città estremamente moderna e nuova: passiamo per quartieri residenziali particolarmente curati, quanto lo sono le strade, i giardini limitrofi e gli angoli verdi che le costeggiano. La zona è in pieno boom industriale ed economico grazie anche ad ingenti investimenti di capitali stranieri dato che il Cile risulta essere il paese con la maggior stabilità economica del sud america, dove l’inflazione è contenuta. Ovviamente anche qui ci sono i problemi di tutte le grandi metropoli con baracche o case diroccate nelle zone suburbane; il forte tasso di inquinamento dell’aria (è presente una nuvola grigia di smog che copre gran parte della città). L’impressione che abbiamo da quel poco che riusciamo a vedere é ottima. Il Cile, é come la locomotiva economica al traino del sud America.

Terminato il primo assaggio di Santiago ci dirigiamo in aeroporto dove dobbiamo imbarcarci sul volo di LanChile per Calama (via Antofagasta), direzione: deserto di Atacama, città di San Pedro. Una parentesi va riservata al volo di LanExpress (associata di LanChile): assolutamente impeccabile. Classe unica, sedili larghi, nuovi e distanti gli uni dagli altri, pulizia, gentilezza e professionalità del personale a bordo. Consumiamo il miglior pranzo a bordo degli ultimi 9 voli. Consigliamo quindi questa eccezionale compagnia aerea, detentrice del titolo 2003 di migliore compagnia del Sud America.

Sorvoliamo la V, iV, III regione per giungere nella II. Il cielo limpido ci permette di vedere perfettamente le Ande sotto di noi e tutto il terreno semi desertico. Atterriamo prima ad Antofagasta, poi a Calama. Ritirati i bagagli prendiamo un Minibus che per 6000 $/c ci conduce attraverso al deserto, a San Pedro. Serve circa 1 ora e 45 di viaggio che compiamo assieme a sette altri passeggeri: 2 dei quali sono ragazze di Barkley (California) in Cile per 6 mesi per studiarne la storia. Corriamo su di una striscia di asfalto in mezzo al deserto, al nulla più assoluto, solo dune di sabbia e roccia, alte montagne e vulcani (tra questi il Licancabur) all’orizzonte. E’ veramente impressionante, c’è la desolazione più totale. Dopo poco tempo il sole tramonta e si viaggia in una luce soffusa, dopo aver visto uno dei tramonti più colorati della nostra vita. Il colore del cielo parte dal viola chiaro, al blu scuro fino al nero… veramente mozzafiato. Il minibus prosegue la sua corsa fino alla fine della strada asfaltata: da quando comincia lo sterrato siamo a San Pedro de Atacama. Un agglomerato di case di terra, mattoni e di legno con strade polverose e sassose ed un’illuminazione minima. Ci sono un secco ed un arsura spaventosi, sembra che in alcune zone non piova più di 3 volte in 100 anni, in alcune zone.

Io sono particolarmente euforico: non so se sia l’altezza (circa 2400 metri) o la stranezza di trovarmi in un luogo così fuori da ogni schema, fuori dal mondo nel quale sono abituato a vivere, ma continuo a ridere ad ogni cavolata che diciamo con Andrea.

Veniamo scaricati davanti al nostro ostello Licancabur (27000 $/c per una camera doppia con bagno privato). Il posto non è male, i letti sono discreti e puliti, purtroppo arriva solo un filo d’acqua calda in bagno ed è impossibile, almeno per oggi, farsi una doccia. Speriamo domani di avere più fortuna. In città o meglio, in paese, c’è molto movimento: vediamo infatti tanti turisti camminare su e giù per le strade polverose. Sono tutti giovani, avranno al massimo 30/35 anni, di più anziani non ne vediamo. Il paesino è pieno di casette, l’una attaccata all’altra con all’interno tour operator per i giri nei luoghi della zona: ce n’è uno ogni 100 metri ed i prezzi, come le soluzioni proposte, sono bene o male uguali ovunque. Non è difficile girare per San Pedro perché ci sono solo 3 o 4 strade, tutte poco illuminate. Se da un lato ci si sente abbastanza insicuri a girare con il buio pesto, dall’altro si vedono i turisti arrivati fino a questo luogo semi dimenticato da Dio. Sembra proprio di essere nel vecchio West o in un set cinematografico, ma è tutto vero, sebbene si faccia fatica a crederci. Abbiamo prenotato 3 tour: domani si parte alle 15 per visitare “La valle della luna”, 30 luglio La nottata è molto lunga. Andrea, dopo la cena, è stato malissimo. Pensiamo che la carne o qualche salsa sia stata la causa di tutto. 5 ore di vomito, brividi, dolori muscolari e formicolii agli arti. Alle 4 del mattino, dato che la situazione in cui versa è bruttina (ed Andrea è tutt’altro uno che si lamenta!) esco alla ricerca di un medico o infermiere, ovviamente non lo trovo. Non c’è nessuno per le strade a parte 2 turisti in attesa di partire per un tour ai Geyser. Pensare che passo davanti ad un centro medico ma per il troppo buio non lo vedo. Grazie a Dio verso le 4:30 i dolori pian piano si attenuano e possiamo entrambi dormire un poco. Durante la mattinata giriamo a piedi in esplorazione un po’ fuori paese: si fa presto ad uscire dall’abitato e trovarsi su colline di roccia. Verso le 10:30 Andrea torna in stanza per riposare un po’ mentre io ho continuo a girare per San Pedro, non prima di essermi messo dei vestiti leggeri dato che il sole scotta molto. La città presenta di interessante: la vecchia chiesa bianca del 1700 ed il museo archeologico (ricco di mummie. Anche fare la spesa alimentare non è la cosa più semplice: le botteghe che si trovano per le strade saranno 3 o al massimo 4 più 2 negozi di frutta e verdura. Rientro in camera tutto impolverato: stasera, con o senza acqua calda, bisognerà proprio farsi una doccia. Dopo un pranzo frugale ci dirigiamo presso la sede del tour operator “Atacama Connection” da dove partirà il nostro tour pomeridiano. Otto su dodici partecipanti al tour sono francesi, ma per nostra fortuna ci sono anche le due ragazze di Berkley (che alloggiano nel nostro stesso ostello), incontrate la sera dell’arrivo. Si viaggia dapprima verso un luogo panoramico con vista sulla “Cordillera del Sal”, si passa poi alla “Valle della morte” dove scendiamo per una comminata di circa 45 minuti. Si scende a piedi sotto ad una montagna di rocce percorrendo un sentiero di sabbia scura. In lontananza vediamo dei ragazzi che praticano il sandboard: lo snowboard sulla sabbia. Percorriamo un cammino all’interno della vallata dove le rocce contenenti cristalli di sale sono state plasmate dal vento durante millenni, le “sculture” create sembrano quasi l’opera dell’uomo. A fondo valle riprendiamo il bus che si dirige, in un’ora circa, verso le “Tres Marias”: statue di rocce create dal vento in mezzo ad una vallata di sale. La sosta è però molto breve, il tempo è limitato dato che dobbiamo raggiungere il centro della “Valle della luna” per assistere alla “puesta de sol” (tramonto).

Al centro della valle si trova un’immensa duna di sabbia grigia, tutt’attorno deserto sconfinato a perdita d’occhio, alte vette e vulcani innevati. La salita è alquanto faticosa data l’altezza a cui ci troviamo (oltre 2600 metri) e dato che si sprofonda molto nella sabbia. Servono almeno 10 minuti per salire fino in cima: da li, camminiamo sulla costa della duna. La sommità è larga non più di 80 cm: ai lati ci sono solo le pareti verticali della duna, meglio quindi evitare di sporgersi troppo. Il passaggio non è proprio facile, attorno a noi il paesaggio da ammirare è eccezionale: da qualunque lato si guardi, in questa vallate desertica, si vedono alte cime e strane formazioni rocciose. La fine delle duna appoggia su di una montagna e qui dobbiamo per forza arrampicarci se vogliamo proseguire. Sono alcuni metri di salita che percorriamo stando aggrappati alle rocce più sporgenti. Non tutti se la sentono e alcune persone preferiscono fermarsi sulla duna, ma chi giunge in cima può godere del più bel panorama che si possa immaginare. Saremo un trentina di persone sulla sommità di una montagna al centro della valle della luna. Le foto che scattiamo sono decine ma una diversa dall’altra. Davanti a noi, vediamo un profondo burrone roccioso e il sole che ci illumina con i suoi ultimi raggi. Sono le 18 quando scompare completamente dietro a delle montagne. Da questo momento la luce si fa surreale, sembra di essere in piena eclissi solare: le montagne si tingono di colori marrone, giallo e rosa mentre il cielo è ancora più emozionante da guardare per la sua varietà di colori. Anche il giorno del nostro arrivo a San Pedro (ieri) abbiamo potuto godere di un tramonto mozzafiato ma osservato dalla cima di una montagna nel deserto è un’esperienza unica. Comincia a farsi buio: approfittiamo del riflesso dell’ultima luce sulle montagne per scendere dalle rocce, non senza difficoltà, ed intraprendere nuovamente il percorso sulla duna per raggiungere il pullman prima del calare delle tenebre. Ci lanciamo da un lato abbastanza ripido ed affondiamo gli scarponi fino alla caviglia nella sabbia. Le mie scarpe da montagna che 10 giorni fa erano nuove e blu, ora sono completamente beige per la sabbia desertica. Raggiungiamo dopo 20 minuti il bus, appena in tempo dato che l’oscurità è ormai calata. Dopo 30 minuti, alle 19:45 arriviamo a San Pedro.

Rientriamo in camera… che più di una camera è una ghiacciaia dato la mancanza di riscaldamento. Desideriamo una bella doccia ma: sorpresa, non c’è acqua. Sembra infatti che ci sia stato un problema nelle tubature, nel pomeriggio qui a San Pedro: la strada infatti era completamente allagata che, per una strada di polvere significa infangata. Siamo così costretti a ricorrere alle salviettine umidificate per darci una prima ed approssimativa pulita e andare a cenare in un locale carino, su “Av. Toconao”, di fronte ad “Atacama Connection”. Ordiniamo due pizze: non tanto per fare gli italiani ma più che altro per evitare la carne che ha causato “tanti problemi” ad Andrea. Il locale è veramente bello, da poco sistemato, con candele, fuochi, luci, affreschi: ci chiediamo se avrebbe successo nella nostra città un locale simile. Molto probabilmente si. L’attesa è particolarmente lunga ma improvvisamente arriva un gruppetto di cinque suonatori di musica andina, chiedono il permesso al padrone del locale e cominciano a suonare alcune canzoni. Sono proprio bravi. Sembra di stare in un mega villaggio turistico dove tutto è programmato per divertire i clienti ma non è affatto così. Qui la vita è proprio così: capita che un gruppo improvvisi una suonata in un locale ma non solo, le strada sono polverose “originali” non sono fatte così per i turisti (pochi, per fortuna), idem i pochi e semplici negozi o la struttura delle case. E’ tutto vero. E’ in tutti i posti turistici dove imitano quest’ambiente. Stanchi per la giornata rientriamo nella nostra “ghiacciaia” per preparare il materiale per il tour di domani ma improvvisamente ricevo una telefonata da “Atacama Connection”: mi comunicano che il tour di domani viene spostato e sostituito con la visita dei “Geyser al Tatio”: ora di partenza le 4 del mattino. Ci sistemiamo velocemente e andiamo subito a letto. Sono già due notti che non si dorme molto e domani mattina dobbiamo alzarci prestissimo. Buona notte.

31 luglio La giornata comincia presto oggi. Alle 3:30 siamo già “svegli” per prepararci ed andare verso i “Geyser al Tatio”. Il pulmino ci passa a prendere alle 4 in punto, ci sono circa 2:30 ore di strada da fare, tutta curve e sterrato, per raggiungere i geyser. Passiamo per piste sterrate e buie, illuminate solo dai nostri fari e da quelli di altri pulmini che vanno nella nostra stessa direzione. Non si capisce assolutamente dove andiamo perché fuori c’è troppo buio. Trascorro il tempo conversando un po’ in inglese ed un po’ in spagnolo con una ragazza di Santiago di nome Carina, in viaggio con la famiglia. Il tempo passa abbastanza velocemente. Alle 6:30 raggiungiamo l’interno della bocca del vulcano “El Tatio” dove si vedono già le prime fumarole. Ci sono circa -10°C ed il freddo, a 4320 metri, si sente tutto. Dobbiamo aspettare 1 ora prima che il sole, che avevamo salutato il giorno prima dalla “Valle della luna”, faccia capolino tra le montagne: ne approfittiamo così per una colazione veloce offerta dal tour operator: il the caldo è provvidenziale per evitare l’assideramento. Saltiamo tra le piccole fumarole e appena il sole sorge i geyser cominciano a spruzzare acqua bollente, riempiendo l’aria di candide nuvole bianche. Se ci si immerge completamente in una nuvola di vapore si sente l’odore di zolfo e si viene un po’ riscaldati dall’acqua ancora calda. Restiamo sul posto fino alle 8 per godere dello spettacolo offertoci dalla natura, prima di scendere per alcuni chilometri in un altro luogo dove si possono vedere dieci grandi geyser e dove è possibile fare il bagno in un acqua con temperatura dai 30 ai 90°c. In questo luogo un turista francese, 3 anni fa, è precipitato in un geyser, non è stato più trovato, per questo è meglio restare ad una certa distanza di sicurezza per evitare che la crosta terrestre si spacchi sotto di noi. La sosta per chi vuole fare il bagno è di circa 45 minuti. Andrea ed io ne approfittiamo per scattare alcune foto ai geyser più alti del mondo ed ammiriamo la flora d’alta quota. Iniziamo poi la lunga discesa verso San Pedro passando su strade sterrate in immensi altipiani circondati da alte vette innevate. Alla nostra destra le montagne e gli ampi terreni con la bassa flora locale, alla nostra sinistra il deserto secco e marrone. La strada non è facilmente percorribile per le buche ed il ghiaccio così usciamo di pista tagliando per il deserto. Le discese sono particolarmente difficili, l’autista guida con estrema prudenza per evitare danni al mezzo (e alle persone), finendo in qualche vallone. Improvvisamente si apre davanti a noi una vallata con pascoli “semi erbosi” dove incontriamo un gruppo di lama al pascolo. Scendiamo dal pulmino per avvicinarci a loro con cautela, ma non è facile se si cammina su erba semi galleggiante sull’acqua. Ad ogni passo senti qualcuno che finisce con le scarpe dentro all’acqua. Con un po’ di fortuna raggiungiamo i lama per scattare alcune foto ravvicinate. Il paesaggio attorno a noi è rigoglioso e verde, anche se siamo ancora a 4000 metri di altezza. La discesa verso San Pedro è ancora lunga e durante il tragitto ci fermiamo per una breve sosta presso il villaggio di Machuca. E’ composto da 6/7 case di terra e legna. Mi faccio spiegare che un tempo qui vivevano circa 30 persone, nativi del luogo, ma ora la popolazione conta solo 4 persone. Il governo del Cile aiuta gli autoctoni a restare nei propri paesi di nascita promuovendo iniziative di sviluppo, costruendo antenne per le radio, portando luce ed acqua a chi scegliere di vivere in condizioni non certo agevoli. Sono proprio le precarie condizioni di vita a causare le migrazioni verso paesi o cittadine (Calama in primis) che certamente offrono più possibilità, in ogni senso.

Rientriamo in ostello per le 13, giusto il tempo per scoprire che nemmeno oggi c’è l’acqua. Facciamo così una breve sosta per cambiarci i vestiti pesanti e passare a pantaloni corti e maglietta: fondamentali se si vuole noleggiare una mountain bike e pedalare sotto il sole per il deserto. Alle 14 prendiamo 2 mbk ammortizzate e ci dirigiamo verso la “Pukara di Quitor”, sono 3 km di sterrato che percorriamo abbastanza velocemente. Proseguiamo poi verso Catarpe. La strada è tutta polvere perché siamo pedalando in una pista nel deserto: non è facile stare in sella alla bici. Siamo più volte costretti a oltrepassare, pedalando, un piccolo fiume fangoso che serpeggia per la valle: a volte lo si attraversa in velocità riempiendosi così di melma, altre volte dobbiamo caricarci la bici in spalle e saltare sui sassi che affiorano.

Attorno a noi il silenzio è totale. Ci troviamo tra montagne estremamente friabili e soggette all’usura del vento. Non incrociamo nessuno per alcuni chilometri ma a volte capita di vedere un altro turista che pesta sui pedali per non cadere nel fiume o sulla sabbia. Dopo altri 6 chilometri il torrente ha troppa acqua ed è troppo profondo per oltrepassarlo senza mettere le scarpe in ammollo (cosa che vorremmo evitare). Proviamo così a trovare una pista alternativa seguendo un sentiero non battuto, ma i nostri sforzi sono vani. Decidiamo allora di tornare a San Pedro per ricaricarci d’acqua: il sole picchia forte e non c’è una nuvola in cielo. Dato il basso tasso di umidità ci si disidrata molto facilmente, per questo decidiamo di bere un bel po’ e di mangiare qualche cosa dato che abbiamo completamente saltato il pranzo. Alle 17 siamo nuovamente in sella, direzione “Valle delle morte”, dove siamo stati già ieri pomeriggio. Il primo tratto di strada è asfaltato (siamo infatti fuori da San Pedro) ma tutto in salita, contro sole e controvento: la voglia di tornare indietro non è poca ma proseguiamo nella pedalata sperando in una strada migliore. Abbiamo a disposizione circa 1 ora di sole, non è molto ma da qualche parte vogliamo riuscire ad arrivare. Seguendo la strada principale giungiamo ad una biforcazione e prendiamo una stradina bianca (a dire il vero sono tutte “strade bianche” da queste parti). Ci troviamo così nella gola di un alto canyon dal fondo roccioso e sabbioso. Il sole non giunge sulla strada, sono troppo alte le pareti di roccia. Comincia a fare un po’ freddo e siamo costretti ad abbassare la testa e pedalare alla cieca quando le raffiche di vento alzano polverose nuvole di sabbia. Pedaliamo incantati dalla bellezza del luogo: sembra di stare in un film, ciò che ci circonda ha dell’irreale, forse perché tanto diverso dal nostro ambiente e dalla nostra natura, dalle nostre montagne e anche dal nostro clima. Proseguiamo per alcuni chilometri, non si incontra anima viva, nessun turista o bus, nessun movimento: solo Andrea ed io impegnati in questa pedalata “ai confini della realtà”. Verso le 18:30 comincia a fare freddo, decidiamo così di ripiegare in direzione dell’ostello (sperando che nel frattempo sia tornata l’acqua) ripercorrendo la stessa, magica strada dell’andata. Abbiamo giusto il tempo per un ultima foto del vulcano Licancabur illuminato dagli ultimi raggi del sole al tramonto. Sorpresa! L’acqua arriva e è anche un po’ calda se si aspettano alcuni minuti!!! Dopo esserci fatti la doccia siamo come rinati: non ci resta che cenare nel locale di ieri sera, ed andare a letto (ore 22:00) per essere pronti per il lunghissimo tour di domani (circa 350 km).

1 agosto Questa notte abbiamo recuperato un po’ il sonno perso nei giorni scorsi. Io credo di essere caduto in catalessi non appena ho messo la testa sul cuscino. Dopo 10 ore di sonno ci alziamo ed attendiamo il bus per il tour di oggi. Ci aspettano circa 350 km di strada sterrata su e giù per le montagne. Il tour, denominato “Lagunas Altiplanicas” (costo 20000 $/c p.P.). Partiamo insieme ad una coppia di islandesi e a due ragazze francesi. La strada che percorriamo è sempre dritta ed infinita, non cambia mai; solo in alcuni tratti è particolarmente difficile per il fondo sabbioso. La prima sosta di 20 minuti circa è presso il Toconao, paesino di 550 anime circa. Ne approfittiamo per una visita alla chiesa che, come molte altre del nord del Cile, ha il campanile separato dalla struttura della chiesa, questo per una tradizione indigena. Lo stop a Toconao è anche un modo per dare da lavorare alla gente locale che, tramite la vendita di qualche souvenir, riesce a vivere un po’ meglio. Ripariamo per un breve tragitto di strada perché ci fermiamo quasi subito al “Pueblo de Socaire. Mentre noi facciamo quattro passi, il nostro autista prenota per il pranzo della comitiva. La destinazione seguente è la “Laguna Miscanti” a quota 4150 metri di altezza. Serve almeno 1 ora per arrivarci: la strada è sterrata e i sobbalzi nel bus si sentono veramente tanto, per fortuna non abbiamo mangiato molto a colazione. Il paesaggio attorno a noi è completamente differente da quello ammirato nei giorni passati: le montagne sono completamente coperte da una bassissima vegetazione gialla, non c’è la solita roccia o la solita sabbia. Il sole è alto ed il cielo limpido quando arriviamo alla laguna riparata tra le montagne. L’acqua salata che forma il lago è di color verde/azzurro e riflette completamente il paesaggio circostante. Facciamo una breve camminata di 30 minuti osservando alcuni “zorro” (volpi) che gironzolano tranquillamente tra la bassa vegetazione. Sebbene ci troviamo ad alta quota non fa particolarmente freddo, tira solo un po’ di vento. La cosa che più mi colpisce è il forte “rumore” del silenzio che si percepisce nella vallata. Risaliamo sul bus e ci dirigiamo verso la laguna Tuyaito ma qui non possiamo scendere dal nostro mezzo di trasporto per non disturbare gli uccelli locali che stanno nidificando. Dobbiamo accontentarci di ammirare il panorama dai finestrini. La tappa successiva e la “Laguna Miñiques” a 40 minuti di strada: l’acqua è completamente bianca ed il livello è molto basso; è infatti possibile camminare dentro al lago per alcuni metri. Ampi depositi di sale si notano sui bordi del lago un po’ ritirato. La natura si sta prendendo anche questo spazio lasciato dall’acqua: alcune piante infatti sono riuscite a crescere tra il sale a la terra depositata dal vento. Sono ormai le 13:50 ed è ora di tornare verso Socaire per consumare il pranzo. Alle 15.10 siamo a tavola, in un ristorantino, molto semplice da dove transitano molti dei turisti portati in queste zone. Ci viene servita una minestrina essenziale con un pezzo di carne (sembra manzo ma ne dubito, meglio non indagare troppo) e mezza patata. Il secondo invece è di sole verdure: annoto la patata di colore viola, veramente originale. Innaffiamo il tutto con del succo di arancia fatto con le bustine e l’acqua del posto; la nostra flora batterica intestinale dovrà fare degli straordinari oggi. Finito il pranzo ci dirigiamo verso il “Salar de Atacama”, il 3° lago di sale più grande al mondo formatosi circa 5 milioni di anni fa quando la placca continentale si è scontrata con quella oceanica generando, in questo modo, un lago salato tra le Ande.

E’ impossibile descrivere gli spazi immensi di questo luogo. Il pulmino viaggia veloce tra le piste del salar ampio 90 km di lunghezza per 60 di larghezza. Ci sentiamo veramente piccoli, in particolare quando si scorgono i fumi di polvere sollevati da altre macchine in passaggio ad alcune decine di chilometri di distanza da noi. A parte il sale bianco e grigio ai nostri lati, le montagne assumono i colori più diversi a causa del sole che picchia forte. Verso le 16 giungiamo alla “Riserva Nacional los Flamencos” (2000 $/a p.P). Siamo quasi al centro del salar. In questo luogo vi sono alcuni laghetti naturali, con il 75% di salinità dell’acqua, dove vivono e nidificano i fenicotteri, qui chiamati “flamencos”.

Si cammina per sentierini ricavati nel sale, a volte secco e duro come pietra, a volte umido e bagnato dall’acqua che filtra da alcuni canali sotterranei. Ci avviciniamo ai flamencos che mangiano i microrganismi nell’acqua: a volte qualcuno di questo uccelli rosa ci sorvola a bassa quota spostandosi così da un laghetto salato all’altro. La temperatura è alta ed il sole ci acceca, o più facilmente è la sua luce riflessa dalla massa di sale bianco attorno a noi a colpire la vista. Il lago ha una lunghezza di 90 km per 60 di larghezza. Verso le 17:30 ci ritroviamo al pulmino, abbiamo più di 1 ora di strada prima di rientrare a San Pedro. E anche questo ultimo tour è finito, in questi tre giorni pieni siamo riusciti a prendere parte a parecchi giri, moltissimi chilometri su strada e ammirare le cose più spettacolari che la natura del luogo potesse offrirci.

San Pedro ci è piaciuta: così tipica e strana. Piena di giovani amanti dell’avventura e del trekking, gli stessi giovani che la sera lavorano nei locali e si guadagnano da vivere vendendo collanine e braccialettini ai turisti, spesso coetanei, che si trovano in questo deserto. Tutti giovani, tutti felici, tutti gentili (fin troppo), questi hippie del 2000 di San Pedro de Atacama.

2 agosto Oggi si lascia San Pedro per tornare a Santiago. Prendiamo il pulmino prenotato presso “Atacama Adventure” che per 6000 $/c p.P. Ci porta all’aeroporto di Calama. Guardiamo un po’ malinconicamente i maestosi paesaggi che il deserto può ancora offrirci. L’aereo parte puntuale alle 12:15 e dopo uno scalo ad Antofagasta ed El Salvador (l’aeroporto più piccolo che io abbia mai visto in tanti viaggi) raggiungiamo la capitale Santiago del Cile dove, molto gentilmente, troviamo lo zio di Simonetta che ci è venuto a prendere per portarci a Villa Alemanna. Resteremo in questa cittadina per alcuni giorni prima di rientrare in Italia. Da ora in poi non mi dilungherò molto nella descrizione di ciò che faccio durante il giorno, per non tediare il lettore, mi limiterò solo ad alcune riflessioni ed annotazioni sul Cile, i suoi abitanti e i posti da me visitati.

Seppur un po’ stanchi, la sera usciamo di casa e ci immergiamo nel traffico tra Valparaiso e Viña del mar, le due città più importanti dopo la capitale Santiago. Di sera, con il buio, si rimane colpidi dalle centinaia e centinaia di luci che coprono le colline che si affacciano sull’oceano. Sono le case costruite un po’ ovunque senza un vero e proprio ordine. Viste di giorno sia Viña che Valpo ricordano tantissimo Genova (però è più pulita e meno grigia e triste): Valparaiso è infatti una città portuale, il 1° porto del Cile. Prima dell’apertura del canale di Panama il porto di Valpo era molto trafficato dato che tutte le navi per e dall’oceano Atlantico attraccavano qui.

3 – 9 agosto Con Andrea, Simonetta e parte della famiglia abbiamo preso un battello a Valparaiso (davanti a Plaza Sotomayor) che ci ha portato a fare un breve giro (40 minuti circa) poco al largo per poter così osservare la città dall’oceano.

– E’ piacevole passeggiare, la domenica mattina, per il lungomare di Viña del Mar: tipica città di soggiorno estivo ma abbastanza diversa dalle nostre. Mentre infatti in inverno nella nostra riviera passano pochi turisti e si vedono solo gli abitanti, qui anche ora (siamo in agosto, in pieno inverno), la città pullula di vita e di movimento. Sono molti i santiaghini (abitanti di Santiago) che trascorrono qui i weekend invogliati dal clima più mite della capitale e dal sole che qui si può gustare (Santiago è infatti coperta da una coltre di smog). La strada costiera è una lunga fila di alti condomini adagiati sulle colline. La spiaggia di sabbia fine e il mare che è già profondo vicino alla costa, permette la formazione di onde di una certa altezza dando la possibilità ai surfisti di praticare il loro sport.

Ci viene detto che la temperatura dell’acqua è abbastanza fredda, anche in estate; il bagno lo fanno quindi gli autoctoni perché i turisti non sono abituati a queste temperature.

– Per spostarsi all’interno del Cile si può usufruire di un’ottima rete di bus che, come già segnalato per l’Argentina, collegano tutte le città dello stato. Da Santiago ad esempio è possibile raggiungere Viña del Mar in poco più di 2 ore, basta andare alla stazione dei bus (Metro fino a “Università de Santiago”), scegliere una delle tante compagnie, acquistare il biglietto (è possibile anche scegliere il posto dove sedersi) e salire sul bus. I bus sono tutti buoni e ben tenuti. E’ questo il mezzo più diffuso (ed economico) per spostarsi per il Cile non esistendo infatti una estesa rete ferroviaria su tutto il paese.

– Noi siamo venuti in Cile in pieno inverno, ma la temperature sulla zona costiera (o entroterra) non è mai scesa sotto i 12 °C anche di notte. Siamo stati invitati calorosamente a tornare nel periodo estivo (il nostro inverno) per poter godere dei paesaggi e della natura del sud (a detta dei nostri amici in Cile, molto ma molto migliore del secco nord) con la regione dei laghi, i boschi e i ghiacciai (vedi: Laguna di San Rafael).

Conclusioni: Difficile concludere un diario di viaggio scritto sera dopo sera, esperienza dopo esperienza, avventura dopo avventura, cercando di non tralasciare nessun dettaglio (senza però diventare troppo noioso…Spero). Ovviamente sono molto soddisfatto del viaggio intrapreso. Tutto è andato perfettamente: mai un problema, mai un contrattempo serio o una disavventura. Anche il ritorno in Italia, sempre abbastanza triste per la fine delle vacanza, è stato piacevole dato che Aerolineas Argentinas mi ha sistemato in business class da Buenos Aires a Roma  Un viaggio a lungo sognato e desiderato che mi è costato mesi di preparazione.

Sicuramente 21 giorni sono un tempo troppo esiguo per vivere e gustare a sufficienza i luoghi visitati, ma ci sentiamo ugualmente contenti perché, in questo poco tempo a disposizione, siamo riusciti a fare e a vedere molto più di ciò che avevamo pianificato prima della nostra partenza.

Un’esperienza forse unica che rimarrà per sempre nei nostri ricordi anche se Andrea ed io pensiamo già a ritornare in Cile ed Argentina per visitare alcuni luoghi durante l’estate australe, ma ora è troppo presto per parlarne … sarà un’altra storia ed un’altra avventura.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche