St. Martin e anguilla: spiagge da sogno

St. MATIN E ANGUILLA: SPIAGGE DA SOGNO Domenica 21 Aprile 2002: Era il 21 di aprile del 2001 quando ci apprestavamo a partire per Mauritius e, 365 giorni dopo, eccoci di nuovo pronti a spiccare il volo per seguire la rotta dei tropici. Raggiungeremo l’isolotto caraibico di Saint Martin e, ironia della sorte, saremo di ritorno il 6 di...
Scritto da: LucaGiramondo
Partenza il: 21/04/2002
Ritorno il: 06/05/2002
Viaggiatori: fino a 6
St. MATIN E ANGUILLA: SPIAGGE DA SOGNO Domenica 21 Aprile 2002: Era il 21 di aprile del 2001 quando ci apprestavamo a partire per Mauritius e, 365 giorni dopo, eccoci di nuovo pronti a spiccare il volo per seguire la rotta dei tropici. Raggiungeremo l’isolotto caraibico di Saint Martin e, ironia della sorte, saremo di ritorno il 6 di maggio, esattamente un anno dopo la conclusione del nostro viaggio nell’Oceano Indiano. La sveglia, impietosa, suona presto, anzi prestissimo e alle 3:50 del mattino siamo già in piedi. L’aereo partirà alle 7:30 e dovremmo essere a Bologna per le 5:00, ma credo vi arriveremo più tardi. Sabrina ed io ci prepariamo, poi svegliamo Federico, che non fa storie, considerata l’ora, e subito si fa prendere dall’entusiasmo e dalla smania di partire, anche se il suo viso, sul quale spiccano le gote insolitamente rosse, ha uno strano aspetto. Facciamo una veloce colazione, mentre fuori dalla finestra è ancora buio, e poco dopo arrivano i nonni che, come al solito, ci accompagneranno all’aeroporto. Tutto è pronto, ma la faccia del piccolo non convince Sabrina e la sua fronte sembra piuttosto calda: gli misuriamo la febbre e, purtroppo, ne ha qualche linea. Lui si mette subito a piangere forse per il timore di non poter partire, inconsapevole del fatto che, in realtà, non abbiamo altra scelta che quella di somministrargli un antibiotico, salire sul camper e dare ufficialmente il via al viaggio, seppure contrariati per la situazione non certo rosea. Lasciamo casa alle 5:13 e lungo il tragitto cerchiamo di convincerci che presto passerà tutto, che in fondo sarà solo un malanno passeggero, e a fatica riusciamo a mantenere reclusi tutti i dubbi e i timori che nel frattempo ci assalgono la mente. Poco dopo le 6:00, sotto ad una fitta pioggia, arriviamo all’aeroporto Marconi di Bologna, salutiamo i nonni e subito ci mettiamo in fila al banco per l’imbarco dei bagagli (una lunga fila a quanto pare), poi, quando sono passate anche le 7:00, affrontiamo il check-in: mi devo togliere orologio, giubbotto e cintura dei pantaloni ma alla fine riusciamo ad oltrepassarlo. L’attesa è brevissima e immediatamente ci imbarchiamo sul volo Az 360, un velivolo del tipo Md-80, sul quale mai prima d’ora eravamo saliti, il quale alle 7:43, in leggero ritardo, stacca da terra volando in direzione di Parigi. Saliamo sopra alle nuvole, che mezz’ora più tardi si diradano lasciando intravedere l’arco alpino innevato, poi affrontiamo la sterminata campagna francese, tutta uguale, fino alle porte della capitale e dell’aeroporto internazionale Charles De Gaulle, dove atterriamo alle 9:13. Scendiamo e ci mettiamo alla ricerca del terminal da cui partirà l’aereo per Saint Martin . Lo individuiamo: è il terminal “A” (porta numero 49). Ci avviamo seguendo le indicazioni, con Federico che prima accusa forti dolori di pancia, rendendo necessaria una sosta in bagno, poi, subito dopo, lungo un corridoio dell’aeroporto, comincia a tossire associando gli sforzi del vomito e l’inevitabile, successivo, rigetto, mentre una signora giapponese, accortasi della difficile situazione, gentilmente ci dà una mano. La nostra piccola odissea si conclude, poco dopo, quando, finalmente, raggiungiamo la porta dalla quale ci imbarcheremo sul volo Af 3668. Le condizioni del piccolo, purtroppo, non sono incoraggianti: è stanchissimo e, probabilmente, gli è anche tornata la febbre (accidenti!!). Per fortuna l’attesa è breve e ben presto saliamo sull’Airbus A300 dell’Air France che alle 11:17 prende quota con destinazione Saint Martin. Siamo nelle poltrone centrali dell’aereo e questo ci impedisce di vedere all’esterno, ma importa relativamente in quanto ogni poltrona è dotata di un video con svariati programmi e giochi per ingannare il tempo, e non è poco visto che la trasvolata oceanica durerà all’incirca otto ore. Pranziamo mentre scivola via il primo quarto di volo, poi Sabrina e Federico cedono alla tentazione di dormire, e non è una cattiva idea, così, saltuariamente, mi associo anch’io. Abbiamo rincorso il sole e recuperato sei ore di fuso orario quando cominciamo la lunga discesa verso Saint Martin o Sint Maarten, che dir si voglia, a seconda che si pronunci in francese o in olandese. Sì, perché quest’isolotto caraibico di appena 88 chilometri quadrati (15 chilometri per 13) è suddiviso in due stati, ed è il più piccolo lembo di terra al mondo ad esserlo! … E’ curioso! … Così come, secondo la leggenda, è curioso il modo in cui si fece la suddivisione del territorio: due atleti dei rispettivi paesi disputarono una gara podistica partendo da un punto prestabilito e, correndo lungo la costa in direzioni opposte, finirono per rincontrarsi in un altro punto, che stabilì inequivocabilmente il confine, evitando inutili spargimenti di sangue (per la cronaca fu il francese il più veloce visto che si aggiudicò circa il 60% della posta in palio). Comunque sia, oggi, atterreremo in un pezzetto d’Europa oltre oceano e potremo usare, per la prima volta, la nostra moneta fuori dall’Italia, quell’euro che da qualche mese portiamo in tasca e che anche qua, ovviamente, ha corso legale. Fuori dal finestrino, intanto, ci sono grossi nuvoloni che diversi passeggeri osservano un po’ sconcertati, noi invece eravamo al corrente, tramite internet, delle non proprio buone condizioni meteorologiche e non restiamo sorpresi: speriamo solo che il tempo migliori rapidamente … e con lui anche Federico! Scendiamo sotto alle nuvole, poi l’aereo effettua una virata ed intravediamo l’isola, sulla quale atterriamo poco dopo, con le lancette dell’orologio che segnano le 13:45 locali, quindi si apre il portellone ed usciamo all’aria aperta affrontando la scaletta metallica che ci porta definitivamente a terra, mentre soffia un po’ di vento che nulla toglie alla gradevole temperatura ambientale. Oltrepassiamo la dogana, poi, come al solito, mentre siamo in attesa dei bagagli, chiamo casa per far sapere del nostro arrivo, quindi, recuperate le valigie, usciamo dall’aeroporto alla ricerca del rappresentante di Viaggidea (nostro tour operator). Lo troviamo, anzi la troviamo e ci accompagna subito a prendere il mezzo che ci condurrà a destinazione sull’altro lato dell’isola (quello francese). Meno di un’ora più tardi siamo alla reception del Little Key Hotel, in località Cul de Sac, che ci ospiterà per l’intera durata del nostro soggiorno e a prima vista ci fa una buona impressione, anche se ci sembra piuttosto … vuoto. Ci consegnano le chiavi della camera 419 che subito raggiungiamo: è bella e molto ampia, con una magnifica veranda che lascia spaziare lo sguardo sul mare antistante (avevamo pagato per una vistagiardino, ma questa è una miglioria e non è il caso di farlo notare). Sistemiamo le nostre cose e nel tentativo di mettere la valigia sopra ad un mobiletto ne rompo il piano di vetro: uno spigolo va in mille pezzi e brigo non poco a raccoglierli tutti. Più per voglia che per necessità ci mettiamo in tenuta da mare ed usciamo a fare due passi, con il cielo cupo, ricoperto di nuvole, ed un fastidioso vento che soffia costantemente. E’ così che in spiaggia incontriamo due ragazzi di Treviso: è una settimana che sono qua e le condizioni del tempo sono state sempre, più o meno, queste. Domani torneranno in Italia e la nostra speranza è che si portino via anche le nuvole … per il momento le loro parole non sono state certo incoraggianti e il tutto ci appare quasi come la continuazione del viaggio a Lanzarote. Alle 17:30 torniamo in camera: Federico scotta e ha la febbre alta … non sembra proprio volerne andare una per il verso giusto! … Il fuso orario comincia a mietere “vittime” e, uno alla volta, ci addormentiamo, così, più tardi, a fatica riusciamo a trovare le forze per recarci a cena, ma subito dopo torniamo in camera a continuare ciò che avevamo interrotto: è stata una giornata faticosa e interminabile, ma dobbiamo ritrovare quelle energie che ci consentano di ribaltare le sorti di una vacanza non certo iniziata nel migliore dei modi. Lunedì 22 Aprile 2002: L’effetto fuso orario si fa sentire, così a partire dalle 3:00 del mattino comincio ad aprire gli occhi, e un paio d’ore più tardi si svegliano anche Sabrina e Federico. Andiamo avanti in dormiveglia fino alle 7:30, quindi ci alziamo, mentre fuori dalla finestra il cielo continua ad essere pieno di grossi nuvoloni grigi ed il vento soffia incessantemente. Un po’ sfiduciati andiamo a far colazione, con Federico che, grazie al cielo, non ha più la febbre e sembra stare decisamente meglio: almeno questa è una bella notizia! Alle 9:00 ci aspetta l’incontro con l’incaricato di Viaggidea (Bruno), ma non si presenta e ci troviamo costretti ad affittare un’auto (carissima) per evitare di trascorrere l’intera giornata in hotel, così partiamo, abbondantemente dopo le 10:00, a bordo della nostra “nuova” Daewoo Matiz bianca (targata 544 ZAG 971) alla scoperta di Saint Martin. Viste le condizioni del tempo andiamo nella vicina cittadina di Orleans (storicamente il primo villaggio sorto sull’isola), alla cui periferia si trova la Fermè des Palillons, una serra al cui interno vivono tante bellissime farfalle provenienti dalle più svariate regioni del globo. Una visita molto interessante ma, anche questa, carissima. Ci rimane la consolazione, con lo stesso biglietto, di poterci tornare ogni giorno, fino alla fine del viaggio, anche se speriamo di non doverlo fare, perché vorrà dire che, nel frattempo, il sole sarà tornato a splendere e in quel caso ci sarà, sicuramente, qualcosa di meglio da fare. Intanto qualche raggio di sole è filtrato attraverso le nuvole e non piove, così andiamo a Friar’s Bay, una spiaggia che si trova a nord, vicino al capoluogo francese Marigot, e sarebbe anche una bella spiaggia se non ci fossero quelle maledette nuvole ad impedire che una luce più decisa ne accenda tutti i colori, ma almeno non è freddo e ci fermiamo per l’intero pomeriggio, con Federico che finalmente si può divertire a giocare con la sabbia (non ancora a fare il bagno, anche se tutti noi contiamo presto di poterne avere l’opportunità), mentre all’orizzonte s’intravede la vicina isola di Anguilla, sulla quale andremo, probabilmente, più d’una volta nel corso della vacanza. Alle 17:00 lasciamo la spiaggia, ovviamente con un po’ di rammarico per il sole che non si è proprio visto, ma siamo ottimisti per il futuro e, momentaneamente, ringraziamo per la rapida guarigione di Federico, ora più pimpante che mai. Arriviamo in hotel e, alla reception, prendiamo informazioni per effettuare alcune escursioni in catamarano (anche queste molto costose), confidando naturalmente in un deciso miglioramento delle condizioni atmosferiche. C’è anche un messaggio di Bruno, che ha fissato un appuntamento per domani anche se, a questo punto, credo che saremo noi a non presentarci nel caso in cui la giornata dovesse essere bella! Ce ne andiamo in camera per fare una doccia, mentre sulla nostra testa continuano a passare grossi nuvoloni … chissà quando la finiranno! Più tardi, prima di cena, di nuovo ci addormentiamo e il doverci alzare per recarci al ristorante è più una fatica che un piacere, così appena soddisfatto l’appetito torniamo a distenderci sui nostri comodi letti, non prima però di aver rivolto un ultimo sguardo al cielo, dove, nel frattempo, sono apparse, timidamente, alcune bene auguranti stelle … speriamo bene! Martedì 23 Aprile 2002: Alle 6:00 del mattino apro gli occhi e collimo con lo sguardo in direzione della finestra: filtra parecchia luce attraverso uno spiraglio nella tenda, così mi alzo e, seppur senza lenti a contatto, vado a guardar fuori. Ci sono ancora parecchie nuvole ma, al tempo stesso, appaiono chiari diversi sprazzi di sereno, attraverso cui fanno capolino i primi raggi del sole. Più sollevato torno a passare un altro po’ di tempo fra le lenzuola … chissà! … forse avremo, finalmente, una buona giornata. Alle 7:30 ci alziamo e andiamo a fare colazione, mentre poche nuvole bianche, più simili a grosse montagne di panna montata, vagano nell’intenso blu del cielo ed i raggi del sole, nonostante l’ora, scottano già sulla pelle … ora siamo ai Caraibi! Nella baia antistante il nostro hotel si trova Ilet Pinel, una piccola isola che intendiamo visitare. La si raggiunge per mezzo di alcune barche che salpano dal molo di Cul de Sac, un servizio fra l’altro gratuito per noi ospiti del Little Key, così richiediamo i biglietti alla reception e partiamo, raggianti, per la nostra prima vera giornata di mare. Prima di recarci all’imbarcadero però, in auto, vogliamo raggiungere la vicina Anse Marcel, una spiaggia, che secondo programmi dovevamo aver già visto ieri, inglobata all’interno di un grosso complesso turistico gravitante attorno all’Hotel Meridien (una nota catena alberghiera di ottimo livello internazionale). Saliamo su di un’altura, ci lasciamo alle spalle un check-point e scendiamo alla baia, parcheggiamo l’auto, oltrepassiamo un’altra sbarra e a piedi raggiungiamo la spiaggia, che non è certo brutta, ma neanche eccezionale e ci aspettiamo molto di più da Ilet Pinel, allora scattiamo qualche foto e torniamo sui nostri passi percorrendo a ritroso il breve tratto di strada che ci riporta a Cul de Sac. Saliamo a bordo di una piccola imbarcazione e in pochi minuti arriviamo sull’isolotto, che a prima vista ci appare subito come un piccolo paradiso. Una lingua di morbida sabbia s’insinua dolcemente in un mare da sogno e il contrasto fra gli elementi ci lascia senza parole: terra, cielo e mare si fondono magistralmente in un’incomparabile esplosione di colore. A completare il quadro, poi, un piccolo boschetto di palme situato alle spalle della spiaggia, dove sistemiamo le nostre cose prima di correre a consumare un indimenticabile bagno nelle acque calde e cristalline della laguna, con Federico che sprizza gioia da tutti i pori … ora siamo veramente in vacanza!!! La mattinata scivola via come in un sogno tropicale e prima di pranzo vado in avanscoperta a fare snorkeling sulla punta dell’isola, dove si trova un grande masso corallino brulicante di pesci dai mille colori. Scatto qualche foto e poi torno sulla spiaggia per riferire al piccolo il buon esito dell’esplorazione, promettendogli di accompagnarlo più tardi. Siamo al settimo cielo e prima pranziamo poi riposiamo per un po’ di tempo all’ombra delle palme, mentre arriva un pescatore con il suo incredibile carico di aragoste da offrire ai turisti, ma è difficile resistere al richiamo primordiale delle acque, così accompagno Federico a vedere i pesci, e con noi viene anche Sabrina: sono bellissimi, non c’è che dire, e l’entusiasmo del piccolo ne è la prova lampante. Il tempo vola e torniamo sulla spiaggia per fare un ultimo bagno prima di lasciare a malincuore l’isola. Purtroppo alle 16:30 salpa l’ultima imbarcazione ed è presto visto che ci saranno ancora quasi due ore di luce, ma non abbiamo scelta e in più il sole è sparito dietro alle nuvole (niente di preoccupante per il momento, a giudicare dagli ampi spazi di sereno all’orizzonte). In pochi minuti siamo di nuovo all’hotel, con Federico che, mai domo, chiede con insistenza di poter fare un bagno in piscina. Lo accontentiamo, mentre io vado alla reception ad incontrare, finalmente, Bruno e a prendere qualche informazione in più riguardo Saint Martin e Anguilla, ma rimango deluso perché, in pratica, già sapevo tutto e, come se non bastasse, mi mangio le dita, anzi mi mangerei la persona che ho di fronte quando afferma che se fosse venuto al primo appuntamento mi sarei risparmiato un sacco di soldi nel noleggio dell’auto! Allora, un po’ contrariato, me ne vado in camera e raggiungo Sabrina e Federico per fare una doccia prima di andare a cena. La serata come al solito è un po’ vuota, anzi, non c’è proprio niente da fare, ma almeno il sonno non ci manca e soprattutto Federico non fa quasi in tempo a toccare il cuscino che dorme beato, allora ci stendiamo anche noi sul letto e, ripensando alla bellissima giornata appena trascorsa, in breve lo raggiungiamo nel mondo dei sogni. Mercoledì 24 Aprile 2002: La sveglia suona abbastanza presto e, in effetti, sono le 7:00 del mattino quando mi alzo per guardar fuori dalla finestra: c’è il sole e così scatta l’operazione Anguilla. L’isola di Anguilla, che rispetto alla nostra attuale posizione si trova otto chilometri più a nord, è la più settentrionale delle Isole Sottovento e misura all’incirca 26 chilometri per 5, raggiungendo una superficie complessiva di poco superiore a quella di Saint Martin. Presenta un profilo morfologico piatto e profondamente diverso da quello montuoso della sua dirimpettaia ed insieme ad un’altra manciata di isolotti forma uno stato indipendente nell’ambito del Commonwealth, così in pochi minuti di navigazione raggiungeremo un’altra terra, ma, soprattutto, un’altra nazione, nella quale si parla un’altra lingua (l’inglese) e si usa un’altra moneta (il dollaro). Andiamo a far colazione e subito dopo partiamo a bordo della nostra Matiz con destinazione porto di Marigot. Vi arriviamo in circa venti minuti, parcheggiamo l’auto e ci mettiamo sul molo in attesa dell’imbarcazione che ci porterà ad Anguilla. Non dobbiamo aspettare molto perché, di lì a poco, arriva per poi salpare, quasi immediatamente, affrontando la breve attraversata che ci permette di sbarcare, meno di mezzora più tardi, a Blowing Point, il porticciolo oltre lo stretto ma movimentato braccio di mare che separa le due isole. Espletiamo alcune formalità e all’uscita dalla dogana ci adoperiamo per affittare un taxi così da raggiungere Shoal Bay East, notoriamente riconosciuta come una delle dieci più belle spiagge dell’intera regione caraibica. Le strade di Anguilla sono semideserte, del resto sull’isola risiedono non più di ottomila abitanti, e ciononostante Etienne, il nostro tassista, procede (sul lato sinistro della carreggiata) con estrema calma e prudenza, non superando mai i cinquanta chilometri orari, tanto che mi vien quasi voglia di sostituirlo alla guida del mezzo: certo per noi occidentali non è facile adeguarsi a questi ritmi di vita, forse più salutari ma incompatibili con la nostra innata frenesia nell’affrontare ogni casa. Lungo il percorso Etienne cerca di darci anche qualche informazione di carattere generale e storico sull’isola, ma riusciamo a capire solo in parte i suoi discorsi, poi, finalmente, arriviamo in prossimità di Shoal Bay East. Scendiamo dal taxi, fissiamo l’appuntamento per il viaggio di ritorno e ci avviamo, a piedi, verso la spiaggia che all’improvviso si para davanti ai nostri occhi … Restiamo sbalorditi e letteralmente senza parole: è difficile descrivere tanta bellezza e, probabilmente, neppure le foto riusciranno a farlo. Una lunga striscia di sabbia bianchissima riflette i raggi del sole e la luce che ne scaturisce è accecante, mentre il mare, dai colori quasi irreali, ci appare come un’immensa piscina nella quale non vediamo l’ora di tuffarci. Ci sistemiamo a pochi metri dall’acqua, con alle spalle alcune palme, in quello che si può definire, senza mezzi termini, un vero e proprio paradiso tropicale, poi, ovviamente, corriamo a goderci i riflessi cristallini di quel mare, provando sensazioni straordinarie e indescrivibili. Rigeneriamo mente e corpo, poi torniamo sulla spiaggia a montare la tendina per avere un po’ d’ombra, quindi, con Federico, vado a fare una passeggiata lungo il bagnasciuga, ma al ritorno torniamo ad immergerci in quell’acqua irresistibile, dedicandoci all’esplorazione del banco corallino di fronte a noi: vediamo bei pesci ed il nostro entusiasmo va alle stelle! Torniamo a riva e c’imbrattiamo di crema, perché il sole scotta davvero sulla pelle, quindi pranziamo, con davanti agli occhi una vista sublime. Ci tratteniamo per un po’ all’ombra, ma non vi resistiamo a lungo e, tanto per cambiare, di lì a poco, siamo di nuovo a crogiolarci fra i mille riflessi turchesi del mare, poi risaliamo ad asciugarci al sole e subito dopo torniamo in acqua, e così per l’intera giornata, fin quando non smontiamo la tenda e ci concediamo un ultimo (l’ennesimo) bagno, prima di lasciare, ovviamente, a malincuore Shoal Bay. Il tempo è volato, sono quasi le 16:30, e ci rechiamo all’appuntamento con il tassista, che ci stava aspettando e ci riporta a Blowing Point in poco più di venti minuti. Abbiamo con lui un piccolo diverbio quando, con disappunto, ci accorgiamo di dover pagare il doppio di quanto pensavamo per il taxi, ma c’era scritto chiaramente sul biglietto (one way) e non lo avevamo notato. Poco dopo le 17:30 salpiamo e mezzora più tardi siamo, di nuovo, a Saint Martin. Rientriamo al Little Key e ci fermiamo alla reception per controllare, su internet, le condizioni del tempo nei prossimi giorni. Sembrano buone e così cerchiamo di prenotare un’escursione in catamarano per venerdì (sempre che ci sia il numero minimo di partecipanti), poi andiamo in camera a prepararci per cena. Intorno alle 20:00 ci rechiamo al ristorante: in tutto siamo nove clienti, ma forse il cuoco è ubriaco ed il cameriere non gli da certo una mano, così il tempo passa, con Federico che cade dal sonno e quasi si addormenta sul tavolo, fin quando, dopo due ore, ce ne andiamo in camera senza aver mangiato il dolce … un piccolo incidente di percorso che nulla toglie alla bellissima giornata appena trascorsa, una di quelle con la “G” maiuscola, che mai dimenticheremo! Giovedì 25 Aprile 2002: Si preannuncia ancora una splendida giornata: alla 7:30 ci alziamo e andiamo a far colazione, poi ci avviamo seguendo il nastro d’asfalto che corre in direzione di Marigot. Pochi chilometri prima dell’abitato svoltiamo verso l’interno dell’isola per visitare la verde vallata di Colombiere, percorriamo così un breve tratto di strada che si avventura in un suggestivo paesaggio bucolico e, al tempo stesso, tropicale. Perdiamo circa venti minuti ma ne valeva la pena, poi riprendiamo a seguire la strada costiera, oltrepassiamo il capoluogo e proseguiamo fin quasi sull’estrema punta occidentale dell’isola, dove si trova Baie Rouge. Parcheggiamo l’auto e scendiamo all’insenatura, caratterizzata da una sabbia morbidissima e delimitata, sul lato orientale, da un’alta scogliera di roccia rossastra (da cui probabilmente il nome). Un paesaggio dall’aspetto vagamente mediterraneo, anche se il mare, ma soprattutto il cielo, con le classiche nuvole bianche, sono inconfondibilmente caraibici. Nella parte di spiaggia adiacente alla scogliera si trovano alcuni bar che affittano anche ombrelloni e lettini, così ci spostiamo verso la zona più centrale, semi-deserta, occupando un bel tratto d’arenile. Subito ci concediamo un bagno e giochiamo fra le onde, che qui sono più alte del solito, poi montiamo la tendina per proteggerci dal sole, mentre Federico si scatena a far su e giù dall’acqua. Più tardi vado in esplorazione, con maschera e pinne, sul promontorio roccioso che si trova alla nostra destra: è scenografico, trafitto com’è da una grotta naturale, ma il fondale è alto, i pesci sono radi ed i coralli quasi inesistenti. Torno allora alla base e tutti insieme pranziamo con davanti agli occhi, di nuovo, un bellissimo panorama, caratterizzato, in lontananza, dalla piatta sagoma dell’isola di Anguilla. Il pomeriggio trascorre piacevolmente fra innumerevoli bagni, mentre il sole scotta sempre di più sulla pelle. Per fortuna, ogni tanto, passano alcune provvidenziali nuvole a darci refrigerio e una di queste, più consistente delle altre, ad un certo punto, lascia a terra anche qualche goccia, poi se ne va cedendo spazio di nuovo al sole che pian piano, intanto, si è avvicinato alla linea dell’orizzonte. Nel tardo pomeriggio la temperatura si fa piacevolissima e restiamo in spiaggia fino alle 18:00, poi rientriamo al Little Key, mentre la luce del tramonto infiamma le nuvole ed il paesaggio assume toni di colore che solo ai tropici si possono vedere: il fenomeno dura pochi minuti e ben presto le ombre della sera prendono il sopravvento, ma sono minuti intensi, che lasciano il segno, e suscitano emozioni straordinarie. Contenti di come stanno andando le cose arriviamo all’hotel, dove ci comunicano che la prevista escursione in catamarano di domani è stata annullata, ma si farà domenica … poco male: troveremo di certo un altro bel posto dove trascorrere la giornata, intanto lasciamo un anticipo e andiamo in camera a prepararci per cena, una cena, speriamo, più breve di quella di ieri sera. Appena ci sediamo al tavolo arriva il cameriere che si scusa e ci da una spiegazione: non c’era lo chef e in cucina faceva tutto il vice, un tipo un po’ lento … questa sera, invece, la squadra è al completo, così sono veloci e si riscattano ampiamente offrendoci una cena coi fiocchi, poi facciamo quattro passi fin sul pontile di fronte all’hotel e dopo, stanchi ma felici, ci ritiriamo nei nostri “appartamenti”. Venerdì 26 Aprile 2002: Anche oggi è una bella giornata e, ancora una volta, ci alziamo con l’intenzione di andare ad Anguilla. Dopo esserci rifocillati a dovere raggiungiamo Marigot, dove è piovuto da poco e le strade sono ancora bagnate, quindi ci mettiamo, a sedere sul molo, in attesa dell’imbarcazione, mentre Federico si diverte a guardare alcuni bimbi che pescano proprio dalla banchina prospiciente il punto di attracco. Saliamo sul traghetto delle 9:30 e mezzora più tardi siamo a Blowing Point. Usciamo dall’ufficio doganale e prendiamo un taxi per raggiungere la vicina Rendezvous Bay, nota alla storia locale come punto di sbarco delle truppe francesi che nel 1796 invasero l’isola. La spiaggia è bellissima, tutta di sabbia chiara e soffice, lambita da uno straordinario mare che non raggiunge però gli stratosferici livelli di Shoal Bay. Detto questo non intendiamo certo lamentarci, anzi … tutt’altro! Il sole scotta, soffia un discreto venticello e piantiamo la tendina prima di correre in acqua a rilassarci. Ci lasciamo accarezzare a lungo da quel tiepido e incomparabile fluido, poi torniamo sulla spiaggia che, in pratica, è il nostro regno, visto che per diverse centinaia di metri, sulla destra e sulla sinistra, non si vedono altri bagnanti. Troviamo alcune belle conchiglie, poi, assieme a Federico, costruisco un castello, terminato il quale scoppia la “tragedia”. Gli chiedo semplicemente se vuol fotografare la sua costruzione di sabbia, ma lui si rifiuta e, chissà per quale motivo, comincia a fare il “matto”, rifiutando qualsiasi alternativa gli venga proposta. Finisce col guadagnarsi una sana sculacciata e si riprende solo dopo pranzo, quando però il sole sparisce dietro ad alcune dispettose nuvole, mentre in lontananza, sul mare, scoppia un temporale. Nel primo pomeriggio il cielo è di nuovo limpido ed il sole torna a splendere incontrastato: la sua presenza si desidera fortemente, ma quando c’è si spera che, saltuariamente, una nuvolina lo copra tanto scotta. Noi ci rifugiamo subito in acqua e facciamo un lungo bagno, con il piccolo che, nel frattempo, è tornato raggiante e in buona forma. E’ ormai ora di andare, mentre a Saint Martin, di fronte a noi, si scatena un altro temporale. Riordiniamo tutte le nostre cose e alle 17:00 in punto, come concordato in mattinata, siamo all’appuntamento con il nostro tassista che in pochi minuti ci riporta a Blowing Point. Arriviamo proprio mentre sta partendo, con un po’ di ritardo, il traghetto delle 17:00, ma non riusciamo a salire a bordo e dovremo aspettare quello delle 17:30. Nell’attesa chiedo ed ottengo, come ricordo, dall’addetta ai controlli doganali un timbro di Anguilla sui passaporti, visto che la normale prassi, a quanto pare, non lo prevede. Alle 18:00 siamo nuovamente a Marigot e poco dopo, lungo la strada per Cul de Sac, scoppia l’ennesimo temporale, questa volta sulla nostra testa, per fortuna coperta da un tetto, quello provvidenziale della nostra Matiz. Arriviamo all’hotel e, mentre Sabrina e Federico vanno in camera, mi accerto su internet delle condizioni del tempo per domenica, vista l’escursione in catamarano, e non dovrebbero essere cattive. Più tardi, a cena, stranamente non siamo i soliti dieci clienti: sembra essere arrivata una sorta di gita aziendale e c’è un gran brulichio di gente, che ci da quasi fastidio, vista la pace alla quale eravamo abituati. Ciò serve comunque a farci passare la serata: Federico sembra avere finalmente digerito il fuso orario e ci fermiamo a tavola più del solito, poi passeggiamo fin sul pontile e andiamo in camera a passare un po’ di tempo sulla veranda, dalla quale si ha un’incomparabile vista sul mare, concludendo così un’altra giornata, senza ombra di dubbio, positiva. Sabato 27 Aprile 2002: Oggi resteremo a Saint Martin perché è sabato e quindi, secondo tradizione, giorno di mercato. Così, mentre splende un bel sole, raggiungiamo Marigot per passare un po’ di tempo a curiosare fra le bancarelle, sebbene Federico non ne sia troppo entusiasta. Cerchiamo, allora, di renderlo felice salendo, prima di tutto, a Fort St. Luis, l’antica fortezza costruita dai francesi a protezione del porto, che si trova su di un’altura situata all’estremità orientale dell’abitato e raggiungibile prima per mezzo di una ripida strada, poi, nell’ultimo tratto, con una breve scalinata. Del complesso difensivo non resta molto, infatti, è poco più che un rudere, disseminato da una manciata di vecchi cannoni divorati dalla ruggine, ma il panorama che si osserva sulla città e sulla baia sottostante è di tutto rispetto, così scattiamo qual che foto, mentre il piccolo si diverte a scorrazzare fra le antiche pietre, poi scendiamo, raggiungendo il lungomare sul quale si sviluppa il mercato. Passeggiamo per un po’ fra i banchi, in massima parte stracolmi di magliette e souvenir piuttosto banali e, purtroppo, la zona più caratteristica, con spezie, frutta e pesce, è abbastanza limitata. Non è quindi il più classico e genuino dei mercati caraibici, ma è quanto l’isola ci può offrire e ne prendiamo atto. Facciamo, ovviamente, qualche acquisto, poi cerchiamo un ufficio di cambio per tramutare un po’ di euro in dollari, così da poter andare ancora ad Anguilla nei prossimi giorni, e, quando ormai è mezzogiorno, lasciamo Marigot alla ricerca di una spiaggia dove passare il resto della giornata. Prendiamo a seguire la strada che corre lungo la costa verso la parte più occidentale dell’isola e arriviamo a Basse Terre, una zona collinare, disseminata di lussuose ville immerse nel verde, che degrada dolcemente fino al mare. La nostra meta è Baie Aux Prunes, alla quale arriviamo percorrendo le stradine, in parte sterrate, che si inoltrano nella piccola regione. Lasciamo l’auto all’ombra delle palme e raggiungiamo il luogo per mezzo di un breve sentiero che taglia alcune proprietà private. La spiaggia è bella, ma un gradino al di sotto di quelle viste fino ad oggi, ed è molto riparata, fin troppo, tanto che, a mala pena, vi soffia una leggera brezza, così il caldo è quasi insopportabile. Nonostante tutto ha una caratteristica che c’induce a rimanere: è rivolta ad ovest e perciò avremo la possibilità di vedere un tramonto sul mare. Pranziamo all’ombra della tenda, poi, per tutto il tempo, facciamo su e giù dalla spiaggia al mare per cercare refrigerio … e il pomeriggio scivola via tranquillo. Ci mettiamo, invano, alla ricerca di una noce di cocco, mentre il tempo passa ed il sole si avvicina sempre più alla linea dell’orizzonte. Intanto arrivano anche altri turisti per assistere allo spettacolo e intorno alle 18:00 siamo molto più numerosi che nelle ore centrali della giornata. In pochi minuti la luce cambia di tonalità, le nuvole arrossiscono ed il mare comincia a riflettere gli ultimi tiepidi raggi del sole, poi, come per incanto, si accendono tutti i colori del tramonto, il più classico dei tramonti caraibici, che ci godiamo fin quando l’oscurità non prende il sopravvento. Col buio rientriamo all’hotel e quando arriviamo alla reception abbiamo una sgradita sorpresa: purtroppo siamo in bassa stagione ed è stata annullata, per mancanza di adesioni, anche l’escursione di domani in catamarano. A questo punto ci resta una sola possibilità: tentare di prenotare, per mercoledì prossimo, la stessa gita con un’altra imbarcazione, più piccola e quindi con un numero minimo di partecipanti inferiore … proviamo anche questa, ma ormai senza troppa convinzione. Con un po’ di rabbia (subito sopita) andiamo in camera e più tardi a cena: il presunto “gruppo vacanze aziendali” così come è apparso, all’improvviso, è anche sparito e non ci sappiamo dare una spiegazione logica. Siamo tornati ad essere i soliti dieci clienti e ceniamo nel silenzio più assoluto, con il tintinnio di piatti e posate a far da sottofondo … le serate sono davvero poco esaltanti e per fortuna non ci manca il sonno, così, ben presto, ce n’andiamo in camera a dormire e a ricaricare le pile in vista, osiamo dire, di un’altra bella giornata. Domenica 28 Aprile 2002: E’ già passata una settimana da quando siamo partiti, sette giorni senza ombra di dubbio positivi, dopo un inizio da incubo, con Federico ammalato e il cattivo tempo a farla da padrone, ma si è aggiustato tutto in tempi brevissimi, oltre ad ogni più rosea previsione, e anche oggi siamo tutti in forma, pronti ad affrontare un’altra splendida giornata di sole. Doveva essere la mattina dell’escursione in mare, ma non è stato possibile farla e noi, prontamente, abbiamo cambiato itinerario: andremo di nuovo ad Anguilla, dove le spiagge, a quanto pare, sono più belle, e più precisamente andremo a Sandy Island, un minuscolo isolotto al largo della costa settentrionale. Arriviamo nel porto di Marigot quando il traghetto delle 9:00, in leggero ritardo, è ancora ormeggiato sulla banchina prospiciente il punto d’imbarco, ma non ci fanno salire e, nostro malgrado, dovremo aspettare quello successivo, delle 9:30. Ci mettiamo quindi in attesa seduti di fianco agli zaini, mentre dai nostri occhi traspare un po’ di sonno: abbiamo ormai digerito il fuso orario e non è più così facile alzarsi alle 7:00 del mattino. Puntuali, mezzora più tardi, prendiamo il largo e affrontiamo la breve attraversata con il mare che è piuttosto mosso, così, pensandoci bene, forse è stata una fortuna che abbiano annullato l’escursione in catamarano. Poco dopo le 10:00 siamo ad Anguilla e, come al solito, all’uscita dalla dogana richiediamo un taxi così da raggiungere, Sandy Ground, il luogo dal quale dovrebbe partire l’imbarcazione per l’isolotto che ci siamo prefissati come meta. Il tassista (Etienne) è lo stesso di quattro giorni fa, e allora ci portò in quel paradiso che si chiama Shoal Bay, guidando con estrema calma e prudenza. Allo stesso modo oggi ci accompagna a Sandy Groud, ma in fin dei conti è gentile perché, quando arriviamo, personalmente va ad informarsi in merito all’eventualità di poter salpare con la barca, ma non è possibile farlo, perché, a quanto pare, questa parte una sola volta alla settimana, di martedì, e quindi dobbiamo cambiare di nuovo programma, ma torneremo. Con un piccolo adeguamento di prezzo ci facciamo portare a Mead’s Bay, nella parte occidentale dell’isola. La spiaggia, di rena bianca, è bellissima, lambita com’è da un mare incantevole, quasi quanto quello di Shoal Bay, e solo soffia un fastidioso vento che, alzando i minuscoli granelli di sabbia, indispettisce un po’ Sabrina. Ma è difficile non sciogliersi dinnanzi a tanta meraviglia, così basta un bagno per riportare la serenità ed il morale alle stelle. Dopo pranzo vado, con Federico, a fare una passeggiata lungo la spiaggia fino al suo limite orientale, dove si trova un piccolo promontorio roccioso e lungo il tragitto notiamo una strana quanto ridicola scena: Anguilla è un’isola turisticamente esclusiva (quasi inavvicinabile economicamente), così le sue strutture ricettive sono frequentate, normalmente, da ospiti di un certo livello e uno di questi, una signora per la precisione, se ne sta distesa sul lettino con a fianco il secchiello del ghiaccio, dal quale, con un bicchiere, prende acqua per lavarsi i piedi, evidentemente insabbiati … poverina, chissà per quale tremendo motivo sarà stata costretta a venire in questo posto polveroso e inospitale? … A noi, per dir la verità, sembra tutt’altro e quando torniamo da Sabrina, tutti insieme, ci gettiamo di nuovo in quell’acqua dai riflessi cri-stallini. La spiaggia è semi-deserta e la pace regna incontrastata, con il bagnante più vicino a noi ad almeno trecento metri di distanza, così ci godiamo la straordinaria Mead’s Bay fino alle 17:00, quando ci rechiamo all’appuntamento con Etienne per fare ritorno a Blowing Point. Ci mettiamo d’accordo col nostro amico tassista per martedì prossimo quando, condizioni meteo permettendo, torneremo ad Anguilla per andare a Sandy Island, poi, puntuali saliamo sul traghetto delle 17:30 che mezzora dopo attracca al porto di Marigot. Ancora una mezzora, di strada questa volta, e siamo al Little Key, dove ci danno finalmente conferma che mercoledì faremo la tanto agognata escursione in catamarano. Contenti andiamo in camera a prepararci per cena visto che s’è fatto tardi e un certo languorino comincia a salire. Chi continua a scendere, invece, è il numero degli ospiti al ristorante perché da questa sera, a quanto pare, saremo solo in sette a dover essere serviti, così, per non sentirci troppo soli, ci sediamo vicino agli altri quattro, che si rivelano essere italiani! (di Modena) … e mai ce n’eravamo accorti. Ceniamo scambiando quattro chiacchiere (di numero), esprimendo, unanimemente, un giudizio positivo sul viaggio che ci accomuna, poi raggiungiamo la nostra stanza per continuare quella cura del sonno che stiamo seguendo ormai, con successo, da una settimana a questa parte. Lunedì 29 Aprile 2002: Il ritmo che abbiamo preso è, a dir poco, invidiabile: un giorno ad Anguilla, un giorno a Saint Martin, ieri ad Anguilla, oggi, naturalmente a Saint Martin. Per questo ci alziamo con un po’ più di calma e ciononostante alle 9:00 siamo già pronti a partire. Per la prima volta andiamo a sud, oltrepassiamo Orleans e proseguiamo lungo la costa fino ad arrivare nella parte olandese dell’isola ad Oyster Pond, una curiosa insenatura naturale utilizzata come porto turistico. Poco oltre il confine scendiamo al mare e raggiungiamo Dawn Beach. La spiaggia, di sabbia bianca, si trova di fronte ad un ex-villaggio ora diroccato e probabilmente distrutto da un uragano, a giudicare anche dalle numerose palme svettate che si trovano tutt’intorno. Di fronte il mare ha un bellissimo colore, sicuramente il migliore visto fino ad ora a Saint Martin, e in lontananza s’intravede la montuosa sagoma dell’isola di St. Barthelemy, un altro pezzetto di Francia nel Mar dei Caraibi, solo un orrendo palazzone, costruito sciaguratamente sullo stretto lembo di terra che divide il mare da Oyster Pond, deturpa in maniera significativa il paesaggio. Dawn Beach si trova in una zona normalmente battuta dal vento ma oggi, per fortuna, soffia una gradevole brezza e ci sistemiamo all’ombra di una palma prima di correre a rinfrescarci fra le onde. Di fronte a noi c’è anche un po’ di barriera corallina, così indosso maschera e pinne e vado in esplorazione: non male … Scatto qualche foto e torno a prendere Federico per accompagnarlo a sua volta. Ci divertiamo e si sta benone, per cui credo che resteremo in questo posto per l’intera giornata. Poco dopo mezzogiorno pranziamo e ci fermiamo all’ombra fin quando non diminuisce l’intensità del sole, poi spostiamo il “campo base” vicino all’acqua, nel punto più bello della spiaggia e ci godiamo un incomparabile bagno: sembra di essere in una piscina, anche se c’è una fortissima corrente che ci crea qualche problema di stabilità, ma, al tempo stesso, ci massaggia i fianchi col suo flusso incessante e ci offre un diversivo tutto sommato divertente. Passiamo l’intero pomeriggio in completo relax, fino a quando il sole non sparisce quasi oltre alle montagne che ci stanno alle spalle, poi, con calma, rientriamo all’hotel. Quando ci presentiamo alla reception per ritirare le chiavi, come spesso accade, ci comunicano un piccolo problema: niente di insormontabile e neanche riguardante l’escursione, solo il ristorante resterà chiuso il primo maggio (festa dei lavoratori) e ci daranno un buono per mangiare in un locale esterno al complesso … ci vien da ridere perché mai avremmo immaginato che ciò potesse accadere. Lasciamo la reception e, passeggiando fra i bungalow dell’hotel, incontriamo i signori di Modena, così gli raccontiamo tutto e anche loro restano sorpresi: ci facciamo un’altra risata ed intavoliamo una piccola discussione riguardante i ritmi di vita caraibici, poi andiamo in camera. Arriva una telefonata di Bruno (Viaggidea) che mi spiega meglio la questione del ristorante, infatti abbiamo capito o si sono spiegati male perché, secondo la versione ufficiale, visto lo scarso numero di ospiti presenti, il ristorante non resterà chiuso il primo maggio, ma dal primo maggio e, in definitiva, dovremo mangiare fuori per quattro sere. Niente di male, anzi forse sarà un’occasione per passare il tempo in maniera diversa visto che anche questa sera andiamo a cena e quasi subito torniamo a distenderci sui nostri letti, pensando sì alla bella giornata trascorsa, ma, in fin dei conti, un po’ di animazione non guasterebbe. Martedì 30 Aprile 2002: Già prima delle 7:00 suona la sveglia, visto che dobbiamo essere a Marigot entro le 8:30 pronti a salire sull’imbarcazione che ci porterà ad Anguilla, dove, alle 9:00, ci aspetta Etienne per accompagnarci a Sandy Groud e di lì, se Dio vuole, salperemo alla volta di Sandy Island. Dopo colazione partiamo ma, quando ci fermiamo per fare la solita spesa di routine, Federico dice, o almeno gli sembra, di aver leggermente male ad un orecchio. Terrorizzati facciamo dietro front e torniamo all’hotel, così da portare nello zaino almeno un antidolorifico, poi, consci del tempo perso, ci lanciamo sulla strada per Marigot. La nostra corsa però viene subito rallentata da un grosso autocarro che non riusciamo a superare e ci portiamo davanti per l’intero tragitto. Ormai è impossibile riuscire a prendere il traghetto e, infatti, arriviamo al porto quando questo, incurante del nostro ritardo, pigramente sta prendendo il largo. Rassegnati dobbiamo aspettare quello successivo, così arriviamo ad Anguilla intorno alle 9:30, mentre Federico afferma di star bene e più sollevati ci mettiamo alla ricerca del nostro tassista. Lo troviamo e, con l’ausilio del nostro imperfetto inglese, proviamo a dargli una sommaria giustificazione, ma non c’è tempo: saliamo sul taxi e partiamo, spediti, verso Sandy Ground. La situazione è piuttosto anomala, perché siamo riusciti a mettere fretta ad un abitante dei Caraibi, ed ora Etienne è quasi a rischio di multa, ma almeno è servito e arriviamo a destinazione quando la barca deve ancora prendere il largo. A quanto pare saremo gli unici passeggeri, quindi, dopo aver fissato un prezzo ed un orario di rientro, saliamo a bordo di un piccolo motoscafo in compagnia di un uomo e di una donna, ovvero i gestori dell’unico locale che si trova sull’isola. Sono sufficienti circa dieci minuti di navigazione e quando siamo ormai prossimi alla meta osservo, sulla linea dell’orizzonte, la piatta sagoma dell’isola, sulla quale dovrebbe trovarsi un boschetto di palme, ma non c’è. Chiedo allora alla ragazza dove siano finite e questa mi risponde che l’ultimo uragano se le è portate via … peccato! Ancora pochi minuti e sbarchiamo a Sandy Island, un altro piccolo paradiso che, questa volta, ha le sembianze di un mucchietto di candida sabbia in mezzo all’oceano, lambito da acque turchesi di incomparabile bellezza. In brevissimo tempo se ne fa il giro completo e sembra d’essere all’interno di una vignetta sulla più classica delle isole da naufraghi (che sarebbe stata perfetta se ci fossero ancora le palme). Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta e ci sistemiamo con i teli sulla riva prospiciente la minuscola laguna delimitata dalla barriera corallina, mentre arrivano e attraccano un paio di catamarani con a bordo i clienti del locale (che non avrebbe certamente aperto solo per noi). Il richiamo di quell’idilliaco specchio d’acqua è irresistibile e la nostra risposta non si fa attendere: prima vado io a fare snorkelig, poi Sabrina e Federico. Anche il fondale è molto bello e siamo davvero entusiasti. Intorno a mezzogiorno la ragazza del locale viene a chiederci se intendiamo pranzare: gli rispondo che mangeremo i nostri sandwich così da passare quanto più tempo possibile in questa incantevole spiaggia. Intanto, in lontananza, un grosso nuvolone lascia il suo carico di pioggia e se ne va. Il tempo vola e a lungo restiamo in acqua, tanto è calda e piacevole, così all’ora di andare siamo completamente bagnati e ci cambiamo i costumi senza l’ausilio dei teli, visto che siamo rimasti solo noi. Alle 15:00 partiamo lasciando un pezzetto di cuore a Sandy Island e quando, poco dopo, rimettiamo i piedi a terra in quel di Sandy Ground, attendiamo una manciata di minuti e arriva Etienne, il quale, sinceratosi del buon esito della giornata, ci riaccompagna poi a Blowing Point. Saliamo sul traghetto delle 16:30 e salutiamo la straordinaria isola di Anguilla, sulla quale non torneremo più per il resto del viaggio, poi, quando sbarchiamo a Marigot, subito imbocchiamo la strada per il Little Key, dove ci fermiamo a lasciare gli zaini prima di andare a Philipsbourg, il capoluogo della parte olandese, per le cui strade è in corso di svolgimento il carnevale, che qui viene festeggiato in concomitanza con il compleanno della regina. Assistiamo ad un po’ di sfilata, che ricorda vagamente i carnevali di stampo brasiliano, poi dobbiamo scappare a ripararci in auto perché scoppia un temporale e quando smette di piovere torniamo a vedere la restante parte della manifestazione, che, tutto sommato, si è rivelata essere una bella ed originale esperienza. Sono quasi le 19:00 quando rientriamo, col buio, in hotel e mi fermo alla reception a controllare le previsioni del tempo, che pare siano buone fino alla fine del viaggio, poi andiamo per l’ultima volta a cena nel ristorante del Little Key, quindi, stanchi dopo l’intensa ma indimenticabile giornata, ci ritiriamo, a riposar le membra, con negli occhi ancora la dolce visione di Sandy Island. Mercoledì 1 Maggio 2002: Dovrebbe finalmente essere il giorno della tanto agognata escursione in catamarano e ci alziamo presto per non correre il rischio di perderlo. Siamo in perfetto orario e, dopo colazione, andiamo, in auto, alla vicina Anse Marcel da dove, alle 9:00, dovrebbe partire lo Scoobidoo (questo è il nome dell’imbarcazione) per Prickly Pear, un gruppetto di isole a nord di Anguilla. Non abbiamo ben capito da dove parta esattamente, ma siamo in anticipo sulla tabella di marcia e andiamo a cercarlo nel posto più ovvio: il porticciolo turistico. Perdiamo un po’ di tempo e non lo troviamo, allora chiediamo informazioni presso la reception del vicino hotel. In effetti non era il posto giusto e ci danno indicazioni per raggiungere la piscina dell’hotel Meridien, accanto alla quale dovrebbe esserci il punto di ritrovo. In breve ci arriviamo e troviamo un piccolo chiosco tappezzato di fotografie e messaggi pubblicitari riguardanti le più svariate escursioni, ma non c’è nessuno, allora, per scrupolo, getto lo sguardo in direzione della spiaggia … e vedo lo Scoobidoo che sta prendendo il largo! Comincio a correre e, una volta arrivato laddove batte l’onda, a urlare per quanto fiato ho in gola, agitando le braccia: forse qualcuno mi prenderà per pazzo ma non voglio lasciare andar via quella barca senza di noi! Avanzo, passo dopo passo, fin dentro l’acqua, mentre le mie grida sono sempre più roche e la sagoma del catamarano è sempre più lontana, così come le speranze di riuscire a fermarlo, poi appare alle mie spalle una signora che tiene in mano una trasmittente. Capisco subito che può fare qualcosa, così gli spiego che secondo le indicazioni in nostro possesso saremmo dovuti partire alle 9:00 e mancano ancora dieci minuti. Lei avverte lo Scoobidoo via radio e questo, grazie al cielo, inverte la rotta, poi appare, come fosse un miraggio, un piccolo gommone che ci trasporta a bordo. L’equipaggio ci riceve ancora divertito per quanto accaduto, ma noi cerchiamo di dare una giustificazione, infatti la partenza vera e propria era sì fissata per le 8:30 ma non coincideva con quanto ci era stato comunicato alla reception del Little Key. Dimostrano di capire e ci offrono da bere (una vera e propria manna per la mia povera gola), poi ci uniamo agli altri passeggeri e prendiamo finalmente il largo … ma quanta fatica! Ancora non mi sembra vero di essere su quella barca che vedevo inesorabilmente allontanarsi, ma ora ci rilassiamo al sole sulla rete che si trova a prua, mentre sotto di noi scorre acqua blu quanto l’inchiostro e, come d’incanto, tutto diventa più bello. Doppiamo la punta occidentale di Anguilla, alziamo le vele e proseguiamo in direzione delle isole che sono apparse all’orizzonte, navigando su di un mare calmo come mai l’avevamo visto fino ad ora, poi, intorno alle 11:00 entriamo nella laguna di Prickly Pear: un inno alla bellezza, un’esplosione di verde-azzurro in contrasto col blu intenso del cielo ed il bianco accecante della spiaggia. Il catamarano si ferma a poche decine di metri da riva e noi scendiamo equipaggiati per fare snorkeling nel reef circostante: è meraviglioso, brulicante di pesci dai mille colori che nuotano in mezzo a fantastiche conformazioni coralline. Ci soffermiamo a lungo su quello spettacolo, poi, a nuoto, raggiungiamo la spiaggia, dove ritroviamo le nostre cose che nel frattempo sono state trasbordate. Ci asciughiamo al sole e dopo consumiamo un buon pranzo all’ombra di un piccolo locale, quindi torniamo in spiaggia e per più di un’ora ci godiamo letteralmente il posto. Alle 14:30 torniamo a bordo e di lì a poco salpiamo, come del resto fanno anche le altre imbarcazioni, lasciando, di nuovo, Prickly Pear nella sua innata e meravigliosa solitudine. Navighiamo senza fretta e con la sola forza del vento, mentre a Saint Martin imperversa un temporale, così, ormai prossimi alla “nostra” isola, seguiamo una rotta che passa un po’ più al largo e sbarchiamo ad Anse Marcel evitando la pioggia. E’ stata una giornata memorabile e solo ora che è finita ci rendiamo conto di quello che ci saremmo persi se non fossimo riusciti a far tornare indietro lo Scoobidoo. In pochi minuti raggiungiamo il Little Key e ci prepariamo per la cena, che non consumeremo al ristorante dell’hotel, bensì al vicino Cottonier, un locale che si trova sulla strada principale di Cul de Sac. E’ stata una buona cena, a parte il prezzo dell’acqua (quattro euro e cinquanta per una bottiglia!) e assieme a noi c’erano, naturalmente, anche i signori di Modena, che salutiamo prima di tornare in camera, visto che domani faranno rientro in Italia, lasciandoci, salvo nuovi arrivi, unici clienti (emigranti) del ristorante. Giovedì 2 Maggio 2002: Oggi non rischiamo di perdere nessun traghetto o catamarano, quindi restiamo a gingillarci fra le lenzuola un po’ più del solito e, comunque, poco dopo le 9:00 siamo seduti a bordo della nostra Matiz diretti a sud. Ci fermiamo all’ufficio postale di Orleans ad acquistare i francobolli necessari per quelle poche cartoline che abbiamo deciso di spedire … e fin qui nulla di strano, ma solo all’apparenza, perché, in realtà, è una storia che si protrae, ormai, da quasi una settimana. Quei minuscoli, quanto indispensabili, pezzetti di carta gommata, infatti, non si trovano, come di solito accade, presso un qualsiasi negozio di souvenir, ma solo, appunto, negli uffici postali, aperti in orari assurdi, mai nei giorni festivi e normalmente caratterizzati da lunghe code, come oggi del resto, ma ormai siamo alla fine del viaggio e non possiamo sottrarci al supplizio, col risultato di mandare in fumo quaranta minuti di tempo prezioso. Alla fine, un po’ contrariati, ma con i francobolli in mano, torniamo in strada e raggiungiamo Philipsbourg, il capoluogo della parte olandese di Saint Martin. Passeggiamo lungo le strade del centro cittadino, che non sono niente di speciale se si esclude qualche particolare architettonico che ricorda la madre patria, oltre ad una sterminata serie di negozi-trappola per i turisti sbarcati dalle numerose navi-crociera di passaggio. Uno di questi negozi porta un ridicolo nome: “Piccola Svizzera” e ci sembra completamente fuori luogo! Ormai accaldati lasciamo anche Philipsbourg affrontando un traffico caotico, caratterizzato da lunghe code dovute esclusivamente alla disarmante tranquillità con cui guidano i locali, poi proseguiamo lungo la costa meridionale dell’isola e arriviamo, nei pressi dell’aeroporto, a Maho Beach. La spiaggia, non troppo bella, è famosa per la sua collocazione nelle immediate vicinanze della pista di atterraggio, per cui gli aerei in arrivo la sfiorano letteralmente prima di posare le ruote sul nastro d’asfalto. Scattiamo qualche suggestiva foto, poi, intorno alle 13:00, ripartiamo alla ricerca di un luogo più bello e meno rumoroso dove trascorrere il resto della giornata. Torniamo nella parte francese di Saint Martin e raggiungiamo Baie Longue, un bell’arenile battuto da qualche onda di troppo e caratterizzato da La Samanna, uno degli hotel più esclusivi dell’isola. Montiamo la tendina e, prima di pranzo, ci concediamo un bagno ristoratore, poi, nel pomeriggio, mentre Sabrina non sta troppo bene e forse accusa un po’ il colpo per il caldo patito in mattinata, con Federico vado a fare una passeggiata fino all’estremità orientale della baia, dove troviamo una porzione di mare particolarmente calma e attraente, a tal punto che non resistiamo alla tentazione e ci tuffiamo in acqua. Al nostro ritorno Sabrina sta leggermente meglio, così passiamo il tempo ad oziare piacevolmente mentre il piccolo gioca disegnando con un rametto sul bagnasciuga, fino a quando il sole non scende sulla linea dell’orizzonte accendendo i magici colori del tramonto, allora raccogliamo tutte le nostre cose e riprendiamo la strada dell’hotel, dove arriviamo, col buio, intorno alle 19:00. Ci prepariamo ad uscire e andiamo a cena, così, al ritorno, non possiamo fare a meno di notare l’aspetto quasi spettrale del Little Key, praticamente vuoto e con le luci, soffuse, ridotte al minimo indispensabile: la cosa non ci entusiasma ma ben presto raggiungiamo il mondo dei sogni e ce ne dimentichiamo. Venerdì 3 Maggio 2002: Ci alziamo, come al solito, con i raggi del sole che invadono la stanza filtrando attraverso le tende socchiuse: è ancora una bella giornata e quanto sembra lontano, ora, quel primo giorno con tutti quei nuvoloni a guastare la festa, ma poi, da allora, abbiamo sempre “ballato”, per terra e per mare, tralasciando poco o nulla, com’è giusto che sia, visto che la vacanza volge ormai al termine. Ci resta poco da vedere e, dopo colazione, partiamo per raggiungere l’ultima spiaggia che probabilmente merita le nostre attenzioni. Andiamo così a Baie Oriental, quella turisticamente più attrezzata dell’isola, che forse proprio per questo motivo non ci soddisfa, con tutti quegli ombrelloni e quei bar appiccicati l’un l’altro a deturpare il paesaggio, che altrimenti sarebbe stato tutt’altra cosa. Ma la nostra meta è un’altra, infatti vogliamo raggiungere Green Cays, un isolotto deserto che si trova a poche centinaia di metri di distanza dalla riva, così ci accordiamo con una persona di colore per il trasbordo e questa, di lì a poco, si presenta con una grossa moto d’acqua facendoci segno di salire. Un po’ perplessi, ma soprattutto convinti, in questo modo, di bagnarci dalla testa ai piedi, gli diamo retta, così nel goffo tentativo di farlo scivolo e mi bagno sul serio, con lo zaino in spalla che, per fortuna, è abbastanza impermeabile da salvare il contenuto. In neanche un minuto siamo, sani e salvi, sull’isola, con la certezza, a questo punto, di aver provato tutti i mezzi d’acqua possibili e immaginabili, a parte, forse, il sottomarino. Il luogo, a prima vista, non sembra eccezionale (del resto, dopo tutto quello che abbiamo visto …), così ci accordiamo e fissiamo il ritorno per le 13:00. La spiaggia, infatti, è una minuscola lingua di sabbia umida nella quale ci sistemiamo prima di fare un mezzo bagno nell’acqua troppo bassa e dal fondale piuttosto accidentato e melmoso. Passiamo il tempo facendo prigionieri alcuni simpatici paguri, che alla fine del gioco, di nuovo liberi, se ne tornano, barcollando, fra le loro rocce, quindi vado, prima da solo poi con Federico, a fare un giro esplorativo dell’isola e torniamo con alcune grosse conchiglie che ci porteremo sicuramente come souvenir, infine pranziamo e subito dopo arriva il nostro uomo a recuperarci: di nuovo una corsa sul pelo dell’acqua e, in breve, ci ritroviamo a Baie Oriental. Non abbiamo nessuna intenzione di rimanere in questa spiaggia, così ce ne andiamo e, dopo una breve sosta per fare alcuni acquisti in un mercatino lungo la strada, raggiungiamo, per la seconda volta, Down Beach. Il luogo ci era piaciuto e decidiamo di passarvi il resto della giornata, anche se oggi soffia forte l’aliseo ed il mare è piuttosto arrabbiato, tanto che Federico non chiede neppure di fare il bagno, ma gioca per tutto il tempo con la sabbia, mentre noi ci godiamo i caldi raggi del sole. Intorno alle 17:00, con calma, riprendiamo la strada del Little Key, con i magnifici colori che precedono il tramonto a fare da contorno e a caratterizzare il paesaggio, che ci emoziona ancora, nonostante si stia ormai respirando aria di fine vacanza, poi, in serata, torniamo a cenare al Cottonier, dove ci viene offerto un ottimo piatto di spaghetti, che, da buoni italiani, mostriamo di gradire, infine, tanto per cambiare, torniamo in camera a distenderci sui nostri letti: in breve il sonno prende il sopravvento ed il silenzio regna sovrano. Sabato 4 Maggio 2002: E’ la mattina dell’ultimo giorno che passeremo interamente a Saint Martin, così, ormai soddisfatti dall’esito più che positivo della vacanza, decidiamo di andare in un posto dell’isola che ci era particolarmente piaciuto. Ci andammo nel primo giorno di vero sole, quello stesso sole che da allora non ci ha più abbandonato, e ne restammo estasiati: è Ilet Pinel, quel piccolo lembo di terra situato al centro della baia che si trova di fronte al Little Key e poco oltre il vetro della nostra finestra. Ci presentiamo al molo di partenza delle barche quando ancora non ci sono i barcaioli e ci fanno compagnia solo altri due turisti, poi, intorno alle 10:00 prendiamo il largo e in pochi minuti sbarchiamo sull’isola. Sistemiamo le nostre cose all’ombra delle palme e corriamo subito a fare un lungo e rilassante bagno, poi ci fermiamo al sole ad asciugarci e prima di pranzo, tutti insieme, andiamo a fare snorkeling, così da salutare, idealmente, i simpatici e colorati pesci di Saint Martin. Restiamo immersi nel nostro sogno tropicale ancora per qualche ora, fra giochi e bagni di acqua cristallina, ma il tempo passa inesorabile e in men che non si dica si fa l’ora di andare, così, dispiaciuti ma allo stesso tempo contenti, saliamo, alle 16:30, sull’ultima imbarcazione disponibile e, in breve, ci ritroviamo al Little Key. E’ ancora presto per concludere la giornata quindi ci fermiamo sui bordi della piscina e diamo la possibilità a Federico di fare quel bagno che richiedeva, con insistenza, già da diverso tempo, ma è un pomeriggio anomalo e alle 17:30, molto prima del solito, ci ritiriamo in camera per fare una doccia e per cominciare, purtroppo, a riordinare le valigie. Scivola via così, tranquillamente, anche l’ultima serata e l’ultima cena al Cottonier, poi, questa volta a giusta ragione, andiamo a riposare, infatti, per domani, ci attende la lunga ed estenuante giornata di rientro in Italia. Domenica 5 Maggio 2002: Cerchiamo di svegliarci abbastanza presto così da poter trascorrere ancora qualche ora di piacevole vita balneare, prima di affrontare il lungo viaggio di ritorno, e già prima delle 9:00 siamo sui bordi della piscina, distesi sui lettini, ad incamerare gli ultimi caldi raggi del sole caraibico. Faccio un bagno in compagnia del piccolo, poi vado a consegnare l’auto e a saldare il conto dell’hotel e al ritorno scendo di nuovo in acqua, ma il tempo vola e senza che ce ne possiamo rendere conto si fanno le 11:00, così andiamo in camera a sistemarci e a riordinare le ultime cose. Nel frattempo, sul telefonino, arriva una bella notizia: la Juventus è campione d’Italia per la ventiseiesima volta! Esultiamo e tiriamo fuori dalla valigia il cappellino bianconero da mettere, con orgoglio, sulla testa di Federico, che lo porterà, forse, per tutta la durata del viaggio. Facciamo uno spuntino, seduti al tavolo della veranda, con di fronte agli occhi, ancora per una volta, lo stupendo panorama della baia con, al centro, l’Ilet Pinel, poi lasciamo la stanza e raggiungiamo, valigie alla mano, la reception. Arriva subito, anzi in anticipo, il pulmino che ci accompagnerà all’aeroporto, allora saliamo a bordo e salutiamo il Little Key, che inesorabilmente ci lasciamo alle spalle. Attraversiamo l’isola, passando per Marigot, e mezzora più tardi, intorno alle 13:00, siamo al Juliana Airport pronti per fare il check-in. Imbarchiamo i bagagli e ci mettiamo in fila per passare attraverso il metal-detector, una lunga fila al termine della quale, per avere via libera, quasi mi devo spogliare, e in più mi chiedono di svuotare completamente lo zaino per identificarne meglio il contenuto, che non appariva chiaro ai raggi-x. Per fortuna Sabrina e Federico non hanno gli stessi problemi e, dopo qualche peripezia, raggiungiamo finalmente la sala d’aspetto nella quale dovremo restare per quasi due ore. Poco dopo le 15:00 ci imbarchiamo sul volo Af 3661 e circa un’ora più tardi, alle 16:15, l’Airbus A300 dell’Air France decolla alla volta dell’Europa. Saranno necessarie, ovviamente, le stesse otto lunghe ore di viaggio dell’andata e fortunatamente anche oggi, come allora, ogni poltrona dell’aereo è dotata di televisore e video-games: ottimi strumenti per ingannare il tempo. Intanto ceniamo, mentre l’aereo vola deciso incontro al tramonto, tanto che possiamo vedere, attraverso gli oblò, le tenebre prendere rapidamente il sopravvento: sincronizziamo gli orologi sul fuso orario della destinazione e in un batter d’occhio questi segnano la mezzanotte. Lunedì 6 Maggio 2002: Voliamo a 11200 metri di quota e la nostra velocità è di poco inferiore ai 1000 chilometri orari, percorriamo all’incirca 6700 chilometri e in una manciata di ore divoriamo una notte, così, mentre sorvoliamo il Canale della Manica, appaiono le prime luci dell’alba e sotto di noi c’è un’immensa distesa di nuvole. Il tempo è brutto a Parigi e atterriamo, alle 6:26, vedendo terra a non più di duecento metri d’altezza. Non piove, ma la temperatura è di soli sette gradi e ci vengono i brividi ripensando a Saint Martin. Sbarchiamo e ci mettiamo alla ricerca del terminal dal quale partirà l’aereo per Bologna. Non abbiamo fretta, perché il decollo è previsto fra quattro lunghe ore ed il problema maggiore è come passare il tempo, soprattutto se si è, come noi, scombussolati dal fuso orario. Raggiungiamo il terminal “D”, espletiamo le formalità d’imbarco e ci mettiamo in attesa seduti nella sala d’aspetto. Accanto a noi c’è un brutto ceffo arabo e subito ci torna alla mente l’11 di settembre, ma, per fortuna, questo s’imbarca sull’aereo per Malpensa, mentre noi, dopo una lunga aspettativa, saliamo sul volo Az 365: un Md-80 dell’Alitalia, all’apparenza, non troppo nuovo. Stacchiamo da terra alle 11:00, con quasi mezzora di ritardo, e pochi minuti più tardi siamo sopra ad un immenso “mare di panna montata”, poi in prossimità delle Alpi le nuvole cominciano a dissolversi e ormai in vista di Bologna splende il sole. Atterriamo nell’aeroporto felsineo alle 12:29 e torniamo ad appoggiare i piedi sul suolo italiano, quindi ritiriamo, sani e salvi, i bagagli e usciamo dalla porta degli arrivi notando in lontananza i nonni che, come al solito, ci sono venuti a prendere. Federico gli corre incontro e li abbraccia affettuosamente, poi, tutti insieme, c’incamminiamo verso l’uscita. Lungo il tragitto di ritorno, in autostrada, chiacchieriamo raccontando le più svariate avventure ed esternando tutta la nostra soddisfazione per il buon esito della vacanza, mentre il nastro d’asfalto scorre sotto alle ruote del camper e in poco meno di un’ora ci ritroviamo di fronte a casa: sono le 14:11. E’ stato un bellissimo viaggio, iniziato non troppo bene ma finito meravigliosamente: ci aspettavamo tanto da Saint Martin ed Anguilla, ma queste ci hanno stupito oltre ogni più rosea previsione (soprattutto Anguilla), e, di solito, quando le cose stanno in questi termini non può che scaturirne una vacanza straordinaria e indimenticabile, sicuramente ai primi posti di un’ipotetica top-ten, che forse un giorno ci preoccuperemo di stilare.

 Dal 21 Aprile al 6 Maggio 2002



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